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Topics - eziodellagondola

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Anch'io Scrivo poesia! / il saggio
« il: Luglio 14, 2011, 08:45:14 »
Un uomo saggio
talvolta torna ai vivi;
lascia parlare il cuore, si rilassa.
Ma poi si pente
e senza indugio alcuno
se ne torna su in cima alla montagna

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Sentimentale / Viola (epilogo)
« il: Luglio 14, 2011, 08:31:47 »
Ma bene o male la vita continuava: arrivò anche la promozione sul lavoro, che Fulvio si limitò a registrare con il più assoluto disinteresse; l’unico vantaggio che per il momento ne ricavò fu il cambio di ufficio, una stanza tutta per lui, come si addiceva ad un Capo Divisione, con tanto di segretaria in anticamera, a far da filtro per il mondo intero: la Direzione gli concedeva inoltre due settimane da dedicare interamente allo studio, alla preparazione ai nuovi compiti con l’auto apprendimento solitario; solo quando avesse avuto una infarinatura sufficientemente completa della materia si sarebbe affiancato ad impiegati anziani, gli esperti di settore.
Per ora poteva starsene tutta la giornata da solo, ed era evidente che parte del suo tempo l’avrebbe dedicata all’esame dei suoi problemi personali, senza peraltro portar via nulla all’Azienda; la sua capacità di apprendimento era infatti di molto superiore alla media, così con un paio d’ore di studio intenso pareggiava i conti con la sua coscienza e dava alla Società l’esatto corrispettivo della retribuzione ricevuta.
Il tempo che Fulvio recuperava per se sfruttando le sue capacità così fuori del comune lo dedicava quasi interamente ad internet; aveva scoperto un forum, un gruppo di discussione che lo aiutava a ritornare indietro con gli anni, a rinfrescare l’interesse per una passione giovanile che credeva assopita per sempre, l’amore per la poesia.
In questo forum bazzicavano personaggi interpreti della più varia umanità, e Fulvio in principio si limitò a leggere, assorbendo di tutto: sproloqui, velleità manifeste, in alcuni e per fortuna limitati casi turpiloquio e blasfemia, alla faccia dei poeti! Ma c’era anche del buono: autori che garbatamente proponevano i loro lavori, a volte premiati da commenti di altri autori ricchi di spunti, molti assai tecnici, espressi con competenza.
Non mancò di notare anche svariate manifestazioni di presunzione; taluni infatti si definivano poeti e si piccavano d’esserlo per il solo fatto che la loro prosa usava degli “a capo” arbitrari, tanto per travestire da versi delle prosaiche inutilità.
Il più delle volte nemmeno i concetti espressi valevano a salvare i componimenti pomposamente definiti “poesie”; luoghi comuni, retorica, malinconie romantiche la facevano da padroni. Era quindi inevitabile che chi si toglieva dal mazzo attirasse immediatamente l’attenzione di Fulvio, che cominciò a seguire sistematicamente tutti gli scritti di una tal Viola.
Costei si descriveva come una ragazza moderna, sulla trentina, delusa dall’imperare del maschilismo ma renitente a ghettizzarsi nell’equivoco reparto “donne sole e deluse”.
Ovviamente Fulvio mise in conto la possibilità invero assai elevata in rete che la persona che si firmava Viola fosse tutt’altro che una giovane donna moderna.
Ma fintanto che ci si scambiavano solo scritti, la cosa poteva avere una rilevanza assai modesta, anzi il gioco sottile del possibile reciproco inganno rendeva ancora più stimolante il rapporto, c’erano continue attenzione e tensione, il che migliorava anche la voglia di conoscersi più a fondo, di esplorare quei risvolti del non scritto e non detto dove intelligenza ed intuizione davano allo scambio epistolare un surplus di interesse.
Così si lasciava cullare dalla voglia di scriverle, di rivelare la sua attenzione, che a questo punto stava per diventare devozione; ma si tratteneva dal farlo per timore di sbagliare “entrata” e rovinare tutto, e anche in parte per la paura che dietro alle belle parole si nascondesse qualcosa di fasullo, qualche possibile amara delusione.
Ma finalmente si risolse a farsi avanti, dopo aver letto questo componimento che Viola aveva pubblicato sul newsgroup:
“nel cono d’ombra della mia ignoranza
lascio che parli solamente il cuore
perché qualcuno veda la distanza
intercorrente tra la voglia e amore;
solo a chi condivida il mio sentire
potrò svelare la mia nostalgia
e solo a lui io voglio far capire
quanto sia forte la mia fantasia:
gli farò fare un gioco, o meglio un viaggio
dentro le pieghe d’ogni mio pensiero;
è questa esplorazione a largo raggio
che saprà rivelargli il mio mistero.”
Fattosi coraggio, Fulvio replicò in questo modo:
“Seguo da tempo ogni tua scrittura
