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Topics - victor

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Tredici anni, seconda media.

Ero in seconda media ed avevo compiuto tredici anni. Continuavo ad andare regolarmente ogni due mesi dalla dottoressa, ma nessun accenno di mestruazioni si era ancora manifestato. Nel frattempo mi stavo sviluppando in altezza: ero una delle più alte della mia classe.

Continuavo a divorare uno dopo l’altro i libri di mia sorella.

Rovistando nella libreria di mia sorella scoprii che dietro i libri tenuti da lei bene in ordine uno accanto all’altro c’erano altri libri nascosti. Spulciando scoprii che erano libri con argomenti erotici. Di uno in particolare avevo sentito parlare: “Cinquanta sfumature di grigio”. Presi il primo volume e cominciai a leggere.

L’argomento mi interessò subito.

In genere mia sorella terminato il pranzo usciva per conto suo, qualche volta si tratteneva e poi usciva assieme a mia mamma ed all’amico. In queste occasioni avevo notato dalla finestra che mentre la mia mamma si allontanava con la sua macchina mia sorella saliva sulla macchina dell’amico.

Lui frequentava la nostra casa regolarmente due o tre volte la settimana. Arrivava subito dopo il pranzo e si intratteneva con la mamma. Qualche volta si fermava a parlare con mia sorella e di tanto intanto bussava alla porta della mia camera e mi invitava ad andare con lui in salotto a chiacchierare. Le nostre conversazioni spaziavano sugli argomenti più vari, talvolta anche scientifici e per me erano molto interessanti.

Un pomeriggio, mentre ero nella mia camera che studiavo, la mamma aprì la porta e disse:

- Ciao, noi stiamo andando via, sei rimasta sola a casa – e insieme uscirono.

Poco dopo suonò il citofono, chiesi “chi è?”

- Ciao, sono io, ho dimenticato il borsello …

Aprii. Entrò e disse:

- Forse è nel salotto … - Nel salotto non c’era, e neanche nel soggiorno. - Forse è nella camera da letto … - disse.

Si diresse verso la camera da latto, aprì la porta ed entrò. Era sulla toletta ed andò a prenderlo.

Io ero rimasta davanti alla porta, ma immediatamente notai il letto della mamma completamente disfatto. Lui, uscendo, si rese conto che io osservavo il letto.

Chiuse la porta, mi prese per mano e mi portò in salotto. Mi fece sedere su una poltrona e sedette sul divano. Dopo un po’ di pausa disse:

- Vedi, noi grandi abbiamo determinate esigenze …

- Lo so.

- Sì, noi grandi abbiamo certi bisogni …

- Sì, so tutto …

- Sai tutto … cosa?

- Di te e della mamma …

- Cosa sai di preciso?

- Che tu e la mamma fate sesso.

- Chi te lo ha detto?

- Nessuno. Non sono una stupida. Quando non c’è papà vi chiudete assieme nella camera da letto … uscite sempre assieme …

- Sei arrabbiata? …

- No. Non sono arrabbiata. Capisco le cose … Non hai detto che voi grandi avete determinati bisogni?

- Sì, è vero, abbiamo determinati bisogni …

- Non solo voi grandi, anche i ragazzi hanno determinati bisogni.

- Cosa intendi dire?

- Non fai sesso anche con mia sorella?

- Come lo sai?

- Vi ho visti in salotto, tu la carezzi e la baci …

- Sei molto sveglia per la tua età … sei molto intelligente … ti dispiace che io faccio sesso con la tua mamma e … con tua sorella?

- No, non mi dispiace.

- Ci capisci?

- Si, vi capisco.

Restammo un poco in silenzio poi disse:

- Hai una intelligenza molto sveglia per la tua età … capisci molte cose … ora devo andare … scusa … ciao …

Si alzò, mi fece una carezza in testa ed andò via.

Tornai nella mia stanza e ripresi a studiare.


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I libri di mia sorella.

Un po’ di tempo dopo capita l’occasione di parlare a tu per tu con mia sorella.

- Mi fai leggere i tuoi libri?

- Quali libri?

- Quelli che hai negli scaffali della tua libreria.

- Io sono gelosa dei miei libri.

- Con me non devi fare la gelosa … Io conosco i tuoi segreti, ma non parlo con nessuno …

- Quali segreti?

- Tu fai sesso con il nostro amico …

- Cosa dici?

- Vi ho visti quando in salotto ti carezza le cosce … e il sesso …

- ??? !!!

- Ma io non parlo con nessuno … io so mantenere i segreti!

- Quali … libri vuoi leggere?

- Quelli che hai nella tua libreria … Me li scelgo io … Li prendo uno alla volta e prima di prenderne un altro, poso quello che ho letto.

- Non me li rovinare …

- Tu hai mai visto un mio libro rovinato?

- No … veramente no.

- Allora posso prenderli?

- Si … puoi prenderli … ma non parlerai mai con nessuno di quello che hai visto?

- Giuro!

- Ok.

Affare fatto! Ora potevo leggere i libri di mia sorella. E mi tuffai a capofitto in una lettura instancabile.

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Importante nota preliminare.

Vogliamo informare chi si accinge a leggere il seguente racconto che in esso sono descritti momenti erotici e situazioni molto liberali e scabrose che vengono considerate in maniera molto critica dall’opinione corrente. Pertanto le persone particolarmente sensibili a tali argomenti sono invitate ad astenersi dalla lettura.

La pubblicazione di questo scritto vuole aprire uno squarcio su argomenti dei quali si evita di parlare, ma che fanno parte della vita quotidiana. Noi non vogliamo imitare lo struzzo che nasconde la testa nella sabbia per non vedere il leone.

Il racconto tratta fatti molto verosimili ed anche abbastanza frequenti, anche se poco discussi, ed è questo il motivo della sua pubblicazione. Abbiamo cercato di porre particolare cura ai dialoghi ed all’aspetto psicologico dei soggetti.

Abbiamo già detto che molte persone possono dissentire dal suo contenuto. E non intendiamo assolutamente criticare chi dissente. Ha senz'altro le sue buone ragioni, in quanto ognuno ha il diritto di pensare liberamente. Deliberatamente non esprimiamo alcun giudizio, né discuteremo eventuali giudizi espressi, siano essi favorevoli o contrari.

Un’ultima nota. Questo racconto è stato scritto a quattro mani. La presente precisazione per dare a Cesare quel che è di Cesare.

Grazie per l'attenzione.


Dodici anni, prima media.

Frequentavo la prima media, si avvicinava la fine dell’anno ed avevo da poco compiuto 12 anni. Un pomeriggio mia madre entrò nella mia camera, prese una sedia e si sedette accanto a me e mi disse: “Stai diventando grande ed è opportuno che tu faccia un controllo con la ginecologa. Ho preso un appuntamento. È per domani pomeriggio”.

Ovviamente il discorso che mia madre mi fece fu molto più lungo e principalmente l’esposizione fu molto delicata in relazione alla mia età. Ma il succo era quello che io ho riportato. Ed io dissi “Sta bene”. D’altra parte in certo qual modo un discorso del genere me lo aspettavo.

Mi ripeté ancora una volta che lei non era una madre oppressiva nei confronti delle sue figlie con controlli e divieti, ma che ci lasciava libere nel nostro comportamento in quanto si fidava della nostra intelligenza e del nostro buon senso.

