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Topics - eziodellagondola

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Sentimentale / positano
« il: Giugno 10, 2011, 08:45:33 »
Venezia si era vestita con una delle sue più belle magie: la nebbia,una nebbiolina strana per l’inconsueta comparsa in un giorno d’estate; quella trina di umide perle addobbava ogni angolo, e di buon mattino mi incamminai per calli e campielli, immerso tutto solo in quel paesaggio di fiaba.
Vagai a lungo nei dintorni di campo Santa Margherita, uno dei più pittoreschi di questa stupenda regina della laguna, dove avevo trovato un alloggio confortevole e conveniente; era il massimo che mi potessi augurare: una linda e spaziosa camera d’affitto, con tre finestre sul bellissimo campo.
La somma mensile che una padrona di casa discreta ma premurosa mi chiedeva era senz’altro alla mia portata, e in una città e una zona dove numerosissimi erano gli  studenti danarosi questo mi pareva un vero miracolo.
Inoltre dovevo mettere nel conto delle cose positive anche il fatto che il mio alloggio era situato a meno di cinque minuti dall’ente in cui prestavo servizio.
Avevo vinto un concorso che mi obbligava a rimanere a Venezia per almeno cinque anni, così a malincuore avevo lasciato il mio paese natale, quel presepio sulla costiera che è Positano.
Non era stata una decisione né facile né indolore, con l’unica consolazione che non lasciavo affetti profondi, ma solo delle belle e per fortuna inossidabili amicizie. Contavo infatti di ritornare appena possibile vicino a quel Tirreno che per me era padre madre e sposa al tempo stesso, e sarei stato felice di ritrovarvi i tanti amici pronti a riprendere le fila del nostro cammino assieme.
Famiglia non ne ho mai avuta, se si esclude lo zio benestante che da Ercolano aveva provveduto al mio mantenimento e a dirigere le meravigliose governanti che avevano curato con perizia e dedizione la mia educazione, succedanee purtroppo incapaci di colmare il vuoto di affetti della mia infanzia di orfano, ma comunque valide maestre di vita, cui devo gran parte del mio carattere estroverso ed allegro, nonostante tutto. Poi l’università a Napoli ed ora sospettavo che anche nella conquista del posto di lavoro ci fosse lo zampino dello zio, ricco e potente.
Seduto su una della panchine del campo, mi meravigliavo di non vederne i confini: la nebbia aveva cancellato le case per trecentosessanta gradi, e mi sentivo immerso in uno strano giardino, dove l’erba era stata rimpiazzata dai “masegni” in trachite euganea , le lastre rettangolari con cui è selciata tutta la città, resi più scuri dall’umidità.
Nessun  passante veniva ancora ad interrompere le mie meditazioni, e mi sorpresi a ripensare al crivello delle ultime settimane.
Mi piaceva, di tanto in tanto, affacciarmi ad una delle mie finestre e rimanere a lungo ad osservare la vita del campo, i bimbi schiamazzanti nei loro giochi, le massaie che senza fretta provvedevano alla spe-sa quotidiana nelle variopinte bancarelle, le case bellissime dirimpetto alla mia, e spiare nelle finestre la varia umanità che vi appariva, come tanti televisori sintonizzati su canali diversi.
Avevo scoperto che proprio di fronte alle mie finestre viveva una creatura angelica, di cui potevo vedere solo il bellissimo volto, inquadrato nei legni scuri della finestrina, che immaginavo alta dal pavimento, perché quel volto mi sembrava incorniciato in uno strano portaritratti.
La distanza che si frapponeva tra noi era tale da poterci guardare senza indiscrezione, i tratti del volto erano ben delineati, ma lo sguardo era troppo lontano per farsi indovinare, per cui potevo stare ore ad ammirare la sconosciuta senza darlo a vedere, senza che si accorgesse di essere osservata, né io a mia volta provavo l’imbarazzo di essere scoperto.
In breve quelle imprevedibili apparizioni erano diventate per me una piacevole abitudine, un rito che si ripeteva molte volte durante la giornata, e di cui stavo diventando così ingordo, che talvolta approfittavo della vicinanza del mio ufficio, per sostituire le pause caffé con delle puntatine a casa, per ammirare adorante la mia dea, che spesso mi faceva grazia della sua apparizione.
Ho persino sospettato  che si fosse accorta di me, che con civetteria si fosse messa d’impegno per assecondare questa mia innocente mania.
Più passavano i giorni, più sentivo lo struggente desiderio di palesarmi a quella creatura di sogno, ma mi tratteneva la paura di scoprire che non fosse libera, che un marito e dei figli fossero insor-montabile ostacolo ai miei sogni.
In effetti la probabilità che una ragazza tanto bella fosse sola era a dir poco inesistente, ma il non sa-pere, il non voler indagare era il lumicino di speranza al quale mi aggrappavo quasi con angoscia.
Cercavo di negarlo, ma ero sostanzialmente in preda ad una ubriacatura molto vicina all’inna-moramento.
