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Post - victor

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Anch'io ho scritto un aforisma / Re:Pensare con Amore
« il: Maggio 25, 2021, 05:05:28 »


Ciao, Regina.

Tu metti insieme due verbi: Pensare e Amare.

A mio avviso metti insieme le due funzioni più importanti della Natura.

Forse ti sembrerà strano quello che sto per dire, ma ti invito a “pensarci su” e poi mi dirai il tuo “pensiero”, qualunque esso sia, anche di critica e di dissenso.

Senza l’Amore la vita sulla terra non sarebbe stata possibile. Senza l’Amore la Filogenesi non avrebbe potuto dare origine alla Vita.

Seguimi. Evidentemente semplifico i concetti per non dilungarmi troppo e per cercare di renderli facilmente comprensibili.

Gli Scienziati ci dicono che circa sette miliardi e mezzo di anni fa ebbe inizio il Sistema Solare, cioè ebbe origine quella stella che noi chiamiamo Sole e quei pianeti rocciosi cui noi abbiamo dato il nome di Mercurio, Venere, Terra, Marte.

Come ebbe origine? Frammenti infinitesimali di materia [atomi] prodottisi in seguito ad una gigantesca esplosione avvenuta circa 13 miliardi e mezzo di anni fa [il Big Bang] e dispersi in quella immensità che noi abbiamo chiamato Spazio si sono, a poco a poco, aggregati insieme spinti da una forza misteriosa che gli Scienziati chiamano magnetismo o gravità, che li ha spinti ad unirsi l’uno assieme all’altro.

Io penso che questa forza misteriosa che ha spinto questi atomi ad aggregarsi tra di loro possa essere identificata con quello che noi chiamiamo Amore.

Uno di questi pianeti, quello che noi abbiamo chiamato Terra, a quel tempo pianeta roccioso e infocato come gli altri, in un certo momento si scontrò con una Cometa, che è formata di acqua ghiacciata, e con il suo calore sciolse una parte o tutto il ghiaccio di questa cometa e lo spalmò sulla sua superficie.

Penso che possiamo dare il nome di Amore anche a questa forza che fece depositare l’acqua di questa Cometa sulla superficie del nostro pianeta.

Quest’acqua, proveniente dal ghiaccio della Cometa sparsa sulla terra, è stata chiamata dagli Scienziati “Brodo Primordiale” (o anche Oceano Primordiale) e lentamente sciolse e disperse in seno a sé gli atomi più leggeri che si trovavano sulla superficie del pianeta. Sempre sotto la spinta da questa forza misteriosa.

Questi atomi, sempre a causa di questa forza misteriosa, cominciarono ad aggregarsi tra loro, e diedero origine a quelle che gli Scienziati che si occupano di Chimica chiamano Molecole.

Queste Molecole, inizialmente molto semplici, cominciarono anche loro ad aggregarsi insieme e dopo molto tempo diedero origine a delle altre molecole molto più complesse che i Biologi chiamano Aminoacidi [sono molecole con caratteristiche molto particolari, i Biologi le chiamano i “mattoni della Vita”. Questi Aminoacidi non sono tantissimi, sono soltanto una trentina]. È stata sempre questa forza misteriosa a determinare questa aggregazione.

Questi Aminoacidi, si sono riuniti, sempre spinti da questa forza misteriosa, in catene lunghissime formate da milioni o miliardi di molecole una dietro l’altra e hanno dato origine a molecole particolari molto complesse, la cui composizione dipende dall’ordine in cui le molecole di Aminoacidi sono disposte.

I Biologi a queste catene di Aminoacidi hanno dato il nome di VIRUS.

A questo punto, cara Regina d’Autunno, immagino la tua sorpresa e il tuo stupore nell’apprendere quello che ti sto dicendo.

Ti preciso subito alcune cose per rassicurarti.

- il Virus è stata la prima “forma” di passaggio tra la natura inorganica e quella organica, cioè è l’elemento che ha dato origine alla Vita.

- il Virus è l’elemento più diffuso sulla superficie della terra. Le macchine che gli esseri umani ha mandato su Marte tra le altre cose ricercano la presenza di acqua e di Virus, se trovano entrambe diranno che c’è vita su Marte.

- noi tutti associamo il concetto di Virus a quello Malattia. Non è affatto vero, solo l’uno per cento di tutti i Virus conosciuti possono provocare nell’organismo degli esseri umani, degli animali e delle piante, delle “alterazioni nocive” (accontentatevi di questa definizione, altrimenti devo entrare in dettagli che allungherebbero di molto questo mio scritto). Inoltre ancora non abbiamo idea di quanti siano tutti i Virus presenti sulla Terra, che ancora non conosciamo, i quali ovviamente non producono danni agli organismi viventi, anzi sono benefici.

- gli Scienziati hanno calcolato che ogni organismo umano è composto da circa cento miliardi di cellule. Hanno calcolato pure che per ogni cellula sul nostro corpo (cioè sulla nostra pelle, dentro il nostro tubo digerente, nel nostro apparato respiratorio, nel nostro sangue) ci sono circa dieci Batteri e cento Virus. Cioè i Virus sono circa 10 trilioni (avete idea di quanto sia grande questo numero?). Tutto questo miscuglio di Batteri, Miceti e Virus si chiama Microbiota ed è circa il 5% in peso del nostro organismo. Cioè per un essere umano di 80 chilogrammi equivale a circa quattro kg.

- Conseguenza di tutto quello che ho detto, cara Regina, è che se questo Amore, presente in tutta la Natura, non fosse esistito noi non ci saremmo stati.

E, allora, ti dico grazie Regina, hai fatto bene a mettere insieme Amore e Pensiero in quanto quest’ultimo è una conseguenza assoluta dell’Amore che se non fosse stato presente nella Natura noi non saremmo esistiti e il nostro Pensiero, di conseguenza non avrebbe avuto la possibilità di svilupparsi.

Ciao,

Victor


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Altro / Re:ANIME PERDUTE - Scritto da Delirium.
« il: Maggio 21, 2021, 18:13:26 »

Ciao, Piccolofi,

No, non l'ho scritta io, non mi prendo il merito di una cosa non mia.

E' molto delicata e quando l'ho letta mi ha colpito. Anche perché io la guerra l'ho vista.

Sono contento che ti sia piaciuta.

Ciao, Victor

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Altro / Re:ANIME PERDUTE - Scritto da Delirium.
« il: Maggio 19, 2021, 08:46:03 »


La barca scivolava leggera nel fiume. Lo straniero sembrava rapito dal movimento di quelle acque torbide che scorrevano sotto il legno secolare spinto con forza dal vecchio nocchiero.

- Continuammo a vederci molto spesso, tutte le volte che potevamo farlo. Ogni volta era come se fosse la prima, momenti che non dimenticherò mai.

- Una sera i miei commilitoni allestirono una tenda per fare una festa, il morale fra le truppe era molto basso e c'era bisogno di risollevarlo ravvivando un po’ l'ambiente. C'era musica e molto alcol, ragazzi e ragazze che si scatenavano al ritmo sfrenato di quelle canzoni allegre. Io seduto in disparte su un tavolo ammiravo il mio angelo danzare felice con gli altri soldati, anche loro presi dalla sua bellezza. Qualcuno mise un disco lento e lei venne da me portandomi con la forza al centro della pista, ed anche se incapace di eseguire certi movimenti, mi abbandonai anch'io al dolce suono della voce della cantante.

- Eravamo stretti l'uno contro l'altra, i suoi capelli erano soffici, la sua pelle profumata, e il suo calore mi avvolgeva come una calda giornata d'estate. I nostri sguardi si incrociavano, le nostre labbra si toccarono e i nostri cuori si unirono. Ci baciammo danzando nelle nostre menti, il mondo intorno a noi divenne solo musica, e la musica divenne solo amore. La scheggia di una granata tedesca aveva squarciato la mia gamba, lei mi colpì dritta al cuore.

- Da soli nella tenda delle infermiere, alzammo come barricate delle lenzuola attorno alla sua branda, volevamo restare soli, volevamo estraniarci da tutto e da tutti. Seduto sul letto le slacciai i bottoni del suo grazioso abito da sera, lo feci scivolare sui suoi fianchi fino a terra e ammirai rapito la bellezza del suo corpo. Feci scendere lentamente le spalline del suo reggiseno, un piccolo neo sul suo seno destro spuntò fugacemente dall'indumento, lo baciai teneramente come baciai i suoi capezzoli che cominciarono ad inebriarmi. Le mie mani sentivano la pelle liscia delle sue spalle, dei fianchi, scesero giù sulle sue gambe e risalirono ancora verso i suoi glutei, si intrufolarono sotto il suo intimo cercando il frutto proibito, e la nostra musica ci guidò in quella che ritenni la notte più bella della mia vita.

- La mattina seguente alcune risatine e alcuni sguardi curiosi spuntati da dietro le lenzuola appese, ci svegliarono dal nostro sonno. Le altre ragazze erano appena rientrate dalla festa. Abbracciati l'un l'altra non facemmo caso a loro, non eravamo per niente imbarazzati, ma solo felici. Le ragazze peraltro smorzata la loro curiosità, ci lasciarono in pace. Avevamo un po’ di fame, ma nessuno dei due aveva voglia di alzarsi e lasciare il letto, o lasciare l'altro, così lei da una sua valigia tirò fuori una scatola di gallette un po’ salate. Ne andava matta, anche per via della sorpresa che conteneva ogni scatola. Se poteva se le faceva spedire da sua madre direttamente da Roma.

- Ne sgranocchiai qualcuna, erano veramente squisite. Lei tirò fuori la sorpresa, era contenuta in una piccolissima bustina di plastica trasparente. Sarà stato quattro o cinque centimetri, tutto nero con enormi orecchie; era Mickey Mouse, coi suoi calzoncini rossi con due grandi bottoni bianchi. Topolino lo chiamò lei, ma le piacque di più Mickey Mouse. Lo conservò gelosamente come una bambina. La sua branda divenne il nostro rifugio, le sue compagne dopo qualche protesta mi accettarono di buon grado, e noi continuammo ad amarci.

