Biografia J. Bernlef |
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Bernlef, pseudonimo di Hendrik Jan Marsman, è stato uno degli scrittori più influenti e rispettati nei Paesi Bassi, noto per il suo linguaggio essenziale, il suo sguardo acuto sulla memoria e la sua capacità di evocare l’unicità dell’esperienza umana attraverso la scrittura. Nato nel 1937, Bernlef si è fatto conoscere principalmente come poeta, romanziere e saggista, ma è anche celebre per i suoi esperimenti linguistici e per la sua capacità di esplorare temi profondi con una prosa laconica e precisa.
In un’intervista, Bernlef ha raccontato la sua scelta di adottare uno pseudonimo, rifiutando di trasformarsi in un “marchio”. “Chiamami semplicemente Bernlef,” ha dichiarato, sottolineando la semplicità con cui preferiva essere riconosciuto come autore, in contrapposizione all'idea di uno scrittore come figura pubblica costruita.
Un tema centrale nel lavoro di Bernlef è la memoria, un argomento che ha esplorato con particolare intensità dopo la pubblicazione del suo celebre romanzo Hersenschimmen (Disturbi della memoria). Il libro affronta la malattia di Alzheimer, ma secondo l’autore, è più incentrato sulla tragedia della perdita delle connessioni tra gli individui. Bernlef era affascinato dai meccanismi della memoria e dell'oblio, considerandoli essenziali per la sopravvivenza e per la costruzione dell'identità umana.
Bernlef racconta anche il profondo impatto che i suoi amici hanno avuto su di lui, specialmente Henk, il suo migliore amico e collega scrittore, che definisce una delle influenze più forti nella sua vita. La morte di Henk lo segnò profondamente, rendendolo consapevole della fragilità delle relazioni e del peso dei ricordi che restano.
Secondo Bernlef, la scrittura è una forma di lotta contro il linguaggio stesso. Era contrario all’astrazione eccessiva e al linguaggio altisonante, preferendo uno stile che, pur semplice, fosse capace di catturare l’unicità del momento. “Scrivere è in parte scrivere contro il linguaggio,” affermava, evidenziando come il linguaggio tenda ad appiattire la realtà, mentre lo scrittore deve cercare di restituire la complessità e la concretezza delle esperienze.
Il suo approccio narrativo si contrapponeva a quello dei romanzi psicologici “guidati,” che accompagnano il lettore da un punto all’altro. Bernlef preferiva lasciare spazio all’immaginazione del lettore, offrendo frammenti di realtà che il pubblico doveva ricomporre da solo. “Non finisco mai le cose per il lettore; deve farlo da solo,” dichiarava.
Bernlef visse un amore lungo e profondo con sua moglie, Eva, con cui condivideva un’intesa basata su una rete di ricordi e piccoli gesti che si costruiscono nel tempo. Questa connessione intima e silenziosa rappresentava per lui la bellezza delle relazioni durature, in cui non serve spiegare tutto a parole. Tuttavia, nella vecchiaia, si confrontò con la paura di perdere la sua capacità di esprimersi attraverso la scrittura, vedendo nel linguaggio un’arma che richiede disciplina e precisione.
Bernlef ammirava profondamente la struttura e l’ordine nella musica, in particolare quella di Bach, e integrava questa disciplina nella sua scrittura. Considerava la memoria e l’oblio come processi creativi simili alla composizione musicale, in cui dettagli apparentemente casuali si combinano per formare una narrazione unica. Era anche un grande appassionato di jazz e di arte visiva, discipline che influenzavano il ritmo e l’atmosfera delle sue opere.
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