Ovviamente mancava ancora la componente essenziale della conoscenza sulla persona, la frequen-tazione che sola avrebbe potuto chiarirmi se avevo incontrato la donna dei miei sogni o se più semplicemente mi fossi imbattuto in una bellissima donna, tuttavia molto lontana dai miei ideali di compagna.
 Vi erano anche ostacoli banali ma corposi a soddisfare la mia voglia di conoscere meglio la mia Dulcinea.
Non sapevo come assumere informazioni in merito, la curiosità di un giovane meridionale certamente non sarebbe apparsa gradita ai bottegai della zona, con i quali non avevo stabilito alcuna confidenza.
Tranne forse il giornalaio, anche lui originario del Sud, con il quale, vuoi per comune provenienza, vuoi per quotidiana frequentazione avevo maggior dimestichezza.
Ma era un chiacchierone, inaffidabile e forse anche un po’ maligno.
Potevo affidare a lui le mie speranze, potevo interrogarlo senza scatenare morbose curiosità che si sarebbero ritorte contro di me, che magari mi avrebbero ostacolato nei miei tentativi di avvici-namento?
Alla fine trovai uno stratagemma per carpire le informazioni che anelavo, senza scatenare curiosità inopportune.
Un sabato pomeriggio entrai nel negozio di giocattoli che stava proprio sotto le finestre della mia bella.
“Buongiorno - dissi con il sorriso più accattivante di cui ero capace al titolare - ho trovato qui davanti un fazzoletto finemente ricamato che deve essere caduto dalle finestre sopra il vostro negozio; vorrei quindi restituirlo alla proprietaria, è un fazzoletto chiaramente da donna, ma non so chi vi abiti… “
“Sarà senza dubbio della signorina Lazzarini. Può lasciarlo a me, glielo consegnerò appena chiudo il negozio”
Avevo previsto anche questo, quando mi spinge il desiderio di ottenere qualcosa, so essere furbo più di una volpe.
“Mi spiace, non lo ho con me, è a casa e stasera non rientro, vorrei comunque farlo avere al più presto a questa signorina Lazzaroni.. Può indicarmi l’ingresso della sua abitazione?”
“E’ la seconda porta a destra nella calle qui accanto. E si chiama Lazzarini, non Lazzaroni!”
Sono proprio astuto! Avevo volutamente storpiato il nome, in modo che il negoziante, tutto felice di potermi redarguire, non facesse troppo caso alla mia curiosità.
Ringraziai, ed uscii gongolante per l’informazione così facilmente ottenuta e congratulandomi per la mia sagacia.
Andai di corsa a comprare un fazzoletto ricamato e tornai a casa, mettendomi di vedetta alla finestra.
Quando la ragazza fosse apparsa, sicuro di trovarla in casa, sarei andato a riportarle il fazzoletto; avrebbe protestato che non le apparteneva, mi sarei scusato ma avrei avuto modo di fare conoscenza, l’avrei potuta vedere da vicino, le avrei parlato; poi forse da cosa nasce cosa, San Gennaro forse mi avrebbe aiutato…
E mi aiutò penso, facendo comparire quasi subito la mia fata.
Corsi giù per le scale, anzi mi precipitai, rischiando anche di cadere e mi fiondai svelto verso casa sua.
Trovare il portone fu un gioco da ragazzi e la fortuna mi assistette ancora, il nome troneggiava sul primo campanello: se fosse stata in casa con parenti, magari questi avrebbero potuto avere un altro cognome e allora addio, la ricerca si sarebbe fatta lunga.
Attesi un bel po’ dopo aver suonato il campanello; infine dal citofono  una voce deliziosa mi chiedeva chi fossi.
“Mi chiamo Esposito, Salvatore Esposito, sono suo dirimpettaio, abito di fronte a lei dall’altra parte del campo. Ho trovato qualcosa che le appartiene e sono venuto a riportargliela…”
Un benedetto ronzio mi avvertì che la ragazza si fidava, potevo salire.
Snobbai il comodo ascensore e salii le due rampe di scale che mi avrebbero portato al primo piano con il cuore in gola non per lo sforzo (divoravo gli scalini tre alla volta) ma per l’emozione.
Il portoncino dell’appartamento era socchiuso: “E’ permesso?” chiesi entrando.
Attraversai un lungo corridoio, arredato con severi scaffali di legno scuro, di foggia antica, pieni di libri di ogni genere e attraverso un arco senza porte entrai in una seconda stanza, più larga e più moderna: ancora scaffali, fino al soffitto, questa volta in cristallo e con una elegante struttura di tubi d’acciaio satinato con delle cremagliere che permettevano di raggiungere, su una comoda pedana motorizzata gli innumerevoli libri, stipati all’inverosimile, con estrema facilità.
Di qui si entrava in un’altra stanza, dove finalmente trovai l’oggetto dei miei sogni.
Era ancora più bella vista da vicino; stava sotto la solita finestra, seduta su una poltroncina, e sulle gambe aveva un bellissimo foulard di seta.
Poi i miei occhi corsero dal suo angelico volto alla poltroncina ed ebbi un tuffo al cuore: ai lati giganteggiavano due ruote gommate!
In quel momento capii che se le fossi piaciuto, avrei rivisto la mia amata costiera solo da turista…