- L'attacco a Minturno non tardò ad arrivare, tutta la 5° divisione si diresse verso il paese ormai diventato un vero inferno. Tutte le compagnie mediche volontarie e non, dovettero recarsi ad assistere i feriti nella battaglia. In pochissimi restarono nel campo, me compreso.

- Il tempo sembrava non trascorrere mai senza la mia amata, ed io impazzivo nella mia solitudine. I bombardamenti sul paese erano incessanti ed io non potei non pensare che lei fosse in pericolo in mezzo a quel tremendo caos. Attesi e pregai che tutto andasse per il meglio.

- Non fu così.

- La notizia mi arrivò tramite una sua amica. Una bomba aveva centrato in pieno il campo medico nelle retrovie, in molti morirono e in molti restarono feriti, tra loro c'era il mio angelo. Il camion dei feriti gravi arrivò al mio campo in piena notte, corsi da lei per quanto la mia gamba inferma potesse permettermelo. La sua testa era fasciata con delle bende che si erano tinte del suo sangue, il medico disse che non c'erano speranze. La baciai col cuore straziato. Le sue mani un tempo fermarono il sangue della mia gamba salvandomi la vita, le mie in quel momento erano completamente inutili, come inutile mi sentii io stesso. Pregai Dio di salvarle la vita, lo pregai e lo pregai ancora fino allo stremo, ma non venni ascoltato. Lei continuava a morire ed io smisi di pregare. Rivolsi le mie suppliche al suo opposto. Bussai all'altra porta, capisci? Invocai colui che non deve essere nominato. -

Il traghettatore smise di remare. Scrutò con occhi severi ma al tempo stesso compassionevoli lo straniero provato dalla sua vita vissuta. - Non è stata una buona idea - gli disse.

- Nessuna idea è mai buona finché non se ne conoscono le conseguenze una volta messa in pratica. Ma la mia sembrò esserla, perché qualcuno rispose. LUI accettò la mia chiamata.

- Le Tenebre mi avvolsero in un istante, intorno a me non vidi altro che l'oscurità, esisteva solo il mio corpo come illuminato da luce propria. Sentii il respiro dell'Immondo, putrido e corrotto, il mio corpo parve schiacciato dalla presenza della Bestia.

- "CHIEDI" mi disse con la sua possente voce avariata dal male.

- Ed io chiesi. La vita di lei in cambio della mia anima. Accettò e tornai alla luce. -

La barca riprese il suo slancio alla spinta della lunga pertica. Il fiume scorreva di nuovo sotto di loro.

- Ho dannato la mia anima per il suo amore, ma non è forse questo che facciamo sempre noi uomini?

- Lei si riprese, recuperò le sue forze in brevissimo tempo. "Un miracolo" pensarono gli altri, forse lo pensò pure lei, ma non ne ero sicuro. Forse sospettò qualcosa ma non aveva più importanza. Era tornata da me, solo questo contava.

- Guarì in pochi giorni. Io avevo la possibilità di tornare a casa in congedo dalla mia famiglia, ma decisi di restare con lei. Scrissi di lei nelle lettere che inviai a casa, di come ci amavamo e di quanto lei sarebbe piaciuta anche a loro. Scrissi persino che facevamo sempre l'amore, ed io potei vedere l'espressione divertita delle mie sorelline insieme a quella di disappunto di mia madre. Dissi loro che un giorno le avrei portate in Italia per il nostro matrimonio, avevamo molti progetti in serbo per il futuro e tutte e due le nostre famiglie ne facevano parte.

- La 5° divisione conquistò i paesi di Minturno e Tufo, la Wehrmacht venne sconfitta dalle nostre forze, ma dietro a loro si lasciarono soltanto rovine e dolore, non fu un bello spettacolo. Il paese aveva bisogno di riprendersi e cominciare a ricostruire ciò che era andato distrutto.

- Per un periodo di tempo vivemmo a Roma dai suoi, non era una vita tutta rose e fiori, la guerra continuava ad esserci e tutti noi ne eravamo coinvolti, ma tutto passò in secondo piano alla notizia dell'arrivo di un altro membro nella nostra famiglia. Mi sentii al settimo cielo quando seppi che lei aspettava un bambino. -

Il vecchio nocchiero notò la lacrima solcare il viso dello straniero. Avvertì il dolore nel cuore del suo sfortunato passeggero.

- Ogni medaglia ha il suo rovescio. Niente vive senza il suo opposto. Alla notte segue sempre il giorno, al freddo il caldo, e alla felicità segue la disperazione. Ma se nella disperazione ti viene la "buona" idea di coinvolgerci pure il Diavolo, allora nulla può andare per il verso giusto.

- Le fu diagnosticato un cancro in uno stadio avanzato. Stava divorando inesorabilmente il suo corpo giovane e debole. In meno di due mesi finì nel letto di un ospedale e poi in quello di casa sua, venne considerata ormai una malata terminale. I suoi umori cambiavano continuamente, da persona calma e gentile di cui era, ad aggressiva e violenta; la sofferenza era sempre presente.

- Ed io non l'accettai.

- Tornai negli Inferi deciso a riaverla, ma ciò che fu stato fatto una volta non poteva ripetersi, non senza avere qualcosa da dare in cambio, ed io non potevo lasciare in pegno ciò a cui avevo già rinunciato.

- Maledissi la Bestia.

- Non potei fare altro che guardarla spegnersi lentamente giorno dopo giorno ormai rassegnato.

- Il suo ultimo giorno di vita sembrò che stesse bene, era di buon umore ed aveva fame. Si dice che Dio conceda ai moribondi un ultimo istante di limpidezza per permettere ai propri cari di star loro vicini e poterli abbracciare per l'ultima volta.

- A me non l'avrebbe concesso.

Le portai una scatola delle sue gallette preferite, ma la sua vita era arrivata ormai al limite. Aveva paura, le dissi che non doveva, che là dove sarebbe andata era un posto bellissimo, ed io ci credevo veramente. Le dissi che un giorno ci saremmo rivisti come dopo il nostro primo incontro. Sperai non leggesse la menzogna stampata sul mio volto. "Come faremo a ritrovarci in mezzo a tutti quegli angeli?" mi chiese. Le mentii ancora. "Sarò io a trovarti."

- Un suo ultimo respiro e la sua anima lasciò il suo corpo in un fievole soffio. I suoi occhi guardavano ancora i miei. Morì insieme a nostro figlio amando un uomo che per ben due volte era sceso nelle Tenebre più oscure. Il mio cuore morì con loro.

- Avevo ancora la scatola delle gallette salate in mano, l'aprii per mostrarle la sorpresa. Era contenuta anch'essa come l'altra in una piccola bustina di plastica trasparente. La tirai fuori e la guardai con le lacrime agli occhi. Era una medaglietta di san Cristoforo col bambino Gesù sulle sue spalle, le sarebbe piaciuta un sacco. Gliela misi nella sua mano e la strinsi nelle mie. Il buon santo l'avrebbe accompagnata e protetta nel suo viaggio. Le diedi un bacio sulle labbra ancora calde e piansi come non avevo mai fatto in vita mia. -

La barca avanzava per forza d'inerzia. Il vecchio nocchiero non remava più. Guardò il triste passeggero solcare l'acqua con la mano sentendone la freschezza. La sua mano invece si posò sulla sacca appesa alla cintola semicoperta dal mantello annodato. Ricordò la mano di colei che gli aveva porto la medaglietta di san Cristoforo. La bellezza della donna che un tempo aveva trasportato nell'oltretomba attirò il suo interesse tanto da chiederle quale fosse stato il suo orrendo misfatto per finire nella Città del Dolore. "Fu per mia scelta" rispose, e non disse più niente. Il traghettatore si domandò perché mai una donna avesse rinunciato al Paradiso per sua libera scelta, allora non capì, ma ora gli era tutto chiaro.

C'era molto disordine nel mondo dei vivi, dominavano le guerre e i potenti schiacciavano i deboli, era così da sempre e così sarebbe stato nell'avvenire. Ma non tutto era caos, c'era qualcos'altro che faceva di quel posto un luogo in cui poter vivere felici, qualcosa che il vecchio non capiva per intero perché mai aveva conosciuto, qualcosa per cui forse valeva veramente la pena dannare la propria anima per l'amore di una donna. Il destino forse aveva deciso ancora una volta di farli rincontrare.

"Il cuore conosce mille scorciatoie per raggiungere il suo scopo, amico mio" disse nella sua mente il vecchio guardando lo straniero. "Sarà lei che troverà te."

Chissà, magari persino all'Inferno sarebbero riusciti a trovare un piccolo angolo di Paradiso.

Tutto può accadere nell'Eterno.

Affondò la lunga pertica di legno nelle acque scure e profonde del fiume fino a toccarne il fondo, e spinse con le sue possenti braccia facendo proseguire l'antica imbarcazione.

La riva opposta era ancora lontana.

Fine.


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Altro / ANIME PERDUTE - Scritto da Delirium.
« il: Maggio 19, 2021, 08:44:23 »


Nota Preliminare. Questo racconto non è mio. L’ho trovato su internet e mi è piaciuto molto. L’autore si firma Delirium.

Ho pensato che possa piacere anche ai lettori di Zam, per questo l’ho pubblicato.


ANIME PERDUTE - Scritto da Delirium.

La vecchia mano ossuta e callosa prese l'obolo. Una moneta d'argento, un denaro con al dritto la testa di Roma elmata e a rovescio i Dioscuri a cavallo. Erano secoli che l'antico nocchiero non ne vedeva una.

Un tempo ne circolavano tante di quelle monete, e poche erano le anime che potevano permettersele. In molte restarono ad errare tra le nebbie del fiume perché non possedevano i mezzi per pagarsi il viaggio. Ma i tempi cambiano, lo sapeva benissimo il vecchio barcaiolo, persino laggiù in quel triste confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti attraversato dall'immenso fiume del dolore.

Infilò la moneta nella sua sacca quasi piena e mai stracolma appesa alla cintola, non domandò da deve provenisse, non lo faceva più ormai da parecchio tempo.