Così dolce e pur ricca di emozione;
mi svelo adesso, vinta la paura
di apparire soltanto un curiosone;
aspiro a fare il gioco che hai promesso,
‘ché mi intriga quel viaggio nella mente
di una persona così interessante;
fammi provare, e certo avrò successo.!
Pensiero”
“Caro Pensiero – Viola rispose con una e-mail privata e non sul newsgroup – il mio primo impulso alla lettura della tua replica è stato di stizza: come si permette questo signor “Pensiero” di prendersi gioco di me, di farmi il verso con dei versi! Ma rileggendo attentamente sono stata assalita da un dubbio, cioè che tu possa essere vero! E’ per questo che ti sto scrivendo in privato: per saggiare il tuo esistere davvero. Però ti scongiuro di non prenderti gioco di me; se sei fasullo ti basterà poco per risparmiarmi un grande dolore e per fare al contempo un’opera buona: evita di rispondermi, ritorna nel nulla da cui vieni e lasciami vivere in pace; apprezzerò oltre misura questa eventuale cortesia nei miei confronti”
“Gentilissima Viola, volentieri le replico – Fulvio era passato al “lei” in segno di rispetto e serietà – per mostrarle che non solo esisto, ma che nutro nei suoi confronti grande stima e fiducia, al punto che rinuncio di buon grado all’anonimato (ma la prego di non sentirsi in obbligo di imitarmi); dietro lo pseudonimo “Pensiero” c’è il nome vero, Fulvio A….. e potrà trovarmi, se lo vorrà a questo numero di telefono: 333…
Sono veramente e vivamente interessato al gioco che propone, vorrei saperne di più ma “a pelle” sento che mi piacerà comunque.
Fulvio.”
“Caro Pensiero, ti ringrazio per la facoltà che mi concedi di restare un poco defilata; non è che mi manchi il coraggio di svelarmi ma rimango per te la misteriosa Viola proprio perché penso possibile farti partecipe del mio gioco, che prevede come premio finale a chi lo meriti la soluzione del mio rebus.
E’ per questo che non userò il numero di cellulare che con grande fiducia mi hai comunicato; ma per premiare questa fiducia di tanto in tanto ti invierò SMS. Sappi comunque che pur apprezzandone franchezza e coraggio, Fulvio per me non esiste, non ancora; forse verrà il suo tempo, ma adesso per me tu sei solo Pensiero, aspirante giocatore. Non ci sono prove specifiche da superare per essere ammessi al mio progetto, ma ho bisogno di conoscerti meglio, di sondare il tuo animo per evitare future reciproche delusioni. Scrivimi ancora, che solo le parole saranno passaporto per una possibile felicità.
Viola”
Così Fulvio si imbarcò nell’avventura più entusiasmante e al tempo stesso più sconvolgente della sua vita; iniziò una fitta corrispondenza con Viola, toccando gli argomenti più vari, inframmezzati dal racconto di un passato recente e remoto, brandelli di vita, ricordi ed impressioni che venivano scambiati reciprocamente, così che nello spazio di sei mesi i due potevano dire di conoscersi così profondamente come poche coppie nella vita reale potevano vantare.
Sempre che entrambi avessero scritto cose vere, che nessuno dei due avesse inventato, o infiorato la verità per apparire migliore, più interessante.
Fulvio per parte sua non aveva nascosto mai nulla, considerava questo scambio di parole come una catartica confessione e si preoccupava non solo di non mentire, di non modificare nulla della verità a lui nota, ma addirittura approfittava di questa ghiotta occasione per auto analizzarsi. Come fosse seduto sul lettino di uno “strizzacervelli” usava gli episodi della sua esistenza per esorcizzare le paure, rimuovere complessi e fobie e rafforzare la sua psiche; una cura questa che gli procurava inoltre un indicibile senso di benessere: tuffandosi in questa comunicazione a volte parossistica era riuscito a dimenticare in parte le sue disavventure sentimentali, a darsi una nuova, meravigliosa ragione di vita.
Viola sembrava stare al gioco, appariva ugualmente interessata e gioiosamente entusiasta dell’evolversi della situazione, tanto che ben presto mise sul tappeto il famoso progetto, quello che avrebbe svelato il suo mistero.
Il gioco consisteva, e ora saggiate le reciproche affinità le parve possibile, nel tentativo di scrivere un romanzo a quattro mani. Lei avrebbe preparato un canovaccio, una trama che si sarebbe sviluppata e rivelata poco a poco, “in itinere” mentre Fulvio l’avrebbe portata a compimento, aggiungendovi del suo, a piacere e discrezione.
Altri sei mesi ci vollero per portare a termine questo lavoro, tra prima stesura e revisione finale, ma il risultato era veramente buono, non solo agli occhi interessati dei coautori: Viola era ben conosciuta nell’ambiente letterario, così disse a Fulvio, e due affermati critici espressero pareri lusinghieri sul manoscritto sottoposto loro da Viola per amicizia, e inventando come autore un giovane nipote alla sua prima impresa.