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Anch'io Scrivo poesia! / Scrivo
« il: Giugno 07, 2011, 21:59:37 »
scrivo

forse se scrivo, scrivo per mostrare
quel che è troppo difficile capire
anche quando è spiegato chiaramente.
ma forse scrivo per poter sognare,
per piegare la vita alla mia voglia,
per credere possibile ogni sogno,
per rendere reale la magia:
solo nelle mie storie c'è la vita
che mi piace e che ho scelto di sognare;
così vedo la vita quotidiana
come una pausa tra una storia e l'altra.

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Anch'io Scrivo poesia! / Venezia
« il: Giugno 07, 2011, 21:39:20 »
Venezia è sempre stata una magia:
sulla laguna mille palafitte,
alberi del Cansiglio a far da culla
a costruzioni splendide di marmi,
come merletti che nell’acqua cheta
dei canali sprofondano radici
di cemento e di pietra; ma quell’acqua
ora divora sotterranee basi.
Qualche incendio ha distrutto monumenti
ricchi di storia e d’arte secolare;
il resto lo faranno poco a poco
le malefiche bande di turisti
che un commercio ladrone concupisce.
Sono sparite utili botteghe:
pizzicagnoli, forni, farmacie,
per far posto alla plastica-ricordo,
variopinti cappelli da giullare,
maschere vuote e gadgets di Taiwan.
I veneziani sono stati espulsi:
non c’è più posto neanche al cimitero.
23 maggio 2003

Per ascoltare questa poesia letta dall'autore, questo è il link:
http://www.eziodellagondola.it/public/venezia1.mp3

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Anch'io Scrivo poesia! / sette haiku per un giorno di festa
« il: Giugno 05, 2011, 16:33:02 »
se tu non parli
ascolterò il tuo cuore-
canta il tuo amore

festa da solo-
con le parole ancora
or mi consolo

bella scrittura-
scrivere è un testamento
mai registrato

in questa luce
ombre ci son soltanto
e non le vedo

la terra trema-
poi la grande paura-
onda assassina

il nodo è sciolto
ora che non mi guardi
piango e  poi rido

a lungo busso
alla porta del tempo-
nessun risponde

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Anch'io Scrivo poesia! / haiku
« il: Giugno 05, 2011, 16:14:42 »
haiku per dire
quello che il cuore sente
oppur la mente

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Anch'io Scrivo poesia! / haiku per la festa della "Sensa"
« il: Giugno 05, 2011, 10:03:01 »
L'anello in mare
festeggia con Venezia
il matrimonio

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"questa è sicuramente la cicala
che bussa alla mia porta questuante"
va ad aprir la formica, speranzosa
d'opporre un bel rifiuto alla richiesta
della sua cara amica imprevidente.
spalancata la porta, che ti vede?
la cicala, che s'è tirata a festa,
con pelliccia, gioielli e profumata.
"ciao ti saluto, parto per Parigi;
un impresario, preso dal mio canto
mi porterà in tournée per tutta europa..."
"ah si, Parigi - livida risponde
la formica rodendosi d'invidia -
fammi una cortesia, se per azzardo
incontrerai monsieur de la Fontaine
digli da parte mia se vuole andare
a fare in c.... con le sue storielle!"

