Visualizza post

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i post inviati da questo utente. N.B: puoi vedere solo i post relativi alle aree dove hai l'accesso.


Post - Doxa

Pagine: 1 2 [3] 4 5 ... 181
31
Arte / Re:Angel of grief
« il: Luglio 06, 2024, 10:42:09 »
“Ricordami”

“Tu ricordami quando sarò andata
lontano, nella terra del silenzio,
né più per mano mi potrai tenere,
né io potrò il saluto ricambiare.

Ricordami anche quando non potrai
giorno per giorno dirmi dei tuoi sogni:
ricorda e basta, perché a me, lo sai,
non giungerà parola né preghiera.

Pure se un po’ dovessi tu scordarmi
e dopo ricordare, non dolerti:
perché se tenebra e rovina lasciano

tracce dei miei pensieri del passato,
meglio per te sorridere e scordare
che dal ricordo essere tormentato”.


Christina Rossetti



Questa poetessa nacque a Londra il 5 dicembre 1830 e vi morì il 29 dicembre 1894.

Era la sorella di Dante Gabriel Rossetti, uno dei fondatori del “preraffaellismo”.

Questi due personaggi sono a me ben noti perché figli di Gabriele Rossetti, poeta, critico letterario e patriota antiborbonico; nacque a Vasto, lo stesso luogo dei miei avi del ramo paterno. 

32
Cinema e Tv / "Le cose che non ti ho detto"
« il: Luglio 06, 2024, 10:02:17 »
Ieri sera su Rai 3  ho visto un film che reputo di buon livello: è titolato “Le cose che non ti ho detto”.

Grace e Edward sono sposati da 29 anni. Entrambi in pensione, abitano nella piccola città costiera di Seaford, nel Sussex.



 

Grace è una donna piacente, religiosa,  raccoglie poesie per farne un’antologia. Cita a memoria i versi di William B. Yeats, Christina Rossetti ed Henry King; lui, più anziano, è un ex insegnante che  continua a fare ricerche del periodo napoleonico.

Una coppia che si sopporta senza infastidirsi a vicenda, ma  entrambi incapaci di tenerezza. Grace un giorno protesta: “Voglio una reazione, un vero matrimonio. Perché scappi sempre da me?”. Edward replica: “Ho sempre la sensazione di essere nel torto con te, mi fai sentire sbagliato”.

Edward e Grace hanno un figlio, Jamie, che vive a Londra.


 

Su richiesta del padre il ragazzo va a  trovare i genitori in un fine settimana. La prima sera del suo arrivo, la cena in famiglia si conclude con una lite tra Grace e Edward, e Jamie si rende conto che il weekend sarà affliggente.

Il giorno dopo Grace si reca in chiesa per la messa e Jamie viene a sapere da suo padre il vero motivo del  suo invito: “Ho intenzione di lasciare tua madre. Per quanto sembri ridicolo, mi sono innamorato”. L’altra donna, di nome Angela, lo rende felice e libero di essere sé stesso.

Il genitore si confida con il figlio e gli racconta del primo incontro con Grace, sul perché  all’epoca ha cominciato una relazione con lei e sui motivi che lo hanno indotto a concludere  il rapporto dopo tanti anni.

Durante la colazione il marito comunica alla moglie che il loro matrimonio è finito, e che da un anno ha una nuova compagna.
Grace non accetta che Edward voglia rompere la loro relazione. Ma la decisione dell’uomo è irrevocabile e se ne va. Prima così mite e remissivo, quasi rassegnato, molla tutto per raggiungere la nuova compagna. Ha  deciso di dire basta,  perché consapevole che non è mai stato veramente felice con Grace,  imperativa ed energica.

Jamie  ha  suoi problemi con una  probabile partner, comunque tenta di confortare sua madre,  ma la donna non ha la forza di reagire.

Molti matrimoni durano anni tra silenzi e solitudini coniugali. Poi per uno dei due giunge il momento di dare una svolta alla propria vita anche se non si è più giovani. 

Il significato del film  è racchiuso in una frase detta nel finale: “All’inizio c’erano tre persone infelici, ora ce n’è solo una”. Questa persona è ovviamente Grace.

La frase può sembrare cinica o crudele, ma nelle relazioni di coppia spesso è così.

Si può decidere di lasciare la propria compagna di vita dopo tanti anni di unione e le si vuole ancora bene ma non è amore ? Sì, può accadere se all’amore non fa seguito la felicità, il fine ultimo, la ragione di un’intera esistenza. Come dire: non è mai troppo tardi per ricominciare, voltare pagina e trovare una seconda strada, nonostante la tarda età, il lungo passato di coppia, un figlio, la tranquillità economica.

