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Post - victor

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Umoristico / Re: La mamma va a lavoro.
« il: Settembre 23, 2011, 22:23:02 »
Oh, Mya!

Hai fatto un allenamento che ti servirà quando sarai mamma anche tu ...


362
Umoristico / Re: IL PONTE BERLUSCONI
« il: Settembre 23, 2011, 22:18:48 »
Beh ... ragazzi ...

Io sono siculo e sono fermamente convinto che il ponte sarebbe non solo una gran bella opera di ingegneria, ma anche una grande realizzazione sociale ed economica ...

Che poi ci siano persone che la pensano diversamente fa parte della libertà di pensiero e di opinione.

363
Umoristico / Re: La mamma è sempre la mamma!
« il: Settembre 23, 2011, 22:13:25 »
Oh, ragazzi ... la mamma è sempre la mamma!

Bella o brutta, alta o bassa, grassa o magra, buona o cattiva (si anche quando a noi sembra cattiva), nessuna creatura al mondo vi amerà mai quanto vi ama lei.

Aspettate di diventare "giovani" come me e poi capirete.

Qualche volta riporterò qualcosa che ho scritto sulla mia mamma ...

E' 26 anni che non l'ho più e voi non immaginate quanto mi manca!

Ciao.

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Umoristico / Re: Un giorno all'Ikea
« il: Settembre 23, 2011, 22:02:37 »
Mi è piaciuto ... talvolta mi capita di vivere esperienze simili ... tranne quello della suocera ...

Si, ho avuto una suocera, ma non le ho mai consentito di guastarmi la vita ...

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Umoristico / Re: Grazie disgrazie!
« il: Settembre 23, 2011, 21:59:44 »
Perché Esantemix ha rimosso tutti i suoi scritti?

Dai commenti dovevano essere interessanti!

366
Umoristico / Re: Oscurità
« il: Settembre 23, 2011, 21:53:28 »
Allora ... devo crescere ancora un po' ...

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Horror / Re: La vampira
« il: Settembre 23, 2011, 21:48:21 »
Grazie dell'informazione, mia mucchina protettrice!

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Sentimentale / Re: Elisa
« il: Settembre 23, 2011, 21:41:39 »
032 1957 – 21 anni – Elisa

(scritto il 26 settembre 2010)

Era sorella di due miei carissimi e inseparabili amici. Eravamo cresciuti assieme e spesso ci incontravamo quando andavamo a scuola. Era per me una sorellina a tutti gli effetti. Anche le nostre famiglie erano amiche e le occasioni di vederci e di stare insieme non mancavano. Mi piaceva, e anche tanto, ma io cercavo di sopprimere questo sentimento perché il mio cuore era preso da Salvuccia che inseguivo disperatamente senza alcun risultato. Io cercavo di mascherare e nascondere questa attrazione che provavo per lei dicendo e ripetendo a me stesso all'infinito che lei era la mia sorellina, che non potevo desiderarla, che non era giusto che io provassi questa forte attrazione per lei, che questo mio desiderio offendeva prima lei, poi i suoi fratelli e infine anche l'amicizia tra le nostre famiglie. Questa nostra amicizia doveva essere solo sincera e fraterna. Ma la notte mi masturbavo pensando a lei e desiderando lei.

Anche quando andavamo all'università, la mattina quando prendevamo l'autobus spesso ci incontravamo. Lei sapeva tutti gli orari delle mie lezioni e spesso veniva in città con il mio stesso autobus. Lei saliva ad una fermata successiva alla mia ed io, nei limiti del possibile, cercavo di conservarle il posto accanto al mio.

Si era fatta una bella ragazza. Molto bella, alta, snella, bruna, occhi scuri, capelli ricci e corti. Somigliava a Ingrid Bergman nel film “Per chi suona la campana”. Eravamo andati a vederlo insieme e io affettuosamente la chiamavo “guapa” utilizzando l'appellativo che nel film davano a Ingrid Bergman. Riuscivamo a parlare di tutto, proprio di tutto, quando assieme dopo le lezioni passeggiavamo per la città, andando a zonzo oppure a mangiare alla mensa dello studente. I nostri discorsi spaziavano dalla politica alla scienza, dalla letteratura classica a quella contemporanea. Leggevamo dei libri, ce li scambiavamo e li discutevamo assieme. Era una bellissima amicizia.