Mi aspettavo questo discorso perché mia madre e mio padre, con noi figlie (siamo solo due sorelle, io di 12 e mia sorella di 16 anni) sono stati sempre molto aperti e chiari, non ci hanno mai nascosto nulla e hanno parlato sempre apertamente con noi di tutto, e ci concedono molta libertà confidando, come ho detto, nel nostro giudizio e buon senso. Inoltre ero a conoscenza del fatto che aveva fatto un discorso simile a mia sorella quattro anni prima.

All’epoca avevo otto anni e sapevo già diverse cose sul sesso. Quel pomeriggio mia sorella entrò tutta eccitata nella mia camera e mi disse:

- Domani pomeriggio vado con la mamma dalla ginecologa. – Quella volta colta di sorpresa saltai in piedi spaventata, mi misi davanti a lei e le chiesi:

- Aspetti un figlio? - Scoppiò in una risata.

- Che sciocchezze! … non aspetto nessun figlio! – e poi aggiunse – dalla ginecologa si va anche per non avere figli quando si fa sesso! - Colta nuovamente dalla sorpresa le chiesi:

- Tu … fai sesso? …

- Più di metà delle ragazze della mia classe fanno sesso …

- E anche tu fai sesso?

- Ancora no … ma voglio farlo presto …

- Con chi?

- Ancora non lo so … molte mie compagne lo fanno con uomini adulti …

- E tu vuoi farlo con un uomo adulto?

- Non lo so … ci devo pensare … - e si allontanò.

Quindi ero certa che prima o poi la mamma avrebbe fatto anche a me lo stesso discorso.

Il giorno seguente siamo andati dalla ginecologa. La mamma mi presenta alla dottoressa e ritorna in sala d’attesa.

La dottoressa inizia ponendomi delle domande e riempie la scheda in base alle mie risposte. Poi comincia il suo discorso dicendo che alla mia età tutti i ragazzi, ma le ragazze in particolare, perché sono più precoci, si interessano al sesso.
Mi chiede se io avevo già affrontato questo argomento con le mie compagne ed io rispondo di sì.

Mi chiede se io sono interessata a leggere qualche libro ed io rispondo ancora di sì. Precisa che ha una libreria con dei libri e li presta alle ragazze che si dichiarano interessate. Aggiunge che può prestarmeli, ma soltanto uno alla volta. Appena ho finito di leggerlo posso tornare a prenderne un altro. Rispondo che va benissimo così.

A questo punto mi dice di andare dietro un paravento che c’è nello studio, spogliarmi togliendo anche le scarpe e tornare da lei che mi avrebbe visitato.

Lo faccio, mi visita velocemente, si sofferma un po’ di più ad osservare il mio seno ancora perfettamente piatto e mi dice che passerà ancora un po’ di tempo prima di avere le mestruazioni.

- A proposito – mi chiede – sai cosa sono? - Io rispondo di sì. Mi manda a rivestirmi e fa rientrare la mamma dalla sala d’attesa.

Le riferisce che è tutto in ordine, e che passerà ancora un po’ di tempo prima che si presentino le mestruazioni, comunque mi vuole vedere regolarmente ogni due mesi, ma posso venire anche prima appena ho finito di leggere il libro che va a prendermi dalla libreria.

Il libro ha una foderina di plastica a colori che nasconde il titolo. Mi fa vedere che all’interno c’è il suo timbro ed il suo numero di telefono e mi dice che le posso telefonare tutte le volte che voglio.

Con la mamma salutiamo ed andiamo via.

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Erotico / UNA CASETTA IN MONTAGNA - 4
« il: Dicembre 06, 2020, 17:04:49 »

EROTICO – UNA CASETTA IN MONTAGNA – 4

Ritornammo in città.

Alberto poi partì così come era previsto. Ci lasciammo sì con baci e abbracci, ma in maniera molto razionale. Sapevamo entrambi che per altri due anni non potevamo assolutamente vederci e che forse non ci saremmo rivisti mai più.

Certo mi mancava, e più di quanto avessi potuto immaginare, ma cercavo di fare prevalere la mia razionalità: “Io sono nata per restare single, nel più ampio significato della parola, e per tutta la vita!” era questo che ripetevo a me stessa!

Il sabato successivo mi rimisi in macchina e tornai al bosco. Sola, mi misi a percorrere il sentiero della settimana precedente. Rividi il posto in cui mi ero fermata con Alberto e mi aveva raccontato quella storia, ma non mi fece la stessa impressione della volta precedente, notai, quasi con compiacimento, di essere tornata fredda e razionale. Pensai che era stato Alberto a rendermi emotiva, quindi era un bene che fosse andato via.

Più avanti incontrai nuovamente il vecchietto e più o meno allo stesso posto. Mi chiesi se aveva un osservatorio segreto da cui spiava l’arrivo delle persone e di volta in volta decideva se saltare fuori o meno.

“E il suo amico?” mi chiese.
“Il mio amico è partito” risposi.
“Quando torna?”
“Non torna più!” mi guardò stupito. “Stava scritto negli astri” aggiunsi. Mi guardò ancora più stupito.

Proseguii lentamente lungo il viottolo, e lui mi venne dietro.
“E perché è tornata?” ad un certo punto mi chiese.
“Anche questo sta scritto negli astri” risposi.
Proseguimmo ancora in silenzio, finché giungemmo alla casetta.
“E cos’altro sta scritto negli astri?” chiese lui interrompendo ancora una volta quell’interminabile silenzio.
“Tutto!” dissi. Ed entrai nella casetta.

Era tutto immutato tranne uno strato di foglie fresche che era stato aggiunto di recente sul giaciglio lungo la parete.
Cominciai a spogliarmi.
Lui dapprima mi osservò perplesso, poi posò il bastone contro la parete e cominciò a spogliarsi anche lui.

Poi, quando io mi sdraiai sulle foglie, lui venne accanto a me e cominciò a baciare tutto il mio corpo, mi baciava con delicatezza, quasi come una mamma bacia il proprio piccolo, ma quei baci, lo sentivo sulla pelle, non erano affatto casti, erano di una sensualità dolcissima, baciò tutto il mio corpo, il seno, la pancia, al pube si fermò. Mi girò a pancia in giù e prese a baciarmi i glutei, la schiena, le spalle. Poi scese di nuovo verso il basso e cominciò a baciarmi le cosce. Mi girò di nuovo a pancia in su e messosi in mezzo alle mie gambe cominciò a baciare ed a leccare il mio sesso.

Io stavo con gli occhi chiusi e con la mente azzerata. Non pensavo. Non volevo pensare ad Alberto e poi era chiaro, quelle labbra che baciavano e strisciavano sulla mia pelle non erano quelle di Alberto. Alberto mi baciava con violenza, con passione, con forza. Invece queste mi baciavano con una delicatezza indicibile. Ma non per questo mi eccitavano meno di quelle di Alberto. Anzi … E io, restando sempre con gli occhi chiusi, con piacere offrivo il mio corpo e il mio sesso a quei baci.

E, quando la sua lingua cercò di penetrare il mio sesso, inarcai e sollevai la schiena affinché potesse penetrare il più profondo possibile, finché, quando meno me lo aspettavo, afferrò con le mani le mie cosce ed affondò con forza il suo volto nel mio grembo, mettendosi a succhiare con voracità. A quel punto io venni … venni svuotando tutto il miele raccolto durante tutta la settimana dalle mie ghiandole nella sua bocca … e lui lo succhiò e lo leccò tutto … fino all’ultima goccia …

Poi rimase immobile a lungo con il volto poggiato sul mio grembo. A quel punto capii che lui non era in condizione di penetrarmi.