Un tempo la sua sacca conteneva soltanto monete di quel pregio, non accettava mai nient'altro che ne avesse un minor valore. Ricordò quant'era spietato e crudele verso quelle povere anime dannate che imploravano la sua pietà disperati e avviliti di non poter salire sulla sua barca, senza nemmeno sapere quali orribili pene li aspettassero dall'altra parte del fiume. Ma i lunghi secoli di infiniti viaggi avevano cambiato anche il suo animo crudele, facendolo diventare da feroce bestia ad entità compassionevole e indulgente.

Le monete di valore erano divenute via via di qualità sempre più scadente, finché non avevano perso del tutto il significato che era stato loro assegnato. Strani oggetti curiosi e bizzarri davano peso alla sua sacca; una donna che in vita era stata una sarta aveva pagato il suo viaggio con un ditale, un ago e un mezzo rotolo di spago.

Un altro, forse un carpentiere, con un pugno di chiodi di cui alcuni arrugginiti; qualcuno aveva lasciato la propria fede nuziale, chi persino una medaglietta di san Cristoforo, patrono dei pellegrini e dei viaggiatori, forse una beffa nei suoi confronti? Un altro ancora si era strappato via tutti i bottoni della camicia, e temendo che questi non bastassero volle levarsi pure l'indumento un po’ lacero, ma il vecchio lo rassicurò dicendogli che i bottoni erano più che sufficienti per pagare la traversata.

Lo straniero porse al traghettatore la sua moneta d'argento e si sedette un po’ vacillante da una gamba sulla tavola trasversale della barca.

Fissò con interesse il vecchio mentre con lenti movimenti preparava la barca per il viaggio. Sciolse la cima dal pontile e inforcò la lunga pertica. Non c'era vento, non c'era bisogno di governare le vele; affondò l'asta di legno nelle acque scure e calme fino a toccarne il fondo e spinse con le braccia forti facendo muovere l'antica imbarcazione.

Aveva soltanto un mantello annodato alla vita, la sua pelle era un po’ scura come bruciata dal sole, un sole che mai era penetrato in quell'immenso antro semioscuro. Solo alcuni raggi di luce trapassavano la sommità di quel cielo tenebroso. Forse era la luce del sole, forse quella del Paradiso, ma non aveva importanza.

Vecchio e canuto, come pure i suoi peli nel petto, aveva un'espressione dura e provata dai secoli, i suoi occhi che un tempo dovevano essere stati crudeli sembravano ora molto stanchi.

C'era un silenzio surreale in quel posto sinistro, un silenzio che mai lo straniero aveva immaginato potesse esistere, rotto solamente dal leggero sciabordio dell'acqua provocato dalla lunga pertica.

- Sei ... Caronte? - domandò con voce incerta.

- Mi chiamano in tanti modi diversi - rispose il vecchio, - e questo è uno dei tanti. - La sua voce era roca ma dal tono rilassato, piacevole da ascoltare.

- Nel mondo dei vivi vieni descritto come un crudele demonio con gli occhi di fiamma. -

- Un tempo lo ero, i secoli cambiano molte cose, forse lo sarò ancora nell'avvenire. Anche il fiume cambia umore di continuo, da calmo può divenire impetuoso in un istante. Tutto può accadere nell'Eterno. -

- Dev'essere faticoso attraversare all'infinito questo immenso fiume. -

- Lo è. -

- Paradiso o Inferno, la riva è incerta per ognuno di noi. -

- La nostra riva è una soltanto. Conosco solo quella, e la conosci pure tu. -

- Si, la conosco. -

- Quale orrendo crimine hai mai commesso per meritarti il Tormento Perenne? -

- L'amore - rispose lo straniero con occhi tristi.

- La gelosia, certo. È cosa molto comune in molti animi. Hai tolto la vita alla tua donna o al suo amante? -

- No, niente del genere. Faccio questo viaggio perché ho amato troppo. -

- Non si merita l'Inferno per aver amato troppo. L'amore non condanna. -

- Dipende da quanto esso sia grande. -

 Mi piacerebbe conoscere la storia di questo tuo grande amore. -

Lo straniero guardò in direzione opposta da quella in cui erano partiti cercando di intravederne in lontananza la riva antistante.

- Quanto è lontana la riva? -

- Il tragitto è lungo un'intera vita. Abbiamo tutto il tempo che serve. -

- Il tempo - sospirò massaggiandosi la gamba che sembrava dolorante - ti sfugge tra le dita come fosse sabbia senza nemmeno rendertene conto. E il mio amore è stato così breve …

- La conobbi in mezzo alla morte, quella morte che poteva essere la mia. A dire la verità conobbi prima le sue mani che stringevano la ferita sulla mia coscia squarciata da una scheggia di granata. Tentavano disperatamente di fermare il sangue che scorreva a fiotti. Il dolore era orribile, il mio corpo era scosso dai tremiti, avevo molto freddo. Brividi gelidi che mi fecero conoscere la vera paura. E ne avevo davvero tanta. Volevo tornare a casa dalle mie sorelline e dalla mia dolce e cara madre. Mi trovavo molto lontano da loro, non volevo morire in un posto sconosciuto circondato da tanto dolore e da tanta sofferenza. Sapevo che in molti non tornavano a casa neanche da morti, io non volevo fare quella fine.

- Mi stavo lasciando trasportare da uno strano sonno che sembrava lenire la paura e il dolore alla gamba, ma la sua voce mi riportò indietro. Continuò a parlarmi finché non mi svegliai del tutto. I miei occhi velati dalla sofferenza ripresero a vederci chiaro. Il suo viso sembrava quello di un angelo, i suoi occhi neri quelli di un cerbiatto appena nato. Fra i capelli aveva una fascetta bianca con una croce rossa dipinta. Altre mani si presero cura della mia gamba, la morfina attenuò il dolore e la prognosi non sembrò così infausta. "Non temere mio giovane soldato" mi disse con il suo bel sorriso e le mani imbrattate del mio sangue. "Non corri più nessun pericolo." - "La paura stessa trema al solo contatto delle tue mani" pensai, o forse lo dissi ad alta voce, non ne ero sicuro, lei sembrò udire le mie parole e la sua bocca e i suoi occhi mi sorrisero ancora.

- Restai in convalescenza per qualche giorno in una delle numerose tende allestite per il ricovero dei feriti. Ero giovane e piuttosto forte, mi riebbi in fretta e non tardai a rimettermi in piedi con l'aiuto di un bastone. Avrei dovuto usarlo per il resto dei miei giorni, ma non mi importava, i miei pensieri tornavano sempre verso quegli occhi che mi sorrisero e quelle mani che mi salvarono la vita. Volevo rivederla.

- Ci trovavamo nei pressi di Minturno, nei boschi dei monti Aurunci. Io facevo parte della 5° divisione di fanteria della Gran Bretagna; avevamo il compito di far sloggiare la Wehrmacht dal paese una volta per tutte, anche se sembrava un compito non facile. Le forze armate tedesche erano piuttosto forti e le perdite su entrambi i fronti erano ingenti.

- Mia madre italiana e il mio defunto padre inglese, ma anche lui delle sue stesse origini, mi permisero di essere poliglotta, ero molto ferrato in entrambe le lingue. Scorreva molta Italia nelle mie vene.

- Mi informai in giro sulla mia infermiera; seppi che era originaria di Roma, che si era offerta come volontaria al seguito delle truppe alleate, e cosa più interessante, non era sposata. La rividi una sera mentre facevo sgranchire la mia povera gamba indolenzita per il campo. Faceva molto freddo, aveva uno scialle sulle spalle, si diresse verso la grande tenda allestita come dormitorio delle infermiere e io la seguii. Era piuttosto affollata da persone di entrambi i sessi che entravano e uscivano di continuo; da una radio proveniva una musica molto allegra, l'intero posto era allegro.

- La cercai e la vidi in fondo alla tenda in quella che doveva essere la sua branda, mi avvicinai verso di lei. Si levò lo scialle e il grembiule macchiato del sangue dei feriti e si sedette sul letto tenendosi la testa tra le mani, sembrava molto stanca. Restai a guardarla appoggiato al mio bastone per non so quanto tempo senza dire niente. Avevo intenzione di ringraziarla per quanto aveva fatto per me quel giorno che ormai non ritenevo più così orribile, ma stranamente non riuscii a trovare le parole. Dalla mia bocca non uscì nient'altro che gli sbuffi di vapore del mio respiro caldo.

- Fu lei a rompere quell'imbarazzante silenzio che ci separava, alzò la testa e i suoi occhi mi sorrisero ancora riconoscendomi. "Mio giovane soldato" disse. "Sapevo che un giorno ti avrei rivisto." Forse fu solo una mia impressione, oppure era la semplice voglia di desiderarlo, ma mi sembrò che i suoi occhi luccicassero a quelle parole. Si alzò dalla branda e si avvicinò a me. La sua mano si posò delicata sulla mia guancia; era calda e il mio corpo si riscaldò al suo contatto. "Ma non pensavo succedesse così in fretta" finì di dire lei. "Temevi che me ne sarei restato fermo su un letto sapendoti in giro a correre in mezzo ai pericoli da sola?"

- Non riuscii a credere a quello che le dissi, le parlai come se l'avessi conosciuta da sempre. Forse era così, forse in un altro posto o in un altro tempo lo era davvero. Il destino a volte si diverte a giocare con le vite delle persone, e con noi forse aveva già deciso di farci ritrovare un'altra volta. "La mia paura svanisce al suono della tua voce" disse. Mi cinse con le sue braccia appoggiando la sua testa sul mio petto, la strinsi forte anch'io. Fu uno strano incontro, uno strano abbraccio. Strano ... e bello. -

(Continua)


20


EPILOGO.

Qui termina la storia di una “ragazza libera”.

Il prosieguo della sua vita può essere definito quello di una “donna libera”. Infatti la sua vita è continuata sempre libera e indipendente.

La fortuna le è stata più favorevole che contraria. Lei ha saputo utilizzare al meglio gli eventi positivi e ha cercato di neutralizzare quelli negativi.