L’infelicità non deve essere una condanna ma motivo per cambiare rotta.  L’incompatibilità tra due persone prima o poi emerge e non è sufficiente nasconderla in una dimensione d’amore soltanto illusiva.

33
Arte / Re:San Giovanni Battista
« il: Giugno 27, 2024, 20:28:00 »
/2

Erodiade, cognata e amante del tetrarca Erode Antipa (settimo figlio di Erode il Grande), fece tacere per sempre la voce profetica di Giovanni Battista, che gridò a quel re: “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”.

La teatrale esibizione della testa mozzata per far tacere quel testimone nel contesto conviviale, univa in modo lugubre parlare e mangiare. Durante quel pranzo organizzato in occasione del suo compleanno,  Erode Antipa rimase ammaliato nel vedere danzare Salomé, la figlia di Erodiade. Il re, davanti ai commensali, disse a Salomé: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”. La ragazza si consultò con la madre e chiese al sovrano che le venisse subito portata su un vassoio la testa di Giovanni Battista.  Come è noto la sua richiesta fu esaudita. 

La liturgia cattolica il 29 agosto di ogni anno commemora quella decollazione e altri due avvenimenti collegati al Battista:

1. la costruzione basilica in suo onore edificata sul luogo del suo presunto sepolcro (il corpo senza testa) a Samaria,  successivamente denominata Sebaste, in Israele. 

2. Nel IV secolo il “ritrovamento” della “testa del santo” durante i lavori effettuati sul sito dell’antico palazzo di Erode.  Si narra che l’imperatore Teodosio l’avrebbe fatta trasportare a Costantinopoli negli anni ’90 del IV secolo: sarebbe arrivata nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente un 29 agosto, data  poi divenuta la festa della decollazione del Battista e della traslazione delle sue reliquie.

Una domanda “sorge spontanea”: è  la stessa testa che il pontefice Innocenzo II fece poi traslare a Roma per farla custodire nella chiesa di San Silvestro in Capite ?  Oppure  quei frammenti cranici furono portati in Francia nel 1206 e collocati  nella cattedrale di Amiens ?

Le solite false reliquie, concesse alla venerazione della religiosità popolare !

Nella storia della cinematografia non è mancata la smitizzazione con il bel film del 1940 interpretato da Totò, gran devoto di San Giovanni decollato. L’attore s’indigna contro chi sottrae l’olio dal lumino dedicato al Battista.
 
Nel primo secolo d. C. lo storico giudaico filo-romano  Giuseppe Flavio nella sua opera “Antichità Giudaiche”, pubblicata nel 93 – 94, dice che il Battista fu giustiziato nel carcere della fortezza di Macheronte (Machaerus), a 24 km dalla foce del fiume Giordano nel Mar Morto.


 vista panoramica di Macheronte con il Mar Morto sullo sfondo.


resti della fortezza di Macheronte

In quel sito archeologico dal 1968 gli scavi hanno riportato alla luce i resti del palazzo reale erodiano,  entro cui forse avvenne il martirio di Giovanni il battezzatore.   

34
Arte / San Giovanni Battista
« il: Giugno 27, 2024, 18:31:59 »
L’altro giorno, 24 giugno, il calendario ha commemorato  san Giovanni Battista. La ricorrenza mi ha fatto pensare all’evangelista Marco e al suo racconto della decapitazione del battezzatore, detto il precursore di Gesù Cristo.

Dal Vangelo di Marco: “Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: ‘Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi’. Altri invece dicevano: ‘È Elia’. Altri ancora dicevano: ‘È un profeta, come uno dei profeti’. Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: ‘Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!’.

Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l'aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: ‘Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello’. Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.

Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell'esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: ‘Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò’. E le giurò più volte: ‘Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno’. Ella uscì e disse alla madre: ‘Che cosa devo chiedere?’. Quella rispose: ‘La testa di Giovanni il Battista’. E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: ‘Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista’. Il re diventò triste, ma per rispettare il giuramento fatto alla ragazza davanti ai commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro”
(6, 14 – 29).

La scena della decapitazione fu dipinta in da Caravaggio durante la sua permanenza a Malta.


Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, “Decollazione di San Giovanni Battista”, 1608,  olio su tela di cm 361 x 520, Oratorio della concattedrale di San Giovanni Battista, La Valletta, Malta.

Nella tela la direzione del fascio di luce, sulla sinistra, è la stessa di quella proveniente  da una finestra dell’oratorio, per cui la scena della decollazione sembra illuminata in modo naturale.

Ci sono il carceriere: dalla sua cinta pendono le chiavi delle celle, con la mano destra indica il bacile;   il carnefice che sta per staccare la testa  di Giovanni con un coltello, il mannarino, che sorregge nella mano destra dietro la schiena;  una giovane che ha un bacile  in cui   mettere la testa del Battista;  un’anziana donna con le mani sul volto per l'orrore; sulla destra  la finestra con la grata, dietro di essa  due carcerati assistono  all’esecuzione; una corda fissata al soffitto e legata ad un anello sulla parete con la finestra fa intuire cos'era successo al santo  prima  di essere slegato ed ucciso.

