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Topics - eziodellagondola

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Anch'io Scrivo poesia! / cerco
« il: Novembre 05, 2011, 14:04:34 »
cerco a volte
parole dimenticate
ma trovo soltanto
pensieri perduti

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Anch'io Scrivo poesia! / talvolta
« il: Novembre 05, 2011, 13:59:41 »
talvolta
trovandomi solo
davanti a una porta
mi fermo un istante
per far passare per primo
il ricordo di lei

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Sentimentale / Carlo (prologo)
« il: Ottobre 27, 2011, 13:55:35 »
Quello che adesso mi manca per essere veramente felice, è l'essere circondato dalla gioventù, come quando ero in servizio. Sono un insegnante in pensione, ormai prossimo alla sessantina, ma ancora non mi rassegno, non mi decido a diventare vecchio.
Una vita spesa tra i giovani, a spiare i loro progressi, i loro cambiamenti, professionalmente dedicato ad aiutarli a crescere, mi ha fatto questo regalo: conosco oramai ogni dettaglio della giovinezza, ho assorbito tutta la forza e la voglia di essere, di continuare all'infinito questa avventura; e per un mutuo scambio, mentre ho infuso ai giovani cultura e saggezza, ne ho carpito, facendola mia, la voglia di vivere.
Svolgere una professione gratificante non è stata su questo versante la mia unica fortuna: anche il fisico mi aiuta, resistendo abbastanza bene alle ingiurie del tempo. Quest'ultimo aspetto è però un'arma a doppio taglio, perché un fisico ancora prestante mi porta spesso a sopravvalutare le mie forze, a pretendere un po' troppo e ad assecondare quel desiderio di esagerare che mi ha accompagnato per tutta la vita.
Così talvolta il mio comportamento è leggermente criticabile; non dico riprovevole o sconveniente, ma senza dubbio poco consono all'età anagrafica.
Quello che comunque fa ancora di più e di peggio del fisico è il mio carattere che non conosce solo gli eccessi dell'esagerazione, ma che fa i salti mortali per conservare il suo spirito fanciullesco; e dalla unione carattere/curiosità nascono avventure uniche nelle quali riesco ad impelagarmi a meraviglia.
That is life dicono oltremanica ed oltreoceano, la vita è questa, una continua avventura e se così non fosse, non varrebbe certo la pena di vivere.
Qualche tempo fa ero alla stazione di Firenze, in attesa di ripartire per casa ed il primo treno utile non sarebbe partito prima di due ore, troppo poche per una visita della città, che comunque conosco già come le mie tasche, ma troppo lunga per trascorrerla in una panca della sala d'attesa.
Così bighellonando nei pressi della stazione, ho trovato un internet point, un bel modo per passare il tempo senza annoiarmi; una rapida scorsa alla posta, due righe sul newsgroup, e intanto mi si sedette accanto una stupenda fanciulla; poco più che trentenne, a giudicare dalla pelle, vellutata e senza traccia di rughe; bionda ramata, quasi castana, alta e snella: un bel tipino. Non ho l'abitudine di fare il cascamorto con le ragazzine e questa sarebbe potuta essere mia figlia, ma non riuscivo più a concentrarmi sulle mie pagine; cercavo di non far notare la mia curiosa attenzione, ma non sapevo resistere alla tentazione e continuavo a sbirciare dalla sua parte; così mi accorsi che era in difficoltà con le pagine web, una neofita che annaspava, o una imbranata doc, per natura e posizione. Questo fece scattare,oltre all'interesse opportunistico, la deformazione professionale, lo spirito dell'insegnante che ama spiegare, correggere, educare.
"Permette che la aiuti? La vedo in difficoltà…"
Mi elargì uno splendido sorriso rispondendomi: "Magari! Ma non le farò perdere del tempo?"
"Non ho altro da fare che perdere il mio tempo, e farlo assieme a  lei penso sarà molto piacevole. Il mio nome è Carlo: insegnavo storia e filosofia al liceo, ma ora sono a riposo, e il mio tempo non è più prezioso; comunque posso regalargliene quanto ne vuole, se me lo permette."
Cominciai allora a spiegarle i piccoli trucchi di Google, il motore di ricerca che da tre mani a chi lo usa con criterio, con logica, ma fa impazzire i meno esperti che si perdono in una ridondante marea di notizie inutili, pleonastiche, a volte persino fuorvianti e dannose.
Come diceva mio nonno, le cose del mondo si dividono in due grandi categorie: le facili e le difficili; tutto quel che si sa è facile, per contro tutto il resto è difficile; giuro che il mio patronimico non è de la Palisse!
Grata e felice, cominciò a raccontarmi di se, una storia semplice, banale, come tante altre, ma stetti ad ascoltarla come se mi narrasse delle sette meraviglie: potenza della gioventù!
Fu così facile fare amicizia con Ester, che mi parve naturale darle il mio indirizzo di posta elettronica, pregandola, se ne avesse avuto voglia e tempo, di contattarmi, per continuare a conversare simpaticamente in rete. Quando aggiunsi la notizia che vivevo a Venezia, con entusiasmo aderì al mio invito: così ebbi anche il suo indirizzo di posta elettronica.
"Ma se ci divertiremo scrivendoci, potrò anche venirla a trovare di persona, magari con mio marito? Venezia è un sogno per noi, ogni volta che ci torniamo è come una prima volta, l'atmosfera quieta ed incantata ci fa dimenticare lo stress del traffico, i rumori e le puzze della nostra città!"
"Quanto a puzza, Venezia si difende alla grande; ma è un male odorare sano di altri tempi; non ci sono derivati del petrolio a minare la salute e a spargere tumori. Anche se la vicina Marghera si premura di ristabilire l'equilibrio statistico, con i suoi miasmi cancerogeni."
Si era fatta l'ora del treno e così, a malincuore, mi accomiatai. Durante il viaggio di ritorno non lessi nemmeno una riga dello stupido quotidiano che avevo acquistato come viatico, trasgredendo alle abitudini: da anni non compravo più i fogli zeppi del pattume del mondo. Evitavo anche come la peste i telegiornali e quel poco di notizie importanti le ricavavo da internet, tanto per essere aggiornato, per non sentirmi completamente tagliato fuori da un mondo reso sempre più ipocrita dalla carta stampata. Non erano solo i fatti stupidi del pianeta a farmi rinunciare all'informazione, ma la convinzione, maturata in lunghi anni di osservazione critica, che la categoria dei pennivendoli, dei giornalisti, fosse una delle peggiori, responsabile di nefandezze imperdonabili.
La mia cultura è vasta, ma non onnicomprensiva. Però alcune cose, poche a dire il vero, le conosco molto bene, vuoi per dovere professionale, vuoi per pura passione ed inclinazione: gli argomenti di mio interesse li ho sempre affrontati con grande impegno, studiando e documentandomi fino all'inverosimile. Ecco che ho potuto notare come, ogni volta che sulla carta stampata appare qualche cosa che rientra nelle materie di cui ho conoscenza approfondita, è viziata da inesattezze, strafalcioni, spesso autentiche bugie, e non solo dette per convenienza ed opportunismo, ma sovente addirittura gratuite, mentite per il gusto di mentire.
Di qui la considerazione che la menzogna non può essere concentrata per strana coincidenza sulle poche cose che so, ma deve essere diffusa ecumenicamente. La conseguente, terribile deduzione è stato il facile ragionamento che ho attribuito a tutta la classe giornalistica. "se mentono anche dove non ne hanno alcun interesse - mi son detto - figuriamoci dove c'è qualcosa da guadagnare". Poi la responsabilità più grande, la politica. Nessuna persona comune ha la possibilità di partecipare in prima persona alla vita politica del paese, quindi tutti devono abbeverarsi alle notizie, ai resoconti, stampati o telediffusi, dove ciascun cronista ci mette del suo. Va da se che il popolo può formarsi una opinione, ed infine sposare una bandiera solo sulla scorta delle informazioni che ha; ma se queste sono viziate all'origine, sono mendaci, lascio immaginare come saranno le opinioni politiche nate su presupposti tanto fragili e scorretti. Ecco perché odio una categoria che ritengo responsabile di uno dei peggiori misfatti che un essere pensante possa compiere: l'imbroglio sulle idee, sugli ideali.
Così non lessi nemmeno una riga; ma non ebbi il tempo di annoiarmi: per tutta la durata del viaggio non feci altro che pensare ad Ester, al suo sorriso solare, ai suoi capelli biondo rame. Ma non solo: la ragazza mi intrigava assai più di quanto fossi disposto ad ammettere a me stesso più per il carattere allegro e aperto che per l'aspetto fisico, che pure era magnifico.

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Sentimentale / Carlo (epilogo)
« il: Ottobre 27, 2011, 13:53:18 »
Ero certamente presuntuoso a voler giudicare una persona con cui avevo trascorso così poco tempo ma era stato proprio la brevità dell'incontro a destare la mia meraviglia, di come avesse saputo in quei pochi momenti dare una immagine di se così allettante ed al tempo stesso così vera.
Non dico un colpo di fulmine, alla mia età sarebbe stato disdicevole, ma qualcosa di strano era scattato in me; sentivo che quella spontaneità, quella freschezza appena assaporate avrebbero potuto svilupparsi, potevano portare qualcosa di buono. Ero talmente convinto di aver fatto un buon incontro che non vedevo l'ora di arrivare a casa per scriverle, per riallacciare un  feeling che mi pareva fosse nato tra noi.
Gentile Ester, ci siamo conosciuti da poche ore, ma già la sua assenza mi induce una strana nostalgia. Mi preme ringraziarla per l'opportunità che mi ha dato di fare conoscenza, e inoltre di avermi permesso di scriverle, cosa che mi fa sentire un poco più vicino, come se lei fosse ancora accanto a me. Spero che vorrà continuare ad essere cortese con me rispondendo a questa e-mail, sempre che ciò non le dia fastidio o le costi troppa fatica. Desidero infine dirle che ho trovato la sua compagnia molto piacevole, ed il suo comportamento è stato tanto naturale ed allegro da farmi sentire come se la conoscessi da molto, moltissimo tempo.
Con stima
Carlo
Questo scrissi appena arrivato a casa e premetti invio senza rileggere, per timore di trovare le mie parole esagerate, di non avere il coraggio di inoltrare il messaggio; lo spedii senza pensare come lo avrebbe preso Ester. Volevo rapidamente testare se la mia impressione di una certa disponibilità al dialogo della giovane donna fosse reale e non una mia illusione,  o se invece fosse il fraintendere una naturale giovialità come interesse nei miei confronti. Non potevo immaginare allora di essere sul punto di costruirmi una gabbia d'oro, dalla quale in seguito mai avrei voluto tirarmi fuori.
Egregio Professore - fu la risposta sollecita che solo due ore dopo trovai nella casella di posta - sono estremamente lusingata dalle sue parole ma soprattutto che abbia voluto inviarmele. Solo il fatto che mi abbia scritto davvero mi meraviglia piacevolmente. Quando le ho dato il permesso di scrivermi pensavo fosse un discorso buttato li, senza seguito, o al massimo che tra qualche tempo lei mi avrebbe inviato dei generici saluti. Non immaginavo certo di avere una così rapida smentita alla mia incredulità, né di aver suscitato un così grande interesse in una persona colta e di grande esperienza come lei. Infine sono un poco confusa anche se felice nel leggere che ha una qualche nostalgia di me. Non osavo sperare di essere risultata tanto simpatica nei pochi piacevoli minuti trascorsi assieme; ma le sue gentili parole fanno di tutto per contraddire il mio pessimismo
Cordialità
Ester
Se mi era andata bene una prima volta, non volevo continuare a sfidare la sorte: questa volta non mi precipitai a rispondere, mi presi tutto il tempo; intendevo pesare ogni parola, essere certo di non lasciare spazi ad interpretazioni errate del mio pensiero, volevo gettare le basi per un rapporto franco e duraturo; rilessi cento volte il breve messaggio di Ester, cercandovi sfumature che in qualche modo alimentassero le mie speranze; ma in realtà, cosa speravo da questa relazione epistolare? Nemmeno io lo sapevo, non avevo certo le idee chiare, tranne che su di un punto: era una folata di gioventù quella che mi passava accanto, ed avrei fatto bene ad adeguarmi, per non vederla inesorabilmente dissolversi.
Cara Ester - rimasi assai combattuto nel dubbio di usare un incipit così prepotentemente chiaro sulla svolta che intendevo dare a questa amicizia - anche il mio stupore è grande nel constatare come lei abbia preso a cuore la nostra corrispondenza, che sento ancora un po' troppo formale; spero non le dispiaccia se le propongo di passare al tu, che ci consenta di abbandonare fronzoli stilistici a favore di un conversare più  franco e diretto. Le ho parlato di nostalgia e forse sono stato un poco esagerato. In realtà, come già le scrissi, mi sembra di conoscerla praticamente da sempre, e questo significa che, anche senza approfondirla, traspare tra noi una certa affinità; ho infine la sensazione che intrecciare i miei pensieri ai suoi mi farà star bene, e mi auguro che al contempo potrò far star bene anche lei.
Carlo 
E subito la replica:
Carlo, è magnifico; quello che mi chiedi ancora una volta mi sorprende e mi lusinga; mi pare che questa maggiore confidenza, questo accantonare le barriere dei pronomi sia la naturale continuazione del nostro primo incontro, quando quasi senza accorgercene siamo entrati immediatamente in sintonia. È così bello che ancora non riesco a crederci…"
Ma ci credeva Ester che continuò con toni tanto entusiastici che ebbi persino dubitare che vi potesse essere dietro un calcolo, un disegno di cui mi sfuggivano i particolari, ma che incombeva minacciosamente sul nostro futuro.
E per parecchi giorni seguitammo a scriverci sempre più intensamente, infarcendo entrambi i nostri messaggi dei rispettivi passati, notizie che denunciavano l'ansia di colmare al più presto i vuoti, le lacune di tutto il tempo che avevamo vissuto senza conoscerci.
In tutto questo conversare  a distanza vi era tuttavia un neo, un particolare che mi inquietava. Ester andava soggetta ad una sconcertante alternanza di umore: se un giorno mi scriveva pensieri appassionati, che facevano nascere in me le più rosee speranze, immediatamente il giorno seguente cambiava registro, sfoderando il meglio del suo sarcasmo, punzecchiandomi, certo senza acredine, ma con un impegno ed una animosità che mi facevano dubitare delle promesse intraviste tra le righe del messaggio del giorno prima.
Finalmente una incredibile sorpresa mi chiarì brutalmente il mistero.

