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Biografia Ezechiele Ramin
Ezechiele Ramin
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Padre Ezechiele Ramin Missionario Comboniano, martire Testimoni Padova, 9 febbraio 1953 – Cacoal, Rondonia (Brasile), 24 luglio 1985 “La gente ha sempre bisogno di chi vuol fare del bene. Oggi ci sono molti esclusi, molti emarginati, molti dimenticati. Dimenticati negli ospedali, nelle carceri, emarginati negli ospizi, nei riformatori, nelle baracche, esclusi dalla vita umana. Come si può restare indifferenti a questo dolore dell’uomo? Non sono un’idealista; utopia non è amare questa gente, utopia è non amare l’uomo così com’è!”. Così si esprimeva in una delle tante lettere da lui scritte, padre Ezechiele Ramin (Lele), il 17° martire comboniano nella serie dei missionari e delle suore, che hanno versato il sangue in ossequio alla fedeltà alla propria vocazione, restando sul posto nel momento del pericolo e per un motivo di carità verso i poveri e gli oppressi. Le origini, le attività giovanili Padre Ezechiele Ramin nacque a Padova il 9 febbraio 1953, i suoi genitori, Mario e Mira, ebbero in tutto sei figli maschi, il padre era un artigiano dello scalpello per la lavorazione della pietra, la madre era casalinga; in famiglia si respirava un’autentica aria di fede religiosa, tutti erano praticanti; una famiglia, dice il fratello Paolo, con tante ‘effe’: Fede e fiducia in Dio, fatiche quotidiane, fratellanza fra i componenti, fanciullezza di cuore, sinonimo di semplicità e purezza. Dal 1959 al 1964, Ezechiele frequentò la scuola elementare “Alessandro Manzoni” e le medie e superiori, presso il Collegio Barbarigo di Padova dal 1964 al 1972. Il periodo trascorso come liceale fu molto intenso, per le attività giovanili e umanitarie in cui si impegnò e nel contempo si formò; alla confusa ricerca di una scelta per il suo avvenire. Le vacanze le trascorreva dedicandosi ai ‘campi di lavoro’, con altri giovani che davano una mano per costruire le case per i poveri; a Padova riuscì nel 1971 a rivitalizzare il Movimento “Mani Tese”, che in quel tempo era in una fase di estinzione. Proprio da queste attività in favore dei poveri del Terzo Mondo, scaturì la sua vocazione missionaria, concretizzata poi dall’incontro nel Collegio Barbarigo, con padre Pietro Settin missionario comboniano. I giovani che lo seguirono nel Movimento “Mani Tese”, ne continuarono l’opera dopo la sua partenza, mantenendolo in prima fila nelle organizzazioni giovanili di Padova, ricordando sempre le parole di Lele “Non si può stare seduti con le braccia conserte, aspettando che i primi ad alzarsi siano gli altri. Su muoviamoci prima noi, diamoci da fare. Poi anche gli altri ci seguiranno”. Con l’energia dei suoi 18 anni, era capacissimo di stare a studiare fino alle 22 o 23, perché aveva trascorso il pomeriggio impegnato in opere umanitarie o caritative; Ezechiele Ramin conseguì la maturità classica nel 1972 con ottimi voti. Fra i Missionari Comboniani - Gli studi superiori Nell’estate di quell’anno, quando si trattò di rispondere ai genitori su quale Facoltà universitaria avrebbe scelto, Ezechiele rispose conducendoli davanti all’Istituto dei Missionari Comboniani, in via S. Giovanni da Verdara a Padova e dicendo loro: “Questa è la mia facoltà, missionario d’Africa”. Aveva scelto il suo futuro, perché Dio lo chiamava da tempo a portare il dono più prezioso agli uomini, la pace e la libertà; “Pace e giustizia, non violenza”, era il suo tema preferito, dibattuto fin dagli anni dell’adolescenza nei gruppi giovanili di Padova. Nel 1972 partì per Firenze, dove mentre portava a termine il Postulato presso i Comboniani, conseguì il baccalaureato negli anni 1972-74 presso lo Studio Teologico Fiorentino; era un periodo di grandi fermenti sociali, il terrorismo dilagava e la confusione era di casa fra i giovani, ma anche fra gli stessi educatori. Da Firenze, il 6 ottobre 1974 passò a Venegono (Varese) per il Noviziato e il 5 maggio del 1976 emise i primi voti temporanei; arrivato a questo punto, Ezechiele Ramin non aveva ancora le idee chiare e prima di emettere i voti perpetui voleva essere sicuro della sua scelta, anche lui come i tanti giovani seminaristi e sacerdoti, coinvolti nel clima del dopo Concilio, era alla ricerca della vera missione della Chiesa nel tempo moderno, e alla sua posizione di fronte alle ingiustizie sociali, che suscitavano in Italia e nel mondo fiammate di guerre, guerriglie, rivolte, atti