Lei ogni tanto mi provocava. Mi chiedeva di parlarle delle mie ragazze. Io rispondevo che non ne avevo. Lei continuava a provocarmi, mi diceva che ero un bugiardo. Mi diceva che tutte le ragazze parlavano di me (in effetti avevo tutto: avevo un buon aspetto, ero intelligente, ero studioso e brillante, ero quello che a quei tempi veniva definito un buon partito) e la invidiavano per questa nostra amicizia. Mi diceva che non era possibile che io non avessi una ragazza, che con lei mi potevo confidare, talvolta mi minacciava che mi avrebbe spiato e così avrebbe scoperto la verità. Anzi, affermava che io facevo proprio il misterioso perché sicuramente di ragazze ne avevo più di una!

Ma non era vero. Non avevo nessuna ragazza. A quei tempi il mio tormento era Salvuccia che non voleva saperne di me.

Poi cambiò tono. Una volta mi disse “se non hai nessuna ragazza vuol dire che ti tormenti per una che non ti ama!” Mi schernivo “non è vero”. E lei mi provocava, mi diceva che, a guardarmi bene,  ero tormentato e tormentoso. Mi chiedeva di dirle chi fosse, vantava la nostra amicizia e la nostra confidenza, dicendo che di lei potevo fidarmi. Ma io sviavo sempre l'argomento.

Certo, la sua insistenza e la sua bellezza non mi lasciavano indifferente, ma lei era, per me, la mia sorellina! Era stata sempre la mia sorellina, non potevo innamorarmi della mia sorellina! Non dovevo innamorarmi della mia sorellina! Non potevo tradire la fiducia dei suoi fratelli: due miei carissimi amici!

La notte spesso pensavo a lei. Era bella, mi piaceva, ma cercavo sempre di scacciare questo pensiero. No! Non potevo innamorarmi della mia sorellina! No, mai e poi mai! Talvolta mi masturbavo e poi mi pentivo e mi tormentavo, non per il fatto di essermi masturbato, ma perché mi ripetevo che non potevo provare tale desiderio per la mia sorellina! Non potevo tradire l'amicizia dei miei amici che per me erano due fratelli!

Poi lei si fece fidanzata con un amico comune con il quale si sposò e anche io mi feci fidanzato con colei che divenne mia moglie.

Siamo ancora carissimi amici, anche se non ci vediamo tanto spesso.

369
Sentimentale / Elisa
« il: Settembre 23, 2011, 21:39:44 »
Ecco un altro mio scritto.

E' completamente differente dal primo. Vedi "la consegna delle arance" in "Altro"

370
Altro / Re: La consegna delle arance
« il: Settembre 23, 2011, 21:32:26 »
026 1957 - 21 anni - La consegna delle arance

(scritto il 6 agosto 2010)

Una sera mio padre mi disse “domani raccolgono le arance e dopodomani mattina devono essere consegnate alla ditta MS. Io non ci posso andare e ci devi andare tu. Domani ti prendi la macchina, non torni a casa, ma vai a dormire in campagna. Il camion arriva all'alba e fai la consegna delle arance. Poi te ne vai all'università”. La ditta MS era un commerciante di agrumi particolarmente “difficile” e mio padre cercava sempre di evitare di trattare e vendere le arance a lui. Quell'anno il mercato era piatto e mio padre fu costretto a vendere le arance proprio a lui. Io sapevo bene chi era la ditta MS e quanto difficile fosse il compito che mi aspettava.

La sera, dopo l'università andai direttamente in campagna. Arrivato, trovai tutti gli operai che avevano raccolto le arance (oltre quindici persone) seduti attorno al fuoco che mangiavano.

Infatti durante la raccolta era consuetudine che gli operai non tornassero a casa, ma rimanevano in campagna e dormivano nel magazzino sopra la paglia. Attorno al fuoco, assieme agli operai, c'era anche massaro Alfio armato di fucile. Posai la macchina, mi avvicinai e salutai tutti.

Risposero al mio saluto e mi invitarono a mangiare con loro. Sapevo che non accettare l'invito sarebbe stato scortesia pertanto risposi che accettavo l'invito e avrei mangiato con loro soltanto dopo aver fatto il controllo delle arance raccolte e del lavoro fatto.