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Altro / 22 febbraio 2002
« il: Giugno 04, 2011, 22:43:26 »
Osvaldo si era svegliato con una strana sensazione, un disagio molto simile alla paura, di cui non riusciva a mettere a fuoco il motivo.
O meglio, i dettagli del motivo, perché sentiva benissimo che quel giorno sarebbe successo qualcosa di insolito, quasi sicuramente qualcosa di grave, di pericoloso, e lui avrebbe dovuto fare in modo di evitare che accadesse, o trovare come limitare i danni di questa imminente sciagura.
Ma questo venerdì 22 febbraio 2002 gli sembrava un venerdì come tutti gli altri, e aveva la certezza che il menù del Centro sarebbe stato rigorosamente a base di pesce, come ogni venerdì; ad Osvaldo il pesce piaceva, ma aveva il difetto di lasciare nell'aria un odore persistente, dapprima accompagnandone la preparazione e la cottura, poi mantenendone il ricordo per tutta la giornata, ammorbando il Centro con il suo lezzo non proprio piacevole.
Senza dubbio le cose buone avevano sempre un risvolto negativo, qualche aspetto che inevitabilmente ne ridimensionava la piacevolezza.
Così Osvaldo riprese una sua considerazione ricorrente, che le cose buone o facevano male o erano "peccato".
Anche adesso comunque il pungente odore che si spandeva ovunque ricordava ad Osvaldo che tra poco gli sarebbe stata servita una ricca colazione.
Era mezzodì, e tra un'ora, con puntualità elvetica, gli avrebbero portato il pranzo in camera, come tutti i giorni.
Quanti ne aveva trascorsi al Centro, vivendo una rassegnata tranquillità! Non ricordava più come era vita prima, fuori.
Erano tante oramai le cose che Osvaldo non ricordava, o che rammentava con fatica.
Si arrabbiava di brutto quando non riusciva a mettere a fuoco un avvenimento, un ricordo, e si avviliva sentendo di vivere sensazioni che faticava sempre di più a trasformare in ricordi precisi e in pensieri compiuti.
Ma considerava questa attività di recupero un bellissimo passatempo, anche meglio della lettura, che continuava a praticare con grande impegno, ma che gli affaticava non poco la vista.
Ricordare invece era diventato il suo hobby preferito, una enigmistica ricerca che occupava sempre più il suo tempo.
E a proposito di tempo ora cominciava ricordare perlomeno il motivo della sua angoscia, o meglio la peculiarità della data e orario odierni che gli avevano messo addosso questa indefinita paura.
Tra poco, alle quattordici, cioè alle due pomeridiane del 22 febbraio 2002, sarebbe successo qualcosa di grave, che Osvaldo avrebbe forse potuto evitare se fosse riuscito a ricordare.
Ricordare! Per quanto impegno ci mettesse, doveva rassegnarsi alla tragica realtà: il ricordo riaffiorava autonomamente ed apparentemente in modo casuale, senza una regola; prima o poi.
Negli ultimi tempi purtroppo i "prima" erano superati di gran lunga dai "poi".
Mentre cercava invano di ricomporre il puzzle e capire finalmente l'origine della sua angoscia, arrivò l'ora di pranzo e le due giovani inservienti del Centro in un baleno gli prepararono la tavola, lo fecero alzare dalla poltrona vicino alla finestra su cui amava passare le sue ore di "meditazione" e lo fecero accomodare al tavolo; la brunetta che aveva l'aria di esser la più alta in grado gli chiese: "Oggi lesso o alla griglia, professore?"