Dopo un po’ ci riscuotemmo, ci rialzammo e ci vestimmo. Quando stavo per andare via mi disse “Devo dirle una cosa …” lo guardai in silenzio “non immaginavo neanche lontanamente che avrei più fatto l’amore con una donna giovane e bella come lei! … Lei mi ha reso felice! … Ora posso morire felice!” e con il dorso della mano si asciugò una lacrima.

E dai! … pensai io, un altro che si commuove e che mi fa commuovere.
“Addio! … bella signora …” disse e quell’addio significava che sapeva che io sarei andata via e non sarei più tornata …

Fine.


20
Erotico / UNA CASETTA IN MONTAGNA - 3.
« il: Novembre 23, 2020, 16:05:14 »

UNA CASETTA IN MONTAGNA – 3

Ci alzammo e riprendemmo il cammino in silenzio, mano nella mano …

Ora ero io che di tanto in tanto stringevo la sua mano … La bellezza di Alberto, la sua passionalità, il pensiero che presto sarebbe partito, e la storia che mi aveva raccontato, mi stavano coinvolgendo più di quanto io avessi voluto. Dovevo scacciare questi pensieri inadatti alla mia personalità libera, dovevamo cambiare discorso!

Camminammo lentamente per almeno un’altra ora. Nel frattempo le nostre menti si erano rasserenate. Il pensiero di Anna era completamente svanito. Ora parlavamo di altro.

Ad un tratto incontrammo un vecchietto che appoggiandosi ad un bastone percorreva il sentiero in senso contrario al nostro. Ci salutò gentilmente e ci augurò buona passeggiata.

Dopo un poco incontrammo una capanna fatta di tronchi d’albero, all’esterno c’era un tavolo con due panche anch’esse fatte di tronchi d’albero rifiniti a mano. Proprio adatto per un picnic in mezzo al bosco.

Demmo uno sguardo all’interno della capanna. Sulla parete opposta alla porta d’ingresso c’era una piccola finestra aperta. Sulla destra della stanza c’erano delle pietre che formavano dei fornelli rudimentali e la presenza di cenere ci diceva che erano stati utilizzati da recente. Sul lato opposto della stanza c’erano tre grossi tronchi che, con il muro, contornavano a mo’ di quadrato uno spazio ripieno di foglie secche e paglia che sicuramente era stato utilizzato in passato come giaciglio.

Completavano l’arredamento alcune tavole appese al muro come mensole, che in questo momento davano appoggio soltanto a della polvere. Sicuramente quella casetta dava asilo a dei pecorai che pascolavano le greggi nei dintorni, oppure a dei boscaioli che venivano a tagliare legna o a fare carbone.

Tornammo fuori e seduti al tavolo facemmo colazione. I pensieri che prima avevano offuscato le nostre menti erano completamente scomparsi e, al loro posto, erano tornati pensieri allegri, anzi gli ormoni si erano risvegliati e ci baciavamo e ci abbracciavamo con desiderio sempre crescente.

Ad un certo punto Alberto si alzò, mi prese per mano e mi condusse dentro la casetta. Giunti vicino al giaciglio cominciò a svestirmi ed io immediatamente cominciai a svestire anche lui. Quando restammo completamente nudi ci gettammo sulle foglie e cominciammo a rotolarci e a fare l’amore.

Ad un certo punto scorgo il vecchietto che dietro uno spigolo della porta rimasta aperta ci stava osservando. Vistosi scoperto dapprima si nascose, ma poi non avendo notato nessuna reazione da parte mia, anzi proprio il fatto che mi vedevo osservata mi spingeva ad esibirmi sempre più e ad incitare il mio compagno non solo con il comportamento, ma anche con le parole “dai … dai … scopami … scopami … più forte … più in fondo …” lo fece restare a guardare ed addirittura uscire allo scoperto.

Alla fine raggiungemmo insieme l’orgasmo e poi giacemmo entrambi esausti l’uno sull’altra. Ma per tutto il tempo non avevo perduto di vista il vecchietto il quale da parte sua non aveva perso neanche un momento dello spettacolo!

Dopo un poco sussurrai all’orecchio di Alberto “Guarda chi c’è sulla porta …” Lui si voltò ed appena lo vide fece per alzarsi di scatto. Dopo l’amplesso eravamo rimasti abbracciati pertanto mi riuscii facile, abbracciandolo stretto, impedirgli di alzarsi e gli dissi “Guarda che è lì dall’inizio … si è goduto tutto lo spettacolo …”

Alberto capì e si rilassò nuovamente su di me “Allora ti è piaciuto dare spettacolo … - disse - forse … ti piacerebbe farti scopare anche da lui …”
“E perché no …” risposi io.

Io non so se il vecchietto sentì questo nostro discorso. Quasi subito si girò e si allontanò.

(continua)


21
Erotico / UNA CASETTA IN MONTAGNA - 2.
« il: Novembre 21, 2020, 09:37:55 »
UNA CASETTA IN MONTAGNA – 2

Percorremmo un altro po’ di strada in silenzio. Mi teneva sempre per mano ed ogni tanto me la stringeva, quasi a voler scacciare un pensiero molesto oppure a volermi inviare un messaggio …

Ad un tratto si fermò e si mise di fronte a me. I suoi occhi erano ancora lucidi.
“L’hai amata tanto, vero?” gli dissi.

“No! … Era lei che mi amava tanto … ed io sono stato uno stronzo! … Un grande stronzo! … Un grandissimo stronzo! …”

Si sedette su un sasso e mi invitò a sedermi accanto a lui. Mi accovacciai per terra al suo fianco. Poi poggiai la testa sulle sue ginocchia e lui prese ad accarezzarmi il viso e i capelli …

“Sì … lei mi amava tantissimo ed io sono stato un vigliacco …” cominciò. “Sì … sono stato un vigliacco perché non ho avuto il coraggio di dirle che io non avevo nessuna intenzione di fare una cosa seria …”

“Mio padre è morto quando io avevo due anni e mia madre ha fatto tanti sacrifici per farmi studiare e per farmi laureare al nord. … Io dissi a me stesso che dovevo ricambiare i sacrifici di mia madre prima di pensare a sposarmi e che non volevo innamorarmi di nessuna donna per nessun motivo al mondo …”

“Lei si chiamava Anna … ed eravamo compagni di classe … Era bellissima ed era corteggiata da tutti … ma lei non guardava nessuno, non dava retta a nessuno, aveva occhi solo per me … Lei mi piaceva, ma io non volevo assolutamente innamorarmi … Lei invece era innamorata cotta … ed io non ho avuto il coraggio di dirle quale era il mio pensiero, quale era la mia volontà … e l’ho illusa …” Si asciugò un’altra lacrima mentre con l’altra mano mi carezzava i capelli … Io tacevo.