Si è laureata brillantemente, ha conseguito due Master, uno in Inghilterra e l’altro negli Stati Uniti. È entrata nell’Azienda dove lavora suo padre ed ha raggiunto i vertici nel settore dirigenziale. Ha girato il mondo come ha sempre desiderato.

Ha avuto molti uomini ai suoi piedi, così come aveva predetto l’amica fisioterapista, anche se l’esperienza e il buon senso l’hanno fatta diventare più selettiva ed anche più prudente.

Non si è sposata e non ha avuto figli, come era sua intenzione.


Fine.


21

Il Meeting dell’Azienda.

La vita alla trivella scorreva regolarmente ed io ero a tutti gli effetti un operaio come gli altri. Salivo e scendevo dalla torre quando necessario, aprivo o chiudevo le valvole quando me lo chiedevano, aiutavo assieme agli altri in tutto. Mi evitavano soltanto i lavori più faticosi.

Un giorno mio padre mi disse che saremo andati in città perché c’era il meeting trimestrale. Era la riunione di tutti gli ingegneri e dirigenti dell’Azienda. Si faceva il punto della situazione e si organizzava il lavoro per il trimestre successivo. Durava due giorni, il sabato e la domenica. Dovevamo andare in macchina perché l’elicottero era impegnato.

Arrivammo la sera precedente e ci recammo subito nella nostra stanza. Papà era stanco per la lunga guida e fece portare la cena in camera.

Il giorno dopo la riunione preliminare si teneva nella sala delle conferenze ed io vi assistetti seduta in prima fila accanto a mio padre. Alcuni relatori parlavano in inglese e per chi aveva bisogno c’erano le cuffie per la traduzione simultanea. Io le utilizzai. Nella sala eravamo oltre cinquanta persone e dietro a noi, sul lato opposto vidi che c’era anche il giovane ingegnere.

Il pomeriggio papà era impegnato in una riunione ristretta ed io scesi nella hall e mi sedetti in una poltrona a leggere un libro. Poco dopo arrivò l’ingegnere. Lo salutai cordialmente, ma lui era impacciato. Chiese il permesso di sedersi, parlammo del più e del meno. Poi mi invitò al bar e ci sedemmo ad un tavolo abbastanza isolato. Ad un certo punto mi disse che non riusciva a dimenticarmi, che era sempre più innamorato di me, ed era profondamente infelice.

Gli carezzai la mano per cercare di consolarlo. Lui prese la mia, la portò alle sue labbra e la baciò. Non ebbi il coraggio di ritirarla e lui continuava a baciarla. Mi chiese di fare l’amore con lui almeno una volta. Voleva che lo seguissi nella sua stanza. Io non riuscivo a interrompere l’incontro perché provavo tenerezza nei suoi confronti, ma contemporaneamente ero ferma nel non farmi coinvolgere. Lui continuò a supplicarmi ed io a rifiutare.

Ad un certo punto spuntò mio padre, si avvicinò al tavolo e si salutarono cordialmente. Lui lo ringraziò calorosamente per la relazione molto positiva che mio padre aveva fatto sul suo lavoro. L’ingegnere della direzione glie lo aveva riferito e si era complimentato. Poi io e mio padre andammo a cena.

Quando tornammo in camera mio padre mi chiese cosa mi avesse detto. Gli riferii chiaramente che mi aveva chiesto di fare l’amore, ma precisai subito che non avevo accettato. Mio padre mi guardò e mi disse “Hai fatto male”. Alla mia sorpresa per le sue parole ribadì che avevo sbagliato. E, alla mia richiesta di conoscere il motivo disse “Perché anche tu volevi fare l’amore con lui”.

Alle mie proteste che non era vero, disse “Non mentire, ti si legge negli occhi che lo desideri”. Dovetti ammettere che aveva ragione. E aggiunse “Se domani te lo chiede di nuovo, sai cosa devi fare. Se te lo chiede e tu rifiuti lo rimpiangerai per tutta la vita. E io vorrei che tu non avessi rimpianti”.

Stentavo a capire, ma a poco a poco mi resi conto che aveva ragione. Mentre più tardi facevamo l’amore ad un tratto mi disse “Promettimi che domani se te lo chiede, andrai a letto con lui” ed io promisi.

Anche il giorno dopo mio padre era impegnato in riunioni ed io scesi nuovamente con il mio libro nella hall. Seduta sul divano cercavo di leggere, ma non riuscivo per l’agitazione. Dopo un poco arrivò anche lui e ci mettemmo a parlare. Non avevo, come sempre, il reggiseno ed avevo lasciato sbottonati gli ultimi tre bottoni della camicetta. Notai che lui guardava con insistenza verso il mio seno. Ad un certo punto mi disse “Hai un seno bellissimo … mi piacerebbe tanto baciarlo …”.

Mi alzai. Lui mi guardò sorpreso e perplesso. Credo che temesse che mi fossi offesa. Aspettava la mia mossa successiva.

- Andiamo – dissi.

- Dove? – chiese.

- Nella tua camera … – continuava a guardarmi senza muoversi e senza capire – Non hai detto che vuoi baciare il mio seno?

Finalmente capì e si alzò. Facemmo le scale quasi di corsa. Quando arrivammo davanti alla porta della sua camera c’erano le cameriere che uscivano in quanto avevano appena terminato di riordinarla. Ci videro entrare e chiuderci velocemente a chiave dall’interno. Immagino che capirono il motivo della nostra fretta.

Appena chiuse la porta affondò il suo viso nella scollatura della mia camicetta, la sua bocca cercava il mio seno e prese a baciarlo ed a succhiarlo. Poi mi spogliò, si spogliò anche lui e ci buttammo sul letto. Eravamo tutti e due affamati l’uno dell’altra. Ci baciavamo, ci leccavamo, ci toccavamo, ci succhiavamo l’un l’altra. Senza sosta, sempre, in continuazione. Fu una mattinata di fuoco. Facemmo l’amore per tutta la mattina senza interruzione.

Sospendemmo solo perché dovevamo riordinarci e scendere giù perché mio padre sarebbe tornato per il pranzo.

Mentre scendevamo le scale arrivò un messaggio di mio padre che mi diceva di pranzare perché la riunione continuava senza interruzione e loro avrebbero fatto uno spuntino veloce sul posto. Pranzammo velocemente e ritornammo immediatamente nella sua camera.

Riprendemmo a fare l’amore con maggiore foga di prima. Anche il pomeriggio fu di fuoco … un fuoco ininterrotto.

Ad un certo punto smettemmo esausti. Io mi feci forza e mi rivestii. Volevo tornare nella mia stanza e riordinarmi prima che tornasse papà. Glie lo dissi e lui capì, ma non aveva la forza di muoversi dal letto. Uscii e tornai nella mia camera.

Ero stanca morta ed avevo il sesso in fiamme. Mi bruciava tantissimo per quante volte avevamo fatto l’amore. Mi spogliai, cercai di guardarmi, ma non potevo toccarlo, il dolore era troppo forte. Mi feci una doccia e cercai di lavarlo il più a lungo possibile e con la maggiore delicatezza possibile. Mi asciugai e mentre uscivo nuda dal bagno arrivò mio padre.

Vide che camminavo con difficoltà.

- Cos’hai? - Chiese.

- Niente.

- No, non si cammina così per niente. Cos’hai?

- Mi brucia – sussurrai e lui capì.

- Hai fatto molto sesso?

Risposi di sì con il capo.

- Hai una pomata … una crema?

- No, non ho nulla.

- Mettiti a letto e riposati. Ora torno. – E uscì.

Tornò dopo un po’ di tempo. Aprì una confezione e tirò fuori una siringa con un lungo beccuccio.

- Questa dovrebbe farti calmare il bruciore. Cercherò di fare con delicatezza.

Penetrò con il beccuccio dentro la mia vagina e svuotò una parte della siringa, l’altra parte la sparse con delicatezza sul sesso e mi fece indossare un paio di mutandine di cotone.

Poi ordinò la cena in camera.

Durante la cena gli chiesi:

- L’hai comprata in farmacia?

- In una farmacia particolare – rispose. E di fronte alla mia perplessità precisò: – in un porno shop.

L’indomani mattina mentre eravamo in macchina e tornavamo alla nostra base mi disse:

- Hai visto che avevo ragione?! La giornata di ieri te la ricorderai finché vivrai. Sarebbe stato per me un grave cruccio se per colpa mia tu avessi rinunziato a questa occasione.


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Anch'io ho scritto un aforisma / Re:Luci per l'Esistenza
« il: Maggio 17, 2021, 12:21:47 »

Regina buongiorno.

Non ci eravamo ancora incontrati.

Hai perfettamente ragione: l’Essere umano cerca la luce. Anche gli Animali cercano la luce. Tutta la Natura ha bisogno della luce!

La Natura ogni mattina si risveglia alla luce del giorno.

Gli alberi, nei boschi, svettano alti perché hanno bisogno della luce per la fotosintesi.

Il nostro Corpo ha bisogno della luce per scaldarsi, per vivere, per crescere.

La nostra Mente (il mio pensiero identifica Mente e Anima) ha bisogno della luce per elaborare il pensiero. Prova ne sia che quando siamo colti dal dubbio e dallo sconforto, cioè siamo in fondo al tunnel, cerchiamo disperatamente una luce per ritrovare il nostro orientamento e la nostra strada.

E, infine, come giustamente dici tu, abbiamo bisogno della luce delle stelle per alimentare i nostri sogni.

Grazie perché, con il tuo aforisma, mi hai indotto a rielaborare nella mia mente ancora una volta questi pensieri che sono alla base della esistenza degli Esseri Umani.

Ciao,

Victor.


23


La scuola guida.

Nel piazzale di fronte all’edificio residenziale c’erano tantissime macchine fuori strada, alcune rustiche, altre più confortevoli. Mi venne il desiderio di imparare a guidare e chiesi al capocantiere se mi insegnava. Si dichiarò immediatamente disponibile.