Tuttavia il risultato che Fulvio si aspettava non era il successo letterario, ma la soluzione del mistero “Viola” la quale ben presto mantenne la promessa.
“Caro Fulvio – era la prima volta che Viola non si rivolgeva a Pensiero dopo più di un anno e centinaia di e-mail – adesso è proprio arrivato il tuo momento; se non hai di meglio da fare, verrei sabato prossimo alle 17 a casa tua, per svelarmi finalmente, e poterti guardare negli occhi. Che ne pensi?” 
“Non sto nella pelle, Viola e non so come farò a pazientare fino a sabato: Sono rimescolato ed impaziente, come un bimbo la vigilia di natale: Ma due giorni passeranno in fretta, almeno lo spero. A sabato dunque, Pensiero in pensione!”
In realtà due giornate furono interminabili, spese a riassettare l’appartamento, per renderlo degno di tanta visita.
Così sabato pomeriggio alle quattro Fulvio era pronto ed impaziente più che mai, tirato a lucido come per la prima comunione. Teso come una corda di violino, al trillare del campanello di casa sussultò e il cuore cominciò a pulsare furiosamente. Possibile che Viola fosse così tanto in anticipo? Meno male che tutto era già pronto; si accostò allo spioncino e quasi gli prese un colpo.
In piedi sul pianerottolo, in paziente attesa c’era Sandra:
Dopo più di un anno, proprio oggi doveva rifarsi viva?
Fulvio, già emozionato del suo, ora era piombato in pieno marasma. Che fare? Avrebbe potuto non aprire, fingere di essere via. Ma che stupidaggine! Non aveva cambiato serratura e Sandra avrebbe usato le sue chiavi, in fin dei conti era ancora casa sua. Bella figura farsi trovare li dentro, confuso e imbarazzato!
Poi lo assalì una strana nostalgia, di colpo la trepidazione era svanita e suo malgrado si accorse di desiderare ancora Sandra, di esser felice di rivederla ed ansioso di sentirla ancora vicina, nonostante l’imbarazzante circostanza di essere in attesa di un’altra visita importante.
Allora risoluto aprì la porta e sfoderando uno smagliante sorriso esclamò: ”Ciao, che piacevole sorpresa rivederti! Accomodati, ti prego – ridacchiò – fai come fossi a casa tua!”
Sandra entrò con il solito piglio da regina; era Sua Signoria che riprendeva possesso del reame, questo Fulvio lo capì immediatamente, e cominciò a tremare al pensiero che tra meno di un’ora la sua vita poteva sfiorare la tragedia. Come trarsi d’impaccio? Forse poteva ancora fermare Viola, telefonarle annunciando un improvviso malore, ma come l’avrebbe presa? Forse preoccupata si sarebbe precipitata da lui, incurante delle sue proteste: ”Non serve, non è poi un gran malessere!”
“E allora perché non vederci? Se gli amici non si fanno presenti nel momento del bisogno, che amici sono?”
Era proprio in un bel pasticcio, non c’era che dire, e non sapeva come ne sarebbe venuto fuori.
Intanto bisognava sorridere a Sandra, che già dava segno di voler prendere il comando delle operazioni: “Ti vedo un po’ agitato. Ti ha disturbato la mia visita improvvisa? Forse aspettavi qualcuno? O qualcuna?” aggiunse maliziosa, pareva sapesse. “Mamma mia che guaio – pensò Fulvio – eppure son contento che sia qui, che sia tornata, ma mi sento terribilmente in colpa per Viola: Ma è possibile, Dio mio, amare così tanto due donne? e contemporaneamente? e perdutamente? Non saper, non voler rinunciare a nessuna delle due? Pure sono incompatibili. Sandra ha la priorità; ma Viola non se lo merita di esser messa da parte; in che guaio mi sono cacciato? Ma mi ci sono cacciato? Potevo prevederlo, evitarlo? E adesso che faccio?”
Lo sgomento, il terrore stavano dipingendo sul volto di Fulvio una smorfia amara che cominciò a preoccupare Sandra, e la donna decise di forzare i tempi. In fin dei conti poteva comunque sentirsi paga.
Tirò dunque fuori un fascio di fogli dattiloscritti sui quali troneggiava il titolo del famoso romanzo in società.
“Pensa che stramba coincidenza: l’editore mi ha rifilato per la prima lettura questa meraviglia; non ti pare incredibile?”
Fulvio stava per svenire: il destino non poteva essere così crudelmente beffardo, utilizzare la professione di Sandra, critico letterario di chiara fama, per giocare a Fulvio un tiro tanto mancino!
Ancora una volta fu la moglie a salvarlo, ad acciuffarlo dal baratro in cui stava precipitando:
“Tranquillo, ora respira a fondo e rilassati. Cerca di prepararti con serenità alla rivelazione che ti sei meritato: Viola non esiste, Viola è Sandra, non assetata di vendetta ma vogliosa di recuperarti; perché in fin dei conti sei sempre l’uomo della sua vita e per amore si possono anche seppellire i principi.”
Prima della parola fine, entrambi esclamarono, ancora una volta all’unisono: “Ti voglio bene”

