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La virtù di Checchina (Classica)


Matilde Serao Libri


"Nonostante qualche critica iniziale e un certo scetticismo, alimentato dalla stessa autrice in lettere private, La virtù di Checchina è uno dei testi più riusciti di Matilde Serao, un racconto borghese gradevole e coinvolgente, in cui l'innata simpatia della sua protagonista, i suoi ostentati timori, i vorrei ma non posso che ne animano di continuo le azioni e le esitazioni, riescono a creare una naturale empatia con il lettore che pur lasciandosi scappare magari più d'un sorriso dinanzi all'esibita ingenuità della donna, non può che divertirsi a sospirare e cospirare con lei, nella ricercata realizzazione di desideri tanto comuni quanto umani." (dalla prefazione di Aldo Putignano).
 
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Nel panorama letterario italiano di fine ‘800 – inizi ‘900, Matilde Serao trova la sua giusta collocazione quale scrittrice della piccola borghesia e del popolino. A queste due classi sociali ha dedicato la parte migliore della sua produzione, con accenti di particolare intensità per la povera gente, una sorta di verismo, ma con una particolarità: mentre il realismo è destinato agli oppressi, ai paria, ai nobili e ai ricchi riservava figurazioni irrealistiche, frutto non di un’esperienza diretta, ma di una visione di fantasia.


Sì, perché Matilde Serao si sentiva parte di quella piccola borghesia in cui era in effetti nata e non è un caso quindi se riesce a descriverla così bene, come anche in questo romanzo breve, intitolato La virtù di Checchina.


Assai apprezzata da Giosuè Carducci e da Benedetto Croce per le sue indubbie qualità di narratrice attenta a ricreare perfettamente le ambientazioni, sondando anche finemente la psicologia dei personaggi, questo testo breve, quasi un racconto lungo, ha caratteristiche tali da poterlo considerare un piccolo capolavoro, tanto più ove si tenga conto del fatto che la protagonista, per carattere, ma anche per aspetto fisico, è tutto il contrario di Matilde Serao, che invece era grossa, un po’ tozza, chiassosa, ma anche sempre controcorrente (basti pensare che la sua opposizione alla prima guerra mondiale la rese invisa al fascismo e pregiudicò la possibilità di essere candidata al Nobel, che poi fu assegnato a Grazia Deledda).


La virtù di Checchina ha un tema che richiama tanto la produzione di Flaubert e verte sul contrasto fra lo squallore della vita borghese e il sogno di un’esistenza ben al di sopra delle proprie possibilità.


Non c’è la miseria dello splendido reportage Il ventre di Napoli, ma c’è tutta quella rassegnazione di una classe sociale di poco sopra l’indigenza, ma assai lontana dal mondo aristocratico, a cui mai potrà arrivare.


La figura di Checchina è disegnata con una maestria veramente eccezionale, frutto anche della delicata e profonda sensibilità dell’autrice, e il suo tentennamento fra il tradire il marito con un nobile o lasciare cadere le profferte amorose è così ben descritto al punto dal far nascere una naturale simpatia per una protagonista dall’apparenza tutto sommato anonima.


In effetti, quel desiderio di salire in cima alla scala per godere dei benefici di casta, altri non è che la verifica della propria condizione sociale, dell’impossibilità di permettersi abbigliamenti costosi per essere presentabile davanti a questo nobile. Nascono così una serie di idee, si sviluppano dei processi volti a ottenere almeno qualche cosa del tanto che le manca, ma quello che non sorge è l’amore, anzi Checchina è innamorata solo del mondo del Marchese di Aragona, il cui appuntamento galante rappresenta per lei solo la possibilità di concretizzare un desiderio.


Riuscirà l’incontro nell’alcova del patrizio? Non ve lo dico, per non togliervi il piacere di una gran bella lettura.



Renzo.Montagnoli

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