Giovanni è  disteso in terra con le mani legate dietro le spalle. Un drappo rosso copre la nudità nella zona del bacino; sotto il lenzuolo s’intravede la sua abituale veste di peli di cammello durante l’eremitaggio nel deserto.  In terra, vicino la sua  testa c'è la spada con la quale inizialmente è stato colpito.

Diversamente dall’iconografia classica, con il battista ritratto già senza testa, qui l’artista lo ha raffigurato nel momento precedente. Dalla tela è  possibile intuirne l’antefatto:  Giovanni è stato arrestato, ma Erode, per timore delle reazioni della folla, non osa deciderne la fine, però per esaudire  la giovane Salomé ordina la decapitazione del  santo.

Con difficoltà si può notare la firma dell’autore: “f. MichelAng[e]lo”, vicina  al rivolo di sangue che esce dalla gola del battezzatore.

35
Arte / Jesse Draxler
« il: Giugno 11, 2024, 18:52:34 »

 
Jesse Draxler è un artista statunitense nato il 5 gennaio 1981 in un piccola città rurale nel Wisconsin.

Le sue opere uniscono pittura digitale  fotografia, collage. Sono spesso caratterizzate da manipolazioni del volto umano o altre distorsioni visive.  Raffigurano volti scomposti, ma anche soggetti con parti del corpo mancanti o inserite dove non dovrebbero. 

Jesse Draxler sottopone i suoi personaggi a un processo di decostruzione e successiva ricostruzione per mostrarli come esseri paradossali, surreali. Stravolge le caratteristiche originarie per ottenere entità diverse, insolite e inaspettate.

Questo artista è affetto da discromatopsia, una forma di daltonismo che impedisce di vedere chiaramente il rosso e il verde. Anche per questo nei suoi lavori l’uso dei grigi, dei bianchi e dei neri non è casuale: l’artista ha una tavolozza solo apparentemente monocorde, capace però di cogliere le tante sfumature dei cosiddetti “non colori”:
 
“Abbandonare i colori per me è stata una scelta che mi ha permesso di dedicarmi alla composizione, i dettagli, le sfumature”.




36
Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Incomunicabilità nella coppia
« il: Giugno 01, 2024, 12:35:32 »
Nell’altro topic titolato “Tris di cuori” ho riassunto ciò che scrisse lo psicologo statunitense Michael P. Nichols nel suo libro titolato “L’arte perduta di ascoltare”, pubblicato nel 1997.

Quel post lo aggiungo anche qui perché pertinente al tema.

L’autore ha scritto che “Nulla fa soffrire quanto la sensazione che chi ci è vicino non stia ascoltando veramente ciò che abbiamo da dire”.

Nel rapporto di coppia e nell’ambito della famiglia a volte capita di non essere ascoltati per mancanza d’interesse da parte dell’interlocutore. Ma se manca la reciproca attenzione s’interrompe l'interazione, e col tempo quando uno dei due si stanca di non essere ascoltato con attenzione ed empatia, non ne può più del mutismo o dell’indifferenza dell’altro/a, cerca una terza persona con cui sia più facile comunicare, che ascolta e comprende.

Suscita delusione e frustrazione chi non sa ascoltare o chi interrompe l’interlocutore per dire ciò che pensa prima di capire ciò che ha detto l’altra persona. Tale modo di agire preclude la possibilità della reciproca comprensione.
Essere ascoltati significa che ciò che si dice ha importanza, merita l’attenzione.

Quando una donna ha un problema, vuole esprimere la frustrazione di una giornata negativa o stancante desidera liberarsi dalla tensione emotiva, vuole dialogare col partner o con qualcuno che l’ascolta, non cerca una soluzione, vuole solo comprensione e sostegno.

Invece quando un uomo ha un problema o è frustrato perché ha avuto una giornata pesante, non cerca comprensione, si chiude nel silenzio, si isola, legge il giornale o finge di guardare la televisione. Pensa come risolvere la questione, cerca il confronto di opinioni, un consiglio, una soluzione.

Comprendere non significa concordare ma conoscere l’opinione o l’aspettativa del compagno o della compagna, ma per poter comprendere è necessario ascoltare con attenzione. Può capitare che durante una discussione si pensi alla risposta da dare anziché udire compiutamente cosa dice l'altro/a.
Ascoltare in modo attivo significa interessarsi a ciò che dice con le parole e ciò che lascia intendere con il linguaggio non verbale.