"Lesso naturalmente, perché immagino siano sgombri quelli che servite oggi e sapete che quel pesce saporitissimo è tra i miei preferiti."
Le ragazze disposero sui piatti sia la pietanza scelta, sia una bella insalata mista e infine una sontuosa macedonia di frutta; si accomiatarono augurando "buon appetito" e il professore cominciò allegramente il suo pranzo.
"Professore, mi hanno chiamato così; ecco perché quella strana combinazione di numeri nella data di oggi mi ha tanto colpito: lavoravo con i numeri certamente; ecco, ci sono, insegnavo matematica. Matematica e fisica, un binomio interessante; sì, sono stato professore!"
E riprese ridendo il suo pasto, senza aggredire il cibo, ma assaporando di gusto ogni boccone.
"Docente universitario, ecco, mi pare di vedermi in cattedra, eppure mi facevo più sportivo, più atletico."
Quando anche l'ultimo pezzetto di frutta sparì dalla coppetta di vetro in cui aveva navigato, Osvaldo chiamò per il caffè e per far sbrattare in fretta, poiché gli avevano annunciato visite:
"I suoi ragazzi saranno qui a momenti, per festeggiare"
"i ragazzi! - pensò - ma non ricordo di aver avuto figli, anche se mi sarebbe piaciuto, tantissimo!"
Alle tredici e trenta irruppero nella stanza i suoi "figli", una mezza dozzina di aitanti cinquantenni, alcuni accompagnati dalle rispettive consorti.
Osvaldo non dovette sforzarsi ad indovinare, non potevano essere suoi figli, erano più o meno tutti coetanei, troppi per avere un padre in comune; i ragazzi erano una bella squadra, e fu facile risolvere questo piccolo indovinello: erano i ragazzi della squadra di basket che Osvaldo aveva portato a vincere il campionato inter facoltà sul finire degli anni '70.
Sì, ora si vedeva a sbraitare, a dar ordini, a suggerire strategie, a trascinare all'entusiasmo i ragazzi con il suo stesso entusiasmo; non era solo l'allenatore capace e volitivo, era per loro un idolo, un mito che li avrebbe trascinati ovunque, ma soprattutto ad una laurea prestigiosa.
Con lui anche i meno dotati avevano un'opportunità in più: tanto in cattedra quanto con il fischietto da coach era un dio in terra; le sue spiegazioni erano sempre chiare, esaurienti ed ogni squadra che lui allenava era destinata alla vittoria.
Gli ex allievi gli fecero festa, tagliarono la torta e mentre il prof spegneva ottantadue candeline gli cantarono "perché è un bravo ragazzo"; ma avevano recepito l'invito dell'infermiera caposala di non stancare il festeggiato, così se ne andarono presto, con gli occhi umidi di nostalgia.
Rimasto solo il professore si accomodò sulla poltrona preferita e ricominciò a riflettere sul presagio misterioso che gli aveva turbato l'intera mattinata e cercò invano di imbastire un ragionamento, di fare ipotesi sensate. Puoi, vuoi per lo sforzo mentale, vuoi per il pasto inusitatamente più ricco del solito, cominciò a socchiudere gli occhi e questo propiziò il ritorno di uno dei suoi ricordi più belli: sulla bianca parete di fronte alla finestra gli sembrò di vedere quegli occhi furbi che aveva tanto amato, e il sorriso luminoso che un giorno lo stregò; le palpebre calarono pesantemente per l'ultimo irreversibile sonno, mentre l'orologio del Centro scandiva lentamente i rintocchi delle due pomeridiane