Cominciammo con le prime manovre nel piazzale, mi insegnò a mettere in moto, partire e poi fermarmi. Facendomi ripetere la manovra molte volte. Inizialmente facevo fare alla macchina dei salti alla partenza e facevo spegnere il motore quando mi fermavo, ma poi imparai. Il giorno successivo mi fece ripetere gli stessi esercizi fino a quando imparai a coordinare perfettamente i piedi su acceleratore, freno e frizione.

Mi disse che imparavo velocemente e il terzo giorno cominciò a farmi fare anche la marcia indietro. Poi passò alle manovre. Mi faceva entrare e uscire dal posteggio, passare tra due ostacoli molto stretti, che predisponeva in precedenza e continuò a farmi fare queste manovre fino a quando io riuscii a compierle in maniera precisa ed anche veloce. Diceva che era molto importante che “mi facessi l’occhio alla guida”.

La settimana seguente mi portò sulla strada che collegava il nostro cantiere con l’Isola che distava circa 20 km. Era tutto un rettilineo dritto senza neanche una curva. Facemmo un lungo tratto di strada e tornammo indietro senza incontrarne nessuna macchina. Fu una bella esperienza di guida.

Il secondo giorno la stavamo ripetendo. Ad un certo punto vidi una macchina che ci veniva incontro. Quando la incrociammo sfrecciò a grande velocità accanto a noi.

- Vede, signorina, qui guidano come pazzi e se la strada è stretta si può perdere il controllo sia del bordo della strada come pure dello spazio che ci serve per passare senza incidenti. – Feci cenno di sì con la testa; avevo capito bene quanto fosse importante “farsi l’occhio” e valutare esattamente e con precisione lo spazio disponibile e come fossero necessari tutti quegli esercizi che mi aveva fatto fare.

Tutta la seconda settimana fu impiegata a fare pratica sulla strada e a prendere padronanza di automobili di marca diversa e della loro guida. Gli chiesi di farmi guidare anche fuori della strada. Mi rispose che lo avremmo fatto al momento opportuno. Era necessario che prima mi esercitassi bene sulla strada.

Un giorno mi portò vicino ad un camion. Lo guardai. Mi chiese se volevo provare a guidarlo. Risposi di sì. Salimmo e misi in moto. Mi resi subito conto che era un mezzo ingombrante, ma che con molta attenzione riuscivo a padroneggiarlo pienamente. Lo usammo tre volte e poi tornammo al fuoristrada.

Scelse una vecchia Land Rover. Fatti pochi chilometri mi fece rallentare e mi indicò un passaggio da cui si poteva uscire dalla strada. Avremmo fatto fuoristrada! Guidavo molto adagio e con precauzione sul terreno accidentato a fianco della strada. Poi cominciai a rendermi conto del terreno e aumentai un poco la velocità. Dove c’erano passaggi difficili lui mi diceva di rallentare o mi indicava le deviazioni per evitarli.

Così fu per tre o quattro giorni. Poi mi addentrai nel deserto. Il percorso era molto più accidentato e più impegnativo. Dopo un poco mi disse di tornare indietro. Anche il giorno seguente ci addentrammo nel deserto. Questo tipo di guida mi piaceva ed anche mi eccitava. Era molto adatto alla mia natura selvaggia. Ad un certo punto mi fermai al riparo di una collina. Avevo desiderio di fare sesso con lui.

Mi chiese subito perché mi fossi fermata. Gli sorrisi. Mi disse subito con un tono autoritario, che non aveva mai usato nei miei confronti, di mettere immediatamente in moto e tornare subito indietro. Ubbidii. Nel frattempo da una tasca nascosta dell’interno del suo giubbotto tirò fuori una pistola e la posò nel vano aperto del cruscotto della macchina. Era una grossa pistola, doveva essere una calibro nove. Da un’altra tasca tirò fuori due caricatori e li posò accanto alla pistola. Notai che con lo sguardo spazzolava incessantemente il terreno attorno e dietro a noi.

Ad un certo punto mi mostrò le tracce di un’auto. “Vede, signorina, quelle tracce sono fresche e non sono nostre. Talvolta il deserto non è così deserto come appare. Non ci venga mai da sola. Anzi non ci venga mai senza di me”.

Poi, poco prima di arrivare a casa disse: “Forse è meglio che non dica nulla a suo padre. Lo farebbe preoccupare inutilmente. Il mio potrebbe essere stato un eccesso di precauzione”.


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Fantastico / Re:Incontro d'intenti
« il: Maggio 17, 2021, 02:48:59 »


Ciao Presenza.

Hai visto! Nihil l’ha ripreso, io l’ho trovato … ed ho aggiunto il mio commento.

A mio avviso hai pienamente ragione quando affermi “credo altrettanto che esista anche la consapevolezza”. Dostoevskij molto tempo fa diceva che “è la sofferenza che determina la consapevolezza” e la sofferenza del popolo russo cento anni fa è sfociata nella rivoluzione.

Certamente la sofferenza di oggi non può essere neanche lontanamente paragonata a quella del popolo russo di allora, ma io ho la sensazione che tu abbia pienamente ragione quando affermi che questa consapevolezza, oggi, torni ad essere presente nei nostri giovani.

O, almeno, lo spero …

Ciao,

Victor.


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Fantastico / Re:Incontro d'intenti
« il: Maggio 16, 2021, 16:38:26 »

Ciao Nihil,

che bella idea che hai avuto! Spulciando il passato hai trovato questo post di Presenza.

Anche se scritto nel 2016 è attualissimo.

Terribile nella sua attualità la seguente frase di Presenza: “Poi l’uomo si è messo a comandare, all’improvviso si è sentito il più potente e ha cominciato a dettar leggi a questo e quello controllando con i suoi mezzi non sempre tanto leciti”.

Altra frase tremendamente attuale: “Secondo noi è tutta una questione d’ignoranza, ci siamo lasciati prendere al laccio”.

Anch’io guardo il Sole e mi rattristo perché non ce la fa più a illuminare questo mondo pieno di ignoranza e di egoismi.

Noi, io e te, siamo della stessa generazione, anche se tu sei più giovane di me, abbiamo visto la guerra con le sue brutture e le sue sofferenze, e anche il dopoguerra con la sua voglia di riscatto. Abbiamo avuto la fortuna di sopravvivere alla guerra e la forza di reagire nel dopo guerra.

Abbiamo studiato, abbiamo faticato, ci siamo rotti la schiena, e abbiamo fatto risorgere l’Italia. Non importa che le nostre idee fossero differenti, la cosa importante era che l’obiettivo era identico. Ricostruire! E credo che ce l’abbiamo fatta.

Ce la faranno oggi queste generazioni? Io lo spero. Lo spero fortemente, ardentemente. Spero che i giovani di oggi, guardino il Sole e la Natura e ne restino illuminati, spero che capiscano e trovino il coraggio di agire, meglio ancora di reagire.

Sono stato sempre ottimista e lo sono ancora. Non vedrò per motivi anagrafici questa resurrezione culturale, agognata dalle parole di Presenza, e sancita da Giambattista Vico.

Ci vorrà tempo, ma nessuno mi può impedire di continuare a sognare.

Ciao, Nihil e grazie per aver ripreso questo pensiero di Presenza.

Victor.


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Mascotte della Trivella N. 29.

Da quel momento divenni una di loro, non ero più la figlia del capo, ma una come loro, anzi una di loro. Li aiutavo nel loro lavoro, aprivo e chiudevo le valvole, aiutavo ad avvitare i tubi ed a collegare le flange. Mi davo con tutti del tu. Solo il capocantiere mi chiamava “signorina” e continuava a darmi del lei. Ed anche io davo del lei a lui.

Il giovane ingegnere mi guardava da lontano e non parlava. Alcuni giorni dopo finalmente si avvicinò, ero sola e mi disse “Sei meravigliosa … sei ancora più bella di prima!” e si allontanò.

Un giorno mentre eravamo sulla piattaforma si avvicinò a me e mi disse:

- Ti devo parlare.

- Dimmi.

- Non qui. È una cosa piuttosto lunga e importante. Andiamo al bar.

Ci avviammo e mentre lo seguivo notai che era molto nervoso.

Al banco ordinò due caffè e appena pronti li prese e si diresse al tavolo più isolato che c’era. Ci sedemmo e mi guardava. Io aspettavo.

- È arrivato il trasferimento – disse tutto ad un tratto – tra una settimana devo prendere lavoro alla Trivella n.13. Dista da qui oltre 350 chilometri.

- Mi dispiace – dissi io sorpresa per la notizia.

Lui rimase ancora un poco in silenzio e poi, tutto ad un tratto disse:

- Mi vuoi sposare? Sì, ci possiamo sposare subito. Qui una ragazza si può sposare a 16 anni. È sufficiente recarsi all’ufficio e firmare i documenti. Accetto tutte le tue condizioni. Tutte, tutte. Sarai anche libera di fare l’amore con chi vuoi. Te lo giuro. Possiamo metterlo anche per iscritto nel contratto di matrimonio. Allora, mi vuoi sposare?

Se la prima notizia era stata per me una sorpresa quest’ultima fu per me addirittura sconvolgente.

- No … no … - balbettai – non capisci che non è possibile … che è sbagliato! …

- Ne parlerò con tuo padre. Sono sicuro che dirà di sì … E poi tu mi hai detto che ti lascia libera … ti prego … ti supplico – e si mise a piangere.

Mi alzai di scatto e fuggii via. Entrai nell’appartamento e mi buttai sul letto. Mi misi a piangere anch’io.

Dopo un poco entrò mio padre. Mi aveva vista passare di corsa e agitata in quanto si trovava nell’ingresso e parlava con alcune persone. Mi chiese cosa fosse successo. Gli raccontai tutto. Quando finii lui disse:

- La comunicazione del suo trasferimento l’ho ricevuta anche io stamattina e il mio dispiacere era dovuto al fatto che perdevo una persona in gamba. Ora il mio dispiacere è molto più grande. Non pensavo che lui fosse preso fino a questo punto. E sono dispiaciuto anche per te che ti trovi impelagata in questa faccenda. Perché anche tu l’ami … non è vero che l’ami? Parla, sii sincera, innanzitutto con te stessa!