                    *                      *                        *   
Non aspetto visite mentre riordino gli appunti preparatori ad una specie di autobiografia che ho in mente di lasciare ai posteri, quando il campanello di casa prende a trillare. Chissà perché, il mio pensiero corre ad Ester. Così quando, aperto l'uscio, mi appare in controluce la sua figura slanciata, non provo alcuna meraviglia, come invece sarebbe di prammatica.
"Buon giorno, mia cara; qual buon vento?…"
"Ciao, scusa se ti capito tra i piedi così all'improvviso… ti disturbo forse, hai da fare?"
"No, accomodati, per te ho sempre tempo; nessun disturbo, solo un po' di curiosità; non mi aspettavo certo una visita tanto gradita; che fai? Non entri?"
Ester esita, quasi si trovasse qui per caso e non per sua precisa scelta. Ma il motivo della sua apparizione le è ben chiaro, immagino perché alla fine si risolve ad entrare, curiosando tra le suppellettili che ingombrano casa mia, abbracciando con uno sguardo tutta la mia reggia e mi figuro pesando, da quel che vede, il carattere ed il gusto del sovrano.
"Te lo figuravi così, il mio antro?"
"No, me lo immaginavo più "serioso" , mobili antichi, librerie in legno massiccio straripanti di volumi, poca luce e profumo di cera per mobili…"
"Una specie di sagrestia dunque."
"Non proprio, ma ci sei vicino!"
La faccio accomodare in salotto, e si accoccola volentieri sul divano di pelle nera.
"Ti sarai già chiesto, superata la prima meraviglia, del perché di questa visita non annunciata."
"Si, sono proprio curioso di sapere. - le rispondo divertito - non so proprio a che debbo l'onore…"
"Non si tratta di onore; anzi, direi, il contrario: sono qui per umiliarmi, per farti una confessione dolorosa ma necessaria."
"Piano, piano! Cosa sono queste storie di umiliazioni, di dolori?"
"Taci! Non interrompermi, se no rischio di perdere per sempre il coraggio di dirti quello che voglio sia chiaro una volta per tutte!"
Annuisco e mi dispongo ad ascoltare attentamente e, confesso, con una punta di paura, come un presentimento che quanto sto per sentire mi sconvolga la vita.
"Sono qui per renderti una confessione completa, per scusarmi e tentare di farti capire, se non di farmi perdonare; perché quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto, è imperdonabile…"
"Abbiamo fatto?"
"Non interrompere, per favore. Non tu ed io, ma la diabolica Ester ed il suo diabolico marito. Questa lo so sarà per te la parte più dolorosa da digerire, ma ti prego di pazientare e di ascoltarmi fino alla fine senza interrompermi. Rischio di non farcela a continuare, se mi fermi ancora…"
"Ti ascolto buono buono, lo prometto!"
"La coppia diabolica ha architettato uno scherzo, un gioco crudele che ora mi si ritorce contro, che adesso devo confessarti, per placare il mio rimorso. Il mio peccato originale è stato quello di sottovalutarti, di considerarti una facile pedina, da manovrare a piacere, da usare senza scrupoli per rompere la monotonia, per riempire qualche serata in modo originale. Non ho saputo considerare, non ho voluto nemmeno prendere in considerazione la possibilità che tu prendessi tutto sul serio, credevo possibile farti partecipare al gioco anche senza metterti al corrente delle regole. Perché sinceramente ho creduto che anche tu giocassi, a modo tuo. Le tue esagerazioni, quel eccesso di stima e simpatia che mi comunicavi, io li ascrivevo alla tua voglia di giocare; insomma non ti ho creduto, non ti ho preso sul serio. Eri, scusami, troppo perfetto per essere vero, mi parevi tanto costruito che non mi pareva brutto renderti la pariglia, divertendomi un poco alle tue spalle: in fondo te lo meritai, mi dicevo, sconcertata dalle tue iperboli, dai tuoi voli pindarici. Veniamo al dunque, al momento più bruciante della confessione: ma ti prego, aspetta ad indignarti, anche se ne avresti diritto, consentimi di finire, di trangugiare fino in fondo l'amaro calice…"
Non voglio interrompere la solennità del momento e mi limito ad assentire: "Continua, ti prego, starò attento, fino alla fine…."
"Allora devi finalmente sapere come atrocemente sei stato ingannato: tante volte hai espresso meraviglia per i miei repentini cambiamenti d'umore - a volte mi sembri un'altra persona - mi dicevi, e non sapevi quanto tu fossi vicino alla amara, vergognosa verità. Ci siamo alternati, io e Franco, nella stesura delle e-mail, per gioco, per consentire a mio marito l'esercizio della scrittura, uno dei suoi passatempi preferiti; era lui dietro la Ester brillante, amabile ed amata, era lui che ti inebriava con lettere appassionate e dolci, ricche di meravigliose quanto improbabili promesse; e toccava a me ridimensionare le cose, mostrandoti tutti quei pensieri foschi che tu prendevi per scarti d'umore. Ma le tue repliche, pacate alle mie intemperanze ed infuocate alle ingannevoli dolci proposte di Franco, poco a poco mi hanno fatto mutare opinione su di te. Troppo esagerate per essere false, sarebbe stato far un torto alla tua intelligenza ed alla tua cultura ritenerle costruite: solo una genuina passione avrebbe potuto così bene offuscarti il senno, e così cominciai a giudicarle come realmente erano, un inno all'amore, il più puro ed il più folle al tempo stesso, come mai mi era capitato di vedere. Anche la pregevole prosa di Franco non reggeva il confronto: c'era nei tuoi scritti la forza della verità. Mi hai conquistata per tappe successive: dapprima mi sono lasciata andare ad un languido, romantico sentimento che non sapevo bene definire, orgoglio di femmina corteggiata, simpatia materna per i clamorosi eccessi, un misto di nostalgia e di imbarazzo, poi poco a poco l'ammirazione ha fatto breccia, prima nella mente, ed infine ha conquistato il cuore, devastandolo. Approfittando dell'assenza di Franco, inviato in missione per un lungo periodo, mi sono completamente sostituita a lui, facendoti pensare che i miei malumori fossero drasticamente diminuiti, se non debellati,perché scaltramente ho continuato a strigliarti di tanto in tanto, a tenerti sulla corda, ma non per cattiveria, solo per coprire l'inganno, per non farti scoprire l'infame gioco. Con mio marito ho litigato di brutto, perché ho cambiato la password di accesso alla posta: non volevo essere controllata, ma non ho saputo trovare una spiegazione plausibile. E adesso sono qui ad implorare, se non il tuo perdono, almeno la tua commiserazione. E comunque mi pareva giusto espiare e soprattutto darti un motivo per allontanar da te un affetto mal riposto, perché non ne sono degna."
Esausta, ha sputato il rospo tutto d'un fiato, ma nemmeno io sono nelle migliori condizioni. Dire che la rivelazione mi ha sconcertato è poco vicino alla realtà: mi sento come svuotato, per la prima volta in vita mia mi trovo spaesato: sto male nel mondo, ma sto ancora peggio dentro di me.
"Non ho parole - le dico con un filo di voce - ma non ti preoccupare per me: ho la scorza dura"
"Potrai mai perdonarmi?"
"E cosa c'è da perdonare? Ciascuno raccoglie quel che ha seminato"
Ma la conversazione sta prendendo una piega banale, i luoghi comuni la fanno da padrone.
Lei capisce che è tempo di raccogliere morti e feriti sul campo di battaglia ed aspettare tempi migliori.
Se ne va senza salutarmi. Come per lasciare qualcosa in sospeso, forse per avere la scusa di provare più avanti a riprendere le fila.
La guardo andare via senza reazioni. Poi come un automa mi avvicino al PC, lo accendo e comincio a scrivere:
"Adorata Ester, tua moglie ci ha ignobilmente ingannati, traditi!"