Se la comunicazione diventa disfunzionale la coppia va incontro a frustrazioni, malintesi e rancori che allontanano. ‘‘Non mi capisci!‘‘, ‘‘con te non si può discutere!‘‘.... Frasi ricorrenti come queste possono mettere in crisi il rapporto coppia e causare l’incomunicabilità dei propri desideri, emozioni, pensieri... Invece la comunicazione amorosa necessita della reciproca capacità di esprimere a parole il proprio mondo emozionale e sentimentale; capacità che hanno la maggioranza delle donne; invece gli uomini, per natura e cultura, generalmente conoscono poco quel tipico modo di relazionarsi.

Con il dialogo si possono chiarire le rispettive opinioni e giungere ad un accordo che soddisfi entrambi tramite il confronto costruttivo.
Se invece ognuno dei due rimane nelle rispettive posizioni antagoniste subentra la delusione, il rancore, e col tempo la voglia di separarsi, specie se la donna lavora ed ha un reddito sufficiente per vivere in modo autonomo.

Ci sono partner che pur continuando a comunicare informano sempre meno il compagno o la compagna sul loro vissuto in rapporto con l’altro/a, sui loro stati d’animo, e s’avviano verso una silente crisi. Aumenta in ognuno dei due la solitudine interiore, diminuisce la voglia di continuare insieme il percorso della vita, di fare progetti comuni. E si può giungere alla depressione, la quale potrebbe essere la spia della propria insoddisfazione esistenziale che preme per essere ascoltata. In tale condizione psicologica se s’incontra un altro/a che ci fa tornare la voglia di vivere, ridere, è facile illudersi, farsi coinvolgere dall’infatuazione, che diventa l’antidepressivo.

Nel rapporto di coppia a volte capita di non essere ascoltati per mancanza d’interesse da parte del/la partner. E quando entrambi protestano che il proprio comportamento è la reazione a quello dell'altro, occorre chiarire ciò che s'intende dire. La mancanza di un equilibrato scambio di opinioni è tra le maggiori cause di dissidio.

La mancanza di un equilibrato scambio di opinioni è tra le maggiori cause di dissidio. Ipercriticismo, ambiguità, disconferme, l'elusione di problemi, rendono la comunicazione disfunzionale.

La conversazione può influenzare positivamente la relazione oppure creare incomprensioni, opinioni dissonanti, pregiudizi, reciproco ascolto disattento, risonanze negative suscitate da frasi non meditate. Le parole, infatti, possono essere lievi come il volo di una farfalla oppure pesanti come un macigno, possono essere farmaco ma anche veleno.

37
Pensieri, riflessioni, saggi / Incomunicabilità nella coppia
« il: Giugno 01, 2024, 12:23:28 »
Incomunicabilità.

Comunichiamo  con le parole, la prossemica, la gestualità, ecc., ma  riusciamo davvero a farci capire  dalla persona con la quale parliamo ? Riusciamo sempre a trasmettere all’altro/a  le nostre intenzioni ?

Lo scrittore Italo Calvino ne “Gli amori difficili” (raccolta di 15 racconti pubblicata nel 1970) evidenzia la difficoltà di riuscire a comunicare il proprio amore: “gli amori che vivono sono amori incompleti, mai realmente cominciati e sicuramente destinati a non finire”.

L’amore e il silenzio si scontrano. Il significato delle parole rimane sospeso in un limbo.

L’incomunicabilità  rende difficile o impossibile comunicare le proprie emozioni o i sentimenti. Tale incapacità  induce ad una condizione di isolamento e solitudine, come in alcuni film realizzati  dal regista Michelangelo Antonioni: “L’Avventura”  e gli   altri tre film inseriti nella tetralogia esistenziale o “trilogia dell’incomunicabilità”, La notte, l’Eclisse e Deserto rosso).

Quei film privilegiano l’amore con le sue complicazioni. L’uomo e la donna:  due universi paralleli incapaci di convergere in un punto d’incontro.  Da questa assenza di comprensione reciproca, deriva l’incomunicabilità che si traduce col silenzio.

Un altro noto scrittore, Luigi Pirandello, in  “Sei personaggi in cerca d’autore”: “E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci; non c'intendiamo mai!”.

Si legge in “Uno nessuno centomila”: “Ma il guaio è che voi non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco. Abbiamo usato la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo se le parole per sé sono vuote?” e “C’è in me e per me una realtà mia: quella che io mi do; una realtà vostra in voi e per voi: quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse né per voi né per me”.

Ascoltare per comprendere ma anche per farsi capire, in reciproca cooperazione dialogica.

Saper ascoltare per capire l'interlocutore è l’attività comunicativa che necessita del coinvolgimento cognitivo, dell’empatia, della capacità di entrare in sintonia con lui/lei comprendendo il suo punto di vista. 