“Lì … dietro quegli alberi … abbiamo fatto l’amore … lei era vergine … non aveva baciato nessun altro ragazzo … non aveva avuto nessuno prima di me …”

Poi, scuotendo la testa aggiunse: “Ma a te l’ho detto … io non voglio e non posso impegnarmi … anche se la mia mamma è morta … se prima non raggiungo una buona posizione professionale ed economica, non voglio sposarmi e non voglio avere figli …”

Lo baciai appassionatamente sulla bocca e poi dissi “Si, tu a me l’hai detto … e poi … io non sono più vergine … e non lo sono da tanto tempo … ora non pensarci più …”

“Un’ultima cosa devo dirti … lei dopo un anno è morta … dicono di crepacuore …”
Stavolta una lacrima spuntò nei miei occhi …

(continua)


22
Erotico / UNA CASETTA IN MONTAGNA - 1.
« il: Novembre 19, 2020, 09:36:54 »
UNA CASETTA IN MONTAGNA.

Avevo conosciuto Alberto un sabato sera mentre mi trovavo in un locale assieme ad un gruppo di amici. L’ho subito notato. Era la prima volta che lo vedevo e il suo viso aperto e simpatico mi aveva immediatamente colpita. Dato il mio carattere aperto e disinibito mi sono immediatamente avvicinata a lui e con un sorriso mi sono presentata “Mi chiamo Elisa, tu come ti chiami?” – Anche lui sorrise e porgendomi la mano rispose “Mi chiamo Alberto, mi fa piacere conoscerti perché qui non conosco nessuno”.

Ci mettemmo subito a parlare, dapprima del più e del meno, poi entrammo un poco in confidenza e cominciammo a raccontarci qualcosa della nostra vita. Era nativo di una città della provincia, ma era da dieci anni che mancava, prima per motivi di studio si era trasferito al nord, e successivamente per motivi di lavoro si era trasferito all’estero. Era tornato per salutare dei parenti, ed aveva un mese e mezzo di ferie ma non sapeva se lo avrebbe trascorso tutto qui, oppure si sarebbe recato altrove.

Mi disse chiaramente che era single e che non aveva alcuna intenzione di legarsi stabilmente con nessuna donna, almeno finché non avrebbe raggiunto un grado dirigenziale abbastanza alto nell’azienda in cui lavorava. E per raggiungere questo obiettivo che si era prefisso doveva sgobbare sodo per almeno altri cinque o sei anni, o forse anche di più.

Anche io gli dissi che ero single, single per vocazione, e che non intendevo legarmi stabilmente con nessuno, e che la fedeltà non faceva parte dei miei principi etici. Anzi, precisai, che mi piaceva volare di fiore in fiore e succhiare il miele dove e come più mi faceva piacere. “Allora siamo pari e siamo a posto!” sentenziò lui. E, portatami fuori del locale, in giardino, prima mi baciò appassionatamente e poi scopammo, così all’in piedi.

Ma quella scopata così alla svelta, anche se molto coinvolgente e passionale, non mi aveva completamente soddisfatta, così gli dissi “Ti interessa restare qui, oppure preferisci venire a casa mia?”. “No, non ho alcun interesse a restare qui dove non conosco nessuno, invece mi piace molto stare con te”.

Così, avvisato l’amico con cui lui era venuto, ce la svignammo e ci recammo a casa mia con la mia macchina.
Qui, passammo la notte scopando senza sosta e nelle maniere più fantasiose possibili.

Scoprii che se a me la fantasia non mancava, lui mi batteva ampiamente. Anche la domenica la trascorremmo in egual maniera, mentre la notte successiva ci calmammo un poco, sia perché eravamo stanchi morti, sia perché l’indomani, lunedì io dovevo andare a lavorare e lui doveva recarsi presso i suoi parenti. Ci demmo appuntamento per il venerdì sera successivo, di nuovo a casa mia.

Il venerdì sera io fremevo per l’ansia e per il desiderio di tornare a fare l’amore con lui. E mentre durante il pomeriggio ero indaffarata a prepararmi, ad un tratto suonò il citofono. “Chi è?” chiesi. “Fiori per la signora Elisa” fu la risposta. Perplessa aprii e quale non fu la mia sorpresa quando alla porta si presentò un fattorino con un enorme mazzo di rose rosse e bianche!
Era un mazzo proprio enorme! Non le ho contate, ma certamente erano più di cinquanta! Superavano di gran lunga la mia immaginazione di quanto potesse essere grande un mazzo di rose!

Ero allibita e così stordita per la sorpresa che non mi venne neppure in mente di dare la mancia al fattorino!
Mai, nessun uomo con cui ho fatto l’amore aveva avuto un pensiero così gentile nei miei confronti ed io, pur ritenendo di essere anticonformista e assolutamente schiva da formalità borghesi non avevo potuto fare a meno di restare piacevolmente sorpresa di questo suo gentile pensiero.

La sera arrivò Alberto ed io l’accolsi con la tavola apparecchiata al lume di candela e una deliziosa cenetta preparata con le mie mani.
Soltanto dopo la fine della cena scoprii che lui aveva già ordinato una cena al ristorante che fu disdetta e rimandata a un momento migliore.

Anche il secondo fine settimana fu un continuo intreccio di amore e di passione. Come pure il lunedì successivo io tornai al mio lavoro e lui andò a far visita ad altri parenti. E così andò avanti per tutto il periodo delle sue ferie.

L’ultimo fine settimana che saremmo rimasti insieme mi propose di recarci in montagna, in un bosco che lui aveva frequentato quando era ragazzo e che aveva il desiderio di rivedere. Era un posto conosciuto da poche persone. Io accettai volentieri, sia perché sono amante della natura, sia perché mi faceva piacere scoprire con lui sempre cose nuove.

Arrivammo al margine del bosco e posteggiammo la macchina nel piazzale alla fine della strada. Con lo spuntino a sacco che io avevo preparato, ci incamminammo per un sentiero in salita. Mentre camminavamo lentamente uno a fianco all’altra lui mi parlava della sua infanzia. Gli piaceva tantissimo questo posto: gli alberi, la frescura, il silenzio e la pace che trasmetteva, il sole che filtrava alto tra i rami … io l’ascoltavo in silenzio e mi bevevo le sue parole.

Ad un certo punto si fermò e si mise a guardarsi intorno come se volesse riconoscere quel posto …
“Questo posto ti ricorda qualcosa?” gli chiesi.
Non mi rispose, ma rimase fermo e pensieroso.

Io lo guardavo con occhio indagatore, ma rispettai il suo silenzio.
I suoi occhi brillavano di una luce intensa, mentre il suo volto si era fatto improvvisamente triste. Era un contrasto che mi colpì mentre io lo scrutavo in silenzio cercando di cogliere i pensieri che in quel momento passavano per la sua mente …

Intuii che in quel momento correvano e si accavallavano nella sua mente ricordi bellissimi, ma contemporaneamente che il suo spirito era tormentato da pensieri indicibili …

Non osai interferire e rimasi immobile e in attesa.

Poi, con una mossa veloce si asciugò una lacrima che stava facendo capolino dal suo occhio, mi prese per mano e ci avviammo nuovamente lungo il sentiero …

(continua)



23
Pensieri, riflessioni, saggi / Tenacia & Testardaggine.
« il: Novembre 11, 2020, 18:13:43 »

Tenacia & Testardaggine.

Tenacia. Fermezza e perseveranza nei propositi e nell’azione.

Testardaggine. Ostinazione pervicace e irragionevole. Sfiducia preconcetta negli altri.

Entrambi questi caratteri dipendono dal DNA di ciascun essere umano.
Personalmente ritengo che sia lo stesso “gene” che li determini, ma che si sviluppi verso direzioni (azioni) diverse sia in conseguenza di altri geni presenti o assenti nel nostro DNA, come pure in conseguenza degli eventi con cui il soggetto si confronta nel corso della sua vita.

In Natura nulla è positivo o negativo, tutto è ambivalente. Ogni evento (lo stesso evento) può prendere percorsi che hanno in un soggetto conseguenze per lui positive (fortunate) e in un altro negative (sfortunate).