terroristici. Domandò di poter espletare almeno una parte degli studi teologici in terra di missione, per lo Scolasticato indicò come meta l’Uganda, invece fu inviato in Inghilterra, dove rimase per tutto l’anno di studio 1976-77, e qui imparò egregiamente l’inglese. Dopo questo periodo, nel 1977 fu destinato allo Scolasticato di Chicago; aveva anche un altro desiderio, quello di fare il medico-sacerdote-missionario, idea maturata già negli anni fiorentini, lo espresse al Padre Generale dei Comboniani in una lettera del 10 novembre 1978; alla fine invece si diplomò in teologia con la specializzazione in missiologia. Dopo poco più di due anni a Chicago, chiese di fare un’esperienza pastorale in terra di missione, desiderando “confrontare lo studio teorico della teologia, con la realtà umana fra la povera gente”. L’esperienza in Messico Avendo imparato un po’ di spagnolo, gli fu concesso di andare a Città del Messico, dove per quattro mesi approfondì lo studio della lingua; altri otto mesi a cavallo fra il 1979 e 1980, li trascorse in Bassa California (Messico) nella Città dei Ragazzi, dove con la sua affabilità e decisione, lavorò fra i ragazzi messicani organizzandoli in tutte le attività, rivelando un grande senso della vita comunitaria e di apertura verso i poveri. Fu in questo periodo messicano, che le ombre sulla sua scelta di vita consacrata si dissiparono; fu la chiarezza che aveva tanto invocato nelle sue intense preghiere, mentre vedeva che i suoi compagni di classe diventavano sacerdoti e il 18 maggio 1980 a Cabo San Lucas in Bassa California, pronunciò i voti perpetui fra i Comboniani; tra le righe della formula-preghiera di Lele Ramin si legge: “Mi hai provato molto, però non mi è mai mancata la tua tenerezza e il tuo aiuto. Per questo, Signore, con molta tranquillità e serenità di cuore, metto tutti i miei giorni nelle tue mani, confidando sempre nella tua fedeltà verso di me…”. La sua professione, arricchiva la Congregazione dei “Missionari del Cuore di Gesù”, ormai da tutti riconosciuti come “Missionari Comboniani”, dal nome del fondatore san Daniele Comboni (Limone sul Garda, 15/3/1831 – Khartoum, Sudan, 10/10/1881), che nel 1872 fondò anche il ramo femminile, le “Pie Madri della Nigrizia” (Comboniane). Sacerdote – Periodo nell’Italia Meridionale Rientrato in Italia, Ezechiele Ramin venne ordinato sacerdote il 28 settembre 1980, da mons. Edoardo Mason nella sua parrocchia di S. Giuseppe a Padova. Come primo compito di novello sacerdote, fu inviato presso la Comunità Comboniana di Napoli in Corso Vittorio Emanuele, come aiutante di padre Nando Caprini nell’animazione missionaria dei giovani. E a Napoli si trovò, quando avvenne il disastroso terremoto del 23 novembre 1980, che colpì particolarmente la Campania e la Basilicata; Lele e Caprini furono mandati a San Mango sul Calore, un paesetto dell’Irpinia totalmente crollato, nel quale anche il parroco era morto sotto le macerie. Era inverno, c’era neve e freddo intenso e padre Ezechiele si trovò di fronte a tanta disperazione, c’era bisogno di tutto, dal recupero dei morti, al soccorso dei feriti, all’assistenza dei superstiti, specie vecchi e bambini; stette un mese senza togliersi nemmeno le scarpe, riposando in qualche modo in una roulotte di due metri, che fungeva da Ufficio parrocchiale e da Centro di coordinamento aiuti. Passò lassù in montagna 40 giorni, sotto il fango e la neve, organizzando anche una scuola elementare provvisoria, circondando con dei teli di plastica i pilastri di una casa in costruzione, con maestre volontarie dell’Alta Italia. Tanto dolore, tanta sofferenza, fu una scuola opportuna per l’inizio della sua missione pastorale e sacerdotale. Passata l’emergenza, tornò a Napoli al suo lavoro di animazione missionaria fra i giovani; con padre Caprini organizzarono e condussero la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra del 1981 ad Acerra, entrando in tutte le scuole della città, dove allora era vescovo il noto mons. Antonio Riboldi, che entusiasta di loro, li invitava spesso a tenere conferenze nella diocesi. Nel 1982, dovette sostituire per alcuni mesi l’animatore vocazionale dei ragazzi a Troia, una cittadina pugliese in provincia di Foggia. Vi lavorò con entusiasmo, come lui stesso affermò in una delle tante lettere che scrisse anche successivamente, ai professori sacerdoti, sia del Collegio Barbarigo, che dei vari Istituti Comboniani dove aveva studiato, con i quali rimase sempre