Una frase attribuita all’antico filosofo greco Epitteto afferma: “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà”.

segue


38
Cogito ergo Zam / "Dannazione"
« il: Maggio 26, 2024, 17:10:07 »
“Dannazione”

“Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?”


Questo distico fu scritto dal poeta ermetico Giuseppe Ungaretti il 29 giugno 1916 a Mariano del Friuli durante  la prima guerra mondiale cui partecipò come soldato. La sua biografia  influenzò il suo modo di scrivere e la scelta dei temi.
 
I tre versi iniziano con la maiuscola, quasi a formare tre strofe distinte.

Il primo verso comincia con un’ellissi (cioè il verbo essere è sottinteso: “Sono” chiuso fra cose mortali), il poeta riflette sui limiti e sulla finitudine dell’uomo;
 
il secondo verso, tra parentesi,  coinvolge in questa riflessione anche il cielo stellato: benché sembri immutabile, anch’esso un giorno finirà;

col terzo verso,  “Perché bramo Dio ?”  il poeta   si chiede: “Se l’individuo è un essere mortale, chiuso da cose mortali, come può egli desiderare  Dio ?” Perché negli individui c’è il desiderio d’infinito e l’anelito verso il divino ?  Attorno a questa antinomia c’è la secolare ostinazione della filosofia e della teologia, per escogitare le possibili dimostrazioni dell’esistenza di Dio.

La risposta gli  verrà anni dopo, quando Ungaretti troverà posto alle sue inquietudini nella tradizione cristiana. "La parola dell'anno liturgico mi si era fatta vicina nella fede" scriverà dopo un soggiorno di sette giorni presso il monastero di Subiaco nel 1928: da lì gli verrà l'ispirazione per gli "Inni": "Dio, guarda la nostra debolezza" dirà nella "Pietà".

39
Pensieri, riflessioni, saggi / Re:"Tris di cuori"
« il: Maggio 24, 2024, 15:16:12 »
Di solito l’amore nella tarda età è naturalmente diverso: si sta insieme perché per entrambi è piacevole stare insieme: significa presenza fisica, condivisione di programmi, è disincanto.

La persona amata, con la quale si condivide la quotidianità, se all'improvviso ci abbandona o muore, provoca un vuoto, la sua perdita crea una lacerazione psicologica, la sofferenza. Fa capire quanto la persona amata sia decisiva per la propria esistenza.

La perdita dell’amata/o agisce sull’essere, contribuisce a “svelarlo” induce a modifiche psicologiche: l’avere e l’essere subiscono mutamenti nel divenire, costringe l’individuo a trovare nel dolore lo spazio per evolvere.

“Silenziosamente
ci siamo intesi.
La bella stagione che sta per finire
scioglie nel pianto quel dolce ricordo sbiadito dal tempo”.

La scena dei due coniugi anziani che reciprocamente si sostengono mentre camminano nel pendio del tramonto della vita, fa pensare, per contrasto alle tante coppie ormai indifferenti l’una all’altra, oppure a persone ormai sole.

Invecchiando s’impara che quelle che contano non sono le cose ma è il diverso modo in cui si guarda alle cose.

Il cambiamento di prospettiva verso il futuro, che diventa sempre più breve nella vecchiaia, dovrebbe facilitare a vivere nel presente, e non sopravvivere, mantenendo aspirazioni, desideri, interessi, gratificanti relazioni interpersonali.

"L'importante è non cadere nel conflitto, che chiude il cuore", disse papa Francesco durante l’udienza ai partecipanti dell’associazione cattolica “Retrouvaille” (= ritrovarsi) è dedita all’aiuto delle coppie in crisi, offerto a coppie sposate o conviventi che soffrono gravi problemi di relazione, che sono in procinto di separarsi o già separate o divorziate, che intendono ricostruire la loro relazione d’amore lavorando per salvare il loro matrimonio in crisi.
Molte persone sono convinte di amare, cominciano a convivere o si sposano credendo di essere fatti l’uno per l’altra, però dopo due o più anni la coppia implode o esplode. Eppure era vero amore.

Purtroppo nel tempo le esperienze possono cambiare comportamenti ed atteggiamenti. E può accadere di non credere più in una storia d'amore e rinunciarci perché uno dei partner od entrambi hanno esigenze diverse.

“Colpa mia o colpa sua ?” Si tende ad attribuire la colpa all’altro/a. Ma non serve a nulla chiedersi chi è il colpevole.

Le relazioni falliscono perché la scelta del/la partner è stata fatta in base a quello che conta di più nell’immediato e non a quello che conta di più nel lungo periodo, oppure in base a “norme contrattuali” considerate implicite ma non dichiarate.

