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« il: Febbraio 15, 2016, 10:40:41 »
Ci sono andati almeno in 80 mila, per rendere omaggio ai resti del santo cristiano più famoso del mondo, con gli occhi puntati oltre la teca di vetro e il cuore rivolto al cielo.
Un modo per avvicinarsi a Dio, o per chiedere al santo il miracolo atteso, e che riporta a galla la questione dell’idolatria nel Cattolicesimo.
È l’adorazione della materia che nella rappresentazione si fa divina, e davanti alla quale i parroci più scettici hanno sempre ammonito: le icone sono opera dell’uomo, non di Dio, e non possono essere adorate.
Eppure quelle reliquie, per milioni di cattolici, hanno sempre un senso profondo. L’Islam, al contrario, proibisce immagini sacre proprio per non distogliere il fedele dal proprio rapporto con Dio.
L’idolatria non è specifica del cristianesimo, ma è certo che in questa religione gli esempi abbondano. Nella tensione verso il sacro che caratterizza la vita di ogni credente, questi oggetti giocano un ruolo chiave perché creano una connessione con il divino e fungono da prova della validità della sua esistenza. Apparizioni, statue in lacrime con gli occhi o parti del corpo in movimento, tessuti che rivelano immagini e altro ancora: non si contano gli oggetti ai quali, solo in Europa e negli ultimi decenni, i fedeli hanno attribuito poteri salvifici o miracolosi.
Nel caso di Padre Pio, la diffusione delle reliquie è vecchia di un secolo ed è cominciata quando era ancora in vita: già nel 1920 il culto dei devoti era alimentato dai panni macchiati del sangue delle sue stigmate, nonostante fossero noti i dubbi degli stessi vertici della Chiesa sulla veridicità del miracolo.
Novant’anni dopo quelle stigmate sono tornate perfino sui biscotti, ritratti nelle foto condivise sui social negli ultimi giorni: a forma di mano, e con un buco pieno di marmellata al centro
Del resto, per il trasferimento della salma la Regione Puglia non ha badato a spese: 50 mila euro di contributo, la metà del totale stanziato per l’operazione, che ha fatto infuriare le associazioni laiche.
Solo per citare un altro dei casi più noti di idolatria, a Medjugorje, in Bosnia, dal 1981 a oggi sono passati 28 milioni di fedeli, di cui 21 stranieri. Più di molti altri celebri luoghi turistici in tutto il mondo, e qui delle reliquie non c’è stato nemmeno bisogno. O meglio, statuti e altri oggetti sono arrivati dopo le testimonianze di presunte apparizioni della Madonna, che attraverso sei veggenti manderebbe messaggi all’umanità.
Ed è interessante notare come il fenomeno sembri vivere di vita propria, oltre e a volte contro le posizioni dei vertici della Chiesa, a cominciare da papa Francesco: «Dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio? Questa non è identità cristiana», ha detto pochi mesi fa al ritorno del viaggio a Sarajevo ed ha subito annullato l’incontro previsto con le veggenti.
L’idolatria dunque sembra appagare un bisogno primordiale del credente al di là del suo rapporto con le istituzioni religiose: per il fedele il bisogno del sacro è essenziale, e tutta l’interpretazione del cosmo passa per l’idea che siccome si è in stretta dipendenza dal divino, c’è la necessità dei punti di contatto per arrivare a Dio e così esserne accolti e tutelati.
Un bisogno di tutelarsi e cercare protezione che forse è aumentato, in tempi di terrorismi, radicalizzazioni religiose e connesse paure. Viviamo un’epoca di difficoltà, di disastri e tra i credenti cresce questo bisogno di protezione. Il terrorismo, ma anche le grandi migrazioni ci costringono al confronto con ciò che non si conosce e a volte si teme. E’ questo che produce la radicalizzazione, che però non è solo da una parte, quella più esasperata e violenta. L’altra è meno visibile, ma c’è e può essere altrettanto pericolosa.