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Sentimentale / Viola (prologo)
« il: Luglio 14, 2011, 08:31:17 »
Fulvio non poteva credere che fosse davvero finita: ora si trovava immerso come in una bambagia neutra, che lo avvolgeva e lo cullava, impedendogli di pensare, ma anche di soffrire e di mettere in atto propositi insani: anche se il primo pensiero che gli aveva attraversato la mente quella sera che furente Sandra lo aveva lasciato solo in casa, a meditare sui suoi errori era parsa unica possibile via d’uscita, la rinuncia a vivere, che tanto la sua vita senza Sandra sarebbe stata un insulso trascinarsi verso una fine ancora più ingloriosa, verso una vergognosa consunzione; perché sapeva che Sandra per nulla al mondo sarebbe tornata sui suoi passi. Mai in vita sua aveva messo in discussione una decisione presa, anche se sotto la spinta dell’ira e della umiliazione.
Sandra sapeva sempre alla perfezione quale sarebbe stata la strada migliore da intraprendere, in ogni momento ed in ogni circostanza: non certo come Fulvio, eternamente in bilico, vittima e schiavo dei propri dubbi, sia quelli esistenziali che le banali incertezze del quotidiano; odiava scegliere e per non doverlo fare rinunciava volentieri anche ai propri gusti: era la moglie che ogni mattina decideva come Fulvio doveva vestire quel giorno, se indossare giacca e cravatta o buttarsi sullo sportivo; e se la scelta fosse caduta sul classico, anche la cravatta, pescata nella cospicua collezione di Fulvio, era soggetta al vaglio attento di Sandra, che badava non solo all’accordo cromatico dell’accessorio con il tono dell’abito, ma si sforzava di interpretare l’umore e lo spirito della giornata del marito, addirittura in modo indipendente da lui stesso: quante volte, svegliatosi di cattivo umore, Fulvio era andato allegramente al lavoro solo perché Sandra aveva scelto per lui una cravatta spiritosa, magari una delle tante dedicate ai maiali. Fulvio ne aveva una raccolta notevole e soleva scherzare asserendo che la cravatta era un suo speciale biglietto da visita, una specie di avvertimento: “Così le mie donne sanno cosa aspettarsi”.
In realtà non c’erano donne che da Fulvio si aspettassero alcunché: il suo era solo uno stilema, un adeguarsi al tipico atteggiamento da macho italico, che comunque non gli si addiceva.
Monogamo più per pigrizia che per vocazione, Fulvio non si era mai concesso alcuna scappatella extraconiugale, per tutti i vent’anni di matrimonio, quei vent’anni di cui ora cominciava a rimpiangere ogni istante.
Ancora si chiedeva come e perché avesse stupidamente rovinato la sua vita; soprattutto si interrogava sul fatto che comunque si ritrovava ora con un pugno di mosche: una avventura, peraltro neanche cominciata, aveva cancellato tanti anni di vita in due, così, in un attimo, e Fulvio ne era rimasto stordito
Questo tentativo di avventura era in effetti qualcosa di banalmente incredibile.
Fulvio improvvisamente, senza una ragione profonda, pensò di essersi innamorato di una ragazzetta che poteva benissimo essere sua figlia: venticinque anni, alta, slanciata e bionda; tutto qui!
Era la nuova cuoca della mensa aziendale e non c’era mai stata nemmeno una parola tra loro, Fulvio non sapeva di lei altro che il nome, Amanda, e tanto gli era bastato per credersi perdutamente innamorato; di belle donne Fulvio ne aveva sicuramente incrociate parecchie ma nessuna aveva avuto il potere di attrarlo come Amanda; era conscio che si trattava di una attrazione fisica, ancorché speciale, in quanto isolata, anzi unica in un quarantacinquenne che si riteneva al riparo da qualsiasi infatuazione. Ma questa presa di coscienza non gli impedì di cullare l’illusione che si trattasse di qualcosa di diverso, di aver trovato finalmente il grande amore. Nemmeno Sandra era stata così sconvolgente nella vita di Fulvio; assieme fin dall’infanzia, i due erano quasi predestinati: le famiglie erano amiche e da sempre era aleggiato il progetto che Sandra e Fulvio ne costituissero l’unione definitiva; quindi, trascorsi insieme fanciullezza ed adolescenza, non appena i giovani furono giudicati maturi, cioè dopo la laurea di entrambi, le predestinate nozze avevano sancito definitivamente il loro essere coppia.
C’era tra loro un affetto assai intenso, ma non si può dire che vi fosse un amore travolgente, come Fulvio immaginava dovesse essere il grande amore. Stavano bene assieme, ma il loro stare insieme era un quieto vivere pantofolaio, felice e senza scosse; ma anche senza impeto, passione. E Fulvio covava in se questa carenza, questa voglia inconfessata di qualcosa di speciale, di unico.
Così quando mise gli occhi su Amanda sentì, sbagliando grossolanamente, che poteva essere la volta buona; mise allora da parte ogni scrupolo e cominciò a corteggiare la ragazza in modo discreto ma insistente; lei, pur lusingata da tanto interesse, non si sognò nemmeno di dar retta a questo pur “simpatico” cliente, poiché la simpatia non le pareva motivo sufficiente per imbastire una relazione con un uomo molto più vecchio di lei e per giunta sposato.
Il fatto che Amanda fingesse di non accorgersi della corte spietata di Fulvio non dissuadeva l’impertinente dai suoi propositi, che anzi la difficoltà della conquista rendeva ancora più interessante ed eccitante l’impresa.
Perciò, nonostante un nulla di fatto, il comportamento strano del marito non poteva non farsi notare da Sandra, sempre attenta ai cambi di umore del suo sposo.
Il modo più semplice per sapere le cose tra due persone in grande confidenza è una domanda diretta, che Sandra pose, ma Fulvio nicchiò e per la prima volta in vita sua mentì a Sandra.
“Non ho nulla di speciale; forse sono un poco stressato dal lavoro, è un periodo di grandi manovre in ufficio, si stanno decidendo le nomine di quanti dovranno rimpiazzare ben tre capi divisione andati in pensione; sai che della carriera non mi importa molto, ma il salto retributivo sarebbe notevole, e credo di essere in pista in posizione molto favorevole”.
Sandra non se la bevve, ma non era sua abitudine contestare quel che Fulvio le raccontava; perciò la questione morì li.
Ma intanto il tarlo del dubbio, unito disastrosamente al senso di colpa contribuiva a rendere sempre più cupo l’umore di Fulvio, che accumula stress come in una pentola a pressione; ma prima o poi questa tensione sarebbe scoppiata, e gli effetti di tale deflagrazione Fulvio si immaginava bene sarebbero stati devastanti; e lo furono.
Quando finalmente si decise a vuotare il sacco, Fulvio sperimentò di fatto quello che in cuor suo aveva temuto, quello per cui si era deciso a mettere in atto la prima grande menzogna della sua vita, una omissione pericolosa, ma dalla vita corta.
Messa al corrente degli interessi extraconiugali del marito, Sandra reagì purtroppo come Fulvio aveva immaginato: furente abbandonò casa e marito, ben decisa a non ritornare sui suoi passi.
A Fulvio non rimase che raccogliere i cocci di una esistenza sbagliata, resa quasi insopportabile da un unico piccolo grande errore.