Altre persone preferiscono avere storie parallele perché “… “mi spiace lasciarla, le voglio bene ed è una brava e bella ragazza. Temo anche di restare solo dopo di lei o di non trovarne un’altra con determinate caratteristiche. Vorrei la donna “giusta” al mio fianco…”

Ma esiste la "donna giusta" o l'uomo "giusto" ? Ognuno ha i propri difetti, che bisogna accettare, ma fino a che punto. Qual è il limite per dire basta ? Cambio partner !

Spesso, la fine di un amore è anticipato da distanza emotiva, dal distacco interpersonale, dall’apparire di determinati segnali che anticipano gli eventi futuri.

La fine del reciproco o unilaterale amore è l’esito di un processo iniziato molto tempo prima ma che, più o meno consapevolmente, si è fatto di tutto per non tenerlo nella dovuta considerazione.

40
Pensieri, riflessioni, saggi / "Tris di cuori"
« il: Maggio 24, 2024, 15:10:50 »
A Roma, nel teatro Golden, dal 9 al 19 maggio scorsi c’è stata la rappresentazione della commedia titolata “Tris di cuori”, con l’attrice Paola Barale ed altri attori.


Simone Montedoro, Paola Barale, Mauro Conte

La recensione dello spettacolo mi dà l’opportunità di argomentare sulla stanchezza del legame nel rapporto di coppia e si cercano altre opportunità…


La trama. Maria e Teresa (due persone in una, interpretate da Paola Barale) scrittrice di romanzi rosa, porta alle estreme conseguenze la sua incapacità di scegliere tra due partner.

Maria è la moglie di Giorgio (l’attore Simone Montedoro, docente di matematica “vecchio stampo” con sfumature decisamente noiose), nel contempo, per tre giorni a settimana è Teresa, moglie di Danny (l’attore Mauro Conte, musicista squattrinato ma di belle speranze, influenzato dai consigli dello sciamano Jim Morrison).

Due mariti, e la certezza che la felicità si raggiunge in tre, il numero perfetto.

Teresa spiega all’amica editrice Sara (Ilaria Canalini) che ciò che non troviamo in un partner induce l’insoddisfazione e la voglia, di colmare quelle mancanze cercando rifugio tra le braccia anche di un altro uomo.

Ma accadono gli imprevisti, come la gravidanza, che la costringe a fare i conti con un’altra realtà. Da lì la situazione tra comico e il tragico precipita con numerosi colpi di scena.

Ovviamente è una situazione fantasiosa, costruita sulla continuità dell’amore nel rapporto di coppia. La commedia fa ridere ma offre anche momenti di riflessione.


In un’intervista alla rivista “Vanity Fair” Paola Barale ha detto:

“Spesso non basta una persona sola per avere un rapporto di coppia perfetto. È forse per questo che i rapporti a due, quelli esclusivi che sogniamo tutti, oggi sono sempre più rari. Non conosco nessuno, me compresa, che non abbia subito tradimenti o che non abbia tradito. Nella mia mente resta solo il rapporto tra i miei genitori, insieme da 60 anni. Io, però, non li ho mai visti litigare. Il loro è sempre stato un rapporto rispettoso, ma d’altri tempi. Una volta quando si rompevano le cose, si tentava di aggiustarle. Oggi si buttano. Ma attenzione: restare insieme a ogni costo è sbagliato. Quando due persone non hanno più niente da dirsi, devono avere la possibilità di lasciarsi”.

E continua: “A me è capitato di essere corteggiata, e dopo di vedere sparire l’entusiasmo. Ma una relazione non la puoi abbandonare, non la puoi dare per scontato. Succede che ci si abitua, e spesso se ci sono i figli si resta. Io sono sempre andata via. E, forse alla luce del mio passato, adesso sto valutando l’idea dei due uomini. In passato preferivo l’esclusività, ma oggi credo che riuscire ad avere due situazioni in contemporanea voglia dire avere dei rapporti onesti e molto elevati. Finora non mi è mai capitato, ma non lo escludo”.

Paola al momento è single: “quello che vorrei mi sembra che non esista - dice - Vorrei un uomo che abbia tempo per me. Di solito devono sempre scappare, e io non ho voglia di correre dietro a nessuno. Fortunatamente non credo che sia necessario avere per forza un uomo vicino, mi basto da sola. Non ho figli e sono abbastanza forte per affrontare le separazioni. Non resto quando non ne ho voglia. E non mi accontento. È una questione di coerenza nei confronti di me stessa. Ho imparato da piccola l’indipendenza”.

41
Letteratura che passione / "Inviti superflui"
« il: Maggio 19, 2024, 16:14:18 »
“Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo  leggero, dicendo cose  insensate, stupide e care”.

Queste parole  forse evocano i “fidanzatini” che disegnava il vignettista francese  Raymond Peynet. Suscitano tenerezza. Furono scritte dall’indimenticato autore del “Deserto dei Tartari”, Dino Buzzati (1906 – 1972), giornalista e scrittore, ma nel tempo libero anche musicista e pittore.