Con massaro Alfio feci un giro per controllare il lavoro fatto e le arance raccolte, le quali erano accatastate in cassette di plastica dentro il magazzino. Resomi perfettamente conto della situazione (sapevo che avrei dovuto fare rapporto dettagliato a mio padre) tornai dagli operai e mi sedetti assieme a loro attorno al fuoco. Mi offrirono il loro pane e le olive che arrostivano sulla brace accesa, che accettai, anzi mangiavo con piacere, perché quel cibo per me era veramente buono.

Mentre mangiavamo tutti insieme cominciarono a scherzare sugli studenti universitari che anziché andare a lavorare facevano finta di studiare e si divertivano con le ragazze, facevano battute pesanti anche sulle ragazze che anziché stare a casa a fare la calza andavano all'università per farsi scopare. Io stavo allo scherzo anche se in certi momenti diventava pesante. Mi chiedevano quante ragazze mi ero portato in macchina, se cambiavo una ragazza ogni settimana oppure una al giorno, e via di questo passo. Io stavo al gioco e non mi tiravo indietro anzi vantavo anche avventure immaginarie. Nel frattempo studiavo tutti. Con la coda dell'occhio studiavo il capo ciurma, che stava silenzioso. Quasi sicuramente anche lui osservava me e si chiedeva se ero un figlio di papà imbecille che lui avrebbe potuto raggirare tranquillamente. Anche massaro Alfio era seduto, con il fucile accanto, attorno al fuoco e mangiava in silenzio assieme a noi.

Poi ce ne andammo tutti a riposare perché l'indomani, prima del sorgere del sole bisognava essere tutti alzati e pronti per il lavoro. Prima di andare a letto parlai con massaro Alfio e pianificammo il lavoro dell'indomani per la consegna delle arance: in quel posto lì si doveva posteggiare il camion, qui avremmo posto la basculla per la pesa delle casse, invece in questo altro posto sarebbero state accatastate le casse prima di essere pesate e in quest'altro dopo la pesa, e così via.

La mattina presto, il cielo cominciava appena a schiarire, io ero già alzato e sul posto di lavoro. C'era anche massaro Alfio, il capo ciurma e solo uno o due operai appena alzati che si lavavano il viso vicino al pozzo. “Mattiniero è il signorino!” esclamò il capo ciurma con meraviglia. Non risposi alla battuta. Poco dopo arrivò il camion e il capo ciurma lo fece mettere in un posto che non era quello che avevo stabilito la sera prima con massaro Alfio. “No – dissi io – il camion deve stare lì”.

Il capo ciurma mi guardò e fece mettere il camion dove avevo indicato io. Nel frattempo gli operai si erano alzati e cominciavano a mettersi al lavoro. Il capo ciurma diede disposizione di tirare fuori dal magazzino la bascula. Io mi avvicinai agli uomini che la trasportavano e la feci posizionare nel luogo che avevo stabilito la sera prima assieme a massaro Alfio. Il capo ciurma tentò di obiettare che era meglio posizionarla diversamente, ma gli dissi chiaramente che il posto giusto era quello che avevo indicato io.

Nel frattempo alcuni uomini cominciarono a prendere le cassette delle arance e le portavano fuori dal magazzino, ma le posizionavano in maniera disordinata alcune di qua e altre di là. Alla mia osservazione il capo ciurma rispose che non era un problema, le cassette potevano essere posizionate anche in posizione sparsa. Si accese una discussione tra me e lui. Tutti gli operai si fermarono a guardare come sarebbe andata a finire. Mi rivolsi a massaro Alfio e dissi “dammi il tuo fucile – e me lo misi a tracolla – e vai a prendere l'altro fucile che è in casa”. Poi mi rivolsi agli operai che mi guardavano e dissi in maniera risoluta “accatastate le cassette delle arance tutte insieme e qui!” e fu chiaro che le mie parole non ammettevano né discussione, né replica.

In quel momento il capo ciurma lanciò un urlo, aprì le braccia e cadde per terra all'indietro. Rimasi allibito. Pensai che fosse una sceneggiata per distogliere l'attenzione. Mentre stavo attento e con i riflessi pronti a seguire gli eventi per prendere le decisioni più opportune notai che nel cadere all'indietro la testa del capo ciurma aveva sfiorato lo spigolo di ferro della bascula. Mi resi conto che non era una sceneggiata isterica, ma una crisi epilettica vera. Se avesse voluto fare una simulazione si sarebbe buttato per terra in maniera da non rischiare di ferirsi. La schiuma alla bocca più che le convulsioni, mi confermarono che la mia diagnosi era esatta (ero al quarto anno di medicina). Restituii il fucile a massaro Alfio che nel frattempo era tornato e mi inginocchiai accanto a lui, introdussi un legno tra i denti affinché non si ferisse accidentalmente la lingua.