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Sentimentale / Ester (epilogo)
« il: Ottobre 27, 2011, 13:19:13 »
Non va trascurata nemmeno la grande ritrosia in Tommaso di far emergere i sentimenti, specialmente quelli più forti voleva rimanessero un segreto : per tutti, perfino (e soprattutto) per Ester.
Aveva deciso di farla innamorare senza mai parlarle del suo amore: questo avrebbe dovuto apparire da solo, sorretto dai fatti e dai comportamenti – niente parole, niente poesia.
Ed architettò un piano veramente diabolico: avrebbe puntato tutto sulla religione,, una delle cose più importanti nella vita di Ester.
Sì, avrebbe fatto abiura, abbracciando la fede ebraica; non sarebbe comunque stata una impresa semplice: non poteva pensare di conquistare ad uno ad uno tutti i componenti la comunità del Ghetto, così la sua preparazione in una materia che tutto sommato fino a questo momento aveva rappresentato per lui interesse zero avrebbe dovuto essere profonda, da far concorrenza al rabbino.
Ma se l’obiettivo valeva la pena, non c’era sforzo che Tommaso non fosse in grado di affrontare; ed Ester come obiettivo era veramente importante.
Si buttò anima e corpo nello studio delle scritture, documentandosi inoltre su tutto quanto avesse a che fare con la gente di Sion.
Fu così tenace nel suo studio e nel documentarsi che in capo ad un anno era pronto a venire allo scoperto, e fare ingresso nella sua nuova, grande famiglia; perché la comunità questo era oramai per lui: come una superfamiglia, ed il Ghetto era la sua casa, la sua patria e in fondo il suo Eden privato.
Sempre per via di Ester: ovunque ci fosse lei, c’era il sole, anche in mezzo alle tempeste. E questo sole aveva avuto non piccola parte nel progetto di Tommaso: l’argomento principe delle loro conversazioni, dei ragionamenti e delle discussioni era la Tohrà. Così Tommaso univa due obbiettivi in uno: approfondiva le sue conoscenze abbeverandosi ad una delle più valide fonti, e cominciava una serrata marcia di conquista, intrappolando Ester sulle cose che più le stavano a cuore; e questo cuore poco a poco si avvicinava inconsciamente ma inesorabilmente verso Tommaso, che maliziosamente andava a scovare i passi più poetici e sensuali delle scritture e li proponeva con nonchalanche ad Ester in luogo di un normale corteggiamento; e la ragazza senza accorgersene veniva lentamente imprigionata nella tela che il suo scaltro ragno andava tessendo.
Ester non era certamente una ragazza sprovveduta, e questo cambiamento così profondo in Tommaso le metteva addosso dubbi e un disagio profondo perché questi dubbi le parevano irriverenti, delle cattiverie gratuite nei confronti del ragazzo che mai si era permesso una confidenza, se non il ricorso a passi delle scritture decisamente allusivi.
Tuttavia non poteva non rimproverarsi un sospetto ingeneroso anche se in parte giustificato. Ma che diritto aveva di sollevare dubbi sulla correttezza e sulle intenzioni di Tommaso? Poteva illudersi che si trattasse di qualcosa di diverso da un giovanile desiderio di stupire? Tommaso meritava forse un giudizio così severo? E se si fosse clamorosamente sbagliata? Se accusando il ragazzo avesse invece accusato se stessa confermando un pensiero ed un sentimento di cui nemmeno si sentiva sicura? Come avrebbe potuto difendere la propria buona fede se Tommaso sdegnato avesse negato di avere particolari mire su di lei; e se poi questa indignazione fosse stata sincera, che figura avrebbe fatto lei, e peggio ancora, quanto male avrebbe fatto ad un innocente, quanto dolore gli avrebbe procurato? E in ultima analisi, se in lei fosse in procinto di sbocciare un nuovo, ancorché negato, sentimento, quale sorte gli sarebbe toccata? Quale speranza di nascere correttamente e spontaneamente? Non sarebbe forse nato morto, viziato e negato da un peccato originale indelebile e distruttivo?
Era un doloroso macerarsi per Ester, un coltivare dubbi terribili, che non la facevano dormire, che tormentavano le sue notti.
Perché Ester tutto poteva desiderare, meno che innamorarsi; e di Tommaso poi! Un fratello, un amico, un compagno di giochi, ma che pazzia pensare di farlo diventare un compagno per la vita. Eppure l’idea non le appariva impossibile, solo problematica, e anzi per certi versi anche desiderabile. Un rebus da risolvere in fretta, e da sola: non poteva certo chiedere consiglio a quello che in quel momento era l suo consigliere più fidato, proprio Tommaso. Ma un problema di questa mole le appariva insormontabile, senza un contributo di quella saggezza che sapeva di non possedere. In famiglia certo la saggezza non era merce rara: suo padre mostrava di possederne in quantità, e anche sua madre, pur meno intelligente dello straordinariamente intelligente consorte, era senza dubbio dotata di quello spirito giusto, quella capacità di esserle madre e amica al tempo stesso, che forse, vincendo il rossore e l’imbarazzo, si poteva tentare di sfruttare: con il padre sarebbe stato non dico difficile, ma semplicemente impossibile. E ancora più difficile trovare appoggi all’esterno, fuori della famiglia. Il più saggio personaggio che Ester conosceva era il rabbino, ma farlo partecipe dei suoi dubbi e delle sue ansie le sembrava fuori luogo: certo avrebbe potuto chiedergli conforto sul piano religioso, ma il problema investiva purtroppo anche altre sfere, così intime e personali da sconsigliare di parlarne ad estranei; inoltre con il rischio di coinvolgere anche Tommaso, di procurargli dei fastidi od ostacoli alla sua intenzione di abbracciare la religione ebraica.
Così alla fine decise di confidarsi con sua madre, cercando le parole più adatte, che non mettessero in cattiva luce Tommaso ma che al tempo stesso potessero dare a Rachele l’esatta misura del delicatissimo dubbio nel quale si dibatteva sua figlia.
E sua madre raccolse volentieri questa confidenza e si sforzò di dare il consiglio più utile.
“Devi cercare, figlia mia, di scavare prima di tutto dentro di te, di stare a sentire il tuo cuore, ma soprattutto la tua mente e la tua anima; Tommaso è un ragazzo d’oro, e non desta certo meraviglia che abbia fatto nascere in te qualche aspettativa, che prima o poi potrebbe mutarsi in desiderio; ma alla tua età pensare di legarsi per la vita ad una persona, è un passo da meditare, non senza aver acquisito la certezza che anche questa persona voglia altrettanto intensamente legarsi a te. Certo il suo attaccamento alla famiglia e la sua recente ma credo sincera conversione la dicono lunga sulla serietà dei suoi propositi, ma la domanda è: in questi propositi c’è posto anche per te? O addirittura non sarai proprio tu la causa di questi propositi? Mi spiace darti altri dubbi anziché toglierti quelli che già avevi. Ma in un certo senso devi essere grata a questi dubbi: dietro l’angolo, dopo la loro risoluzione, si nascondono due cose:
serenità, se deciderai che è meglio non farne nulla, e felicità se alla fine sceglierai Tommaso. Perché di una cosa sono certa, è un uomo così che può farti davvero felice.”
Rachele aveva tentato di rimanere in una posizione centrale, di non spingere la figlia in una direzione piuttosto che in un’altra, ma inconsciamente faceva il gioco di Tommaso, ne perorava la causa meglio di quanto avrebbe potuto fare lui stesso: E in fondo Ester non chiedeva di meglio che farsi convincere, soprattutto da uno spettatore teoricamente asettico, super partes. In realtà il consigliere che Ester si era scelto era il meno asettico che ci potesse essere, perché Rachele era stata conquistata dal ragazzo, ne era sinceramente entusiasta e non poteva augurarsi un genero migliore.
Certo i ragazzi erano giovani, ma entrambi in possesso di una maturità insolita, che prima o poi li avrebbe portati insieme verso un futuro radioso, felice; di questo Rachele era profondamente convinta ed è per questo che non poteva essere un buon giudice, imparziale quanto basta.
Così, con il conforto del benevolo ed autorevole giudizio di sua madre, Ester decise che valeva la pena di tentare. Unico neo, il fatto che, nonostante l’atteggiamento di Tommaso fosse eloquente, il ragazzo non si decideva a dichiararsi. Non era certo timidezza, si diceva Ester, che lo aveva più volte sentito battersi con foga e perizia quando si trattava di difendere le proprie idee: e lo faceva senza spavalderia, ma certamente non mostrava timidezza, né titubanza, né incertezza di giudizio.
Dunque se non si pronunciava, forse era perché non aveva nulla su cui pronunciarsi. Forse tutti i ragionamenti che Ester si era fatta erano solo fantasie, sogni romantici di giovinetta, proiezioni di desideri della donna che in lei stava sbocciando.
Non rimaneva altro che cercare l’occasione per chiarire, se non a parole, almeno con i fatti le intenzioni o i progetti di Tommaso, per tentare di scoprire se in questi progetti c’era spazio anche per lei.
Fu anche per questo che accettò di buon grado l’idea avanzata da Tommaso di fare una gita fuori porta in quel tiepido maggio che stava oramai per terminare. Una lunga passeggiata, loro due soli, al Lido.
Tenersi per mano in riva al mare fu una esperienza dolcissima. Dal ex Blue Moon piano piano raggiunsero la spiaggia deserta degli Alberoni: due ore di parole, ore in cui di tutto si parlò meno che dell’argomento che più stava a cuore ad Ester, la loro situazione, il loro futuro. La ragazza invero tentò di lanciare parecchie esche ma Tommaso faceva orecchi da mercante, svicolava, cambiava discorso. Ester era anche un poco indispettita, una situazione che non riusciva a dominare la metteva a disagio, la spiazzava.
Pareva che Tommaso, di solito accondiscendente, accomodante, fiutasse la trappola, rifiutando l’ostacolo.
Quando tra le dune trovarono uno spiazzo comodo per stendere la coperta e predisporre il pic-nic, l’impegno di sciorinare le vettovaglie la distolse un poco dalle sue rabbiose meditazioni.
Mangiarono senza appetito, per abitudine, ansiosi di riprendere quel fiume di parole che la pausa pranzo aveva interrotto.
Stesi sulla coperta e guardando il cielo, si tennero ancora per mano quando ripresero la conversazione.
“Posso farti una domanda?” Come sempre lui rispose: “Sai che puoi chiedermi tutto quello che ti pare.”
“Cosa ti manca per essere veramente felice?”
Di solito Tommaso cominciava da lontano le sue risposte, costruendo una bella impalcatura che circondava da ogni lato possibile la domanda, ne metteva in risalto ogni risvolto e alla fine emetteva la risposta, sempre chiara, inequivocabile. Anche stavolta la risposta fu chiarissima, ma rapida e sintetica, una fucilata.
Di slancio, quasi dando l’impressione che la parola venisse direttamente dal cuore, senza transitare per la mente, Tommaso pronunciò senza esitazione la formula più sintetica: “Scoparti”
Ester rimase impietrita per la brutalità del pensiero, che oramai non era più tale: era una dichiarazione; una proposta, una minaccia. E l’unica cosa che le sembrò intelligente rispondere fu: “E perché no?”
Con furore i due giovani consumarono le loro nozze naturali, assecondando le voglie del corpo e costringendo la mente a ritirarsi, incalzata dalla furia dei sensi. Poi tacquero a lungo, tenendosi ancora per mano. Non servivano più parole, i gesti avevano bruciato le tappe e la connivenza che ora la faceva da padrona era il cemento della loro unione. Per sempre.
Ester si sentì immediatamente prigioniera: la sua individualità era finita, tra le braccia del suo uomo.
E la felicità di quei momenti era offuscata da un senso di vergogna, di frustrazione per non essere stata più forte, per non aver fatto prevalere la virtù sulla voglia. C’era in lei un misto di compiacimento e di dolore, una contraddizione che conosceva ora per la prima volta in vita sua. Almeno fosse riuscita a smuovere il macigno che bloccava la confidenza di Tommaso! Che invece continuava imperterrito a tacere. Ostinatamente.
Nemmeno quella notte Ester riuscì a dormir bene. Il sonno era agitato da sogni paurosi, incubi di cui per fortuna perdeva il ricordo non appena usciva dal torpore del dormiveglia e la mente si ritrovava vigile a ripensare alla memorabile giornata, a quel pomeriggio sulle dune che aveva segnato per sempre il suo destino.
Ancora una paura l’assaliva, postuma e sostanzialmente inutile, quanto un pianto sul latte versato: non avevano preso alcuna precauzione, persi nel fuoco del desiderio e della follia dei sensi.
Se dunque ci fossero state delle conseguenze? Se un non voluto concepimento li avesse forzati ad una frettolosa unione riparatrice? E Tommaso come avrebbe preso un eventuale “incidente”? Meglio non pensarci, o meglio sarebbe stato pensarci per tempo, non lasciarsi tentare da un gioco tanto rischioso.
E l’alba la sorprese sempre più avvilita ed impaurita.
Poi una sorta di rassegnata atarassia si impossessò di lei, che finalmente cadde in un profondo, anestetico sonno.
Nei giorni seguenti Ester stette a spiare ansiosamente Tommaso, aspettando di sentire qualche parola di chiarimento o comunque di commento a quanto accaduto tra le dune; ma il ragazzo caparbiamente manteneva il suo silenzio, nonostante il suo atteggiamento fosse come al solito premuroso, ed affettuoso.
Ester invece gli teneva il broncio, perché non si aspettava questa chiusura, questa mancanza di comunicazione.
Così un pomeriggio sul tardi, quando si incontrarono per l’abituale passeggiata fino a San Marco, per fare lo struscio, il “liston” come si dice a Venezia, Ester prese l’iniziativa e sparò una domanda diretta, inequivocabile:
“Allora ci sei riuscito! Il tuo scopo era quello di farmi tua, di appagare la voglia dei sensi…”
“Se è questo che pensi, non può essere che così; d’altro canto non mi è sembrata una cosa spiacevole…”
“Certo che no, ma non pensi che se ne potrebbe parlare?”
“E a che scopo? I fatti non contano più delle parole?”
 Era disarmata Ester, e delusa profondamente; pertanto lasciò cadere l’argomento, rassegnandosi ad una più frivola conversazione improntata sui banali fatti di scuola, i piccoli problemi della classe, alle prese con la preparazione finale all’esame di stato, lo spauracchio che doveva chiudere il ciclo liceale.
Comunque i timori che nell’immediato avevano turbato la prima gioia fisica di Ester si rivelarono fondati: la ragazza scoprì ben presto che una nuova vita stava pulsando in lei, ne ebbe precisa coscienza prima ancora che il fisico manifestasse i segni inconfutabili della gravidanza.
Tommaso, messo immediatamente al corrente della situazione si dichiarò pronto a riparare nell’unico modo degno.
E senza entusiasmo Ester si preparò alle nozze, organizzò il suo distacco dalla famiglia per costruirne una nuova con l’uomo della sua vita, verso il quale tuttavia cominciava a nutrire un rancore incredibile, impensabile fino a qualche mese prima.
Eppure amava intensamente quel ragazzo, ma non riusciva a perdonargli quel suo silenzio, il fatto che non avesse giustificato la loro unione fisica con quell’amore che Ester si aspettava; in cui credeva ancora, ma che avrebbe desiderato sentire ammettere in modo esplicito.
“Se è questo che pensi, non può essere che così!” queste le parole che continuavano a ronzarle nelle orecchie, che dilaniavano il suo orgoglio ferito, che alimentavano la sensazione di sentirsi derubata. Amore. Ma cosa poteva mai essere questo sentimento se il suo unico scopo poteva essere quella congiunzione carnale che lei si aspettava paradossalmente più permeata di spiritualità? Due corpi che si uniscono possono dare felicità solo se le anime partecipano alla festa.
Anche Tommaso talvolta sentiva il peso di quel suo silenzio vigliacco; si
rimproverava la debolezza ma non riusciva a far uscire una verità rischiosa.
Decise di aspettare la nascita del figlio. Solo allora avrebbe confessato tutto il suo amore alla moglie adorata. Alla quale tuttavia continuava a negare ogni sogno.
Capiva di correre un grosso rischio, perché ogni giorno che passava Ester si faceva sempre più rancorosa, incapace di darsi pace.
Solo le preoccupazioni e i malesseri che la gravidanza aveva portato con se riuscivano a distogliere Ester dalle sue cupe meditazioni, dai suoi momenti di lucida follia nei quali confrontava e misurava la sua altalena tra amore ed odio.
Perché in taluni momenti le sembrava di odiare il padre di suo figlio, per la tenacia con cui le aveva negato la tenerezza cui le sembrava di aver diritto. Quante volte mitizziamo la nostra voglia fino a farla diventare ai nostri occhi un diritto. Che invece rimane solo e sempre un desiderio, una aspettativa.
E finalmente arrivò il momento di Davide, il figlio che aveva causato le pene e poi fugato le ansie della giovanissima mamma. Mai pargolo fu così perfetto portatore di pace e di serenità. Sentirlo in grembo aveva dato ad Ester la forza di tirare avanti, un motivo per sentire ancora voglia di vivere. Ma vederlo, sentirlo vagire, coccolarlo e nutrirlo con il proprio seno riconciliò Ester con il mondo, e la avrebbe riconciliata definitivamente anche con Tommaso, il quale, la prima volta che tenne tra le braccia quel fagottino urlante e piangente, unì a quelle del figlio le proprie lacrime, che gli riportavano coscienza del suo testardo egoismo ed al tempo stesso lavavano la colpa.
Come per incanto gli fu chiaro per la prima volta che era stato due volte fortunato con la nascita del figlio: perché adesso viveva e cresceva un altro piccolo lui, e questo esserino aveva squarciato la cortina dell’orgoglio di Tommaso.
Che singhiozzando confessò a Ester il suo amore.
“Vedi tesoro,temo di avere esagerato, di essermi comportato in modo malvagio, ossessionato dalla paura di fallire, di perderti, e non mi accorgevo che stavo per perderti davvero: ti ho lasciato credere che il mio unico scopo fosse la conquista fisica; non che non mi sia piaciuto, lo sai, te ne sarai ben resa conto, ma non era un fine, era un mezzo per legarti a me: ho voluto un figlio per avere la sicurezza che non avresti mai potuto lasciarmi, nemmeno se all’amore per assurdo si fosse sostituito l’odio: ma davvero ho corso questo rischio; in certi momenti il tuo rancore per il mio silenzio era palpabile, ergeva tra noi una cortina pericolosa; ma un figlio avrebbe cancellato ogni timore, un figlio nostro, amato da entrambi e fonte di eterno amore fra noi. Avrò il tuo perdono? Riesci ancora a capirmi, a scusare il mio orgoglio e la mia caparbietà?”
“L’hai detto anche tu: Davide è un cemento che ci unirà sempre. E poi come potrei non appezzare la tua sincerità, che ora ti costa non poco? Si, ho sofferto tanto a causa della tua ostinazione, ma non ho mai perso la speranza che ci fosse un rimedio, che non si trattasse di una semplice attrazione fisica, che anche per te un figlio fosse una cosa importante, un punto di arrivo.”
“Adesso è il mio momento di chiederti – interrogò timidamente Tommaso – cosa ti manca per essere veramente felice?”
“Beh, forse non ci crederai, ma mi pesa questa pausa obbligata, perché ora avrei una voglia matta di scoparti!”