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Altro / Bianca
« il: Giugno 04, 2011, 22:29:43 »
Bianca è veramente beata immersa in questa quiete verde: certamente le sue campagne sono belle ed ubertose, ma il verde di montagna è un’altra cosa; e i fiori spontanei che in quota nascono in cento specie diverse, danno al paesaggio un aspetto leggiadro, fanno star bene, in pace con se stessi e solidali con questa splendida e tranquilla natura; non mancano insetti molesti a rompere un poco l’atmosfera idilliaca, ma con pazienza ci si abitua e quasi non si sentono più.
E’ meraviglioso oziare al sole, che scalda ma non scotta; e la temperatura, nonostante sia agosto, è gradevole; e Bianca continua a goderne in silenzio; non ha parole, perché......










(scoprilo sotto)
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le mucche sanno solo muggire…

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F.A.Q. / inserire foto
« il: Giugno 04, 2011, 14:48:30 »
come faccio ad inserire una foto in cima ad una discussione?

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Sentimentale / velata
« il: Giugno 04, 2011, 14:25:59 »
Quando l'ho rivista, dopo quarant'anni, non era minimamente cambiata; né era cambiata l'emozione che si impadroniva di me, rivedendola, rispetto all'emozione di allora. Sempre bella, bellissima, con quel suo algido e misterioso sorriso che anche
quarant'anni prima mi aveva stregato. Ero giovane allora, un romantico ventenne trapiantato a ottocento chilometri da casa per prestare servizio militare. A Caserta, che a parte la reggia, pareva l'incarnazione di un incubo, il farsi città del mio malessere lontano dai miei luoghi, dalle mie abitudini. Veramente insignificante come tessuto urbano, ma forse ero io a vederla così, con gli occhi falsati dalla nostalgia di casa, dal disappunto di essere stato controvoglia scaraventato li.
Ci sono tornato l'anno scorso, a Caserta, e l'ho trovata ancora bruttina, sempre con l'eccezione della reggia, ma ho ridimensionato la pessima impressione della prima volta: effettivamente ero stato fuorviato nel primitivo giudizio dalla rabbia di dover passare un lungo periodo senza le mie amicizie e soprattutto senza lei, quella che mi è stata compagna in questi quarant'anni. Quest'ultimo inconveniente mi aveva ancor più isolato, tanto che i momenti di libertà, le libere uscite serali ed i giorni di festa li trascorrevo in solitudine, bighellonando a mo' di triste turista per la Campania.
Bazzicavo musei, pinacoteche e chiese; queste ultime non per fede o per pietà ma per scoprirvi tanti tesori d'arte, esposti ed accessibili al pubblico anche quando musei e pinacoteche erano chiusi.
Fu a Napoli che la incontrai la prima volta: era nella Cappella Sansevero; bella, altera, affascinante; rimasi un bel pezzo a rimirarla, prima di andare a leggere sulla placchetta di ottone titolo dell'opera ed autore: "la Pudicizia, di Antonio Corradini".
Lo scultore, che scoprivo allora, era stato superbo, tanto nel modellare le fattezze della splendida creatura, quanto a creare una magnifica illusione: il marmoreo volto era velato, ma la superlativa tecnica trasfigurava il marmo, il velo sembrava vero, una impalpabile coltre di tessuto che nulla nascondeva e il volto che traspariva sotto quel velo era il più incantevole che avessi mai visto: era vivo.
Fu un vero colpo di fulmine; ero talmente emozionato da scordare perfino i miei affanni e rimasi in estatica ammirazione per almeno un'ora. Non riuscivo, anzi non volevo separarmi da quella visione, non desideravo interrompere quel magico incantamento.
Da allora cominciai a frequentare assiduamente quella chiesa, per incontrare lei, la donna velata e rinnovare ogni volta l'incantesimo.
Tuttavia la coltre del tempo ha coperto questo ricordo, sopito tra tante cose belle accumulate in una vita tutto sommato felice.
Fino ad una settimana fa, quando, visitando Ca' Rezzonico, incontrare un'altra copia della donna velata mi ha lasciato senza fiato; non era figura intera questa volta, solo un mezzo busto, ma il volto sempre magnificamente travolgente ed i piccoli ma ben modellati seni trasmettevano una sensualità nuova, che la figura intera non era riuscita, quarant’anni prima, a farmi percepire.
Un incontro emozionante. Non è stato solo ritrovare una immagine a me così cara, ma in un colpo ho riassaporato il gusto della giovinezza: la mia oramai sfiorita, solo un piacevole ricordo, la sua immutata, fermata in eterno nel marmo. Ho ripreso le mie visite alla Pudicizia; tutti i pomeriggi sono tornato a Ca' Rezzonico, approfittando dell'ingresso gratuito ai residenti; il terzo giorno al botteghino della cassa dove comunque si deve ritirare il biglietto gratuito di ingresso, per accontentare il sensore elettronico che registra ogni accesso, l'impiegata, incuriosita da tanta costanza, mi ha rispettosamente chiesto se fossi un giornalista; le ho spiegato che “no, sono un semplice appassionato d'arte e sto scrivendo un libro sulle preziose testimonianze del passato custodite nel museo del '700 veneziano”.
Ma stasera ho escogitato qualcosa di speciale; alla chiusura del museo, mi sono nascosto nello sgabuzzino delle scope, dislocato nelle toilettes di piano terra ed ho atteso con pazienza il defluire del pubblico; poi tocca al personale di servizio, finché verso le otto di sera il palazzo rimane vuoto, tutto a mia disposizione. L'oscurità non è totale, qualche punto luce qua e là, lasciato acceso perché le ronde di sorveglianza possano muoversi agevolmente, mi consente di destreggiarmi senza grandi problemi fra gli enormi saloni.
Sono veramente solo, perché la sorveglianza notturna prende servizio dalle ventuno. Senza difficoltà arrivo al mio appuntamento; oramai conosco così bene la strada che potrei raggiungere la mia bella anche al buio. Nella penombra il biancore del marmo pare risplendere, e avvicinandomi trepidante mi sembra di notare qualcosa di strano: gli occhi di lei, solitamente chiusi sono leggermente socchiusi, quasi che con ansia stia spiando il mio arrivo: man mano che mi avvicino la visione diventa sempre più nitida e con stupore mi accorgo che il velo non c'è più!
Quando ormai le sto d'appresso quegli occhi senza ombra di dubbio mi fissano e lo sguardo scende a scovare la mia anima. Quasi in “trance” avvicino ancora di più il mio volto al suo e le incantevoli labbra si dischiudono: dolcemente appoggio su di loro le mie e un brivido strano mi attraversa il corpo; un fluido misterioso passa per le nostre bocche ormai allacciate e dolcemente sprofondo in una ovattata incoscienza, mentre il mio corpo si fa di pietra...