Prestai per quanto possibile assistenza, aspettando che cessassero le convulsioni e quando poco dopo rinvenne ebbi la certezza che si era trattato di una crisi epilettica. Era la prima volta che assistevo ad una crisi epilettica.

Dopo questo episodio tutte le operazioni di pesa e di consegna delle arance si svolsero con assoluta tranquillità e notai come gli operai, che la sera prima avevano cercato di prendermi in giro, mi guardassero con deferenza e rispetto. Ritengo che avessero capito che ero uno studente che andava all'università per studiare seriamente e non solo per divertirsi.

Quando tutte le operazioni di consegna furono terminate era già tardi ed io avevo il laboratorio di Patologia Medica per cui senza neppure cambiarmi né l'abito, né gli scarponi, che erano pieni di fango mi misi in macchina e corsi all'università. Arrivai che la lezione era già cominciata, ed entrai.

L'assistente che teneva la lezione guardò il mio abbigliamento e disse “Da dove viene?” “Dalla campagna – risposi – ho consegnato le arance!” Lui annuì ed io andai a prendere posto.

P.S. -Penso che i miei nipoti resteranno piuttosto sorpresi da questa mia storia. Tanti particolari sembreranno a loro strani. Voglio chiarire alcuni dettagli.
   A quell'epoca, spesso, durante la raccolta delle arance o dell'uva gli operai tornavano a casa solo alla fine della settimana o alla fine della raccolta.
   Negli anni cinquanta era la prima volta che molte ragazze accedevano all'università, per cui non erano ben viste da molte persone, specie da quelle culturalmente poco evolute.
   Era abbastanza frequente che il massaro o il padrone girasse per la sua campagna armato di fucile, era un segno del potere ed anche un deterrente nei confronti di persone malintenzionate.

Voglio ricordare che si tratta di fatti vissuti che sono ancora impressi nella mia mente.


371
Altro / Re: La consegna delle arance
« il: Settembre 23, 2011, 21:30:54 »
Allora ... uno a zero per voi e palla a centro ...

Avete ragione, sia Nihil che Presenza.

Come ho detto ho iniziato da poco a frequentare questo sito e inoltre sono piuttosto imbranato in informatica.

Seguo i vostri suggerimenti.

372
Altro / La consegna delle arance
« il: Settembre 22, 2011, 23:33:48 »
È da pochi giorni che ho scoperto questo sito e la sera passo il tempo a visitarlo.

Fino a questo momento mi sono limitato a leggere e a esprimere qualche commento, più sul contenuto che sulla forma.

Anche io ho scritto molte cose. Prevalentemente si tratta di appunti di vita vissuta. Non ho mai pubblicato nulla. È tutto conservato nel mio computer.

Pensavo di dedicare queste mie memorie principalmente ai miei nipoti. Così, quando saranno più grandi, potranno leggerle e apprendere quanto era folle il loro nonno …

Un racconto di Mya mi ha stimolato e mi ha fatto venire in mente l’idea di dare una visione di come era la vita universitaria di oltre cinquanta anni fa …

Ho messo questo mio scritto nella categoria "Umoristico" e nella discussione "Universitari"

Chi è interessato o incuriosito, se vuole, può andare a leggerlo lì.


373
Altro / Re: Universitari.
« il: Settembre 22, 2011, 23:26:20 »
E410 026 1957 - 21 anni - La consegna delle arance

(scritto il 6 agosto 2010)

Una sera mio padre mi disse “domani raccolgono le arance e dopodomani mattina devono essere consegnate alla ditta MS. Io non ci posso andare e ci devi andare tu. Domani ti prendi la macchina, non torni a casa, ma vai a dormire in campagna. Il camion arriva all'alba e fai la consegna delle arance. Poi te ne vai all'università”. La ditta MS era un commerciante di agrumi particolarmente “difficile” e mio padre cercava sempre di evitare di trattare e vendere le arance a lui. Quell'anno il mercato era piatto e mio padre fu costretto a vendere le arance proprio a lui. Io sapevo bene chi era la ditta MS e quanto difficile fosse il compito che mi aspettava.