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Sentimentale / Ester (prologo)
« il: Ottobre 27, 2011, 12:30:33 »
“Che pacchia! - pensò subito Tommaso entrando nella sua nuova classe, dove avrebbe affrontato la prova finale del liceo, lo spauracchio dell’esame di stato – Dopo anni di scuola dai preti, eccomi in una classe mista. E che classe! Solo quattro maschi con diciotto ragazze, molte delle quali veramente carine.”
Ce ne era una più carina delle altre, notò subito Tommaso, e aveva un nome esotico, d’altri tempi: Ester.
Ben presto anche il nome trovò adeguata spiegazione. Alla seconda ora, dopo il benvenuto presentato dalla prof di italiano, ora “leggera”, di religione, Ester uscì di classe, per il semplice motivo che era di religione ebraica. Così si toglieva dal mazzo, come se non bastasse il suo aspetto a farla emergere; non era forse la più bella, la più formosa e dotata, ma la sua era una bellezza che, pur discreta, si faceva comunque notare: una bambolina bruna, dalla carnagione rosea e vellutata, magra quel che basta per non apparire ossuta, diciamo snella; ma quel che immediatamente colpiva in lei era lo sguardo; uno sguardo fiero, quasi battagliero, in palese contrasto con la sua figura minuta e dolce. Quando ti guardava, i suoi occhi scuri sembravano penetrarti fino all’anima, ammesso di averne una. Tommaso, un po’ per reazione alla rigida educazione impartitagli dai preti (ad onta della quale era stato cacciato proprio all’ultimo anno per scarsa aderenza ai principi dei suoi educatori), e molto per provenire da una famiglia sostanzialmente laica, era tranquillamente disinteressato alla problematica religiosa, per cui trovò strano l’allontanarsi di Ester dall’aula: lui sarebbe rimasto volentieri se, mettiamo il caso, l’insegnante di religione fosse stato islamico. Conoscere cose nuove era per  Tommaso una delle esperienze più avvincenti, quindi perché non accostarsi alle varie religioni? Anche un miscredente come lui sapeva coglierne i lati positivi, verificare quegli insegnamenti, quelle regole che tutte le più importanti forme religiose pretendevano essere il fondamento della loro dottrina, ma altro non sono che il concentrato delle migliori regole di vita, bagaglio dell’umanità, qualunque sia il suo credo religioso; questo è il lato positivo, quella spiritualità virtuosa, che fa di ogni uomo pio un testimone contrario alla convinzione filosofica dell’homo homini lupus.
Così mentre il prete insegnante parlava di Spirito Santo e compagnia, Tommaso si perse a fantasticare su come avrebbe potuto avvicinarsi di più ad Ester: la ragazza lo aveva stregato fin dal primo momento, ed ora lui non vedeva l’ora di stregare lei.
Anche nei giorni seguenti questo fu il suo pensiero fisso, che non gli consentì nemmeno di fraternizzare come si deve con i nuovi compagni, i quali pensarono subito di lui che fosse uno snob, o per dirla a modo loro, uno stronzo.
D’altro canto a Tommaso poco importava di rapportarsi correttamente con tutti: dall’alto della sua superbia erano pochi eletti che ammetteva alla sua corte, ed al momento c’era posto solo per Ester; che pur ignara, cominciava a domandarsi perché quel ragazzo la guardasse tanto: ogni volta che si volgeva dalla sua parte, puntualmente se lo ritrovava con gli occhi addosso.
Gli sguardi si incrociavano, e nessuno dei due veniva distolto; era quasi una sfida, Ester come sempre senza soggezione e Tommaso, pur con il cuore in tumulto, spavaldamente a tenerle testa.
E tramite gli occhi, due anime si incontravano, anticipando di gran lunga il percorso che più avanti avrebbero intrapreso i due cuori.
Continuarono per giorni a fissarsi spesso, con intenzione, senza che una sola parola corresse tra i due ostinati giovani.
Poi una mattina fu lei a prendere l’iniziativa:
“Possibile che con tanto guardarci non si riesca a trovare proprio nulla da dirci?”
“Potrei cominciare con dirti che sei bella, da morire – e Tommaso, pur arrossendo vistosamente per l’audacia, si meravigliava di essere ancora vivo e di aver pronunciato quella spavalda verità.
“E che significa essere belli? C’è forse qualche merito? Dovrei compiacermene?”
Subito Ester volle chiarire che non apprezzava i complimenti che riteneva esagerati, ma lo faceva con garbo, senza strafare, per non ferire chi mostrava di apprezzarla, forse troppo.
Da parte sua Tommaso protestò che non si trattava di complimenti ma di una lampante verità; mentre le parole fluivano facilmente, il rossore si faceva vampa, tanto che Ester scoppiò in una allegra, smitizzante risata.
“Lo vedi? Vuoi fare il dongiovanni ed arrossisci come una mammola!”
Ed il riso contagiò Tommaso, ben contento di aver trovato una via di fuga, un modo elegante per trarsi dall’imbarazzo cui la sua prepotente voglia di stupire lo aveva costretto.
“Scusami, non è mia abitudine fare il cascamorto, non so cosa mi ha preso.” ma in fondo lo sapeva benissimo: Ester oramai era la sua méta, il traguardo che da quel momento avrebbe cercato di raggiungere, con ogni mezzo e a qualsiasi costo.
E ci mise tutto l’impegno di cui era capace; per mesi mise in atto la sua marcia di conquista dopo aver freddamente studiato a tavolino la strategia da applicare.
Avrebbe conquistato ogni componente la famiglia della sua Dulcinea, per arrivare fino al cuore di lei. Cominciò con farsi amico del fratello, poco più giovane ma già alle prese con le prime schermaglie con l’altro sesso, e tutto occupato a vincere timidezza e inesperienza.
Tommaso si fece benvolere non solo perché aveva manifestato un interesse, una attenzione che nei più giovani fa sempre un certo effetto, ma per un concreto aiuto.
A Tommaso veniva assai facile, quasi spontaneo comporre in versi, così si divertiva a preparare per Davide bellissime poesie d’amore, che poi costui spacciava come sue con la bella del momento.
Tommaso si era costituita così una alleanza, forte anche del cemento della connivenza e Davide fu l’ariete che gli permise di abbattere le porte della famiglia Pesaro. Tommaso cominciò a frequentare la casa di Ester diventando ben presto una presenza costante; che gli permise di studiare da vicino i punti deboli del resto della famiglia.
La mamma di Ester era una bravissima cuoca, una vera esperta in cucina “kasher”.
Tommaso, che era una buona forchetta, le dava grande soddisfazione, complimentandosi per la bontà dei manicaretti che con orgoglio la signora gli faceva gustare sempre più frequentemente, invitandolo continuamente a fermarsi, per pranzo o per cena, secondo l’orario.
In breve Tommaso arrivò a consumare più pasti in casa Pesaro che a casa sua.
E poi fu il turno del padre, che gestiva un grande emporio di abbigliamento in campo san Geremia.
Le persone di una certa età si accostano al computer con soggezione, con un timore reverenziale che a Tommaso tornava molto utile: si offrì di insegnare ad Isacco i rudimenti dell’informatica, quel tanto che bastasse per una gestione più moderna del negozio; ma i progressi dell’allievo erano così lenti e di scarso effetto pratico che Tommaso si autonominò garzone di bottega e cominciò a lavorare senza retribuzione per l’azienda.
Il ragazzo era finalmente riuscito a portare dalla sua parte tutta la famiglia di Ester ed ora cominciava la parte più impegnativa dell’impresa; ci si potrebbe interrogare sui motivi che spingevano Tommaso ad un comportamento tanto complicato e tortuoso, in luogo di un normale corteggiamento diretto, dichiarandosi apertamente con l’amata; due erano i motivi profondi, anzi tre: in primo luogo Tommaso non tollerava alcuna delusione, non ammetteva sconfitta e un eventuale rifiuto lo avrebbe distrutto.
Così prima di mostrarsi voleva essere assolutamente certo di vincere; in secondo luogo la particolare, profonda religiosità di Ester, che non era di aiuto ad imprese amorose di un certo spessore (e a dire invero, nemmeno a quelle frivole!); infine la ragione più importante fra tutte: Ester era per Tommaso il centro dell’universo, l’unico mondo in cui a lui sembrava valesse la pena di vivere; insomma, la posta in palio era talmente alta da giustificare tanto accanimento e tanta cura nel preparare un futuro felice.