Victor

24
Cassonetto differenziato / Cosa mi è capitato oggi
« il: Ottobre 24, 2020, 16:32:17 »

Cari amici,

In questo Topic vi racconto quello che mi è successo oggi e come ho reagito.

Oggi, 24 ottobre 2020, sono le ore 9,25.

Sono rientrato a casa da alcuni minuti, il tempo di riprendere fiato, prendere un foglio di carta e una penna e mettermi a scrivere la seguente Lettera di Reclamo.

Mi chiamo C. V. ed abito a Xxxx, Via Yyyy.

Mi è stata spedita una Raccomandata ed il mittente mi ha comunicato il suo numero di protocollo postale per poter seguire sul sito “Poste.it” il suo iter di lavorazione la cui stampa è allegata alla presente lettera.

Preciso subito che al mio indirizzo esiste il servizio di portineria che è attivo tutti i giorni sia di mattina che di pomeriggio.

Da come di evince dallo Stato di lavorazione del Sito delle Poste Italiane la raccomandata doveva essere consegnata giovedì 22 ottobre. Ma nulla è pervenuto, anche se il portiere asserisce (ed è vero) che non si è allontanato dalla portineria. Non è stato consegnato neanche il modello 26 che viene lasciato quando il destinatario è assente.

Il giorno seguente, venerdì 23 ottobre, sempre sul sito delle “Poste.it” risulta che la Raccomandata è disponibile per il ritiro presso l’ufficio postale di Via C.

Cerco di capire. Dunque:
- giovedì 22 era “in consegna”;
- venerdì 23 era “disponibile per il ritiro” presso l’ufficio postale di Via C.;
- il portiere dello stabile non ha visto nessun postino e non ha ricevuto nessun avviso.

La mia deduzione è che l’ufficio che doveva effettuare la consegna, non l’ha effettuata e l’ha passata direttamente all’ufficio postale di competenza, dove il destinatario (cioè io), previo nuovo avviso, avrebbe dovuto recarsi per il ritiro (questo avviso non c’è stato di bisogno in quanto ho seguito l’iter della lettera controllando il sito).

Mi informo con amici dipendenti dalle Poste quale è l’ufficio che avrebbe dovuto provvedere alla consegna della Raccomandata. Questi mi confermano ciò che io già immaginavo che l’Ufficio in questione è quello di “S.G.”. E sorridendo aggiungono “fanno schifo”, “sono un branco di fannulloni”, e via di questo passo!

Devo aggiungere che l’anno scorso con un’altra Raccomandata era successo un episodio perfettamente analogo. Dovevo ricevere un’altra Raccomandata e non ricevendola mi sono informato tramite amici ed ho appreso che era giacente presso l’ufficio S.G. Ci sono andato e l’impiegata ha ammesso che la Raccomandata si trovava nel suo ufficio, ma non voleva consegnarmela in quanto non avevo il modello 26 (questo modello attesta che il postino è passato e il destinatario non era presente). Ho dovuto chiamare il 113 e con l’arrivo della Polizia (che ringrazio per la sua efficienza e per la sua attenzione al cittadino) la Raccomandata mi è stata consegnata.

Ma torniamo alla raccomandata odierna.

Questa mattina, sabato 24, mia figlia (in quanto io sono invalido) si è recata all’Ufficio postale di Via C. con la mia delega (che allego alla presente lettera di reclamo), con fotocopia del mio documento di identità, e per maggior scrupolo anche con il mio documento originale ed ha chiesto all’impiegata dello sportello di ritirare la Raccomandata.

L’impiegata ha richiesto (a sua volta) l’avviso rilasciato dal portalettere (il modello 26). Mia figlia ha risposto che nessun avviso era stato lasciato al portiere e che avevamo appreso della sua giacenza presso quell’ufficio tramite il sito delle Poste.it, come si poteva evincere dalla mia delega.

E qui mi viene alla mente che avendo io fatto la delega proprio sulla stampa ricavata dal Sito Poste.it con l’iter della Raccomandata, questa documentazione evidenziava proprio l’imbroglio commesso dall’Ufficio Recapiti. E, per evitare di mettere agli atti questo documento rivelatore, è avvenuto quello che si evince dalla continuazione del mio racconto.

L’impiegata si è alzata ed è andata dalla Direttrice dell’Ufficio.

La Direttrice (in verità con parole e comportamento molto gentile) ha detto a mia figlia che in assenza del modello 26 doveva essere in possesso di una procura legale (!) in alternativa la raccomandata poteva essere consegnata esclusivamente al destinatario (cioè a me) e quando mia figlia ha specificato che ero invalido, la direttrice le ha detto che mi avrebbe favorito non facendomi rifare la fila per l’attesa.

Ma guarda quanta cortesia! Che questa cortesia fosse interessata?

Mia figlia è tornata a casa, mi ha portato in Ufficio e così la Raccomandata mi è stata consegnata.

Alla mia richiesta di chiarimenti la Direttrice mi ha ripetuto quanto aveva detto a mia figlia (cioè che per consegnarla a lei era necessaria una procura legale) ed ha precisato che queste sono le “disposizioni”.

Di fronte ad una tale dichiarazione fatta dal Direttore dell’Ufficio, che a tutti gli effetti è un’autorità, l’utente ha poco o nulla da obiettare. Io mi sono sentito come un vaso di coccio di fronte ad un vaso di ferro!

Ora, tornato a casa, mi pongo diverse domande.

La prima è la seguente. È possibile che un ufficio pubblico (mi riferisco a quello di S. G.) possa agire ripetutamente in maniera scorretta senza che nessuno controlli, nessuno se ne accorga e intervenga?

La seconda domanda che mi pongo è la seguente. Accettando che quanto dichiarato dalla Direttrice corrisponda a verità, è possibile che in un ufficio pubblico esistano delle disposizioni così assurde?

La terza domanda che mi viene alla mente è la seguente. Queste disposizioni sono scritte oppure sono tramandate per “consuetudine”? Se sono scritte sono state emanate dalla Direzione locale oppure da quella Generale? Il Ministero (o meglio la burocrazia del Ministero) è a conoscenza di tutto ciò?

Sono entrato nel sito del Ministero dello Sviluppo e delle Comunicazioni. Le prime parole che ho incontrato sono “Amministrazione trasparente” e “Registro della trasparenza”.

Accipicchia! Questa è trasparenza?!
O forse è presa per i fondelli del cittadino utente?!

Prima di andar via ho chiesto alla Direttrice un modulo di reclamo e me lo ha consegnato.

Ho compilato il modulo ed ho allegato la seguente descrizione dei fatti.

Ne ho fatte varie copie che ho consegnato o inviato a:
- Ufficio Postale di Via C.
- Direzione Provinciale Poste Italiane.
- Direzione Territoriale Regionale.
- Poste Italiane Spa. Viale Europa 190. 00144 Roma.
   Direttore Generale – Matteo del Fante;
   Consigliere – Giovanni Azzone;
   Consigliere – Bernardo De Stasio;
   Consigliere – Daniela Favrin;
   Consigliere – Davide Iacovoni;
   Consigliere – Mimi Kung;
   Consigliere – Elisabetta Lunati;
   Consigliere – Roberto Rossi;
   Pierangelo Scappini – Responsabile Risorse umane e Organizzazione.
Alla Stampa.
Alla Procura della Repubblica.
Ai Politici.

Post Scriptum.

Inviare copia di questa Lettera di Reclamo alla Procura della Repubblica ed alla Direzione Generale di Poste SPA, può apparire eccessivo data la poca importanza del caso.