La sera, dopo l'università andai direttamente in campagna. Arrivato, trovai tutti gli operai che avevano raccolto le arance (oltre quindici persone) seduti attorno al fuoco che mangiavano.

Infatti durante la raccolta era consuetudine che gli operai non tornassero a casa, ma rimanevano in campagna e dormivano nel magazzino sopra la paglia. Attorno al fuoco, assieme agli operai, c'era anche massaro Alfio armato di fucile. Posai la macchina, mi avvicinai e salutai tutti.

Risposero al mio saluto e mi invitarono a mangiare con loro. Sapevo che non accettare l'invito sarebbe stato scortesia pertanto risposi che accettavo l'invito e avrei mangiato con loro soltanto dopo aver fatto il controllo delle arance raccolte e del lavoro fatto.

Con massaro Alfio feci un giro per controllare il lavoro fatto e le arance raccolte, le quali erano accatastate in cassette di plastica dentro il magazzino. Resomi perfettamente conto della situazione (sapevo che avrei dovuto fare rapporto dettagliato a mio padre) tornai dagli operai e mi sedetti assieme a loro attorno al fuoco. Mi offrirono il loro pane e le olive che arrostivano sulla brace accesa, che accettai, anzi mangiavo con piacere, perché quel cibo per me era veramente buono.

Mentre mangiavamo tutti insieme cominciarono a scherzare sugli studenti universitari che anziché andare a lavorare facevano finta di studiare e si divertivano con le ragazze, facevano battute pesanti anche sulle ragazze che anziché stare a casa a fare la calza andavano all'università per farsi scopare. Io stavo allo scherzo anche se in certi momenti diventava pesante. Mi chiedevano quante ragazze mi ero portato in macchina, se cambiavo una ragazza ogni settimana oppure una al giorno, e via di questo passo. Io stavo al gioco e non mi tiravo indietro anzi vantavo anche avventure immaginarie. Nel frattempo studiavo tutti. Con la coda dell'occhio studiavo il capo ciurma, che stava silenzioso. Quasi sicuramente anche lui osservava me e si chiedeva se ero un figlio di papà imbecille che lui avrebbe potuto raggirare tranquillamente. Anche massaro Alfio era seduto, con il fucile accanto, attorno al fuoco e mangiava in silenzio assieme a noi.

Poi ce ne andammo tutti a riposare perché l'indomani, prima del sorgere del sole bisognava essere tutti alzati e pronti per il lavoro. Prima di andare a letto parlai con massaro Alfio e pianificammo il lavoro dell'indomani per la consegna delle arance: in quel posto lì si doveva posteggiare il camion, qui avremmo posto la basculla per la pesa delle casse, invece in questo altro posto sarebbero state accatastate le casse prima di essere pesate e in quest'altro dopo la pesa, e così via.

La mattina presto, il cielo cominciava appena a schiarire, io ero già alzato e sul posto di lavoro. C'era anche massaro Alfio, il capo ciurma e solo uno o due operai appena alzati che si lavavano il viso vicino al pozzo. “Mattiniero è il signorino!” esclamò il capo ciurma con meraviglia. Non risposi alla battuta. Poco dopo arrivò il camion e il capo ciurma lo fece mettere in un posto che non era quello che avevo stabilito la sera prima con massaro Alfio. “No – dissi io – il camion deve stare lì”.

Il capo ciurma mi guardò e fece mettere il camion dove avevo indicato io. Nel frattempo gli operai si erano alzati e cominciavano a mettersi al lavoro. Il capo ciurma diede disposizione di tirare fuori dal magazzino la bascula. Io mi avvicinai agli uomini che la trasportavano e la feci posizionare nel luogo che avevo stabilito la sera prima assieme a massaro Alfio. Il capo ciurma tentò di obiettare che era meglio posizionarla diversamente, ma gli dissi chiaramente che il posto giusto era quello che avevo indicato io.

Nel frattempo alcuni uomini cominciarono a prendere le cassette delle arance e le portavano fuori dal magazzino, ma le posizionavano in maniera disordinata alcune di qua e altre di là. Alla mia osservazione il capo ciurma rispose che non era un problema, le cassette potevano essere posizionate anche in posizione sparsa. Si accese una discussione tra me e lui. Tutti gli operai si fermarono a guardare come sarebbe andata a finire. Mi rivolsi a massaro Alfio e dissi “dammi il tuo fucile – e me lo misi a tracolla – e vai a prendere l'altro fucile che è in casa”. Poi mi rivolsi agli operai che mi guardavano e dissi in maniera risoluta “accatastate le cassette delle arance tutte insieme e qui!” e fu chiaro che le mie parole non ammettevano né discussione, né replica.