- Non lo so se l’amo. Lui per me è un amico … un caro amico … ma io non voglio assolutamente sposarmi … né con lui … né con nessun altro … io non mi sposerò mai …

- Guarda con onestà dentro te stessa … esamina la situazione con calma e poi decidi. Io sarò sempre vicino a te, dalla tua parte.

- Si è un caro amico … e anche la sua compagnia mi piace … ma non voglio sposarlo. No! non voglio sposare nessuno. Non mi sposerò mai!

Il giorno dopo mentre eravamo sulla piattaforma il giovane ingegnere mi fece un cenno e si diresse verso la sala comune. Lo raggiunsi e ci sedemmo in un posto isolato. Stavolta il discorso lo cominciai io.

- Mi dispiace – dissi, avevo riacquistavo la mia lucidità mentale– io non posso e non voglio sposarmi. C’è un altro uomo nella mia vita.

- Sei fidanzata?

- Sì, sono fidanzata – mentii – o meglio … è come se fossi fidanzata.

- Ma io … io ti amo … - insistette lui – ti amo dal primo momento che ti ho vista … sei una donna meravigliosa … per me sarà un inferno vivere senza di te …

Poggiò i gomiti sul tavolo e si mise la testa tra le mani. Restava in silenzio. Ad un certo punto vidi delle gocce. Aveva ripreso a piangere

Allungai la mia mano e la posai sul suo braccio.

- Restiamo amici – dissi – credimi … non posso sposarti …

Non parlava. Anche io lo osservavo in silenzio. Ad un certo punto si alzò e si asciugò gli occhi.

- Devo tornare al lavoro – disse e si allontanò, mentre io restai seduta al tavolo.

Nei giorni che seguirono cercava di evitarmi. Era molto triste. Tutti pensavano che gli dispiacesse trasferirsi in un altro posto di lavoro. Ogni partenza è sempre triste.

Una sera dopo che finì di cenare si avvicinò al nostro tavolo. Ringraziò mio padre per tutti i suoi consigli e per la disponibilità che aveva dimostrato nei suoi confronti. Disse che era dispiaciuto del trasferimento e che sarebbe partito il giorno dopo all’alba. Salutò anche me ed anche se il saluto fu solo formale lessi la profonda tristezza che traspariva dai suoi occhi e mi commossi anch’io. Poi girò per i vari tavoli e salutò tutti. Molti si alzavano quando lui si avvicinava.

Quando andammo a letto mio padre mi disse:

- Hai visto che l’ami anche tu?

Non risposi nulla e mi strinsi a lui. Mi abbracciò stretta stretta.


27


I miei capelli.

Un giorno mio padre mi disse che doveva tornare in città perché doveva incontrare un dirigente dell’azienda, sarebbe andato con l’elicottero. Gli chiesi se potevo accompagnarlo. Precisò che non avrei potuto partecipare al suo colloquio. Gli dissi che se c’era un negozio di parrucchiere avrei voluto farmi sistemare i capelli. Mi disse che l’avremmo sicuramente trovato.

Questa volta fu il giovane ingegnere a fare da primo pilota.

Cercammo un negozio di parrucchiere, entrammo e mio padre disse loro di fare quello che chiedevo, lui sarebbe tornato dopo un paio d’ore ed avrebbe pagato il conto.

Il parrucchiere mi fece accomodare su una poltrona davanti ad uno specchio e cercava di capire quello che io gli dicevo. Lui non parlava inglese ed io non capivo la sua lingua. Io dicevo che volevo tagliati i capelli a zero come un maschio e lui continuava a lisciare e accarezzare i miei lunghi capelli, e, da quello che mi sembrava capire, continuava a lodarli.

Ad un certo punto disperata per il fatto che non riuscivo a farmi comprendere presi un paio di forbici che erano sul banco davanti a me e zac con un taglio netto tagliai un ciuffo dei miei capelli sul davanti. Lui fece un grido di spavento e tutti si voltarono a guardarci. Per tutta risposta afferrato un altro ciuffo di capelli tagliai anche questo di netto.

Tutto tremante prese un catalogo di pettinature e sfogliatolo mi mostrò una pettinatura con il taglio quasi a zero. Dissi a parole, ma principalmente a gesti e ripetutamente di sì. Anche lui assentì: aveva capito. Ma continuava a parlare con accento nettamente contrariato anche se io non capivo cosa dicesse. Ripresi le forbici in mano e feci cenno di tagliare ancora i miei capelli. Mi tolse delicatamente le forbici dalle mani e faceva ripetutamente cenno di “sì” con la testa.

Nel frattempo una ragazza del negozio, con in mano un cestino di paglia intrecciato, aveva raccolto i miei capelli da terra e ve li aveva riposti religiosamente ordinati. Il parrucchiere cominciò a tagliare i miei capelli e a deporli con grande cura nel cestino che la ragazza teneva.

Mentre tagliava borbottava e scuoteva la testa. Immagino che fosse in completo disaccordo con quello che stava facendo. Quando i capelli furono tagliati corti prese nuovamente il catalogo e mi mostrò diversi tagli. Io indicai quello a spazzola e lui si mise a parlare, ma io non riuscii a capire nulla di quello che voleva dirmi. Mi passai una mano sui capelli tagliati. Notai che erano belli rigidi, quasi ispidi e tornai a indicare la figura del taglio a spazzola. Finalmente fece cenno di sì. E si mise a rifinire il taglio.

Quando completò tutto mi guardai allo specchio. Il mio viso era completamente trasformato: era libero e luminoso, i capelli cortissimi mi davano un aspetto da maschio impertinente, ebbi immediatamente la sensazione che la mia personalità ora risaltava nella sua reale essenza. Mi piacque moltissimo il mio nuovo aspetto, la mia nuova fisionomia, compresi che adesso il mio aspetto esprimeva pienamente la mia personalità. Mi girai verso di lui e gli strinsi ripetutamente la mano in segno di ringraziamento. Mi fece un gran numero di inchini.

Ero molto soddisfatta. Finalmente anche lui appariva soddisfatto. Prese una macchina fotografica e mi chiese il permesso di fotografarmi. Acconsentii. Poi arrivò la ragazza con un pacchetto trasparente confezionato: erano i miei capelli. Feci cenno che non li volevo. Tornò il parrucchiere. Prese il pacchetto e me lo porse con un inchino. Io lo presi in mano e poi glie lo restituii. Gli feci capire che erano suoi poteva tenerli. Si mise a fare inchini di ringraziamento.

Quando arrivò mio padre e mi vide rimase impietrito, esterrefatto, poi si scosse, ma non disse niente. Parlò con il parrucchiere e lui andò a prendere il pacchetto con i miei capelli. Mio padre parlò nuovamente. Lui prese una piccola ciocca dei miei capelli, ne fece una piccola confezione che consegnò a mio padre. Poi porse anche il pacco grande, ma mio padre gli fece cenno che poteva trattenerlo. Pagò ed andammo via.

Andammo al ristorante a pranzare e poi con il taxi ci recammo all’aeroporto. La prima persona che incontrammo fu l’ingegnere che appena mi vide restò anche lui impietrito senza profferire parola. Notai che gli tremavano le mani. Poi lo vidi confabulare con l’altro pilota. Questo poi chiamò in disparte mio padre e parlarono tutti e tre. Si perse ancora altro tempo e poi finalmente partimmo.

Quando rientrammo gli operai erano a cena nel salone. Appena io e mio padre apparimmo sulla porta ci fu di colpo un silenzio assoluto: tutti guardavano me sbalorditi. Poi uno si alzò e cominciò a battere le mani. Scoppiò un applauso generale e molti si avvicinarono per complimentarsi. Quella sera mio padre offrì spumante a tutti e io divenni ufficialmente la mascotte della Trivella n.29.

La sera a letto mio padre mi disse “Non era più in condizione di pilotare l’elicottero per lo shock. Hanno dovuto modificare il piano di volo ed attendere l’ok della torre di controllo. Gli tremavano le mani. È proprio cotto di te!”


28


La trivella.

La mattina seguente indossai la tuta e il casco di protezione e seguii mio padre quando, uscito dall’appartamento, si recò sulla piattaforma della trivella. Stavo accanto a lui, guardavo tutto quello che lui guardava, ascoltavo in silenzio tutto quello che il capo cantiere o gli operai gli dicevano e quello che lui rispondeva.

E questo facevo tutti i giorni, mi fermavo sulla piattaforma ad osservare tutto, restavo alla trivella anche quando mio padre si recava nel suo ufficio a lavorare.

Sulla piattaforma c’era quasi sempre anche il giovane ingegnere che mi lanciava occhiate in continuazione. Mio padre se ne accorse e una sera, mentre facevamo sesso, mi disse che oltre ad essere un bell’uomo era molto bravo e intelligente, e aggiunse che avevo fatto colpo su di lui.

Ma io sapevo che non avevo fatto colpo soltanto con lui. Tutti gli operai avevano particolari attenzioni verso di me, ma ce ne erano tre o quattro nei cui occhi, quando mi guardavano, io leggevo chiaramente il desiderio sessuale che provavano nei miei riguardi.

Mio padre non si fermava a lungo sulla piattaforma e quando lui era là io stavo attaccata a lui. Quando andava via osservavo con grande interesse il lavoro degli operai. Quando c’era qualcosa o qualche operazione che non capivo me la segnavo a mente e poi me la facevo spiegare da mio padre. Volevo sapere tutto, volevo capire tutto. Questa esperienza che stavo vivendo era molto interessante e mi affascinava.

Il capocantiere talvolta saliva sulla torre, fino in cima ed ero curiosa di salire fin lassù. Un giorno che lo vidi dirigersi verso la torre gli chiesi se potevo salire con lui. Fu gentile e acconsentì. Mi fece passare avanti e mentre salivamo i gradini dentro la gabbia di protezione mi chiese:

- Signorina, per caso le gira la testa?

- No – risposi – quassù è bellissimo.

Mi spiegò tutto quello che c’era lassù (il paranco, il tubo della trivella che girava, le apparecchiature di contenimento e di alimentazione del solvente per disgregare il terreno). Poi, prima di scendere, si complimentò con me per il mio interesse a quel lavoro per “uomini duri”. Così lo definì.