in contatto epistolare ed ai quali esprimeva le tempeste, le ansie, le delusioni, le gioie e soddisfazioni, del suo cuore missionario. “Nonostante le delusioni, continuo a regalare ogni giorno le cose migliori di me stesso, come la fiducia, la simpatia, l’affetto e la testimonianza del Signore. Osservavo in questi giorni come il Cristo, pur avendo le mani inchiodate, mantiene aperte le braccia”. Missionario in Brasile Il suo cuore comunque sognava altre terre, e la permanenza nel Sud Italia, fra la spontaneità, vivacità e necessità della gioventù, specie napoletana, tanto simile a quella sud-americana, gli confermò tale desiderio, che espresse ai suoi superiori. Si era fatto missionario per l’Africa e alla fine dopo aver studiato l’inglese, lo spagnolo e il francese, chiese di essere mandato in Brasile dove si parla il portoghese. Intanto l’8 marzo 1983, moriva in un incidente stradale presso Mestre, il fratello Gaudenzio di 27 anni, penultimo dei fratelli Ramin; lui e la moglie Chiara avevano deciso di andare missionari laici in Africa, Gaudenzio laureato in Economia e Commercio, la moglie come medico; ma quest’aspirazione sarà attuata solo dalla cognata, che poi partì portando con sé il desiderio dell’Africa del marito defunto e di Lele Ramin, che si era fatto inizialmente comboniano per questo, ma dirottato invece in Brasile dalla mano di Dio. A gennaio 1984 padre Ezechiele Ramin partì per il Brasile, giungendo a Brasilia dove sostò per sei mesi per lo studio del portoghese, ne approfittò per girare come poteva le zone dell’interno per conoscere l’ambiente, la popolazione, ma soprattutto i loro specifici bisogni e ciò lo portò a sposare i problemi derivanti dall’ingiustizia sociale, che specie i contadini dovevano subire. Le condizioni sociali del Brasile La situazione dei contadini nel vasto Brasile, grande 27 volte l’Italia, nel periodo in cui giunse padre Lele, era drammaticamente ingiusta. Già dal secolo XIX la terra era in mano a pochi proprietari, che senza nessun riguardo per i contadini che le lavoravano da generazioni, continuavano ad impossessarsene con ogni mezzo lecito od illecito. L’uno per cento dei proprietari terrieri, i latifondisti, controllava il 45 per cento dell’intera area rurale del Brasile; un esempio: 340 proprietari di terre possedevano 50 milioni di ettari, mentre 2 milioni e mezzo di contadini ne possedevano solo 5. I latifondisti ottenevano gli atti di proprietà rilasciati dal Governo e si presentavano ai contadini per l’espropriazione, i quali non avevano niente per dimostrare che quel pezzo di terra era di loro proprietà da generazioni. Nell’evolversi della situazione politica, la Chiesa si schierò a difesa dei campesinos, sfidando la forza dei proprietari, appoggiati dai pistoleros, uomini armati da loro assoldati; l’esercito non sempre riusciva ad intervenire e molti, troppi, sindacalisti, politici, contadini, capi di leghe contadine, sacerdoti e missionari, venivano uccisi perlopiù in imboscate, credendo così di stroncare l’opposizione ai loro soprusi. Stragi venivano perpetrate fra gli Indios, uccisi anche con metodi abominevoli, come lanciando dagli aerei privati, zollette di zucchero avvelenato; i nuovi padroni si dovevano solo preoccupare di bruciare i corpi, per nascondere alle Autorità centrali la prova dei loro crimini. Destinato a Cacoal in Rondonia Nonostante tutto ciò, padre Ezechiele volle scegliere il Brasile e sull’esempio del Fondatore san Daniele Comboni, alla base della sua azione c’era soprattutto l’amore per i poveri, per gli ultimi, per gli emarginati, associandolo all’amore per la pace. Fu destinato a Cacoal nello Stato di Rondonia, una diocesi di 214.000 km quadrati; necessariamente bisognava spostarsi in macchina, celebrando la Messa e incontrando i fedeli nelle chiesette di legno, spesso fatiscenti, costruite dai contadini stessi nella folta vegetazione amazzonica; padre Lele coraggiosamente, senza molti calcoli di prudenza, si esprimeva con un linguaggio diretto e franco, il suo amore per gli Indios e per i contadini senza terra, era così evidente che aveva conquistato subito la loro fiducia. È restata memorabile l’ultima sua predica, fatta il 17 febbraio 1985 alla gente di Cacoal, qualcuno ebbe la provvidenziale idea di registrarla: “Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte… Cari fratelli, se la mia vita vi appartiene, vi appartiene anche la mia morte”…. “Le aree libere del nostro Stato di Rondonia, cioè la terra di nessuno, appartengono ai nostri fratelli senza terra, e non ai fazenderos avidi. No, perché non è questa la giustizia….”