“De minimis non curat praetor”.
Ed io lo riconosco, questo mio caso è di poca importanza.

Ma, se per caso, questo mio problema fosse soltanto la punta di un iceberg?

Se fosse uno dei dieci, cento, mille soprusi che il cittadino utente subisce ogni giorno in tutta Italia dalla Pubblica Amministrazione ed accetta in silenzio per il quieto vivere?

Oppure tollera, borbottando tra sé e sé solo perché non sa come reagire e a chi rivolgere le sue rimostranze?

Oppure ancora, perché pensa che il suo reclamo o la sua protesta sia soltanto una “vox clamans in deserto”, (o se preferite “clamantis”) cioè una voce che grida nel deserto, che non viene presa in considerazione?

E in verità questo dubbio è passato anche nella mia mente.

Ma la speranza è ultima a morire.

Victor


25
Pensieri, riflessioni, saggi / IO, ES, SUPER IO
« il: Ottobre 22, 2020, 10:05:48 »

Premessa.

Qualcuno forse avrà notato che in quest’ultimo periodo ho scritto poco su Zam. Il motivo è che la mia mente ha cercato di riflettere un po’ prima di pubblicare qualcosa.

Inizialmente ho pubblicato un po’ di roba, ma ho notato che i miei scritti non hanno riscontrato particolare interesse tra i lettori. Voglio subito precisare che questa mia affermazione non è una critica né al sito né ai lettori. Se i miei scritti non hanno riscontrato interesse la colpa è solo mia in quanto ho scelto argomenti non interessanti, oppure il mio stile (forma, lunghezza, esposizione) non ha incontrato il gusto dei lettori.

Mi preme precisare che quando io scrivo, presto molta attenzione e cura sia alla sostanza, come pure alla forma. Questo lo faccio anche quando parlo. La “colpa” di questo mio comportamento è da attribuire agli insegnanti che ho avuto nel corso della mia vita.

Anche adesso, se devo scrivere un biglietto di ringraziamento ad una persona amica, dapprima preparo sempre una “minuta” che poi riporto nello scritto definitivo.

Ho ricercato un problema che ritengo attuale. Spero che abbia maggiore riscontro, e dia adito ad una interessante partecipazione alla discussione.

26
Altro / 05. EPILOGO.
« il: Settembre 14, 2020, 01:55:13 »


Racconto. Tra sogno e realtà, con molta fantasia.

Mi capitò un affare importante al nord. Ogni settimana dovevo recarmi due o tre giorni a Milano. Prendevo l’ultimo aereo della domenica sera e tornavo con l’ultimo aereo del mercoledì, o del martedì.

Quella volta mi capitò di liberarmi prima e rientrai il martedì nel primo pomeriggio. Dall’aeroporto mi recai direttamente da Daniela. Volevo farle una improvvisata. Avevo le chiavi dell’appartamento, ma non volli usarle, suonai il campanello. Mi aprì e rimase sorpresa del mio arrivo improvviso. Ma più sorpreso rimasi io. Non era sola, era con una sua compagna. Ma non fu questa la sorpresa. La sorpresa fu che quella ragazza io la conoscevo, ed anche lei mi conosceva! Non sapevo il suo nome, ma la incontravo di tanto in tanto nell’androne del palazzo dove si trovava il mio ufficio.

Daniela me la presentò: era la sua migliore amica. Erano compagne di classe fin dalla prima elementare. Studiavano insieme. Mi resi immediatamente conto che era perfettamente informata sul rapporto che esisteva tra me e Daniela. E ora mi conosceva anche di persona. La cosa mi turbò.
Resasi conto che la sua presenza era di troppo salutò ed andò via.

Con Daniela non ne parlammo e facemmo l’amore.
Nei giorni successivi mi capitò di incontrarla spesso quando andavo in ufficio. I nostri occhi si incontravano e lei mi salutava con un sorriso.

Una volta prendemmo insieme l’ascensore. Mentre salivamo ci guardavamo negli occhi, ma non parlavamo. Mentre si aprivano le porte e stavo per uscire lei mi disse: “Io so mantenere i segreti”. Mi fermai e la guardai. Lei aggiunse: “Io e Daniela siamo molto intime”.
Rimasi un istante interdetto, poi chiesi “Intime in che senso?”
“In tutti i sensi …” disse. Uscii dall’ascensore e le porte si richiusero.

Le rotelle del mio cervello si misero a ruotare furiosamente. Ma nello stesso istante che varcai la porta del mio ufficio cominciarono a ruotare quelle che riguardavano i problemi di lavoro mentre le prime si quietavano.

Per il resto della settimana feci finta di niente. Il sabato pomeriggio quando andai da Daniela, dopo i baci e gli abbracci di rito le dissi che le dovevo parlare. Mi chiese se ne volevo parlare a letto. Risposi che potevamo sederci anche sul divano.

Le raccontai del mio incontro in ascensore con la sua amica e di quello che mi disse. Conclusi dicendo “Cosa significa tutto questo?”
“Significa che anche lei vuole fare l’amore con te”. Rispose senza esitazione.

Rimasi interdetto … sbalordito …
Ero vittima di una loro macchinazione?

“E tu ti sei prestata?” chiesi.
“Non potevo rifiutare”. E al mio sguardo interrogativo aggiunse “Siamo compagne di classe dalla prima elementare e non ci sono stati mai segreti tra noi due”.

Mi posizionai deliberatamente comodo sul divano dimostrando di essere pronto ad ascoltare tutto quello che aveva da dirmi. Lei capì e cominciò a parlare.
Mi raccontò come la sua amica era stata quella che prendeva sempre l’iniziativa e che lei la seguiva sempre.

Quando cominciarono ad essere più grandicelle era stata lei che le aveva parlato per prima di sesso. Insieme avevano fatto anche le prime esperienze. Anche adesso continuavano ad andare a letto insieme.
Era lei che le raccontò come aveva fatto sesso la prima volta con suo cugino, e che la convinse a fare sesso tutti e tre insieme.

“Quanti anni avevate?” Chiesi io.
“Dodici o tredici anni”.
“E lui quanti anni aveva?”
“Era tre anni più grande”.

Continuò il racconto dicendo che la sua amica la portava con sé alle feste che il cugino organizzava con altri ragazzi. E ovviamente in quelle feste si faceva sesso.
Per precauzione la mamma della sua amica aveva fatto applicare la spirale a sua figlia e aveva parlato anche con la mamma di Daniela consigliando di proteggerla nella stessa maniera.

Mi disse che avevano sempre studiato insieme.
Aggiunse che dal momento che aveva scoperto chi ero io le aveva chiesto di aiutarla a fare sesso con me. Così come lei l’aveva aiutata in passato a fare sesso con gli altri ragazzi.

Le chiesi cosa pensavano di fare.
Mi rispose che se ero d’accordo avrebbe organizzato tutto la sua amica.
Le dissi che dovevo pensarci.

Ero perplesso. Rimasi a lungo in silenzio. Abbassò gli occhi e rimase anche lei in silenzio. Le mie rotelle giravano vorticosamente. Dopo una prolungata riflessione parlai.

“Devo pensarci bene. Ti farò sapere”. Mi alzai e uscii. Ero frastornato. Scesi in garage, mi misi in macchina e uscii. La macchina camminava sola mentre i pensieri frullavano nella mia testa. Ad un tratto mi resi conto che ero entrato nel garage del mio ufficio. Chiusi la macchina e salii.