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Sentimentale / Stefano
« il: Luglio 10, 2011, 16:22:07 »
“Perché questa stupida pigrizia? – dice tra se e se Stefano – posso benissimo spostarmi fino in camera, prendere l’arnese che prolunga la portata delle mie braccia e recuperare il fazzoletto che ora sta beffardamente ai miei piedi e di cui ho un disperato bisogno! Dannata pigrizia! E’ proprio una questione di testa, sono dieci anni che non faccio altro se non riposare su questa benedetta sedia.” Stefano ora ripensa all’incidente che da così tanto tempo lo inchioda sulla sedia a rotelle, ripensa ai giorni spensierati durante i quali poteva correre, camminare, raccogliere ogni cosa gli fosse caduta dalle mani. Solo chi non può e non ci riesce, sente il disagio di non poter raccogliere qualcosa. Dieci anni! Un periodo veramente spropositato, una bella fetta di vita alla quale Stefano pensa con un senso di pace, di rassegnata soddisfazione; perché ogni medaglia ha il suo rovescio: dieci anni di immobilità forzata sono stati anche dieci meravigliosi anni segnati dalle costanti, amorose premure di Stella, la moglie più affezionata del mondo. Certo che Stefano non ha una grande esperienza, di mogli nella vita di un uomo non ne capitano molte. Ma Stefano non ne vorrebbe un’altra. Stella per lui è semplicemente perfetta. E l’incidente ha fatto sparire anche il suo unico, perdonabile difetto, la gelosia.
Stella un tempo era in effetti tremendamente gelosa: non che Stefano gliene fornisse motivo, ma questo morboso sentimento, questa esagerazione dell’amore che la portava ad uno spasmodico desiderio di possesso totale, incondizionato, era una costante nel suo abituale rapportarsi con il mondo che avvicinava il marito. Ed ora il mondo si è fatto piccolo piccolo, racchiuso tra quattro mura dove gli estranei sono ammessi solo in alcune feste comandate e in qualche raro incontro tra amici. Gli amici di Stefano e Stella si sono sempre più diradati; non è facile intrattenere rapporti amicali con una coppia così sbilanciata, così speciale.
Via via che le occasioni di incontrare gente si sono ridotte, Stella ha cominciato a vivere una nuova quiete, una serena e finalmente appagata smania di possesso. Ora il suo uomo è veramente, totalmente suo. Come un bambino va seguito, aiutato, accudito ma soprattutto coccolato. Certo tanti portatori di handicap come lui vivono soli, si arrangiano, magari seguiti da personale di servizio o assistenti sociali, ma non è la stessa cosa: nessuno di loro vive una vita tanto serena, felice come quella di Stefano, che nonostante la disgrazia, benedice il giorno che gli è capitata, e solo per la presenza premurosa e amorevole della moglie. I due vivono come in un’estasi la loro meravigliosa, reciproca dipendenza. Anche Stella vive solo per il suo uomo; si assenta da casa il minimo indispensabile: il lavoro, il governo della casa e della famiglia con le spese, tutte quelle cose che non può fare a meno di fare, tutti quei doveri che da sempre ha affrontato con puntigliosa efficienza.
Ma ogni attimo libero della sua esistenza lo trascorre per scelta assieme allo sfortunato compagno, con una dedizione totale, semplice e allegra, senza pentimenti, sempre gioiosa ed incapace di rancore verso un destino non proprio luminoso.
Ridono spesso assieme per una buffa cosa che emerge dai loro ricordi: di quando Stefano corteggiava Stella, che stentava ad accettare quel ragazzo così simpatico ma che non era certa fosse l’uomo della sua vita, tentando di dissuaderlo, di evitarne il tenace assedio opponendo un altrettanto tenace rifiuto. Si scrivevano, allora, una marea di lettere e Stella rimproverò una volta Stefano per essersi da solo imprigionato in una gabbia d’oro, ma poi accusava anche se stessa di aver accuratamente chiuso ogni varco. Al che Stefano rispose prontamente che se anche tutte le pareti della gabbia si fossero dissolte, lui liberamente sarebbe rimasto felice prigioniero.
E ora entrambi vivono con stupenda emozione in una prigione dorata, lui per necessità e lei per scelta.
Ma Stefano ora è alle prese con una banale ma improcrastinabile necessità: recuperare il fazzoletto caduto.
“Però potrei provare a chinarmi lentamente; anche se rischio di capottare dalla sedia; farò piano piano, ed al primo accenno di difficoltà, mi fermerò.”
Così adesso allunga il braccio sinistro, comincia impercettibilmente a pencolare; ha perso l’uso delle gambe, ma la colonna vertebrale fa ancora il suo servizio; certo è anchilosata per la prolungata immobilità, manca di allenamento, ma a poco a poco cede, il baricentro si sposta. Stefano spinge ancora di più verso il basso la mano, più con la forza della volontà che con i muscoli, ma le dita sfiorano appena il fazzoletto; ancora uno sforzo, bisogna insistere con il piegamento… un crack, rumore di ramo che si spezza e immediatamente un dolore lancinante dietro, che aumenta di attimo in attimo, fino a togliere il fiato. Sembra che qualcuno con un trapano gli perfori la spina dorsale, e mentre la fronte si sta imperlando di sudore freddo, Stefano finalmente perde i sensi, concedendosi la più naturale anestesia. Si risveglia dopo qualche minuto madido di sudore, con uno strano tremore alle mani. Ora il dolore è sordo ma molto più tollerabile, quasi un indolenzimento. Poco a poco i sensi riprendono il comando ed una rapida autoispezione segnala una anomalia: le gambe, abitualmente insensibili, ora sono percorse da un impercettibile prurito, come un formicolio inusitato. Basta questo a Stefano per realizzare che è avvenuto qualcosa di grande, di inaspettatamente devastante. Ora non può ancora muovere i piedi ma questa sensibilità riapparsa gli da la certezza che con pazienza, tempo e allenamento potrà tornare a camminare. E l’emozione per questa scoperta gli toglie ancora una volta il controllo di se. Stella rientrando lo trova così, svenuto, con la mano sinistra pencolante che artiglia un fazzoletto intriso di sudore.
Leggeri schiaffi sulle guance, sali sotto al naso, e Stefano torna in se; con un immediato, importante pensiero: decide lucidamente di mentire per la prima volta a sua moglie; non le racconterà il motivo dello svenimento. Le sbarre dalla gabbia sono dissolte, ma Stefano sa che non può, non vuole volar via.