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Sentimentale / resta solo il cervello
« il: Giugno 03, 2011, 23:52:29 »
RESTA SOLO IL CERVELLO

L’ultima cosa che sono riuscito a captare con il tatto è stato un dolore, una fitta lancinante come a squarciarmi il petto, sul lato sinistro, dalla parte del cuore: il muscolo stupido pareva stritolato da una gigantesca e feroce mano malvagia.
Poi la nebbia e nessun dolore nella caduta (che certamente sarò caduto).
Al risveglio, in un letto d’ospedale, ho avuto l’immediata percezione che mi era capitata una cosa terribile e folle: ero rimasto completamente paralizzato ed insensibile, ma con la mente per fortuna (sarà una fortuna) lucida e attiva.
Dicono che chi sta per transitare oltre lo Stige riveda come in un rapidissimo film tutta la sua vita; ora so che non è vero, io continuo a vedere senza sosta tutto il mio passato, e sono certamente ancora vivo. o solo vegeto? avrò tempo per scoprirlo, ora non avrò altro che tempo.
Ho sempre pensato con terrore alla terribile condizione di chi sopravvive in condizioni disperate, inchiodato in un letto senza possibilità di fuga, né speranza di cambiamenti e purtroppo ne ho avuto esempi anche molto vicini.
Quando ancora potevo teorizzare su questo argomento, pensavo che una vita così limitata non sarebbe stata vivibile, che era assurdo accettare una così atroce beffa del destino.
Avrò tempo per ricredermi, non avrò altro che tempo. 
Adesso mi sembra un sogno, una felicità che non mi merito sentire che la mente lavora a pieno ritmo, anzi, ha preso a funzionare anche meglio di prima, quasi che tutte le risorse, prima assorbite da un corpo ingordo di sensazioni ora siano state rimodulate ed adattate a questo stato nuovo.
Ero già tronfio del mio, figuriamoci adesso che ad onta del mio marginale handicap mi sento onnipotente.
Certo non posso muovermi, nessuno mi griderà “alzati e cammina” ma ho uno strumento assai più utile delle stupide membra: un computer meraviglioso, con un programma veramente speciale.
Non finirò mai di benedire l’anima santa e l’ingegno formidabile di chi ha ideato questo programma che riesce a simulare la presenza del mouse sfruttando i movimenti della pupilla.
Muovere impercettibilmente gli occhi è l’unica cosa che riesco a fare.
Io infatti sono completamente immobile, sono le macchine, altra meravigliosa, incredibile invenzione umana, a tenermi in vita.
Una macchina provvede ad ossigenare il sangue, a purificarlo e a ripomparlo in vena, così i tessuti si mantengono freschi; anzi la mancanza di qualsiasi fatica sta dando alla mia pelle anche un aspetto migliore, sembro ringiovanito, i pochi capelli bianchi si sono magicamente scuriti, adeguandosi alla maggioranza che era rimasta nera.
L’alimentazione (si fa per dire) è ridotta al minimo, visto l’inesistente spreco di energie.
e si limita a nutrire il cervello, e a consentire un modesto rigenerarsi di alcuni milioni di cellule, mettendo in pensione quelle meno utili: stranamente infatti non mi cresce più la barba, né le unghie; meglio così, visto che non posso impugnare il rasoio.
Quando ancora ero “normale” pensavo che se mi fosse capitata una cosa simile avrei scongiurato i miei cari di far togliere la spina, ma adesso vivo nel terrore che una simile evenienza possa verificarsi, e prego Dio di evitare qualsiasi fenomeno esterno che possa accorciarmi la vita.
Si, io ateo ora prego, cerco di abiurare un passato di convinto agnosticismo.
Non ho ancora la fede, ma VOGLIO che ci sia un Dio, non può non esistere se ha permesso un così grande miracolo: sono ancora vivo e ne sono felice.
Perché ho un computer e posso comunicare.
Posso ancora scriverti, anche se per farlo mi ci vorrà una vita, ma non ho molto altro da fare!
avrò tempo per scrivere, ora non avrò altro che tempo.
Non è rapidissimo comporre un messaggio scegliendo le lettere una ad una, ma come sui cellulari, c’è un sistema intelligente di completamento delle parole che snellisce il lavoro.
Dicevo della mente che adesso lavora a pieno ritmo; seleziona i ricordi, scartando quelli meno piacevoli, e si sofferma sulle cose belle che mi sono capitate, le elabora e le metabolizza, facendomi vivere in un sogno perenne, entusiasmate.
Immagino che sia un effetto molto simile all’uso di certe droghe, l’assenzio per esempio, o la cocaina.
Ho sempre pensato con disgusto alla voglia perversa di essere diversi messa in atto da chi si droga, e non ho mai voluto fare esperimenti in tal senso ma adesso l’allucinogeno è dentro di me, non è sintesi chimica, è il distillato di ricordi, una vita spesa bene o spesa male, che però continua a dare frutti.
Sono di fronte all’albero del bene e del male, ma non vedo il serpente, ed allora addenterò la mela con piacere, piano piano per assaporarne tutto il gusto, che non potrò mai sentire ma solo immaginare: avrò tempo per provare a sentire il gusto del frutto proibito, ora non avrò altro che tempo.
non avrò altro che tempo, tempo per pensare, per ricordare.
Solo cose belle, solo cose che valgano la pena di essere vissute.
O di essere pensate.
Così come nella canzone ora penso a te, non faccio altro che pensare a te.
Avrò tempo per pensarti, ora non avrò altro che tempo.
Solo un cruccio in tanta felicità: non saprò mai quale sia il tuo sapore.
Oramai i miei occhi non possono più piangere, ma una assurda lacrima è spuntata ieri sera, quando prima di uscire dalla mia stanza ti ho vista chinarti su di me e posare lievemente le tue labbra sulle mie, imprimendo nella mia mente il più struggente ricordo, il ricordo di una cosa mai vissuta, vista solo come in un sogno; avrò tempo per sognare, ora non avrò altro che tempo.