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appello promosso dal giornale la nuova venezia:
«La Biennale presieduta da Paolo Baratta, in questi quattro anni, oltre ad accrescere il prestigio internazionale della fondazione, ha contribuito a rinsaldarne il rapporto con la città e le sue istituzioni e a recuperarne spazi importanti. Chiediamo per questo al ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan di non cancellare l'esperienza di Paolo Baratta alla presidenza della Biennale con una nomina inadeguata, come rischia di accadere, garantendo invece una reale continuità con il lavoro che egli stava svolgendo anche a favore della città, offrendo nel caso una rosa di nomi su cui anche Venezia possa esprimersi»
INVITO GLI ZAMMIANI INNAMORATI DELL'ARTE A SOTTOSCRIVERE L'APPELLO
"Ministro ci ripensi" promosso dal giornale citato usando il seguente link
http://temi.repubblica.it/nuovavenezia-appello/?action=vediappello&idappello=391224

E

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Sentimentale / Topolino (epilogo)
« il: Ottobre 08, 2011, 21:03:36 »
Una sera mi telefonò la mamma di Claudia per avvertirmi che la figlia il giorno seguente sarebbe stata assente, perché andava  a visitare una vecchia zia che viveva fuori città; mi pregava,se non trovavo fosse un disturbo, di passare a casa sua dopo la scuola: “So che per te la deviazione è ormai consuetudine, e Claudia mi ha pregato di restituirti quel quaderno di appunti che le hai prestato.” Trovai strano che Claudia volesse restituirmi gli appunti così presto ma ritenni opportuno non indagare: il giorno dopo avrei certamente trovato una risposta.
Così al ritorno da scuola (una mattina grigia, senza Claudia) mi fermai a casa di lei.
La madre di Claudia era una bella signora, quasi quanto la figlia, e mi accolse con un sorriso che mi era molto familiare. Era una docente universitaria, e i suoi modi, eleganti e gentili, facevano tuttavia trasparire la sua lunga esperienza di comunicazione con i giovani, con un piglio autoritario che intimoriva un poco.
“Devi perdonarmi se per invitarti qui ho fatto ricorso ad una scusa, ma come capirai tra poco avevo le mie buone ragioni. La prima delle quali era non allarmarti con uno strano invito: non volevo farti cenno per telefono del vero argomento della nostra conversazione ma al tempo stesso ho cercato una motivazione plausibile, che non ti mettesse in agitazione. Vieni, accomodiamoci in salotto.”
La seguii molto incuriosito da questo preambolo, ma sapevo, o meglio sentivo che stavo per essere messo al corrente di qualcosa di importante.
“So che frequenti mia figlia anche fuori scuola, Claudia non ha segreti con me, e per questo so anche che sei un giovane molto a modo, corretto con lei come pochi sanno fare alla vostra età. Per questo voglio parlarti con franchezza di una cosa molto seria che credo tu abbia diritto di sapere al più presto, prima che possa succedere qualcosa di difficilmente riparabile. Devi sapere che Claudia è malata in modo molto serio; fisicamente è a posto, gode di una salute di ferro, ma il male sta nella sua testa. E’ accertato clinicamente che si tratta di una patologia praticamente sconosciuta, più unica che rara, e per questo, per ora almeno, non esistono cure; una forte emozione o una grande arrabbiatura possono provocarle una irreversibile amnesia dei fatti temporalmente vicini: tu capisci vero cosa significa questo,quale è il rischio, che se nasce qualcosa tra voi possa irrimediabilmente sparire, inghiottito nell’oblio?…”
Annuii più per compiacenza che per convinzione: solo più tardi avrei assimilato a pieno cosa significava tutto questo per me.
“Sapevo di poter contare sulla tua intelligenza, Claudia non fa altro che descriverti come il migliore, come una persona stupenda. Certo mi fate molta pena, tutti e due…”
Ringraziai la mamma di Claudia, la rassicurai confermandole di aver afferrato il problema e mi accomiatai, tornando velocemente verso casa, con la morte nel cuore. Lentamente mi si faceva sempre più chiara la tremenda, ineluttabile condanna, ancora una trappola, la più odiosa e terribile che il destino mi aveva teso.
Non sapevo più cosa fare, come affrontare questa prova disumana, così mi risolsi a far leva sul carpe diem tentando di esorcizzare questa maledizione cancellandola dalla memoria; magari si fosse trattato di una malattia contagiosa! Avrei cercato di prendere da Claudia l’infezione e trovare giovamento in un reciproco perdersi di memoria e sentimenti.
Che invece si ripresentarono con tutta la loro prepotenza il giorno seguente, finalmente a fianco della mia Dulcinea.
Tornando a casa da scuola le proposi di fare, nel primo pomeriggio, una passeggiata in periferia, dove le case si diradano per perdersi a poco a poco in una rigogliosa, ridente campagna.
Aderì entusiasta a questa proposta e ci accordammo sull’appuntamento alle sedici.
“Preparerò uno spuntino, faremo una vera merenda sull’erba” La sua spensierata allegria mi contagiava; cercai disperatamente di allontanare lo spettro che mi tormentava e le risposi sorridendo “Alle sedici allora; porto io la tovaglia!”
Ma nel tragitto verso casa erano i più neri pensieri a farmi compagnia. Anche la risoluzione di vivere alla giornata non mi bastava più: era una continua angoscia a permeare ogni previsione, ogni aspettativa.
Nemmeno la prospettiva di un pomeriggio all’aria aperta con Claudia riusciva a farmi dimenticare la spada di Damocle che pendeva sulla mia testa. Cosa avrei fatto se…
Dovevo riflettere, dovevo essere preparato, non potevo affidarmi all’estro del momento…
E quel che temevo non tardò ad accadere!
Stesi sulla tovaglia che avevo portato per il pic-nic guardavamo romanticamente le nuvole, tenendoci teneramente per mano.
“Allora, cosa aspetti?” “Aspetto cosa?” “A baciarmi, stupido! Vuoi che diventi vecchia aspettando che tu vinca la tua battaglia con la timidezza?”
Era questo il momento tremendo e temuto: se nicchiavo Claudia si sarebbe seriamente inferocita, e aderendo all’invito, mi immaginavo già che emozione le avrebbe attraversato il corpo, portando la sensazione direttamente dalle labbra alla mente, con il risultato che un cortocircuito mi avrebbe azzerato per sempre. Ma la decisione era già stata preparata, sapendo che comunque la condanna sarebbe stata eseguita, perciò senza indugio la baciai, a lungo, sperando che non finisse mai.
E invece finì, come era previsto, come doveva finire!
Claudia impallidì e tremante bisbigliò: “Sto male, molto male! Portami a casa per favore.”
Così mestamente, in silenzio la riportai a casa; non ebbi il coraggio di chiederle nulla, se non, arrivati sulla soglia di casa sua: “Vuoi che ti accompagni sopra?” cui replicò con un filo di voce: “Non importa, ce la faccio da sola; grazie ancora e ciao”
Cominciò il periodo più buio della mia vita; di tanto in tanto telefonavo alla mamma di Claudia, per avere notizie, ma la risposta era sempre una sola: “Povero figliolo, ti devi rassegnare. Ti avevo avvertito che purtroppo non esiste rimedio” e con voce molto triste e rassegnata mi congedava esortandomi a portar pazienza.
Poco a poco andavo metabolizzando la mia nuova condizione, e per consolarmi mi dicevo che comunque mi era stato concesso di vivere, per quel poco che era durata, una avventura meravigliosa, unica. Pensai persino di farle la corte quando Claudia fosse tornata a scuola. In fin dei conti la conoscevo benissimo, meglio forse di quanto conoscessi me stesso. Ma sarebbe stata in grado, non ricordando nulla di me, di apprezzarmi una seconda volta? Avrebbe mantenuto gusti, idee, inclinazioni, desideri e non sarebbe stata la mia una vigliaccheria approfittare di una creatura indifesa? Peggio che rubare in chiesa tentare di conquistarla sfruttando tutto quello che sapevo di lei. E anche fossi riuscito nell’intento, quale vita avremmo avuto, con l’ansia, la paura di contrariarla, o dovendo peggio ancora far attenzione a non provocarle nemmeno emozioni positive?
Ma la risposta a tutti questi dubbi era una sola: che vita sarebbe stata senza di lei?
Il tempo, medicina eccellente, lavorò per me e qualche anno più tardi Claudia divenne mia moglie. Una compagna deliziosa, che non mi fece mai mancare il suo affetto, la sua tranquilla dedizione, ma era comunque una persona diversa dalla spumeggiante Claudia dei nostri sedici anni!
Abbiamo trascorso insieme trent’anni di un tranquillo, sereno matrimonio, senza scosse né voli pindarici, un quieto menage ricco se non di felicità completa, di serenità, di rilassante convivenza. Niente figli, ovviamente, Claudia non avrebbe retto l’emozione di una maternità.
Solo qualche volta in tutto questo tempo mi ha preso una struggente nostalgia per l’estasi dei nostri primi giorni, il rimpianto per quel che poteva essere e non è stato.
Avevamo organizzato, per festeggiare i nostri tutto sommato bellissimi trent’anni assieme una cenetta romantica, solo per noi due, in uno dei migliori ristoranti della città. Qualche giorno prima della nostra festa Claudia mi chiese candidamente:
“Vorresti farmi un grande regalo? Prima di andare a cena giovedì, potremmo passare un’oretta in quella gelateria in centro e finire finalmente la nostra disputa su amicizia e amore?"