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Anch'io Scrivo poesia! / domanda in uno sguardo
« il: Luglio 10, 2011, 15:01:06 »
e tu mi guardi
ed io rimango zitto;
quanto mi piace
questo tuo stupore
che sale piano,
adagio, sul soffitto;
mi guardi ancora
e con gran faccia tosta
io ti rispondo
e salto la domanda:
ora sei sveglio
e ti vuoi far pregare;
forza soldato
scendi dalla branda.

36
Pensieri, riflessioni, saggi / Poesia d'amore
« il: Luglio 10, 2011, 14:11:30 »
Poesia d'amore: uno dei genere più gettonati al mondo, su cui si
cimentano, si sono cimentati e si cimenteranno dilettanti e
professionisti, illustri e sconosciuti, bravi e "scartine".
Insomma, tra i molti sentimenti umani su cui la poesia universale si
sbizzarrisce da secoli, l'amore la fa da padrone: invero vi sono
temibili concorrenti, soprattutto sul versante triste: morte,
solitudine, miseria e compagnia non sono lontani dalle produzioni più
o meno poetiche universali; ma, come per il pessimismo di maniera, sono
molto dubbioso sulla validità delle poesie d'amore.
Io stesso preferisco trattare l'argomento nelle mie prose: i miei
racconti trasudano amore in ogni riga, credo di averne scritto al
massimo un paio dove l'amore non fa capolino; ma poesie d'amore
francamente non mi va di pubblicarne.
Per un semplice motivo:o sono un esercizio di stile, un generico inno a
questo sentimento così importante (ma al tempo stesso così difficile
da definire oggettivamente), oppure sono dedicate a qualcuno che
realmente esiste, ad una persona che meriterebbe un poco di
riservatezza.
Nel primo caso (esercizio di stile) si possono avere anche risultati
notevoli, ma allora siamo in presenza di poeti "teste di serie"
quelli che di qualsiasi cosa scrivano, la sanno scrivere divinamente.
Nel secondo (ed è sicuramente il più diffuso) non è difficile
immaginare il disagio dei lettori più sensibili al pensiero di essere
come dei "guardoni",  spettatori, ancorché autorizzati, di fatti
strettamente personali. Vi è poi ancora una componente importante in
questo settore della poesia: se si tratta di un componimento che viene
dal cuore, dedicato ad una persona vera, e non si sa frenare la voglia
di mostrarlo al mondo, come minimo andrebbe chiesto il permesso a
questa persona che una volta ottenuto renderebbe il destinatario come
un coautore. Perché a mio avviso l'essere autori si concretizza nel momento
in cui  quel che scriviamo decidiamo di esibirlo, a uno o a centomila,
non fa differenza.

