| Biografia Caroline Blackwood |
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Lady Caroline Blackwood (1931–1996) fu una delle figure più affascinanti, contraddittorie e tragiche del XX secolo — una donna nata nel privilegio e destinata all’eccesso. Erede della dinastia Guinness e discendente dei marchesi di Dufferin e Ava, crebbe nella tenuta di Clandeboye, in Irlanda del Nord, tra le rovine di un’aristocrazia anglo-irlandese in declino. La sua infanzia, circondata da lusso e freddezza, fu segnata da un padre silenzioso, traumatizzato dalla guerra, e da una madre brillante e crudele, schiava dell’alcol. In quel mondo di facciata e repressione, Caroline imparò presto a mascherare la vulnerabilità con l’ironia, a difendersi con l’intelligenza e a cercare altrove la vita autentica che le era negata.
Ribelle per natura, fuggì giovanissima dal destino da debuttante per immergersi nella Londra bohémien del dopoguerra, tra pittori, poeti e bevitori di gin. Lì conobbe il pittore Lucian Freud, con cui visse un matrimonio tanto appassionato quanto distruttivo. Freud, nipote di Sigmund, la rese la sua musa ossessiva, protagonista di alcuni dei suoi più celebri ritratti, in cui la bellezza di Caroline si trasforma in inquietudine e prigionia. Il loro amore fu una battaglia di potere, gelosia e dipendenza, un legame che, pur bruciandola, alimentò la sua futura voce di scrittrice.
Dopo la fine del matrimonio, Caroline sposò prima il compositore israeliano Israel Citkowitz, poi il poeta Robert Lowell, altro gigante fragile della letteratura. Con entrambi visse relazioni tempestose, segnate dall’alcol, dalla malattia mentale e da una costante ricerca di libertà. Parallelamente, costruì una carriera letteraria di rilievo: le sue opere, spesso ispirate ai segreti e alle crudeltà della sua infanzia aristocratica, si distinsero per uno stile tagliente, ironico e spietatamente lucido.
Blackwood fu una donna di paradossi: musa e manipolatrice, aristocratica e bohémien, madre affettuosa e spaventosa, vittima e carnefice di sé stessa. Dietro l’eleganza da regina decaduta, nascondeva una fame di verità e un dolore inestinguibile. Truman Capote la descrisse come “un corvo dalle piume bianche”: splendida, intelligente, e pericolosamente consapevole del proprio potere.
Morì nel 1996, lasciandosi dietro un’eredità di romanzi brillanti, ritratti immortali e una leggenda che ancora oggi incarna l’irresistibile attrazione del disastro.
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