Biografia Nicolo Moscatelli |
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Nicolò Moscatelli, nato a Cantù nel 1985, vive a Praga dove svolge diversi lavori, tra cui barman, guida turistica e insegnante. Dopo la laurea in Filologia moderna a Siena, si è trasferito a Filadelfia, dove ha conseguito un dottorato in Italianistica alla University of Pennsylvania, con una tesi su Tommaso Landolfi.
Nel 2022 ha vinto il Premio Italo Calvino con il romanzo I calcagnanti, scelto tra 926 manoscritti. La Giuria ha premiato l'opera per la sua sapienza linguistica e culturale, capace di costruire un mondo fantastico ispirato alla tradizione narrativa popolare, con un tono anarchico e utopico.
Nicolò Moscatelli, dopo una formazione in Filologia moderna culminata con una tesi su Gadda, ha cominciato a esplorare il confine tra realtà e immaginazione attraverso la scrittura narrativa. Il suo esordio letterario, "I Calcagnanti", è un romanzo-favola nera che mescola epica marginale, formazione rovesciata e linguaggio furfantesco in una Lombardia fantastica mai esplicitata, ma profondamente evocata.
Il protagonista, Timoteo, è un ragazzino cresciuto nella “Casa della Buona Volontà”, un edificio-labirinto popolato da ragazze bellissime e misteriose. Sua figura guida è fra Gaetano, un frate-cuoco che, attorno ai fuochi delle cucine, accoglie loschi amici narratori di storie banditesche, anarchiche, contrabbandiere. È proprio attraverso queste fiabe criminali e mitologiche che Timoteo costruisce la propria visione del mondo: sognando di diventare fuorilegge ed eroe tragico. Quando però un giorno un gendarme viene trovato morto, e fra Gaetano è accusato dell’omicidio, la storia prende una svolta di fuga, tradimenti e inseguimenti tra montagne, cucine e conigli di nome San Suu Kyi.
Moscatelli costruisce il romanzo come una “fiaba rossa per grandi e piccini, ma forse troppo piccini”, e intesse una lingua ibrida in cui convivono l’italiano narrativo e parole tratte dal furbesco, l’antilingua dei marginali e dei vagabondi italiani dal Rinascimento in poi. Questo interesse nasce durante il suo dottorato, leggendo un saggio di Glauco Sanga che lo avvicina alla sociolinguistica delle parlate marginali, definite "lingue cattive", specchio di un’antisocietà che si autodefinisce in opposizione alla norma.
La lingua diventa così strumento narrativo e indizio sociale: i personaggi che la parlano suggeriscono, a chi la riconosce, passati torbidi e legami sovversivi. Ma anche per chi non la capisce, come il giovane protagonista, il suo suono strano e impenetrabile crea suggestione, mistero e senso d’esclusione, tanto da non richiedere né glossari né note a piè di pagina.
L’universo narrativo di Moscatelli è debitore di tante fonti: dalla narrativa d’avventura ottocentesca e novecentesca (Salgari, London, i penny dreadful), alle storie raccontate dai nonni, passando per i saggi di Camporesi e Kienerk, ma anche per la cronaca folklorica lombarda fatta di partigiani, ciarlatani, streghe e fuorilegge “romantici”. "I Calcagnanti" rievoca un mondo ormai dimenticato, quello dei margini, e ne ricostruisce un’estetica poetica e politica. Con ironia e pietà, Moscatelli riscrive l’epica della disobbedienza, offrendo una formazione al contrario, in cui gli eroi sono i briganti e i cattivi siedono sui troni.
Nel cuore di tutto, però, c’è Timoteo, che corre giù per le scale col coniglio tra le braccia e sogna la forca come coronamento dell’eroismo. Un ragazzino che cresce tra fuochi, racconti e pentole, in un mondo dove il confine tra realtà e favola è solo una scintilla nel camino.
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