E

37
Anch'io Scrivo poesia! / ascoltando Liszt, ultime opere
« il: Luglio 10, 2011, 13:59:18 »
ascoltando Liszt, ultime opere

liquide note scivolano piano
dai tasti bianchi e neri alla mia mente
mentre il pianista con sapiente tocco
piega l'avorio a un suono cupo e triste:
non concede alla tecnica più nulla
il vecchio Listz che adesso sente il vuoto
e il peso insopportabile del tempo.
Incalza il ritmo. Il suono si fa svelto
e il martellante incubo mi avvolge.
Sempre più svelto, sempre più conciso
e concitato il suono si dipana
in un dolore strano e imbambolato;
ancora note troppo bianche e nere,
mesto colore di una fine certa.
Cala il silenzio come una tisana:
può riposare il cuore e la mia mente:
torna il respiro, pulsa adesso il polso
ad un ritmo sereno, più normale;
posso uscire dal sogno senza danno,
non più sentire musica che uccide

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Anch'io Scrivo poesia! / Pourcel
« il: Luglio 10, 2011, 13:57:05 »
Sull’onda delle note di Pourcell
corro tra i prati, visito giardini
assai curati e tutti ben fioriti;
la fantasia galoppa tra le aiuole
che immagino volute da Re Sole.
Graziose dame mi si fanno incontro
e le saluto con profondo inchino;
là cicisbei galanti, pigramente
sostano, nell’attesa della sera
quando la festa scoppierà giocosa.
Un tuono: è il temporale che si annuncia;
ognuno corre lesto al suo riparo;
corron le dame a gonne sollevate
che scoprono soltanto le scarpette;
corrono i cicisbei, ma senza fretta:
l’acqua piovana è acqua benedetta
per splendidi e fantastici giardini.

39
Anch'io Scrivo poesia! / la vita è sogno
« il: Luglio 09, 2011, 22:14:54 »
la vita è sogno, dicono i poeti:
ogni mattina io mi sveglio e penso
se sono vivo o morto e mi rispondo
che non importa quel che sento e sono.
basta ci sia qualcuno che mi pensa
e divide con me l'ansia e la gioia

LA VIE EST UN RÊVE

La vie est un rêve, disent les poètes :
Chaque matin je me réveille et me demande
Si je suis vivant encore ou mort ;
Puis je me dis : peu importe
Ce que je sens et rêve.
Il me suffit de savoir
Qu’il existe une personne
Qui pense à moi,
Une personne
Qui partage avec moi
Mes soucis et mes joies.

Traduit en français par Athanase Vantchev de Thracy
http://www.athanase.org/ancien/bio.htm

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Anch'io Scrivo poesia! / sorridere
« il: Giugno 29, 2011, 21:56:24 »
Ho provato a sorridere alla gente
cedere il passo, essere gentile:
sono cose che pagano all’istante,
chiudono il conto con il mondo ostile.
La simpatia è soltanto il primo passo
che dischiude le porte all’amicizia.
Ama il prossimo tuo come te stesso
è un precetto dettato contro il vizio
di coltivare un “io” troppo invadente,
vizio diffuso, che caratterizza
la società malata d’occidente.
Chi si ritira, chi non scende in lizza
non è un codardo e non sarà perdente
per questa sua rinuncia all’egoismo,
ma avrà scoperto un antidoto potente
contro il proliferare del fascismo.

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Altro / la scrittura
« il: Giugno 29, 2011, 08:57:21 »
La scrittura.
Molte persone per scrivere devono pensare (e purtroppo molte fra queste sono assolutamente incapaci di pensare e conseguentemente di scrivere); io al contrario per pensare meglio, scrivo.
Fissato sulla carta, o sullo schermo del PC il mio pensiero rimane indelebile, immobile, e si lascia riesaminare, si espone alla vista e al giudizio sotto ogni angolatura, esibisce le sfaccettature come un belletto o come rughe deturpanti, secondo i casi. Il pensiero scritto mi appare più importante, essenziale. Solo la sua verità giustifica lo sforzo di delinearlo, circoscriverlo, dargli dignità e vita. Gli altri, i pensieri non scritti, mi sembrano semplici fantasie, come dei brividi, di cui si ha percezione, ma che non si vede l’ora che passino.
Così ogni tanto mi piace rileggermi. Per ritrovare i miei pensieri più forti, vecchi amici fidati che mi accompagneranno per la vita. Talvolta (raramente per fortuna) qualche pensiero mi si mostra come superato, un po’ vecchiotto, ma sono grato alla scrittura perché me lo ricorda, lo mantiene a monito ed esempio di quel che è meglio non pensare, senza tuttavia immergerlo nel pericoloso filtro dell’oblio che consentirebbe la reiterazione dell’errore.

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Anch'io Scrivo poesia! / viaggio
« il: Giugno 29, 2011, 08:54:05 »
Viaggio

la nostra vita sarà come un viaggio
che non termina mai, senza una meta;
salgono viaggiatori senza sosta:
alcuni son graditi ma tra tanti
c ’è qualcuno che vale più degli altri;
se non c’è posto, ci si stringe un poco…

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Anch'io Scrivo poesia! / Lame di luce
« il: Giugno 29, 2011, 08:31:52 »
Lame di luce tagliano la notte.
Romba il motore e allegri giovanotti
a gran voce reclamano una corsa
che li riporti presto alle lor case.
“Vai Toni, corri, pigia la manetta;
non vorrai mica che di questo passo
ci raggiungano quelli in bicicletta”
E Toni pigia l’acceleratore;
romba il motore, frullano le ruote,
mentre rapide mordono la strada.
Ridono tutti e sono un poco alticci
Dopo una notte brava in discoteca.
Romba il motore e copre anche le risa
di quei cinque ragazzi un po’ sballati.
Lame di luce fendono i segnali
che scorrono veloci e inosservati.
Ce n’era uno che significava
“Curva pericolosa, rallentare.”
Toni non vede, corre dritto e allegro
Verso l’ultima meta; poi lo schianto.