In quel momento il capo ciurma lanciò un urlo, aprì le braccia e cadde per terra all'indietro. Rimasi allibito. Pensai che fosse una sceneggiata per distogliere l'attenzione. Mentre stavo attento e con i riflessi pronti a seguire gli eventi per prendere le decisioni più opportune notai che nel cadere all'indietro la testa del capo ciurma aveva sfiorato lo spigolo di ferro della bascula. Mi resi conto che non era una sceneggiata isterica, ma una crisi epilettica vera. Se avesse voluto fare una simulazione si sarebbe buttato per terra in maniera da non rischiare di ferirsi. La schiuma alla bocca più che le convulsioni, mi confermarono che la mia diagnosi era esatta (ero al quarto anno di medicina). Restituii il fucile a massaro Alfio che nel frattempo era tornato e mi inginocchiai accanto a lui, introdussi un legno tra i denti affinché non si ferisse accidentalmente la lingua.

Prestai per quanto possibile assistenza, aspettando che cessassero le convulsioni e quando poco dopo rinvenne ebbi la certezza che si era trattato di una crisi epilettica. Era la prima volta che assistevo ad una crisi epilettica.

Dopo questo episodio tutte le operazioni di pesa e di consegna delle arance si svolsero con assoluta tranquillità e notai come gli operai, che la sera prima avevano cercato di prendermi in giro, mi guardassero con deferenza e rispetto. Ritengo che avessero capito che ero uno studente che andava all'università per studiare seriamente e non solo per divertirsi.

Quando tutte le operazioni di consegna furono terminate era già tardi ed io avevo il laboratorio di Patologia Medica per cui senza neppure cambiarmi né l'abito, né gli scarponi, che erano pieni di fango mi misi in macchina e corsi all'università. Arrivai che la lezione era già cominciata, ed entrai.

L'assistente che teneva la lezione guardò il mio abbigliamento e disse “Da dove viene?” “Dalla campagna – risposi – ho consegnato le arance!” Lui annuì ed io andai a prendere posto.

P.S. -Penso che i miei nipoti resteranno piuttosto sorpresi da questa mia storia. Tanti particolari sembreranno a loro strani. Voglio chiarire alcuni dettagli.
   A quell'epoca, spesso, durante la raccolta delle arance o dell'uva gli operai tornavano a casa solo alla fine della settimana o alla fine della raccolta.
   Negli anni cinquanta era la prima volta che molte ragazze accedevano all'università, per cui non erano ben viste da molte persone, specie da quelle culturalmente poco evolute.
   Era abbastanza frequente che il massaro o il padrone girasse per la sua campagna armato di fucile, era un segno del potere ed anche un deterrente nei confronti di persone malintenzionate.

Voglio ricordare che si tratta di fatti vissuti che sono ancora impressi nella mia mente.


374
Altro / Re: Universitari.
« il: Settembre 22, 2011, 23:21:37 »
È da pochi giorni che ho scoperto questo sito e la sera passo il tempo a visitarlo. Fino a questo momento mi sono limitato a leggere e a esprimere qualche commento, più sul contenuto che sulla forma.

Anche io ho scritto molte cose. Prevalentemente si tratta di appunti di vita vissuta. Ma, non ho mai pubblicato nulla. È tutto conservato nel mio computer.

Pensavo di dedicare queste mie memorie principalmente ai miei nipoti. Così, quando saranno più grandi, potranno leggerle e apprendere quanto era folle il loro nonno …

Questo racconto di Mya (ho già commentato qualche suo scritto che mi è piaciuto) mi ha stimolato e mi ha fatto venire in mente l’idea di dare una visione di come era la vita universitaria più di cinquanta anni fa …

Così mi sono lanciato anch’io nell’agone degli Zammiani …

A voi questo mio scritto …

375
Umoristico / Re: LA NOTTE DEL BERLUSCA
« il: Settembre 22, 2011, 22:40:38 »
Oltre alle licenze poetiche è assolutamente surreale!
Malgrado tutte le congiure di questo "bel paese" non molla!

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