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Autobiografia in do minore. Racconto di scoordinata sopravvivenza (Pretesti)


Giuseppe Bonaviri Libri


"Evviva l'altopiano di Camuti che mi vide bambino. Cominciai a scrivere poesie all'età di nove anni, adeguandomi alle consuetudini della famiglia e del mio paese, Mineo, dove gli abitanti in maggioranza erano poeti vernacoli, in gran parte analfabeti, contadini poveri, raccoglitori d'ulive, venditori d'acqua, pietraroli, calzolai, barbieri, sarti, guardiani di buoi, o caprai, e camposantari e artigiani che, per il loro mestiere, erano portati a fare delle considerazioni sulla fugacità di ogni cosa. Ma la verità è una: debbo fare tutto da me, non ho un gatto, o una formica che mi aiutano. E la mia solitudine, che amministro e cerco di superare da solo, mi spunta come ombra sempre davanti. Ma in questo c'è un grande mio gioco fra narcisistico e retorico e infantile".
 
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Evviva laltopiano di Camuti che mi vide bambino. Cominciai a scrivere poesie allet di nove anni, adeguandomi alle consuetudini della famiglia e del mio paese, Mineo, dove gli abitanti in maggioranza erano poeti vernacoli, in gran parte analfabeti, contadini poveri, raccoglitori dulive, venditori dacqua, pietraroli, calzolai, barbieri, sarti, guardiani di buoi, o caprai, e camposantari e artigiani che, per il loro mestiere, erano portati a fare delle considerazioni sulla fugacit di ogni cosa.
Ma la verit una: debbo fare tutto da me, non ho un gatto, o una formica che mi aiutano. E la mia solitudine, che amministro e cerco di superare da solo, mi spunta come ombra sempre davanti. Ma in questo c un grande mio gioco fra narcisistico e retorico e infantile.



Che cosa pu spingere un uomo a scrivere la propria autobiografia? I motivi possono essere diversi, ma soprattutto due, ciascuno dei quali non esclude laltro: la necessit di ripensare alla propria vita, facendo emergere la memoria del passato, oppure lasciare una traccia della propria esistenza, affinch altri sappiano, consentendo in tal modo di limitare gli effetti della propria morte con il ricordo di s.
Ora credo che Bonaviri, giunto a una certa et in cui pi inevitabilmente si pensa a quellultimo passo, abbia inteso soprattutto guardare allindietro, lui che ormai viveva da tantissimi anni a Frosinone, lontano da Mineo, dal quel paese che nellarco delle sue narrazioni ha assunto sempre pi la simbologia di un paradiso lasciato e non perduto.
Che abbia scritto questo libro soprattutto per se stesso trova unindiretta conferma nelle poche annotazioni relative agli anni pi recenti, mentre lo svolgimento del tema focalizzato in un tempo molto pi lontano, quello della giovinezza, il cui ricordo resta vivo, anche se velato da una vena di malinconia, del tutto naturale in un anziano.
Lesercizio della memoria, attuato in una forma che sembra quella della narrazione orale, con ritorni, rimandi, anche alcune ripetizioni, si innesta nel presente solo con annotazioni per la fatica, legata allet, al caldo, oppure per un pessimismo esistenziale (La vita tutta un giro di nascite e morti; vale la pena viverla?) proprio dellet, di chi non potendo rivolgersi al futuro guarda al passato.
E anche il momento di confessioni, in particolare una, forse prima mai enunciata neppure a se stesso, e che offre mirabilmente la misura della condanna di uno scrittore, autentico, perch nello scrivere per s scrive per gli altri e non viceversa, visionario, ma pragmatico, perch la sua fantasia mostra quale la vera realt, naturalistico, poich consapevole di essere solo un piccolo tassello del mosaico della vita: in questa opaca terra, scrivere per me, oltre che maledizione ereditaria, stato solo salvezza dalla solitudine in cui ho vissuto e vivo.
Luomo sempre solo, ma uno scrittore come lui ancora di pi, ed quella solitudine appena lenita dagli affetti familiari che spinge a cercare il bandolo di una matassa, quale lesistenza, anche se consapevoli che non si riuscir mai a trovare.
Ho scritto prima che questo libro sembra pi la registrazione di un racconto orale, come se il lettore si trovasse davanti allo scrittore che parla di quel che stata la sua vita, e come capita in questi casi non seguendo un preciso filo logico, se non allinizio, quando molto opportunamente ci dice del suo albero genealogico, o meglio dei suoi due alberi, quello dellulivo per parte materna e quello del mandorlo per lascendenza paterna.
I componenti delle famiglie, nella seconda met del 1800 e allincirca fino alla fine della seconda guerra mondiale, erano assai numerosi, e quindi un fiume in piena di bisnonni, di zii e di cugini, a ognuno dei quali Bonaviri cerca di riservare, per quel che rammenta, una piccola storia o almeno un cenno.
In ogni caso il centro dellattenzione sempre Mineo, con laltopiano di Camuti, e non mancano anche quelle invenzioni di prosa poetica che sono una delle caratteristiche pi esaltanti dello scrittore (I tuoni bofonchiavano, fuori della porta di casa stangata, e rimbalzavano, schiantandosi, di valle in valle.), parole che si fanno immagini e di una forza tale da restare impresse nella mente anche da chi mai stato in quel luogo.
Mineo, il paese dei poeti, un rifugio sicuro a cui pensare nei momenti pi bui, durante i periodi di depressione ansiosa, frutto s di una predisposizione, ma anche di un lungo periodo di duro lavoro allospedale; queste case arroccate diventano cos un mito, un sorta di paradiso perduto, ma recuperabile, anche se ci che appare invece irrecuperabile il periodo spensierato di quella giovinezza in cui si viveva il presente, si nutrivano speranze per il futuro, senza pensare al passato.
Non c tristezza, tuttavia, perch la vita cos e anzi Bonaviri innesta anche episodi curiosi e ilari, soprattutto relativamente al periodo trascorso a Catania quando studiava al Liceo e allUniversit. Cerano la guerra e pochi soldi, mancavano le case e la ricerca di una pensione dove alloggiare era quasi una Via Crucis, ma si era ancora giovani, pieni di speranze e si aveva la forza e il coraggio di ridere sulle proprie miserie. Poi, mano a mano che let aumenta, che si entra in quel girone quasi infernale che la societ costituita, in cui ognuno chiamato a recitare il proprio ruolo, le cose cambiano e cos anche Giuseppe Bonaviri diventa il dottor Bonaviri, che nel parlare dei parenti scomparsi ne scrive quasi le cause della morte, anzi sembrano veri e propri referti, con associazioni di alcuni decessi tese anche a dimostrare che certe malattie, come lipertensione, sono proprie di un codice genetico, che si trasmette da padre in figlio.
Il Bonaviri medico quello che ha lasciato Mineo, il Bonaviri scrittore quello che con il cuore rimasto a Mineo.
Autobiografia in do minore un canto allet doro della giovinezza ed semplicemente un capolavoro.



Renzo.Montagnoli

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