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Anch'io Scrivo poesia! / Il suicidio di Cyrano
« il: Giugno 03, 2011, 14:12:32 »
Il suicidio di Cyrano

Deluso e stanco se ne sta Cyrano
meditando sull’ultimo commiato;
per una volta uscirà di scena
senza clamore, quasi di soppiatto.
Posa prima la spada, poi la penna;
chiude infine anche il libro di memorie,
alla fiamma l’accosta e la candela
attizza il fuoco su quei fogli amati.
La carta brucia senza crepitare,
s’accartoccian le pagine al calore;
alla fine rimane grigio e vuoto
quel ch’era un monumento di parole.
Parole sparse, adesso, in libertà:
sogno, furore, rabbia, pentimenti,
qualche rimorso, e poi molti rimpianti,
una bellezza allegra tra le righe,
amore e morte uniti in un sol canto..
di tutto ciò rimane solo brace;
stranamente, un frammento ancora intatto:
c’è solo un nome, ma non è Rossana.
Il fumo della carta ha disegnato
sul candido soffitto ghirigori
neri, incombenti, quasi minacciosi.
Li riconosce, tetri simulacri:
maledetti pronomi possessivi.
A stormi gli svolazzano dintorno
corvacci scuri, amici della morte.
Il guerriero si sente soffocare,
un tremore lo invade, ed è finita:
lesto lo stilo penetra nel cuore.

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Anch'io Scrivo poesia! / far poesia
« il: Giugno 02, 2011, 23:58:56 »
Far Poesia

Incontro un uomo; sembra un po' stranito
e gli chiedo "che fai?" "sono poeta"
"e in che consiste?" chiedo incuriosito.
"scrivo dei versi, metto le parole
su delle righe dove vado a capo
un po' a casaccio, senza una ragione
ma cercando di esporre dei pensieri
che inducano il lettore a meraviglia"
"è questo dunque fare poesia?"
"per me lo è, ma tu puoi far diversi
i tuoi modi e i tuoi tempi, purché sia
l'espressione che sgorga dal tuo cuore"
"basta ascoltare il cuore e non la mente?
allora son poeta, e son contento!"

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Presentazioni / mi presento
« il: Giugno 02, 2011, 22:56:47 »
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Salve a tutti, mi fa piacere presentarmi come nuovo iscritto; ora vado a leggere per vedere l'aria che tira e presto scriverò, sia prosa che poesia
eziodellagondola

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