Non esiste un futuro astratto e assoluto ma esiste la vita che ciascuno di noi vorrebbe costruirsi.
Il futuro ci motiva, è come un motore che ci spinge a vivere, a sperare. Se il “motore” si spegne dentro di noi si ferma tutto: ad ogni età e in qualsiasi condizione socio-economica.
Quel motore metaforico per funzionare ha bisogno di una insostituibile “benzina”: la motivazione. Ma anche la conoscenza, l’esperienza, la capacità di “discernere”, di scegliere.
E’ così che inizia la rinascita. Ma qual è il momento in cui un seme inizia a sentirsi più forte della terra sopra di lui ?
Quando ha inizio il processo in cui sente per la prima volta il tepore del sole e inizia a confidare suolo su sé stesso ?
Quando inizia a sentirne così forte il richiamo ?
Quand’è il momento in cui la vita diventa tanto robusta da lasciarsi indietro la paura di non farcela ?
La risposta è semplice: quando s’inizia ad avere fiducia in sé e negli altri.
Quando ci sono braccia che si aprono per accogliere e non respingere.
Quando capiamo che quelle braccia possono sorreggere e, al momento giusto, lasciare andare.
Quando quelle braccia sono pronte a chiudersi in un abbraccio e ad aprirsi per fare spazio.
Quando quelle metaforiche braccia sanno come raccogliere la paura, l’insicurezza, l’inadeguatezza, la solitudine e trasformarle in forza psicologica.
Quando sanno proteggere e sostenere nel cammino della vita.
Quando sanno accarezzare, lenire, incoraggiare.
Prendersi cura del bambino o dell’adolescente è uno dei compiti più difficili. Essi sono una speranza e una promessa. Devono imparare a farcela. E l’educatrice, come gesto d’amore, deve mirare alla loro autonomia, non sulla loro dipendenza.
Educare significa fatica, impegno, sfida, studio, e a volte, solitudine.
E’ come una poesia scritta a mano e lasciata su un tavolo in attesa di essere letta, in attesa di essere portata via, in un ricordo, per sempre.