L’ufficio era vuoto (era sabato pomeriggio). Mi sedetti alla mia scrivania. Presi una carpetta vuota, Scissi sulla copertina “Progetto XXX”, presi dei fogli di carta e mi misi a scrivere. Quando dovevo stendere la bozza di un progetto utilizzavo sempre carta e penna. Questo mi consentiva di buttare giù i miei pensieri come venivano, cancellare e riscrivere, fare dei disegni o degli schemi, mettere note e richiami. Rimasi circa tre ore seduto al mio scrittoio, poi presi i fogli, li riordinai e li numerai. Andai alla fotocopiatrice e li duplicai. In una carpetta nuova misi le fotocopie, ci attaccai sopra un post con sopra scritto “Battere al computer”. Aprii con la chiave il cassetto della mia segretaria di fiducia (la chiave l’avevamo soltanto io e lei) e vi riposi la carpetta con le fotocopie.

Riposi i fogli originali nella mia borsa e tornai a casa in tempo per la cena.
Mia moglie comprese subito che c’era qualche problema e parlava con i ragazzi lo stretto indispensabile.

Avevo deliberatamente cancellato il pensiero di Daniela e pensavo soltanto alla bozza di progetto che avevo predisposto. Mentre mangiavo mi vennero in mente delle modifiche e delle aggiunte da fare. Passai nel mio studio privato misi anche queste nuove idee per iscritto ne feci la scansione e li inviai via e-mail all’indirizzo di ufficio della mia segretaria. Riposi tutti gli originali nella mia borsa.

Mi recai nella mia camera. Mia moglie era già a letto. Mi spogliai e mettendomi sotto le lenzuola notai che mia moglie era nuda, non riuscii a capire se dormisse oppure stava soltanto con gli occhi chiusi.
Mi stesi supino ed attesi un poco. Se voleva fare l’amore si sarebbe mossa e avrebbe fatto finta di urtarmi inavvertitamente. Ma non si muoveva.

Le mie rotelle continuavano a girare … “Stat rosa pristina …” dicevano … “Nomina nuda tenemus …” continuavano … “Stat rosa pristina …” ripetevano continuamente nella mia mente …

“La rosa primigenia, la rosa primordiale …” traducevo io mentalmente “sta in mezzo a noi …” … Mi girai … guardai mia moglie … Sì! … la mia rosa primigenia era là … stava accanto a me … e io non me ne ero reso conto …

“Nomina nuda tenemus …” ripetevano le rotelle … “Ci è rimasto soltanto il suo nome … solo il suo ricordo …” continuavo io a tradurre mentalmente …

No! … No! … No! … non voglio che mi resti solo il suo ricordo! … io voglio la rosa! … sì, la rosa! … ed ho avuto un soprassalto nel letto …

Anche mia moglie si mosse e involontariamente mi urtò …

Fine.

A chiusura del racconto tre link di brani musicali.

Per Daniela: https://www.youtube.com/watch?v=0AoUMcGOnwc

Per mia moglie: https://www.youtube.com/watch?v=cCgGweRLWhw

Per me: https://www.youtube.com/watch?v=fFtGfyruroU

Victor


27
Racconto. Tra sogno, realtà e molta fantasia. 4a parte.

Per alcuni giorni non affrontai l’argomento con Daniela. Ci vedevamo ogni giorno e facevamo l’amore. Non c’erano stati cambiamenti particolari nel nostro rapporto. Forse le coccole dopo l’amplesso duravano un po’ più a lungo.
Poi affrontai l’argomento. Dovevo prendere una decisione. Era domenica e avevamo molto tempo a disposizione. Eravamo a letto nudi. Avevamo fatto l’amore. Era rimasta a lungo tra le mie braccia.

Cominciò a scuotersi dal torpore post coito. La mia mano la carezzava delicatamente e lentamente sulle spalle. Di tanto in tanto posavo un casto e tenue bacio sulle sue labbra o sulle sue guance. Si scostò da me. Guardai il suo seno. Quando lo guardavo mi chiedevo sempre se mi piacesse di più ammirarlo o baciarlo. Lei si accorse che guardavo il suo seno e mi sorrise. Immagino che la mia attrazione per il suo seno la lusingasse moltissimo.

“Te la senti di parlare della casa?” Le chiesi. Mi fece cenno di sì col capo. Le spiegai che il secondo appartamento che avevamo visitato a me piaceva. Le dissi che dato che lei lo voleva utilizzare per passarci il pomeriggio a studiare lo ritenevo più adatto di questo in cui ci trovavamo. Mi piaceva perché era bello e luminoso. Poteva essere considerato un affare anche dal punto di vista economico. Se non prendevo una decisione rapida potevo perdere l’occasione. Aggiunsi tante altre cose. Lei ascoltava senza parlare. Alla fine le chiesi quale era il suo pensiero.
“Devi essere tu a decidere. Io voglio solo te …” mi disse alla fine.

Mi mossi e mi avvicinai di più a lei. Mi chinai sul suo seno nudo e mi misi a baciarlo, a succhiarlo, a farlo entrare tutto dentro la mia bocca.
L’indomani andai all’agenzia immobiliare, firmai il compromesso per l’acquisto dell’appartamento assieme ad un posto nel garage, sbrigai tutte le pratiche necessarie. La consegna sarebbe avvenuta tra un paio di settimane.

Parlai con la padrona di casa dell’appartamento affittato. Disdissi il contratto. Pagai quello che dovevo. L’avrei lasciato libero entro tre mesi. Il periodo di tre mesi era una clausola del contratto ma sarebbe anche servito per arredare il nuovo appartamento.

Quando Daniela era libera giravamo per scegliere i mobili e tutto ciò che occorreva per arredarlo. Per prima cosa pensammo alla stanza da letto poi al soggiorno e infine al suo studio. Tutto si svolse senza troppi problemi nei tempi previsti. Lasciammo libero l’appartamento vecchio e ci trasferimmo in quello nuovo.
Ci trasferimmo di sabato, sturammo una bottiglia di champagne e inaugurammo subito il letto. Trascorremmo insieme la notte tra il sabato e la domenica.

Avevamo quasi tutta la domenica a disposizione. Avevo fatto istallare un bel computer accanto alla sua scrivania. Non era stato ancora acceso. Tranne quando il tecnico l’aveva istallato e ci aveva dimostrato che funzionava correttamente.
“Proviamo il computer” Dissi. Si trovò d’accordo. Ci sedemmo uno accanto all’altro, anche se ero io che lo gestivo. Provammo i programmi di Office: funzionavano senza problemi.
“Hai mai visto un film erotico?” Le chiesi. Mi rispose di no. “Ti va di vederne uno?” chiesi. Mi rispose di si. Smanettai un poco e aprii un file che mostrava un episodio di massaggio erotico.

Il massaggiatore nelle fasi iniziali agiva normalmente, ma quando raggiunse il seno della paziente le scene cominciarono a diventare erotiche. Allungai il braccio e la feci sedere sulle mie gambe con le spalle contro il mio petto e cominciai a carezzarle le cosce. Quando il massaggiatore arrivò al pube anche le mie mani avevano raggiunto il suo e lo carezzavano. E quando due dita del massaggiatore penetrarono la paziente distesa sul lettino anche un mio dito la penetrò.

