Biografia Carlo Bernari |
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Carlo Bernari (pseudonimo di Carlo Bernard), romanziere, poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore e giornalista, è stato uno dei maggiori narratori meridionalisti e un precursore del Neorealismo. Nacque a Napoli il 13 Ottobre del 1909 da una famiglia di origine francese (il padre dirigeva un’azienda per la tintura dei tessuti). Adolescente difficile e inadatto alle regole scolastiche, condusse studi da autodidatta (a 13 anni, aveva subito un decreto di espulsione permanente con l’accusa di aver sobillato i compagni di classe). Ancora giovane, fondò a Napoli (insieme a Guglielmo Peirce e Paolo Ricci) il movimento culturale d’opposizione detto “Udaismo” (Unione Distruttivisti Attivisti). Andò quindi in Francia nel 1930, ove si avvicinò all’avanguardia e al surrealismo di André Breton.
Ritornato in Italia, ispirato dai problemi del mondo operaio e influenzato dai romanzi europei e americani del tempo (amò soprattutto John Dos Passos), nel 1934 scrisse il romanzo “Tre operai”, opera ben strutturata e non populista che descriveva la vita triste della classe operaia italiana e il suo difficile rapporto col regime dominante. Il libro ebbe un’accoglienza incerta e numerose stroncature (compresa quella di Elio Vittorini); inoltre, lo scontento di Mussolini gli costò l’intervento della censura fascista, sicché non ebbe recensioni e scomparve dalle librerie (divenendo “invisibile e irreperibile”).
Nei primi anni ’40 Carlo Bernari scrisse su “Primato”, la rivista quindicinale di Giuseppe Bottai (nonostante l’impegno politico e le idee antifasciste); con Cesare Zavattini e Alberto Moravia fondò a Milano nel 1939 la rivista “Tempo” e nel 1944 creò la “Nuova Biblioteca Editrice” mentre nel 1945 diede vita con Vasco Pratolini alla rivista “La settimana”. Antifascista e partigiano italiano, nel dopoguerra si guadagnò da vivere come collaboratore di numerosi periodici (firmandosi spesso sotto vari pseudonimi) e come schedatore di libri antichi (era un funzionario della Hoepli antiquaria).
Scrittore prolifico, pubblicò: “Quasi un secolo” (1936) che narra la storia di una famiglia italiana attraverso tre generazioni, “Il pedaggio si paga all’altra sponda” (1943), “Napoli guerra e pace” (1945), “Tre casi sospetti” (1946) che vinse il premio Brera, e “Prologo alle tenebre” (1947), favoloso grande affresco di vita napoletana imperniato su cinque personaggi legati da un segreto. Del 1949 è “Speranzella”, romanzo attraversato da un afflato neorealista, privo di retorica e denso di tensione etica e realismo (vincerà nel 1950 il Premio Viareggio): questo libro si pone nell’ambito di quel fenomeno letterario italiano degli anni anni ’20-’30 definito “Realismo” e narra storie di miseria e di degrado nella Napoli del dopoguerra, durante il referendum costituzionale del 1946 (e Speranzella è il nome dell’antica via di Napoli nella quale convivono caldi sentimenti e dure contraddizioni). Seguirono “Siamo tutti bambini” (1951) e “Vesuvio e pane” (1952) vincitore del Premio Salento, stupenda saga in cinque libri (Si vende Napoli per due soldi, Debito sopra debito, Vedi Napoli e poi muori, Il ventre della Vacca, Napoli è sempre Napoli).
Con questo grande romanzo si chiude la stagione neorealista di Bernari e incomincia un periodo lungo e febbrile tutto dedicato non più alla società napoletana quanto piuttosto al problema meridionale, in una visione marxista del rapporto individuo-società e degli aspetti psicologici ed esistenziali umani). Scrisse: “Domani e poi domani” (1957) - stupenda pagina di letteratura d’amore - , “Amore amaro” (1958) che si aggiudicò il Premio Borselli, “Era l’anno del sole quieto” (1964), “Per cause imprecisate” (1965), “Le radiose giornate” (1969), “Alberone eroe e altri racconti non esemplari” (1971), “Un foro nel parabrezza” (1971), “Tanto la rivoluzione non scoppierà” (1976), “Ventisei cose in versi” (1977), “Il cronista giudizioso” (1979), “Dall’Etna al Vesuvio” e “Dal Tevere al Po” (1980), “Il giorno degli assassinii” (1980), “Il grande letto” (1988), e “L’ombra del suicidio (Lo strano Conserti)” e “Gli stracci” (pubblicati postumi nel 1993).
Bernari fu anche un acuto e lucido saggista (e i suoi testi erano prevalentemente concentrati sull’amata Napoli, contemplata da Roma): “Napoli pace e guerra” (1946), “Omaggio a Corrado Alvaro” (1957), “Bibbia napoletana” (1960), “Non gettate via la scala” (1973), “Napoli silenzio e grida” (1977) e “Non invidiate la loro sorte” (1991). Scrisse anche il libro di viaggio “Il gigante Cina” (1957) - preparato in seguito a uno straordinario viaggio fatto in Cina nel 1955 per incarico de “L’Europeo” - , in cui risaltano spirito di osservazione, approfondimento psicologico, analisi sociale e giudizio politico, nel desiderio di dare un senso a un’antica civiltà popolare, a costumi di vita misteriosi e a rapporti particolari tra gli uomini.
Il Consiglio Comunale di Gaeta (città che amava e dove si ritirava a scrivere) gli conferì la cittadinanza onoraria. Carlo Bernari morì a Roma il 22 ottobre del 1992.
Con i suoi temi sulla condizione operaia e sul proletariato, con la sua esigenza di giustizia sociale, con la sua vigile attenzione civile e con la sua adesione alle problematiche vere e profonde del suo tempo, Carlo Bernari è stato il testimone di un mondo difficile ove le persone erano inquadrate nella dura realtà di tutti i giorni, nella necessità di misurarsi col potere dominante in grado di limitarne fortemente l’esistenza. Il suo linguaggio narrativo è originale per la vivace commistione - molto prima di Andrea Camilleri - di lingua e dialetto napoletano.
Di Silvia Iannello
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