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Pensieri, riflessioni, saggi / parliamo dei commenti nel forum
« il: Giugno 28, 2011, 20:37:21 »
Vi propongo questo argomento prendendo lo spunto da una serie di interventi in altra sezione (anch'io scrivo prosa) per allargare la discussione al magior numero di zammiani.
Come "spinta" iniziale riporto una mia risposta postata a seguito di un racconto, con l'ambizione di ricavarne un colloquio fra amici che possa trasformarsi in sondaggio.

"mi piace che l'attenzione si stia spostando dal raccontino ad effetto, sul quale comunque ho ricevuto interessanti commenti, alla importanza dei commenti stessi, in quanto veicolo di scambio fra addetti ai lavori di consigli e correzioni che si ricavano maggiormente da critiche negative piuttosto che da generici applausi; chi scrive sa (o presume di sapere) di aver proposto qualcosa di valido o interessante, e sentirne la conferrma, se può far al momento piacere solleticando l'orgoglio dell'ego alla lunga non da nulla: meglio ricavare un insegnamento da una critica urticante piuttosto che non imparare nulla dal consenso altrui alla propria bravura"

questo l'intervento ed ora attendo fiducioso che qualcuno raccolga l'invito e ci espliciti una sua opinione

E


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Altro / Marco
« il: Giugno 27, 2011, 23:40:19 »
Marco! Marco! Marco! La folla in delirio scandiva il mio nome, il nome del vincitore di quella meravigliosa, breve ma entusiasmante corsa.
Era il trionfo, lungamente inseguito, ma che fin dalle prime battute era parso finalmente alla mia portata.
Tornato a casa, sentivo ancora nelle narici l’odore della polvere del Circo, mista al pungente afrore dei cavalli madidi per lo sforzo e risentivo perfino il lezzo dei loro escrementi, simile ad erba marcia.
Mentre i servi si premuravano di ricoverare il carro e riportare nelle stalle i destrieri, benedicevo il giorno in cui nacqui libero, nobile e ricco, ciò che ora mi consentiva di aspettare pigramente che servizievoli ancelle si prendessero cura del mio stanco corpo, per rinfrescarlo e rigenerarlo con unguenti e profumi e prepararlo degnamente alla cena d’onore che mio padre aveva organizzato per festeggiare la mia magnifica vittoria.
Una vittoria nemmeno troppo difficile, di cui avevo avuto immediata certezza, mentre vedevo gli avversari cedere uno ad uno.
Chi abbandonava per noie tecniche, chi vedeva sotto i suoi occhi scoppiare la pariglia; ricordo con un certo imbarazzo la fine del più giovane dei partecipanti, che avevo arpionato con la mia frusta, usata più per colpire gli avversari che per spronare le mie bestie.
L’estremità del nerbo si era avvinghiata al suo esile collo, e con uno strattone magistrale avevo sbalzato il giovanetto dal cocchio, ma le briglie attorcigliate alle braccia imberbi lo tenevano penzolante a pochi metri dal carro trascinandolo a lungo sulla sabbia della pista, su cui restava una lunga scia di urina e di sangue.
Quando finalmente le redini si spezzarono e rotolando il giovane auriga andò a terminare sotto gli zoccoli dei sopraggiungenti cavalli, lo sventurato aveva certamente perduto i sensi, passando incosciente dalla vita alla morte.
Gli zoccoli tambureggiavano su quel corpo martoriato ed i cavalli scalpitanti continuavano la corsa incuranti ed inconsapevoli che sotto le loro unghie si infrangevano le speranze di una delle più antiche casate di Roma, il cui ultimo rampollo non avrebbe potuto dare discendenza.
La certezza della vittoria tuttavia l’ebbi nel vedere i cavalli favoriti schiumare sotto lo sforzo e bava mista a bile colare dalle loro bocche spalancate in cerca di aria.
Marco! Marco! Marco! Urlava la plebe esaltata, esaltandomi.
Preparava la mia gloria e la mia gioia, che crebbe a dismisura nel giro d’onore.
Durante il quale sentivo mille occhi puntati su di me, e al tempo stesso avevo la percezione che avide matrone ammirando la scultorea bellezza del mio corpo ventenne, ne avrebbero conservato ricordo ed avrebbero sospirato la notte, mentre spronavano flaccidi mariti, ripensando ai miei riccioli e ai miei muscoli.
Che sapore dolce aveva il trionfo! Come era facile lasciarsi andare al forsennato tripudio che compensava l’ansia e la paura in quei brevi, concitati momenti della folle corsa.
Dopo il gusto forte della vittoria non volevo abbandonare il Circo, volevo crogiolarmi ancora per qualche momento nella gloria che mi veniva tributata.
Così rimasi ospite negli scanni imperiali a godermi lo spettacolo dei gladiatori e dei cristiani dati in pasto ai leoni.
Non era un genere di divertimento che incontrasse tutti i miei favori; ma sarei stato un pazzo a rifiutare la benevolenza del Cesare.
Accettai perciò di buon grado di rimanere, a trastullarmi, a sentire nuovamente l’odore della morte.

Marco! Marco! Dai che è tardi: domattina chi ti sveglia più?
Vengo subito mamma…
Un click del mouse su start, chiudi sessione, OK.
Sono uno schianto queste simulazioni…

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