La frase è nella narrazione titolata “Inviti superflui”, nella raccolta “Sessanta racconti”, pubblicata nel 1958.

Il protagonista chiede ad una donna che ama  di accompagnarlo  nella vita, ma poco a poco comprende che l’amata è diversa da lui e  continuerà da solo il cammino.

L’innamorato vede scorrere davanti a sé  liete stagioni, come in un sogno costantemente interrotto dalla coscienza.

Dino Buzzati: “Inviti superflui”. Questo è il testo:

“Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.

Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati.

Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra.

Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione.

Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care.
Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione.

Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna.
Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.

Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.

Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.

Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.

Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi.

Ed io sarei solo, è inutile.

Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita.
Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti.
Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia.
Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo.
Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.

Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare.
Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me.

Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre.
Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose”.



42
Pensieri, riflessioni, saggi / Preghiera dell'ateo
« il: Maggio 12, 2024, 11:31:19 »
“Ah, mio dio, Mio Dio,
perché non esisti?
Dio onnipotente, cerca (sfórzati) a furia di insistere
almeno di esistere”.


Queste frasi le scrisse il poeta livornese Giorgio Caproni (1912 – 1990): la  sua ricerca di Dio sembra una caccia alla preda che continuamente fugge, ma in realtà non esiste. Tuttavia la consapevolezza non determina la fine della caccia, ma tramite una preghiera teopoietica  produce la paradossale relazione di dipendenza dell’individuo nel Dio che gli manca.

Quella che Caproni chiama la sua “ateologia”  esprime interrogativi: il rammarico: “Ah, mio Dio, Mio Dio. Perché non esisti?”, la sarcastica esortazione: “Dio di volontà, Dio onnipotente, cerca (sforzati!) a furia d’insistere – almeno – d’esistere”.

La preghiera è un atto di comunicazione con il divino, un momento di riflessione e di connessione con il sacro.

Un altro “cercatore” di Dio che spiava eventuali segnali del dominus negato, fu il poeta francese Pierre Reverdy (1889 – 1960): “Ci sono atei  di un'asprezza feroce, che tutto sommato si interessano di Dio molto più di certi credenti frivoli e leggeri”. 

Infatti la linea di frontiera passa  non tra chi crede e chi nega, ma tra chi pensa e s’interroga e chi banalizza e si immerge nell’indifferenza o la superficialità.

Un altro “ideale fratello” di Caproni fu lo scrittore ateo russo Aleksandr Zinov’ev (1922 – 2006), in una sua pagina scrisse una preghiera che rappresenta bene quel momento segreto in cui un individuo si sente completamente solo, guarda il cielo e sa che non ha nessun abitatore. Eppure questa persona desidera che ci sia un testimone per le azioni dell’umanità, che ci sia uno che faccia veramente giustizia, che non sia corruttibile, che veda e registri tutta la sofferenza inflitta dagli altri.

La sua preghiera dice: "Ti supplico mio Dio, cerca di esistere almeno un poco, per me. Apri i tuoi occhi, ti supplico, non avrai altro da fare che questo: seguire ciò che succede, è ben poco ma, oh Signore, sforzati di vedere, te ne prego! Vivere senza testimoni, quale inferno! Per questo, forzando la mia voce, io grido, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango! Esisti, cerca di esistere".

La domanda rivela nell’autore il suo bisogno di un Dio onnipotente, onnisciente e onnipresente.

43
Arte / Re:Angel of grief
« il: Maggio 06, 2024, 21:39:50 »
Il 19 gennaio dello scorso anno  in questa sezione ho collocato un topic titolato “Tenersi per mano”. In questo topic desidero riproporre quel primo  post.



Nella relazione di coppia tenersi per mano o prendersi per mano allude al passaggio dall’io autoreferenziale al noi, alla dimensione unitaria.

Amarsi e tenersi per mano. Il tedesco Hermann Hesse (1877 – 1962), premio Nobel per la letteratura nel 1946, scrisse la bella poesia titolata: “Tienimi per mano”.

"Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…

Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…

Tienimi per mano
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere…

Tienimi per mano
nei giorni in cui mi sento disorientata,
cantami la canzone delle stelle, dolce cantilena di voci respirate…

Tienimi la mano
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te.

Tienimi per mano e non lasciarmi andare…mai”
.

Cliccare sul link

https://youtu.be/tWVmi8l-vuY

44
Arte / Re:Angel of grief
« il: Maggio 05, 2024, 12:43:50 »
Nel  precedente post ho evidenziato la postura dell’angelo ed ho scritto:

“il braccio sinistro invece è proteso in avanti e la mano lascia cadere dei fiori alla base dell’altare. La curvatura delle dita conferisce la sensazione di abbandono”.


