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Lo splendore dell'aquila nell'orso. L'Italia di Enrico VII di Lussemburgo


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Perché Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore e Re d'Italia, continua a essere pressoché sconosciuto da noi? Eppure Dante assegna alla sua figura un posto ai massimi vertici del Paradiso - e con tanti intellettuali dell'epoca plaudì alla sua discesa in Italia per drizzarla. Scomodo a entrambe le spadroneggianti fazioni guelfe e ghibelline, dopo tre anni di permanenza nel nostro paese Enrico venne neutralizzato e - ancor peggio - sottoposto a una "damnatio memoriae" che dura tuttora. Riluttanti gli storici italiani, di ieri e di oggi, a restituire all'Alto Arrigo la giusta dimensione morale - e biografica - che merita.
 
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Sar una questione di punti di vista, ma personalmente non sono mai riuscito a vedere in Enrico VII di Lussemburgo un personaggio di grandissima rilevanza storica, rivestendo n pi n meno i panni di tanti imperatori scesi in Italia per rivendicare la loro supremazia, come Federico I Hohestaufen (il Barbarossa), oppure Massimiliano I dAsburgo.
Certo, Dante Alighieri nella Divina Commedia lo colloca nel Paradiso, ma sul principio dimparzialit del grande poeta nutro pi di un dubbio, avendo inserito nellInferno quel santuomo di Celestino V.
Resta comunque un fatto: da noi Enrico VII praticamente uno sconosciuto e a ci Tornar ha inteso porre rimedio con questo romanzo storico che parla dellultimo periodo di vita dellimperatore, dallassedio di Firenze fino alla sua morte, avvenuta presso Siena per la malaria e non, come allepoca si mormorava e si sostiene anche nellopera, avvelenato con unostia ingerita durante una Comunione.
Certo lidea di un uomo teso a porre rimedio alla miriade di staterelli italiani, riportandoli sotto legida imperiale, con il contemporaneo tentativo di riportare la Chiesa alla sua originaria funzione, svilendone il potere temporale, esercita un certo fascino, ma la realt, almeno quella conosciuta, ci mostra un chiaro fallimento di una politica in funzione egemonizzante.
Di Tornar ho letto tempo fa un bellissimo romanzo storico, un autentico capolavoro (Claire Clermont), ambientato in epoca decisamente successiva e francamente laspettativa per questa nuova opera era notevole.
Tuttavia, sono rimasto un po perplesso, vuoi per le caratteristiche del personaggio principale, vuoi perch Tornar ha scritto un qualche cosa che si avvicina pi al saggio storico che a un romanzo storico, pur cercando di dare corpo a una narrazione in cui fatti acclarati e creativit potessero trovare il giusto equilibrio.
A mio avviso il tentativo non completamente riuscito, tanto che questopera promiscua caratterizzata da una certa grevit, senza che per questo riesca ad emergere nitidamente una figura di grande rilievo politico ed umano, il che, oltre a essere un evidente limite, non permette di comprendere perch Enrico VII sia stato condannato alloblio non solo ai suoi tempi (e l la giustificazione ci sarebbe pure: era troppo scomodo alle fazioni in lotta, i guelfi e i ghibellini, senza dimenticare lopposizione della Chiesa, ben decisa a difendere i suoi privilegi terreni), ma anche successivamente, e fino ai giorni nostri.
Le pagine non mancano di motivi dinteresse, ma il personaggio non riesce a presentarsi vivo al lettore, anzi ha tutte le caratteristiche del morituro, sconfitto nelle sue mire di completo assoggettamento dellItalia e di cessazione del potere temporale della chiesa.
Certamente fu un sognatore, un uomo dotato di una profonda innata religiosit che lo induceva a fantasticare di un mondo uniformato al grande pensiero religioso e sociale di Cristo. Al riguardo le pagine che parlano di questo suo ideale sono senzaltro le migliori di tutta lopera, e l si avverte maggiormente la capacit dellautore di proporci il personaggio.
Forse non erano i tempi giusti per mettere in pratica questo alto e nobile proposito, ma, se guardiamo le attuali vicende, i tempi giusti sembrano una sempre pi lontana chimera.
Da leggere, in ogni caso.


Renzo.Montagnoli

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