Mentre continuavo ad osservare riflettevo sul fatto che lui aveva definito quel lavoro adatto a uomini duri. Pensavo che a me quel lavoro piaceva anche se ero una donna. Io lo guardavo e lo vedevo robusto e muscoloso, e contemporaneamente lavoratore infaticabile e silenzioso e provavo ammirazione nei suoi confronti comprendendo il motivo per cui mio padre aveva tanta stima e fiducia nei suoi confronti. La sera lo dissi a mio padre e mi confermò che era una persona assolutamente onesta e scrupolosa.

Ogni tanto, quando ero molto accaldata mi recavo al bar nella sala comune. Quasi sempre il giovane ingegnere mi seguiva e velocemente arrivava al bar prima di me per essere lui ad offrire quello che io volevo. Quando non c’era nessuno mi faceva dei compimenti “Sei bellissima … sei una ragazza meravigliosa … hai dei bei capelli … hai degli occhi bellissimi …”. Eravamo passati al “tu” cameratesco, ma solo con lui. Tutti gli altri mi chiamavano “signorina”

Io cercavo di schivare i suoi complimenti anche se mi facevano piacere. Ogni tanto lo raccontavo a mio padre che mi diceva: “Gli piaci, e non poco, ma non ti preoccupare, non sono geloso, fai pure l’amore con lui se vuoi. Siete giovani ed è normale che proviate attrazione reciproca. Lo capisco perfettamente. – poi aggiungeva – L’ho sempre saputo che facevi l’amore oltre che con i tuoi compagni, con il mio amico e anche con altri uomini”.

Una volta aggiunse “Sei come tua madre, lei non può vivere senza fare sesso”. Capii che era al corrente di tutto e che accettava il comportamento della mamma.

Un fine settimana l’ingegnere mi disse: “Vado all’isola, ci vieni?” Accettai l’invito, mi cambiai, tornai a vestirmi da donna e salii in macchina con lui.

- Ti devo chiedere una cosa – disse durante il viaggio.

- Dimmi.

- È una cosa per me molto importante …

- Parla.

- Vuoi … vuoi diventare mia moglie?

- Cosa?

- Sì, mi vuoi sposare?

- No! io non mi voglio sposare. Voglio laurearmi, voglio girare il mondo …

- Se sarai mia moglie ti farò fare tutto questo, potrai fare tutto quello che vorrai …

- Anche fare sesso con chi voglio?

- !!!???

- Hai visto? Io non posso sposarmi. Non voglio sposarmi. Voglio essere sempre libera!

Tacque. Non aprì bocca fino al nostro arrivo al Centro Commerciale. Fece alcune compere e poi mi portò al bar. Ci sedemmo ad un tavolo.

- Hai parlato seriamente?

- Certo che ho parlato seriamente. È il mio pensiero da tanto tempo. Anche mio padre e mia madre ne sono al corrente.

- E approvano?

- Mia madre è completamente d’accordo.

- E tuo padre?

- Lui non ha espresso alcun giudizio, ma sono convinto che accetta il mio pensiero. Come vedi mi ha condotto qui, quando glie l’ho chiesto.

- Non pensi che potresti cambiare idea?

- Tu non mi conosci!

- È vero, non ti conosco abbastanza, ma ti ammiro tantissimo. Ho sempre sognato di avere una moglie come te … e ora che ti ho trovato non mi voglio fare sfuggire l’occasione …

- Ti auguro di trovare quello che cerchi … ma con me ti sbagli … non sono adatta a te!

- Perché dici che non sei adatta a me?

- Tu accetteresti che tua moglie faccia sesso anche con altri uomini?

- Perché dici questo?

- Perché io voglio essere assolutamente libera. Libera in tutto e per tutto. Anche di fare sesso se ne ho voglia e con chi ho voglia.

- ???

- Vedi, se tu vuoi noi possiamo fare sesso. Tu mi piaci. Ma senza alcun impegno. Quel pensiero devi togliertelo dalla testa. Assolutamente!

Tutto il viaggio di ritorno si svolse senza profferire neanche una parola.

La sera, a letto, raccontai tutto a mio padre. “È innamorato cotto di te” fu il suo commento.


29


Sedici anni. Il viaggio con mio padre.

All’inizio dell’anno ricordai a papà la promessa di preparare i documenti per andare con lui la prossima estate. Per prima cosa mi mandò in agenzia per fare il passaporto. Poi alla stessa agenzia fu dato l’incarico di fare le pratiche per il visto di ingresso.

Nel frattempo lui aveva fatto alla sua azienda la richiesta di potermi portare con sé sul luogo di lavoro. Mi comunicò che il permesso in via eccezionale gli era stato accordato. Aggiunse che stava facendo ampliare il suo appartamento.

Mi fece comprare due tute gialle e un casco della misura della mia testa. Mi raccomandò di non guardare a spese per il casco. Doveva essere comodo e ben imbottito internamente perché dovevo indossarlo sempre quando stavo sulla trivella. Inoltre mi dovevo comprare due paia di scarponi comodi, delle calze di lana e dei vestiti adatti per vivere nel deserto.

Oltre a frequentare la scuola ci preparavamo per le olimpiadi. Il professore ci seguiva ed ogni tanto in classe ci faceva fare alla lavagna gli esercizi più difficili.

Ci presentammo alla Gara del nostro Distretto e con soddisfazione sia nostra, che degli insegnanti come pure delle nostre famiglie superammo gli esami, con grande entusiasmo della classe. Festeggiammo tutti insieme ad un pranzo offerto al ristorante da mio padre. Purtroppo non ottenemmo lo stesso risultato per entrare nelle finali, ma ce lo aspettavamo. Era ancora troppo presto. Avremmo riprovato l’anno successivo.

La fine dell’anno sembrava non dovesse arrivare mai, tanto era il mio desiderio di partire con mio padre. Ero certa che sarebbe stata una bella avventura e avrei realizzato il mio sogno.

Finalmente un sabato mattina partimmo. Dopo circa quattro ore di volo l’aereo atterrò. All’aeroporto sbrigammo le formalità di ingresso e ritornammo sulla pista dove c’era un elicottero ad attenderci. Prima di salire dovemmo indossare il casco con il microfono incorporato e partimmo. Un’altra ora di viaggio.

Prima sorvolammo la città. Mi resi conto che era parecchio grande. Dopo cominciò la zona non coltivata. Il terreno non era piano. Colline rocciose si alternavano con zone pianeggianti o con vallate. Ad un tratto notai una trivella, ma era lateralmente e l’elicottero proseguì dritto. Rivolta verso mio padre chiesi che ora fosse. “Le 15 e trenta, signorina” rispose una voce. Doveva essere stato uno dei piloti.

Guardai il sole, era alla mia sinistra, era pomeriggio “Stiamo andando verso Nord?” chiesi. “Esatto, signorina” rispose la stessa voce. Mi sembrò strano sentirmi chiamare “signorina”. Fin a quel momento tutti mi avevano dato del “tu”.

Guardavo con interesse dal finestrino. Il panorama era sempre lo stesso ma mi affascinava. Notai una seconda trivella e dopo un po’ una terza. Poco dopo la voce disse ancora “Siamo sopra l’Isola, signorina, fra cinque minuti arriviamo”. Guardai in giù e vidi delle case e terreno brullo tutt’intorno. Subito la voce aggiunse “Scusi signorina, non mi sono spiegato bene, l’Isola è il centro commerciale vicino a noi”.

Ad un tratto il rumore dei motori cambiò tono ed ebbi la sensazione che l’elicottero rallentasse la sua corsa. Vidi che si abbassava e davanti a noi comparve la cima di una torre di ferro. Capii che eravamo arrivati. L’elicottero rimase fermo sospeso nell’aria. Fu una sensazione strana. L’elicottero si girò. Non vedevo più la trivella, ma una casa bassa e diverse persone a distanza.

Poi i motori tacquero e l’elica rallentava i suoi giri. Si potevano distinguere nettamente le sue pale che giravano. Uno dei piloti scese e aprì la porta dal lato di papà che scese, poi porse la mano a me per aiutarmi a scendere. “Benvenuta alla trivella numero 29, signorina” disse mentre scendevo.

Mentre ci allontanavamo dall’elicottero un uomo uscì dal gruppo che ci attendeva. Era alto, robusto, un bell’uomo, abbronzato dal sole, doveva avere circa quaranta anni, anche lui indossava la tuta gialla e il casco.

- Bentornato Ingegnere - disse porgendo la mano a mio padre.

- Bentrovato, Giacomo, tutto a posto? - rispose mio padre.

- Sissignore.

- Ti presento mia figlia. – poi rivolto a me – Giacomo qui è il capocantiere, cioè il mio braccio destro.

- Onorato, signorina. Benvenuta in questo inferno! Cercheremo di rendere il suo soggiorno meno duro possibile.

Nel frattempo il pilota che mi aveva aiutato e scendere dall’elicottero si era toto il casco e si avvicinò. Era un giovane sui trent’anni.

- Ti presento l’ingegnere X, - disse mio padre – una persona eccezionale, peccato che fra non molto lo trasferiranno.

- Non era lui che ha pilotato l’elicottero? – chiesi io.

- No, signorina, io ho fatto solo il secondo pilota.

- Sì – disse mio padre – lui è ingegnere minerario, e fra le tante cose che fa, è anche pilota di elicotteri. Mi dispiace proprio perderlo. Ma sono contento per lui che sarà promosso a ingegnere dirigente.

Nel frattempo alcuni operai si erano avvicinati e salutavano calorosamente mio padre che ricambiava i saluti e mi presentava. Mi resi conto che ero già l’oggetto della curiosità di tutti.

Entrammo nella casa. Dopo l’ingresso c’era un salone con tanti tavoli. Poi seppi che era la sala comune e che faceva anche da sala da pranzo. Da lì entrammo in un corridoio, molto largo. Mio padre aprì la seconda porta sulla sinistra ed entrammo in un soggiorno molto spazioso. Due persone che trasportavano i nostri bagagli li depositarono su un lato della stanza e andarono via.