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Sentimentale / Topolino (prologo)
« il: Ottobre 08, 2011, 21:02:20 »
Ho sempre odiato Topolino, per la sua tracotante sicurezza, per la sua spavalda bravura e il ribaldo modo di vincere su tutto e su tutti; un eroe troppo perfetto e vistoso.
E’ invece Paperino il mio preferito, un personaggio così teneramente sfigato, l’unico che mi potesse battere in quanto a iella.
Mi sono sempre curato poco del giudizio degli altri forse perché troppo occupato ad incazzarmi contro le beffe di un destino malvagio e malignamente burlone, sempre in agguato per guastarmi ogni cosa.
Ma per quanti timori ed angosce io sia stato in grado di macerare, la realtà è sempre riuscita a meravigliarmi e a superare le paure che mi sono prefigurato, con colpi a sorpresa di volta in volta più eclatanti.
Contro questo maligno accanimento ho alzato due barriere: una scorza dura, capace di difendere il tenero cuore che batte in profondità, e una buona dose di ottimismo che mi ha sempre consentito di esaltare a dismisura la gioia che talvolta mi procura la distrazione del destino; perché perfino a me capita ogni tanto qualcosa di buono; e allora scatta una felicità esagerata, spesso incongrua all’episodio che l’ha provocata: sono riuscito ad esaltare una sensibilità già innata, ma che amplificata con opportuno addestramento può farmi rimanere estasiato anche da cose semplici, che magari altri non notano nemmeno; un fiore o una farfalla che svolazzi attorno al fiore possono incantarmi e ficcarmi dentro una speciale soddisfazione, quasi che la loro bellezza fosse opera mia.
Forse è anche un po’ così: è la nostra attenzione, il nostro entusiasmo a far belle le cose: se non ce ne accorgiamo, la loro bellezza è inutile, sterile.
Capita anche con le persone: dobbiamo in parte la nostra vita a quelli che si accorgono che esistiamo.
Per la verità pochi si sono curati che io esistessi, ed io ho sempre ricambiato alla grande, chiudendomi in un superbo e comodo egocentrismo.
Ovviamente i parenti più stretti non hanno potuto ignorare la mia presenza, ma per il resto del mondo è sempre stato semplice non prendermi in considerazione, anche perché non ho mai tentato di ribaltare questo reciproco disinteresse.
Proprio per questo mi ha colpito così tanto il fatto che Claudia abbia fatto un passo verso di me, si sia improvvisamente accorta della mia esistenza.
Claudia era la reginetta della scuola. Bella da morire, attirava su di se non solo gli sguardi di tutti i maschi che le ronzavano attorno, ma anche l’invidia delle altre ragazze, per cui tutto sommato si trovava un po’ sola, proprio come me, anche se per ragioni affatto diverse.
Così, pur meravigliandomi del suo interesse alla mia persona, ho accettato la cosa come abbastanza naturale, una conseguenza, per me piacevolissima, di quel isolamento che a Claudia derivava, come ho già detto, da invidia da una parte e spasmodico interesse dall’altra.
Forse è proprio questo che l’ha spinta verso di me, la curiosità innescata dal fatto che ero uno dei pochi che con lei non ci avessero ancora provato; la mia non era certo virtù, ma un eccesso di timore e timidezza; poiché ero quasi certo di un bruciante rifiuto, non mi sfiorava nemmeno la tentazione di provarci, anche se veramente la voglia era tanta.
“Penso che tu sia diverso da tutti gli altri, e certamente molto più intelligente” questo l’improvviso approccio, che mi aveva lasciato senza fiato, senza parole. E per la prima volta un pizzico di fortuna si volgeva dalla mia parte: Claudia non pensò nemmeno per un istante ad una mia possibile timidezza ed attribuì il mio silenzio ad una scelta tattica furba ed opportunista; il che non faceva che accrescere la sua curiosità ed il suo interesse nei miei confronti.
”Cosa ti fa pensare che io sia più intelligente degli altri?”
“Il fatto che non hai mai fatto il cascamorto con me!”
Mi morsi la lingua per non confessarle immediatamente che lo avrei fatto molto volentieri, se solo ne avessi avuto il coraggio!
“Che ne diresti di fare due passi assieme, per chiacchierare un poco e togliermi questa curiosità?”
Non so proprio dove ho trovato il coraggio di replicare all’istante con sfrontatezza: “E tu che ne diresti di darmi la mano passando davanti ai compagni per farli morire d’invidia?”
Claudia non si fece pregare, mi porse la mano e ci immergemmo in una selva di sguardi increduli e bramosi.
Non stavo più nella pelle ed il morbido contatto mi esaltava al punto che mi pareva di camminare sulla bambagia; ma il tumulto del cuore non riuscì a rendere incerti i miei passi: avanzavo sicuro e tronfio, con una naturalezza che trovavo assolutamente nuova, ed in contrasto con la confusione che regnava nei miei pensieri; più le orecchie mi ronzavano, più il mio incedere si faceva sicuro e spavaldo.
Una nuova avventura mi scorreva adesso sotto ai piedi, mentre la fantasia correva felice ai giorni a venire.
Mai avrei immaginato una uscita di scuola tanto trionfale e carica di piacevoli sogni.
“Posso farti una domanda? – arrischiai timidamente – “Dimmi pure.” – replicò. Regalandomi uno di quei sorrisi per i quali valeva la pena di sopportare qualunque cosa, anche il rischio di una cocente delusione.
“Perché?” “Perché cosa?” “Perché hai scelto me, perché ora camminiamo insieme, facendo morire di invidia i compagni e dando motivo di critiche maligne da parte delle tue amiche” “Amiche? E quante pensi che io ne abbia? Comunque non ti ho scelto, ti ho solo chiesto di fare due chiacchiere innocenti, di dare inizio, se possibile, ad una sana, divertente amicizia.” “Una amicizia che farà scalpore, se riuscirà a nascere…” “Tu lo vuoi? Che nasca, intendo…” “Non so, devo pensarci, mi hai preso alla sprovvista” “Ora non cominciare a fare lo stupido, potrei cambiare idea rapidamente sulla tua intelligenza!” “Scusa, non volevo contrariarti, ma ammetterai che non è cosa di tutti i giorni essere oggetto di un invito così allettante!” “E tu non dovrai mai accontentarti di cose da tutti i giorni; se vuoi essermi veramente amico, devi continuare ad essere speciale, diverso da quei bambocci che continuano ad annoiarmi con i loro bavosi cattivi pensieri”.

Ancora una volta dovetti frenare la voglia di esternarle i miei, di cattivi pensieri. Stranamente con lei sentivo un impulso di sincerità assoluta persino pericolosa, una voglia di aprirmi come mai mi era successo prima di allora, anche a costo di perder punti, pur di apparire come veramente ero, senza fronzoli o falsi pudori.
Ma non potevo nemmeno correre il rischio di bruciarmi con una franchezza magari sgradita, e non potevo neanche contare sull’esperienza, visto che per la prima volta mi trovavo in una situazione simile; dovevo improvvisare, facendo appello a tutte le mie capacità di giudizio, e decidere in fretta: questo mi dava un brivido inconsueto, ma anche una strana baldanza, che i suoi continui, deliziosi sorrisi seguitavano ad alimentare.
“Dunque tu sei l’unico tra i ragazzi di questa scuola che non ha tentato di conquistarmi: Come mai? Non sono abbastanza carina per i tuoi gusti?” “No, non è questo, credimi! Non so, non c’è un motivo preciso; anzi il motivo c’è, solo non credo sia utile spiegarlo…” “Perché sono tonta, una bella ochetta che non può capire?” “Non volevo dir questo; è che non è facile ammettere la propria timidezza: è come un autogoal, più si è timidi e più si vorrebbe apparire spavaldi… ma la verità è che ho paura di un rifiuto; troppe volte la vita mi ha preso a calci e allora cerco di evitare le occasioni, mi tengo il sedere al coperto, sperando di scapolarla. Tu sei bellissima, tutti ti cercano, tutti cercano di starti accanto: perché non dovrei volerlo anch’io? Ma la paura di un nuovo insuccesso mi ha bloccato, ho deciso in partenza di aver perso; non mi pare di essere tanto speciale, se non nella codardia:”
“Così ho trovato il mio primo regalo per te: un pizzico di fiducia in te stesso, che spero di riuscire a comunicarti, ad insegnarti…” “Non sarà impresa facile, insegnarmi quel che ho già nel sangue: non è la fiducia in me stesso che mi fa difetto, ma la fiducia nel mondo, o meglio nel destino..” “Il destino siamo noi a dovercelo costruire!” “Ciò significa che sono un pessimo costruttore…” “Credo di no, forse sei semplicemente un poco pessimista.”  “Comunque le imprese facili non mi interessano, mentre tu mi interessi molto. Sei proprio una persona speciale, un caso da studiare, da analizzare attentamente, da vicino.”
La nostra passeggiata intanto stava per finire; eravamo arrivati, fin troppo presto, a casa di Claudia, che ora tirava per le lunghe i saluti, come se aspettasse da me un qualcosa che non sapevo darle… che stupido! Non potevo continuare a lasciarle l’iniziativa, sarebbe stato sconveniente costringerla a chiedermi un appuntamento; lei stava insegnandomi anche le buone maniere! Così azzardai: “Che ne diresti di vederci in centro più tardi? Finiti i compiti si potrebbe andare in gelateria, magari a continuare le nostre chiacchiere?” “Perché no? Sulle sei?” “Si, d’accordo, alle sei.”
E malvolentieri le lascia la mano, quella deliziosa manina che per tutto il tempo avevo stretto nella mia.
Quel pomeriggio non fu molto proficuo per i miei studi: non riuscivo a concentrarmi sui compiti, continuavo a rivivere i momenti fantastici appena trascorsi, ripensando ad una ad una alle facce incredule dei compagni, alla loro invidia.
Ma ciò che veramente intasava i miei pensieri era l’attesa di questo nuovo incontro, una occasione che non dovevo assolutamente sciupare: ma come fare, cosa pensare quando il cuore in tumulto si rifiutava di riprendere un ritmo normale, quando la mente si perdeva in un dedalo di sogni ed al tempo stesso misurava l’angoscia, il terrore di essere inadeguato, di rovinare per scarsa esperienza quello che poteva diventare il momento più bello della vita.
E se tutta questa mia ansia fosse stata esagerata? In fin dei conti quel che mi offriva Claudia era una sana, divertente amicizia (erano parole sue) e avrei fatto bene a non illudermi che ci fosse altro. Ma come si fa a non illudersi a sedici anni? Se l’inesperienza mi rendeva incerto, da un altro verso il mio amor proprio e la grande autostima mi suggerivano sogni e desideri che forse avrei fatto meglio a ignorare, ma che al momento mi riempivano di entusiasmo, una voglia di vivere ancora più prepotente di quanta ne avessi avuto fino ad allora. Così mi tirai a lucido, scelsi i miei abiti migliori, in particolare il mio adorato giubbino jeans, quello senza maniche, bianco con le bordature blu, che mi dava un’aria tanto “americana”.
Arrivai in gelateria con un quarto d’ora di anticipo, e l’ansia dell’attesa mi faceva presagire che quei quindici minuti sarebbero stati una pausa eterna, insopportabile.
Invece la pausa fu più breve del previsto: anche Claudia era impaziente di incontrarmi, ed arrivò alle sei meno dieci. Mi sorrise subito, felice di trovarmi già lì; anche lei aveva forse temuto di aspettare con trepidazione.
“Allora, ci hai pensato bene?” “A cosa?” “A quel che vuoi fare circa la nostra amicizia: ti sei lamentato di essere stato preso alla sprovvista, ma adesso hai avuto il tempo per riflettere.”
Era sempre tremendamente lucida, ricordava ogni mia parola, si sentiva che ne pesava ogni sfumatura, perciò avrei dovuto usare una grande attenzione nel parlare, una faticaccia, dal momento che per inveterata abitudine lasciavo sempre scorrere un fiume di parole, che fluiva sull’onda del sentimento, ma che prestava il fianco anche a interpretazioni non sempre positive.
E Claudia era sempre in guardia, sempre pronta a cogliere anche la minima contraddizione, che colpiva immediatamente con il suo micidiale sarcasmo.
Così scelsi, una volta per tutte, di assecondare senza pudore quel mio strano impulso ad aprirmi completamente con lei, abbandonando ogni difesa, ogni schermo.
Ma in definitiva da cosa avrei dovuto difendermi? Solo da qualche amaro colpo del destino, ma l’esperienza mi suggeriva che a questa iattura non vi è rimedio.
E poi l’unico modo per essere sicuro di non sbagliare, di non cadere nelle trappole della contraddizione è dire la verità, per quanto cruda possa essere; per fortuna a sedici anni la verità è unica, senza compromessi. Così decisi di spararle addosso la mia verità, per quanto scomoda e rischiosa: “Credo che non vorrò accontentarmi di una semplice amicizia, anche se sana e divertente!” “Allora ti hanno proprio colpito questi due aggettivi. Ma cosa mi proponi in alternativa? Vuoi proprio una alternativa? Ti sembra forse poco, ti sembra riduttivo parlare di amicizia? E tu cosa intendi per amicizia? Cosa pensi ci sia di più e di meglio?” una raffica di domande micidiali! e non potevo certo esimermi dal rispondere sensatamente. Chi di spada ferisce…
Anche se non mi appariva semplice né facile far fronte adeguatamente a richieste così dettagliate, mi sentivo stimolato a dare il meglio di me, e voglioso di misurarmi su un terreno di mio gradimento, il duello verbale su temi tanto importanti, con la piacevole prospettiva che non ci si limitasse ad uno scontro accademico, ma con la possibilità di gettare le basi per un delizioso futuro in comune.
“Vedi, alla nostra età è forse presuntuoso, e magari anche pretenzioso parlare di amore, ma ritengo assai difficile che si sviluppi una sincera amicizia tra uomo e donna”
“Non vorrai adesso ridurre la cosa ad una stupida questione di sesso? Tu stesso l’hai detto, alla nostra età dobbiamo stare attenti a non fare scelte premature, e l’amicizia è senza dubbio senza rischi, non ha età e non si mescola con questioni di sesso.”
Certo avevo trovato pane per i miei denti; Claudia non era solo bella da mozzare il fiato, era un valido antagonista sul piano dialettico, sarebbe stato un osso duro anche per me.
“Ho un bel debito di risposte nei tuoi confronti; allora: l’amicizia non è riduttiva nei confronti dell’amore, è solo diversa; per me l’amicizia è trovare piacevole la compagnia di un’altra persona, sentirla però simile e vicina, voler condividere con lei le cose belle che la vita offre; sai, non ci avevo mai pensato, ma diamo per scontato il significato di amicizia e amore, ci sembrano concetti tanto facili da afferrare perché diffusi, ma quando tentiamo una definizione approfondita, casca il palco; io almeno mi sento insicuro, tendo a confondere i pensieri; in effetti a ben vedere quel che ti ho detto tentando di definire l’amicizia si potrebbe adattare anche alla definizione dell’amore. Devo ammettere che l’amicizia è comunque una forma di amore, per certi versi superiore a quello che a prima vista mi sembrava un sentimento più importante; che invece è soltanto più prepotente, a volte anche più egoista…”
“Mi piace molto in te questa capacità di analizzare le cose anche da un punto di vista diverso dal tuo, e la rapidità con cui ammetti coraggiosamente i tuoi limiti, e accetti il confronto sui tuoi presunti errori”
“Non pensare adesso che sarò sempre tanto accondiscendente: a volte mi intriga la contraddizione come puro strumento dialettico, come stimolo di riflessione a due; sono capace di sostenere tesi nelle quali non credo per il solo gusto di sentire l’interlocutore demolire queste tesi, e vedere se lo sa fare meglio di quanto ho già fatto io nella mia mente. Ma perché continuiamo a parlare in piedi, come fossimo di passaggio? Non siamo venuti in gelateria anche per soddisfare la nostra gola? Sediamoci dunque, si parlerà meglio.”
Così ci accomodammo in uno dei tavoli in fondo al locale, un poco defilato dietro una colonna, e ci pareva di aver preso le distanze dal mondo, di essere immersi in una serena solitudine. Guardandomi negli occhi e sorridendomi, Claudia mi prese la mano e se la portò sul cuore: “Senti che strani scherzi fa l’amicizia!”
La nostra prima settimana insieme trascorse in un lampo; quando non ero con Claudia non facevo che pensare a lei, alla possibilità di trascorrere tutta la vita accanto ad una creatura tanto soave, deliziosa, in una parola bella; e mi assaliva come una angoscia la paura che potesse invece finire, che il tempo ci fosse nemico, e allora la cercavo, e se non potevo incontrarla, la contattavo al telefono, ingaggiando interminabili conversazioni, durante le quali ci raccontavamo di tutto, dai piccoli fatti del giorno a brandelli di passato, ricordi che ci facevano condividere anche tutto il tempo trascorso senza conoscerci. Non avevamo più affrontato il tema amicizia contro amore, poco ci importava delle definizioni, delle classificazioni schematiche; a noi bastava una sola parola: insieme. E oramai si faceva coppia fissa, anche a scuola a tutti pareva così naturale vederci in due, che poco a poco gli amici si allontanarono, riducendosi a comparse in un mondo dove c’eravamo solo noi.
Non potevo quasi credere che il destino mi concedesse una tregua, ero al settimo cielo per la felicità,ma come sempre dietro l’angolo c’era una sorpresa poco piacevole.