. La lunga predica, che non è possibile riportare qui per problemi di spazio, in effetti costituisce il testamento spirituale di quel giovane missionario italiano ai poveri della Rondonia, a cui aveva donato tutto se stesso in quel poco più di un anno dal suo arrivo; sia da solo, sia in collaborazione con altri due missionari e quattro suore della parrocchia comboniana. Poco prima che arrivasse a Cacoal, il 25 luglio 1984 giorno dedicato al lavoratore, la polizia aveva sparato contro il popolo in processione ad Aripuanà, presente il vescovo della diocesi di Ji-Paranà; sembrò un fatto profetico, perché esattamente un anno dopo, si maturò il sacrificio di padre Lele. Il martirio Il 24 luglio 1985, padre Ezechiele Ramin e il suo amico sindacalista Adilio, si accinsero a compiere una missione pacificatrice; a 100 km dalla parrocchia di Cacoal, c’era la fazenda Catuva dei fratelli Osmar, Omar e Arnaldo Péres supposti proprietari. In realtà il Governo dello Stato di Rondonia, in ottemperanza al programma di affidamento della terra ai contadini, avrebbe espropriato quell’appezzamento, facente parte dell’immensa fazenda Catuva, dando ai proprietari l’indennizzo in denaro, ma l’atto legale non era stato ancora firmato. Per cui i contadini, che come tanti altri, lungo la strada che collegava il Mato Grosso con la capitale Porto Velho, avevano occupato in anticipo la terra posta ai lati della strada, erano passibili della ritorsione dei fazenderos e dei loro pistoleros, che non aspettavano altro per incassare 45 dollari per ogni morto. Padre Ezechiele e Adilio arrivarono sul posto prima che si cominciasse a sparare, convincendo i contadini a non armarsi contro i proprietari, perché questi invocando la legittima difesa, avrebbero senz’altro aperto il fuoco facendo una strage; conveniva avere pazienza, che fra qualche settimana sarebbero arrivati gli atti legali per l’assegnazione governativa. I contadini si convinsero e quindi si ritirarono; la mossa spiazzò i proprietari che dovettero riconoscere, che quel giovane prete sapeva farsi obbedire dai contadini e quindi era pericoloso. Sulla strada del ritorno a Cacoal, l’auto del missionario e del sindacalista, cadde in un imboscata; dai cespugli laterali una pioggia di colpi di pistole e fucili si abbatté su di loro, Adilio riuscì a buttarsi fuori dall’auto finendo nell’alta erba e così salvarsi, mentre padre Ezechiele uscito dall’auto, come se avesse voluto avvicinarsi agli assassini, chiedendo loro il perché, cadde crivellato di colpi, senza poter dire niente. Il suo corpo fu recuperato 24 ore dopo, dai confratelli di Cacoal avvertiti dal superstite Adilio, che era riuscito ad incontrare un gruppo di contadini, che avevano partecipato alla riunione presso la fazenda, i quali con un camion l’avevano poi portato a Cacoal; il ritrovamento avvenne durante il giorno del 25, scortati dalla polizia di Ji-Paranà, per proteggere i missionari da altre imboscate dei pistoleros. Non era stato toccato nulla, né addosso al trentaduenne sacerdote, né dalla macchina, segno che l’unica finalità degli assassini era quella di eliminare il missionario. Dopo la cerimonia funebre a Cacoal con la partecipazione di tutti i fedeli della parrocchia, la sua salma sigillata nella bara, fu trasportata prima a Porto Velho, poi a Rio de Janeiro e quindi in Italia; a Venezia fu effettuata l’autopsia alla presenza del fratello medico dott. Paolo Ramin. Il 2 agosto 1985 ci fu il solenne funerale nella sua parrocchia di S. Giuseppe a Padova, officiante il vescovo della città con una settantina di sacerdoti; il fratello Paolo disse nella preghiera dei fedeli, fra l’altro “…Per l’onore che hai voluto darci scegliendo in Ezechiele un ministro per il tuo popolo, noi ti ringraziamo, Signore. Sembrava nostro, ma ora capiamo che è di tutta la Chiesa a cui lo abbiamo consegnato. Nel dolore di questa morte, i miei genitori e fratelli, ti pregano di usare misericordia verso gli uccisori. Tu ci hai insegnato l’amore e il perdono. Si, Padre Santo, noi non portiamo rancore per gli uccisori. Noi perdoniamo. Tu toccali con la tua grazia. Fa’ che la morte di Ezechiele, pastore del tuo gregge, porti frutti beneficando i suoi ‘campesinos’, in modo che essi possano raggiungere una vera dignità di uomini, in un ordine sociale ben più equo e giusto

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