Quella mano mi fa pensare ad una poesia di Louis Aragon, titolata: “Le mani di Elsa”.

“Dammi le tue mani per la mia inquietudine, / mani che ho sognato nella mia solitudine. / Dammi le tue mani perché io venga salvato…/ Taccia il mondo per un attimo perché la mia anima vi si addormenti per l’eternità”.


Queste frasi le ho desunte dalla poesia di  Aragon.

Il tepore delle mani di una persona che ti ama è il rifugio sereno dell’anima, per chi crede nella sua esistenza.

Il poeta evoca anche la frontiera ultima della vita. E’ ben diverso quell’atto estremo e solitario nell’isolamento totale di un ospedale, e avere invece una mano amata che prende la tua anima per ché “vi si addormenti per l’eternità”.

Questo è l'intero testo.

“Le mani di Elsa”

Dammi le tue mani per l’inquietudine
Dammi le tue mani di cui tanto ho sognato
Di cui tanto ho sognato nella mia solitudine
Dammi le tue mani perch’io venga salvato.

Quando le prendo nella mia povera stretta
Di palmo e di paura di turbamento e fretta
Quando le prendo come neve disfatta
Che mi sfugge dappertutto attraverso le dita.

Potrai mai sapere ciò che mi trapassa
Ciò che mi sconvolge e che m’invade
Potrai mai sapere ciò che mi trafigge
E che ho tradito col mio trasalire.

Ciò che in tal modo dice il linguaggio profondo
Questo muto parlare dei sensi animali
Senza bocca e senz’occhi specchio senza immagine
Questo fremito d’amore che non dice parole.

Potrai mai sapere ciò che le dita pensano
D’una preda tra esse per un istante tenuta
Potrai mai sapere ciò che il loro silenzio
Un lampo avrà d’insaputo saputo.

Dammi le tue mani ché il mio cuore vi si conformi
Taccia il mondo per un attimo almeno
Dammi le tue mani ché la mia anima vi s’addormenti
Ché la mia anima vi s’addormenti per l’eternità.

(Louis Aragon)

Questa poesia fu ispirata dall’amore per sua moglie, la poetessa russa Elsa Triolet, sorella di Lilia Brik, musa ispiratrice dello scrittore russo Vladimir Majakovskij.

45
Letteratura che passione / Re:Tragicità umana
« il: Maggio 01, 2024, 15:39:19 »
La tragedia greca è un genere teatrale nato nell'Ellade nel VI sec. a. C..
 
La sua messa in scena era per gli abitanti dell’Atene  di epoca classica uno spettacolo con valenze sociali.

Prima di divenire dramma intriso di lutto e di sventura reso immortale dai drammaturghi Eschilo, Sofocle e  Euripide, originariamente era collegata agli antichi riti in onore del dio Dioniso.  Veniva festeggiato  con danze, canti e feste.

Il noto filosofo greco Aristotele nella “Poetica” definisce la tragedia l'imitazione di un'azione vera.

Per Eschilo  la tragedia è collegata alla giustizia divina, al rapporto dell'uomo con le divinità.

Sofocle dice che  gli dei sono potenti ma lontani e la tragedia rappresenta il dolore e l'infelicità dell'uomo.

Euripide  entra nel merito delle relazioni individuali, coglie gli aspetti psicologici e comportamentali delle persone,  con i loro  limiti, vizi e virtù,  non hanno nulla di eroico.

Nella tragedia teatrale vengono messe in scena vicende esemplari  di dolore, sfortuna, atrocità, emotivamente coinvolgenti, che inducono lo spettatore a riflettere sulla fragilità della vita umana, sul bene e sul male, sulla vita e sulla dimensione divina. 

In origine la tragedia si ispirava alle divinità e agli eroi mitologici, portando in scena lo scontro dei personaggi con l’avverso fato  e l’ineluttabile destino.

Solitamente a dare il via alla vicenda era l’infrazione di un divieto, con cui veniva rotto l’equilibrio iniziale: era il momento dell’hamartìa, dell’errore che motiva il personaggio a compiere un gesto sacrilego: hybris.

Lo svolgimento della vicenda e, soprattutto, la conclusione (la nèmesis) erano spesso drammatici, segnati da fatti luttuosi, violenti e da gravi sofferenze.

Quegli antichi testi teatrali  venivano rappresentati con recitazioni da parte di attori,   lamentazioni funebri alternate da  cori (in versi lirici), musica, danza. L’azione era preceduta da un prologo recitato e da un  canto d’entrata del coro (pàrodos), e conclusa da un canto d’uscita del coro (èxodos).  Il canto corale era accompagnato solitamente dalla danza.

segue

Pagine: 1 2 [3] 4 5 ... 181