- Questo è il nostro appartamento – disse mio padre – questo è il soggiorno, lì di fronte c’è la zona cucina, qui a sinistra c’è il mio ufficio e la porta precedente è la sala d’attesa. Ha il suo ingresso dal corridoio. Questa è la tua camera da letto – disse mostrandomela – questa è la mia camera e qui c’è il bagno.

- Lo utilizzo subito – dissi io. Quando uscii mio padre disse:

- Per l’orario di cena ci sono ancora tre ore. Voglio mettermi a letto e riposare.

- Anche io mi voglio riposare. Mi posso mettere a letto con te?

- Ti vuoi riposare assieme a me? Fai come vuoi. Io vado un attimo in bagno.

Andai nella sua camera, mi spogliai restando solo con le mutandine e mi infilai sotto le lenzuola. Lui arrivò si tolse la giacca, la camicia, le scarpe e i pantaloni restando con la maglietta e le mutande e mentre si metteva sotto le lenzuola mi vide e disse.

- Sei nuda!

- Sì – risposi e lo abbracciai. Poi cercai la sua bocca e lo baciai, anzi ci baciammo …

Quando finimmo di fare l’amore poggiò la testa sulla mia spalla vicino al collo e disse sottovoce “Era da tanto che lo desideravo …” Lo abbracciai forte forte.

La prima cosa che scoprii fu che il tempo era scandito da una sirena. Tre suoni brevi indicavano che fra un’ora c’era il cambio del turno. Questo veniva annunciato con un fischio lungo. Altri fischi annunciavano il pranzo o la cena.

Ci vestimmo per andare a cena. Nella sala comune, vicino al banco del bar c’era il capocantiere. Mio padre lo invitò a sedersi al nostro tavolo. Si fece fare il resoconto di tutto ciò che era accaduto durante la sua assenza. Io ascoltavo in silenzio, anche se capivo soltanto una parte di ciò che dicevano, comunque cercavo di non perdere neanche una parola.

Ad un certo punto entrò nella sala l’ingegnere pilota. Mio padre gli fece segnale di avvicinarsi e fece sedere anche lui con noi. Era molto interessato a ciò che discutevano mio padre e il capocantiere e di tanto in tanto aggiungeva qualche commento. Io ascoltavo in silenzio, anche se con la coda dell’occhio cercavo di osservarlo.

Più tardi, mentre a letto facevamo nuovamente l’amore, mio padre rimarcò la bravura e le capacità di entrambi.


30


Una visita improvvisa.

Il giorno dopo, domenica, stavamo facendo colazione in soggiorno quando suonò il campanello del cancello esterno. Andò al citofono, rispose e aprì. Poi rivolto verso di me disse:

- È il tuo professore di matematica, ha visto la mia macchina ed è passato a salutare.

Io ero completamente nuda mentre lui invece aveva addosso un paio di pantaloncini. Mi precipitai nella camera da letto, indossai un paio di mutandine, sopra ci misi il vestito scamiciato che portavo spesso, mi spazzolai i capelli e rientrai in soggiorno.

Appena il professore mi vide rimase visibilmente sorpreso.

- Scusate … non sapevo … ho disturbato … vado via subito.

- No, professore, non disturba affatto. Così ha la prova che quello che le dissi una volta è assolutamente vero. Non era una spacconata.

- Cosa mi hai detto, una volta? Non ricordo.

- Le dissi che ero una ragazza assolutamente libera …

- Ma io non avevo capito che tu intendessi in questo senso.

- Beh, ora lo sa. – guardai il mio amico che sorrideva. Proseguii – Si accomodi, ci tiene compagnia a colazione? Cosa le preparo, un cappuccino o un the, oppure cos’altro desidera, ci sono delle brioche e delle fette biscottate.

- Cosa posso desiderare di più che fare colazione con un mio carissimo amico e con una mia alunna che stimo moltissimo? Resto con piacere e sono contento che la mia presenza non abbia creato disturbo o imbarazzo.

Durante la colazione parlammo del più e del meno senza alcun imbarazzo. Fece anche un accenno alle Olimpiadi di Matematica.

Poi ci propose di andare a fare il bagno insieme. Chiamò a telefono il ragazzo che gli sbrigava le faccende inerenti la villa e gli disse di aggiungere una seconda poltroncina e una sdraio all’ombrellone che aveva già sistemato sulla spiaggia. Le nostre villette erano una accanto all’altra ed erano separate dalla spiaggia da una strada non asfaltata.

Restammo d’accordo che ci saremmo visti direttamente sulla spiaggia dopo mezz’ora.

Io indossai solo lo slip del bikini, senza il reggiseno, mi coprii con un pareo di tela ed uscimmo di casa. Il professore era già sulla spiaggia con i piedi in acqua.

Appena arrivata mi tolsi il pareo, che sistemai nella mia borsa e mi buttai immediatamente in acqua nuotando verso il largo. Con la cosa dell’occhio notai che il professore mi veniva dietro, mentre non notavo traccia del mio amico. Pensai che con la sua discrezione ci lasciava liberi.

Nuotai a lungo. Quando mi resi conto che mi ero allontanata oltre cento metri dalla riva mi fermai. Il professore mi raggiunse.

- Sei un’ottima nuotatrice – mi disse – ho fatto fatica a starti dietro.

- Il mare è il mio elemento, e il delfino è il mio simbolo.

- Che il mare sia il tuo elemento l’ho appena notato. Perché il delfino è il tuo simbolo?

- Perché i delfini fanno sesso in continuazione e lo fanno per diletto – nel frattempo manovravo le mie gambe per tenere i miei seni a pelo d’acqua. Il professore mi guardava senza parlare, forse osservava me oppure il mio seno. Continuai. – Una volta all’acquario ho visto una delfina che durante l’esibizione ogni volta che faceva un tuffo, si accoppiava con un delfino.

Il professore fece una giravolta e si tuffò sott’acqua. Anch’io feci lo stesso. Sott’acqua ci incontrammo e ci abbracciammo. Quando emergemmo le nostre bocche erano avvinghiate l’una all’altra e poco dopo anche i nostri corpi si congiunsero.

Poi rientrammo nuotando lentamente.

Sulla spiaggi mi distesi sulla sdraio. I miei seni puntavano verso il cielo. Con la coda dell’occhio notai che il professore non distoglieva lo sguardo da essi. Decidemmo di andare a pranzo assieme al ristorante del lido. Dopo la doccia ci cambiammo e scendemmo in cortile. Il mio amico prese la macchina e io mi sedetti dietro per lasciare il posto anteriore al professore.

Al ristorante parlammo del più e del meno. Ad un certo punto il professore disse che lui doveva rientrare necessariamente in città la stessa sera per degli impegni assolutamente improrogabili, ma che avrebbe fatto il possibile per sbrigarli rapidamente e ritornare in maniera da trascorrere altri giorni insieme.

Al ritorno dal pranzo il mio amico fermò la macchina davanti al suo cancello per farlo scendere. Aprii lo sportello e scesi anch’io dicendo “Vado con lui”. Passammo tutto il pomeriggio insieme. Poi, sempre insieme, salimmo a casa del mio amico. Ci salutammo e il professore partì per tornare in città. Io e “mio padre” andammo subito a letto.

Il mercoledì a mezzogiorno mentre stavamo rientrando dal mare arrivò una telefonata del professore. Disse che stava tornando e ci diede appuntamento direttamente al ristorante del lido.

Al rientro salii in macchina con il professore. Lo avevo già anticipato al mio amico che non obiettò nulla.

Furano giorni di fuoco, il pomeriggio con il professore, la notte con il mio amico-padre, ma potei affrontarli senza particolari disagi alla mia vagina in quanto mi ero portata la crema che mi aveva dato la mia amica “la fisioterapista non ancora diplomata”.

Fino alla domenica tutto si svolse in questo modo. La mattina il bagno tutti e tre a mare, poi il pranzo al lido. Il pomeriggio a letto con il professore. La cena, nuovamente tutti e tre al lido. E la notte con il mio amico-padre.

Mentre il rapporto col professore variava di volta in volta in maniera fantasiosa ed era molto scatenato, l’altro era sempre uniforme ed ero io a volerlo così: volevo che mi possedesse stando addosso a me, volevo sentire il contatto con tutto il suo corpo, e principalmente volevo che versasse tutto il suo sperma dentro di me, tutto, fino all’ultima goccia.

Una volta mi chiese il perché. “Non lo so – risposi –mi piace essere posseduta da te in questa posizione. Mi piace il contatto completo con tutto il tuo corpo. Il tuo sperma è solo per me. Credo che sia il desiderio di sentirmi in tuo possesso assoluto. Mi piace tantissimo”.

Durante l’estate con il mio compagno di classe facevamo gli esercizi e anche sesso. Ogni due settimane lui portava i nostri quaderni al professore che li ritirava per controllarli e gli consegnava quelli corretti. Gli esercizi cominciavano ad essere più difficili, per superare le difficoltà lo consultavamo telefonicamente.

Con il professore decidemmo di non incontrarci in città: dovevamo assolutamente evitare di essere scoperti. Due volte per il fine settimana scendemmo a mare tutti e tre e quelle volte facevo sesso quasi esclusivamente con il professore.

Quando c’era papà invece non mi muovevo da casa.

Una volta mi chiese:

- Ma tu stai sempre in casa? Non hai un ragazzo? Non esci con gli amici?

Gli risposi apertamente che quando lui era a casa non uscivo perché volevo stare con lui. Ma quando lui non c’era facevo una vita regolare. Gli dissi anche che non avevo un ragazzo fisso, ma che facevo sesso liberamente con diversi ragazzi e aggiunsi che mi piaceva moltissimo fare sesso. Mi guardò perplesso e mi domandò “Sul serio fai sesso con tanti?” Gli risposi che in quest’ultimo mese e mezzo di sua assenza avevo fatto sesso con tre persone diverse.

Precisai: “Non siete stati tu e la mamma che mi avete insegnato ad essere libera?” Fece cenno di sì con la testa, ma era perplesso.


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