25
Sentimentale / Il granchio (nuova versione ampliata)
« il: Ottobre 07, 2011, 18:53:21 »
ripropongo la favoletta "il granchio" con un finale diverso, che ne giustifica una suo nuova collocazione in questo settore

Prologo: la favola
Sembra facile raccontare delle favole, perché si pensa sempre ad un pubblico bambino, per il quale il racconto fantastico è solo una scusa per scatenare la propria, di fantasia. Così il contenuto della fiaba non ha molta importanza, purché vi sia qualcosa di magico, di felicemente soprannaturale.
Mia ambizione è raccontare una fiaba per “grandi” che pur smaliziati, magari desiderano anche loro qualcosa di magico, di insolito.
Questa è la storia di un granchio e di una alice, come forse ce ne sono tanti, troppi perché le loro storie facciano notizia. Tuttavia il granchio e l’alice protagonisti di questa storia, hanno qualcosa di speciale: somigliano terribilmente a tante persone che conosco…
La cosa nasce perché il nostro granchio, stranamente è un solitario, si sente vecchio e brutto e la sua voglia di socializzare è frenata dalla scarsa opinione che ha del suo aspetto.
Non è che si sia mai visto un granchio bello, per carità! Ma alcuni esemplari magari sono un poco più carini, tipo l’elegante grancevola, con le lunghe e sottili zampe su cui danza, o il granchio delle Galapagos, con i vivaci colori che lo rendono almeno buffo e simpatico.
Il nostro ha invece quel colore tra il grigio e il verdognolo, che sarà pure mimetico, ma è triste, spento. E come se non bastasse, la scorza è tutta bitorzoluta, una vera frana.
Così vivendo da eremita, ha sviluppato un gran gusto per l’osservazione: passa ore ed ore a contemplare la miriade di esseri viventi che lo circonda. E fra milioni di esemplari della più svariate specie, ha individuato una alicetta con cui vorrebbe proprio fare amicizia.
Sembra incredibile che riesca sempre a distinguerla, direste che le alici sono tutte uguali, ma questa ha un modo di muoversi, cioè di nuotare, che la rende unica. Almeno agli occhi di Bernardo, così si è battezzato il protagonista della fiaba. Bernardo è proprio un bel nome, l’unica cosa bella che sente di avere. Un poco perché se lo è scelto, ed un poco perché ai granchi qualsiasi nome sembra bello, è l’unica maniera per distinguersi dalla massa, una vera ricerca di identità ed unicità.
Così Bernardo cerca in tutti i modi di attaccare bottone con Lisa, l’acciuga più desiderata dell’Adriatico. Perché Lisa? Bernardo non sa proprio spiegarlo, ma gli sembra un bel nome, degno della sua vivace fiamma. Si perché Bernardo è felice quando Lisa gli è vicina, per questo crede di essere innamorato, sempre che un granchio possa e sappia innamorarsi. Di una alice poi! La cosa appare addirittura contro natura, peccato che una fiaba, sia pur per adulti contenga anche un germe di perversione, di stranezza che le favole per bambini affrontano senza porsi problemi.
Ma i granchi poco sanno di morale, di quello che è giusto è quel che non lo è; vivono per lo più alla giornata, seguendo i dettami di Epicuro, che nemmeno conoscono!
Allora Bernardo muore dalla voglia di far colpo su Lisa e finalmente si decide a vincere la sua timidezza e aspetta al varco l’acciuga amata, per impressionarla con le parole.
Quando costei, dopo l’ennesimo volteggio attorno a Bernardo si ferma un attimo, per vedere ’effetto che ha fatto la sua guizzante danza, il nostro improvvisa una filastrocca: 
dentro al mio guscio vivo contento
perché al riparo di scorza dura
pulsa un gran cuore, senza spavento
ch’è la corazza forte e sicura;
posso girare indisturbato
sia tra le alghe che sulla sabbia:
non devo starmene più rintanato,
basta evitare l’astuta gabbia
che l’uomo affonda per farmi fritto;
per questo danzo in girotondo
anche se proprio non vado dritto:
ma adesso storto va tutto il mondo.
Non sarà un gran che, diranno i lettori più smaliziati, ma per un granchio illetterato non è cosa da poco giostrare i propri pensieri con la metrica, il ritmo, le assonanze. Ci provino, i lettori smaliziati, che pur granchi non sono!
“Ma allora sei un filosofo!” esclama Lisa, sinceramente colpita da quest’arte ingenua.
“Filosofo è una parola grossa: diciamo che ho una certa esperienza…”
Il ghiaccio è rotto, ora i due hanno dei ricordi in comune, domani si incontreranno già con uno spirito di amicizia, un affetto complice e magari soddisfatto. Non è facile fare amicizia fra specie diverse.
Bernardo è al settimo cielo, non sperava un successo tanto immediato.
Ma le sue sorprese quest'oggi non sono finite: tutto ad un tratto si sente addosso una spossatezza strana, una invincibile voglia di dormire; così si rifugia in uno dei suoi anfratti preferiti, ben riparato da una folta vegetazione di alghe, per schiacciare un pisolino; fa appena in tempo a rintanarsi nel suo nascondiglio, prima di crollare in un sonno senza sogni. A Bernardo dispiace di non sognare, perché nel sogno è sempre bello e forte, e giovane; e Lisa
lo guarda con occhi dolci, forse potrebbe anche innamorarsi di lui...
Fortuna che non ha coscienza di non sognare, se ne accorge solo al risveglio, ma quando questo arriva, una novità assai più imponente della mancanza di sogni attira la sua attenzione: accanto a lui, un rugoso, vecchio guscio di granchio gli dice che c'è stata nel sonno una prodigiosa metamorfosi: via la vecchia corazza, ora il suo corpo è tenero ed agile; la giovinezza pare tornata e con questa una strana, meravigliosa euforia. Bernardo comincia a correre. A danzare, leggero senza la scorza dura ma pesante; riesce persino ad andare diritto, e nel vortice e l'ebbrezza della danza non si accorge della trappola mortale. Così la sua nuova carriera di "moleca" (v. nota in calce)  ha immediata sepoltura in una padella d'olio bollente. Purtroppo le favole per adulti non hanno tutte il lieto fine, e nemmeno una morale; ma c'è almeno una consolazione: Bernardo, finito miseramente sul piatto di un buongustaio, non saprà mai che Lisa ha trovato una identica amara sorte in un barattolo di vetro, sottolio.

epilogo:
Bernardo piegò accuratamente i fogli appena usciti dalla stampante, li imbustò con altrettanta cura, soddisfatto di avere rispettato per una volta i tempi richiesti dall'editore; la favoletta del granchio omonimo gli sembrava all'altezza dei suoi scritti più seri ed importanti: è vero che era poco più che un gioco, ma quel che lo aveva spinto sulla ricerca del nuovo era una sua fissa di sempre, la metempsicosi. Gli piaceva molto l'idea che l'anima potesse trasmigrare tra svariati corpi, secondo una gerarchica scala di merito o punizione, e in particolare gli piaceva l'idea di poter essere stato un granchio, promosso a rango superiore per meriti speciali; per questo aveva battezzato il piccolo protagonista con il suo stesso nome. Anche l'autore, come la sua creatura, si sentiva imprigionato in un involucro sciatto e anonimo, che non gli facilitava certo i rapporti interpersonali; era superbamente convinto di avere un'anima di prim'ordine, ma questa, ahimé, non si riesce ad esibirla ai primi incontri.
Forse fu la contentezza per il buon lavoro che sentiva di aver fatto che gli diede ulteriore energia, e una voglia nuova di rimettersi in gioco, di osare, di assecondare i propri desideri più segreti. Così, uscito per spedire il plico alla casa editrice, si trovò non casualmente a transitare davanti alla sua libreria preferita: la Eredi Rinaldi, gestita da una affascinante giovane donna che da alcuni mesi bazzicava i suoi sogni, Bernardo entrò e prese il coraggio a due mani.
Dopo aver gironzolato tra banchi e scaffali aspettando che i pochi clienti abbandonassero il campo, quando finalmente la signorina Rinaldi rimase oziosamente dietro al banco prese il primo libro che gli capitò a tiro e al momento di pagare tirò fuori tutto il suo ardire per porre la fatidica domanda:
Posso chiederle, signorina Rinaldi, se non sono indiscreto, il suo nome di battesimo?
E la ragazza, sfoderando uno smagliante ed amichevole sorriso prontamente rispose:
“Certo, mi chiamo Lisa…

La moleca (moèca in dialetto veneziano, è un prelibato piatto veneto; per saperne di più:
http://www.presidislowfood.it/ita/dettaglio.lasso?cod=210
purtroppo il link non funziona più e allora ne metto un altro:
http://www.saporetipico.it/prodottotipico561/veneto/moleche.html
buon appetito
E

26
Anch'io Scrivo poesia! / i sogni son desideri
« il: Luglio 15, 2011, 23:01:39 »
I desideri sono come i fiori:
nascon spontaneamente a centinaia
ma quando qualche sogno si realizza
rimane solamente un bel ricordo...

27
Anch'io Scrivo poesia! / cala la tela
« il: Luglio 15, 2011, 22:56:42 »
cala la tela: luci spente e buio
sulla scena deserta a segnalare
che è finita la recita per sempre.
repliche no, che non mi basta il cuore.
adesso sono proprio troppo vecchio
il più giovane vecchio grande attore.
appendiamo la giubba, via il cerone;
lacrima vera? no, solo sudore:
tutto finto, illusorio, costruito.
per un pubblico attento e smaliziato
è reciproco inganno dichiarato
è quel gioco crudele che distrugge.

28
Altro / Parapendio
« il: Luglio 15, 2011, 21:39:02 »
“Le istruzioni per la partenza sono semplici: quando il vento sarà favorevole, ti batterò un colpetto su una spalla; dovrai camminare in avanti, senza correre e senza fermarti, solo due o tre passi, poi sentirai uno strappo alle spalle; continua tranquillo, e saremo in volo…”
L’avvicinamento non era stato difficile, ma faticoso; tutta l’attrezzatura era divisa in due sacchi di circa 15 chili ciascuno; ovvio che dall’arrivo della funivia al punto di partenza questi fardelli dovevano essere equamente divisi, perciò i dieci minuti da fare a piedi in salita per raggiungere il punto di decollo non sono stati uno scherzo; ma valeva la pena di sopportare quel peso, ci portavamo sulle spalle un quarto d’ora di pura felicità.
Ero ansioso di provare questa nuova esperienza, un volo in parapendio, con istruttore, si intende, mica potevo improvvisarmi esperto di volo senza motore, e poi l’occorrente per volare ha un costo elevatissimo, si parla di una decina di milioni di vecchie lire.
Così in quella splendida mattina di luglio avrei emulato Icaro, sarei stato più vicino al sole senza ausilio di motori.
L’unica cosa che ricordo con un certo fastidio è l’ansia dell’attesa, che mi è sembrata interminabile; prima, alla partenza della funivia Walter, l’istruttore pilota, era in leggero ritardo, perché il volo precedente era partito oltre il tempo previsto, e già quella è stata una attesa fastidiosa, ma il culmine dell’inquietudine è arrivato sul prato dal quale dovevamo decollare.
Il vento pareva non volesse mai più prendere la direzione giusta, scrutavo le maniche a vento con crescente apprensione, con una aspettativa delusa che mi procurava quasi un dolore fisico.
Non avevo paura, era solo l’ansia che mi divorava, che dilatava a dismisura la sensazione pesante che l’attesa fosse infinita; ma alla fine siamo partiti: al tocco di Walter ho cominciato a camminare, faticando a controllarmi per non correre, uno, due, tre passi e al quarto mi sono trovato ad annaspare nel vuoto, eravamo su nel cielo!
Da quel momento, ho dimenticato che dietro a me sedeva Walter, intento a manovrare i cento fili che ci tenevano attaccati alla splendida ala del velivolo, a guidare con maestria quello che a me invece sembrava un bizzarro volo della mente, un disordinato, splendido girovagare in quel paradiso tra le montagne.
Il silenzio era rotto solo dal batter del vento sull’ala, che produceva un fruscio ritmico, una specie di magico soffio, a sorreggere la nostra avventura., la mia avventura.
Perché ero solo, volevo esser solo. Con Walter mi sarei ritrovato dopo, a terra, per ringraziarlo, per avere ancora ragguagli tecnici.
Ora volevo essere solo, con me stesso, con i miei ricordi, con i miei pensieri e le mie sensazioni.
Così era: facile come bere un bicchier d’acqua, semplice ma traumatico, come nascere.
Ecco, questo paragone, senza dubbio esagerato dall’euforia del momento, è però uno dei primi pensieri che mi è balenato nella mente in quel frangente; nel parto non dobbiamo mettere alcuna capacità, nessuna abilità: si nasce in automatico, non c’è nulla da fare, di quel poco ci fosse da fare si occupano altri, ma l’interprete principale, pur passivo, inerte, è il nostro io che comincia la sua avventura, che per la prima volta nella sua vita si sente simile a Dio, crea il mondo.
Certo il mondo degli altri c’era già prima che nascessimo, ma il “nostro” mondo comincia con noi, e assieme a noi finirà, nel nostro ultimo respiro.
In definitiva il mondo esiste perché e fino a tanto che noi esistiamo.
In questi momenti così intensi il mio mondo cambiava in continuo prospettiva, prendendo l’aspetto familiare dei miei sogni più belli; di uno, in particolare, ricorrente: fin dalla prima infanzia mi è capitato di fare più volte lo stesso sogno, nel quale indossavo un cappottino grigio di pesante panno, una vera sciccheria negli anni dell’immediato dopoguerra che mi vedevano bambino; il vento, infilandosi sotto l’indumento, lo gonfiava come una mongolfiera, ed io cominciavo a lievitare, librandomi due o tre metri sopra le teste della gente e volteggiando sopra al campo San Geremia.
Questo sogno era talmente vivido, reale, che per molti anni credetti non fosse un sogno, ma una piacevole, speciale realtà che era capitata in sorte proprio e solo a me.
Fu il primo anno di scuola a confermarmi che si trattava solo di un sogno: volli infatti raccontarne orgoglioso ad una compagna di classe che mi era simpatica più degli altri alunni, e lei si prodigò a spiegarmi e a convincermi che non esiste la magia, che il mondo è regolato da leggi perfette ed immutabili e che i sogni non si avverano mai.
Proprio perché sono sogni e tale è la loro funzione, far vivere i nostri desideri, anche i più irrealizzabili, in una dimensione paranaturale, affatto diversa dalla realtà ma con un realismo che ci soddisfa e ci appaga.
Certo Gabriella non usò parole così pertinenti, il suo discorso era tanto più semplice, ma questi sono i concetti che mi sono rimasti, che hanno accompagnato tutta la mia vita seguente. Indirizzandomi verso una continua ricerca del positivo, del reale, che scientificamente ma inesorabilmente mi ha portato all’agnosticismo, al rifiuto del magico, dell’incredibile,  possibile solo nella fantasia, nella poesia.
Quest’ultima mi pare proprio il punto di incontro, di mediazione tra la ragione e il desiderio, tra la mente e il cuore.
Navigare tra le proprie fantasie lasciandosi cullare dalla dolce melodia di parole in versi, assecondare le assonanze per favorire anche l’associazione di idee, questo per me è la poesia, o meglio, questo è il suo lato tecnico, che poi dovrà essere integrato dalla componente fondamentale ed indispensabile: il cuore, il sentimento.
E io navigavo tra i monti, immerso in una realtà così vicina e simile al sogno da farmi quasi paura.
Mi pareva un anticipo, un assaggio della nostra condizione futura, quando, finita l’avventura fisica, corporale, il nostro spirito, liberato dai vincoli di un corpo oramai morto, spazierà felice in una specie di sogno continuo.
Ma perché questa percezione mi procurava paura?
Perché in quegli attimi stavo mettendo in crisi tutta una vita di incredulità, tutta una vita senza fede, che però mi dava tranquillità, stabilità.
E la paura era di perdermi tra i sogni, in una ricerca mai sopita di misticismo, di possibile contatto con l’impossibile possibile, Dio.
Sembra incredibile che un breve volo tra le nuvole possa ingenerare tanti pensieri, tante riflessioni; sarebbe più naturale credere in una gioia attonita, senza partecipazione razionale, il puro piacere di assaporare una novità, un modo nuovo di vedere il mondo, di sentirlo vicino e lontano al tempo stesso.
Ma come tutte le cose belle anche la mia avventura su nel cielo era destinata a finire.
L’impatto con il terreno fu dolce e duro al tempo stesso; dolce dal punto di vista tecnico, ci eravamo calati con ampie curve, come un predatore che non voglia ghermire la preda con fretta ma che aspetti il momento giusto; duro sotto il profilo psicologico, come chi non vorrebbe svegliarsi per non interrompere un sogno troppo bello: fatti a terra pochi passi, quel quarto d’ora magico era diventato adesso soltanto un bellissimo, struggente ricordo.

il racconto è leggibile sul mio sito, www.eziodellagondola.it  nella sezione Racconti, e li ci sono dei collegamenti ipertestuali che consentono di vedere un resoconto fotografico

E

29
Anch'io Scrivo poesia! / Strage di Beslan
« il: Luglio 14, 2011, 09:04:25 »
sorrisi spenti

sono sorrisi che si sono spenti
son promesse di vita cancellate
sono fiori recisi troppo presto:
di quei volti nessuno sarà vecchio,
congelato per sempre in una effigie
che la pietà avrà posto su una croce;
non è il destino ad essere crudele,
non disgrazia, non lutto per un caso
ma una scelta precisa e volontaria
ha troncato speranze a centinaia.
homo homini lupus è la lezione
che non mi sembra adesso esagerata;
ma le bestie non hanno raziocinio
mentre le belve che hanno fatto questo
sono purtroppo esseri pensanti:
non un folle che esplode all'improvviso
e che del male non ha la coscienza:
questo è un gruppo di gente preparata
che ha studiato la strage a tavolino;
un gruppo che ha parlato, ha concordato
di fare questa strage criminale
come se si trattasse di studiare
un viaggio, un ballo, un pranzo fatto assieme.
È questa gente che ha già conquistato
il suo posto sicuro nell'inferno.

6 settembre 2004



30
Anch'io Scrivo poesia! / Sogni assassini
« il: Luglio 14, 2011, 08:48:21 »
cosa fa un sogno, quando è troppo grande?
ti assorbe, ti conquista e poi ti uccide
perchè rimane un sogno, troppo bello,
troppo felice per essere reale.
ma chi non sogna forse era già morto,
forse è l'amara sorte di chi nasce
dal ventre di una donna, dall'amore,
da un altro sogno che da vita e morte:
chi nasce sogna e muore, non c'è scampo

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