Il mio dito si muoveva e scavava con forza e in profondità e lei cominciò a dimenarsi ed a mugolare di piacere. Più forza faceva il mio dito, più lei mugolava e si agitava. Poi le dita divennero due, e continuavano a scavare con forza. Fino a quel giorno l’avevo sempre penetrata soltanto con un dito e sempre con molta delicatezza. Costatavo che il suo mugolio e le torsioni del suo corpo aumentavano con l’aumentare della forza della mia mano e della profondità che raggiungevo.
Cercai di introdurre oltre all’indice ed al medio anche l’anulare, ma era strettissima e si dimenava. La serrai con l’altro braccio per bloccare i suoi movimenti e forzando entrai con il terzo dito. La sentii irrigidirsi e poi emettere un lungo mugolio … e le mie dita e la mia mano furono bagnate da un liquido mucoso …

La presi in braccio e la portai a letto e così, semivestiti come eravamo, la possedetti. La sbattevo con forza e con violenza. Ad ogni mio colpo il suo “Ah!” risuonava sempre più forte. I suoi talloni, affondati nel materasso con le ginocchia leggermente piegate, sollevavano ritmicamente il suo bacino in sintonia con i miei movimenti. Ad un tratto il suo “Ahhh!” fu più forte e più lungo ed anche dalla mia gola uscì un suono che non saprei definire. Poi le caddi addosso stremato ed esausto “come corpo morto cade” …
Per tutta la settimana successiva i nostri rapporti tornarono normali … soft.

Il sabato mattina lo dedicai a mia moglie accompagnandola a sbrigare delle faccende. Ad un certo punto passammo con la macchina in una zona periferica completamente disabitata dove c’era un grande spiazzo. A mia moglie scappò una risata che subito tentò di controllare mettendosi una mano sulla bocca. Mi voltai e la guardai. Lei distolse lo sguardo. Tornai a guardare la strada e a concentrarmi sulla guida. Sapevo che quello era un luogo dove la notte si riunivano gli “scambisti”. Ma non immaginavo che mia moglie ne fosse a conoscenza. Ovviamente il mio cervello si chiese immediatamente come mai mia moglie ne era al corrente.

Al mezzogiorno pranzammo a casa con i ragazzi. Poi in un momento che eravamo soli le dissi che non sarei rincasato per la notte. Lei assentì e di rimando le chiesi se uscisse anche lei. Anche questa domanda ebbe risposta affermativa. Sorridemmo reciprocamente. Ci eravamo intesi.

Nel primo pomeriggio passai a prendere Daniela con la macchina e mentre andavamo al nostro appartamento allungai la mano e mi misi a carezzarle la coscia. Era un preliminare foriero di promesse. Entrati in casa ci abbracciammo e ci baciammo a lungo. Poi la presi per mano e la portai al computer. Dopo che l’accesi e la feci sedere come la volta precedente sulle mie gambe mi misi a smanettare per cercare un nuovo file erotico.

La clip iniziava subito con una scena di fellatio che una bella ragazza eseguiva con molta passione al suo partner. Nei nostri rapporti ero stato sempre io a baciare e carezzare il suo corpo. Lei mi ricambiava i baci sul viso e sul petto. Non le avevo mai chiesto di baciarmi sul sesso. Con la visione di questa clip le mostravo come lei poteva ricambiare le mie attenzioni. Mentre guardavamo la scena le mie mani la carezzavano con dolcezza. La scena durò a lungo e la ragazza si esibiva mostrandoci tutta la sua tecnica e la sua bravura nel baciare, succhiare, leccare e ingoiare nella profondità della sua gola il membro del suo partner. Il messaggio era forte e chiaro. Quando i due attori della clip passarono al coito fermai la proiezione e la portai nella camera da letto.

Fui io a cominciare, ma stavolta fu lei a continuare …
E non potei fare a meno di notare con quale impegno ella lo faceva …
Ad un certo punto fui io a decidere di passare all’amplesso finale … non ero in grado di resistere un secondo in più …

Restammo al solito a letto per riprendere le forze. Fui io ad alzarmi per primo ed andare in bagno, lei mi seguì subito dopo. Nudi come eravamo andammo a bere. La porta dello studio era aperta e si notava il computer ancora acceso. Tornammo al computer. La clip era ancora lì, ferma al punto in cui io l’avevo bloccata. Sedetti, la feci sedere sulle mie gambe, schiacciai il pulsante e la scena riprese.

Mentre guardavamo il monitor io di tanto in tanto le baciavo le spalle nude, le carezzavo le braccia, o la vita, o i fianchi. La mia in quel momento era tenerezza, non desiderio sessuale. Lei rispondeva poggiando le spalle sul mio petto nudo e carezzando e baciando la mia guancia con la testa girata verso di me. Nel frattempo continuavamo a guardare la clip. Finita quella ne proiettai altre. Alcune le guardammo per intero o quasi, altre soltanto qualche scena e poi cambiavamo. Ad un certo punto ci rendemmo conto che si era fatto tardi.

“Andiamo a mangiare?” le dissi. Mi rispose di sì. Mentre io spegnevo il computer lei si alzò e si girò per allontanarsi. Il suo meraviglioso seno nudo si presentò di colpo ai miei occhi. L’afferrai per un braccio, la tirai a me e cominciai a baciarlo. Lei, prendendo la mia testa tra le mani e baciandomi in fronte, mi disse: “Andiamo a cena che è tardi …”.
Cenammo. Tornammo a casa. Andammo a letto. Facemmo l’amore hard.

Anche nei giorni successivi il nostro rapporto a letto continuò ad essere movimentato e hard. Vedevo crescere la sua passione e la sua lussuria di giorno in giorno e la cosa mi faceva molto piacere. Ciò aveva come conseguenza che il mio impegno a letto diventava più faticoso. Anche nel lavoro si erano presentati eventi nuovi e importanti che richiedevamo la mia attenzione e la mia presenza in ufficio per cui ho dovuto diradare un poco i nostri incontri. Erano ridotti di numero, ma sempre molto hard e coinvolgenti.

La sera cenavo sempre a casa con mia moglie e i ragazzi. Una sera entrando nella nostra camera per andare a dormire, trovai mia moglie nuda e indaffarata che girava di qua e di là per la stanza tutta illuminata, pensai che il suo daffare fosse fittizio. Mi fermai in mezzo alla camera ad ammirare il suo corpo perfettamente modellato che si muoveva con un’armonia meravigliosa, osservavo la sua pelle candida come il marmo, il suo seno ancora sodo, il suo monte di venere perfettamente depilato. Avrei voluto essere un Canova e immortalarla in una statua di marmo. Resasi conto che mi ero fermato a guardarla si fermò anche lei con lo sguardo rivolto verso di me.

“Spogliami!” le dissi e lei non se lo fece ripetere.
Inutile raccontare cosa ci mettemmo a fare.

Ad un certo punto staccai la sua bocca dal mio sesso, la baciai tenendo le mie mani sulle sue guance, e le chiesi: “Perché ti sei messa a ridere quando siamo passati dal piazzale degli scambisti?”
Scoppiò in una risata. In questa maniera mi diede conferma che era a conoscenza del luogo e di cosa si svolgeva colà. Le poggiai una mano sulla spalla e sdraiandomi con la testa sul cuscino la feci sdraiare accanto a me.

“Raccontami” le dissi. Si mise a ridere nuovamente. “Ci sei andata con Michele?” Rise ancora. Rispondeva alle mie domande con sincerità, ma senza profferire verbo e contemporaneamente osservava la mia reazione. Ma il mio viso sereno non mostrava alcun segno di disappunto o di gelosia.
“Un solo problema mi preoccupa: il rischio di qualche infezione” dissi.
“No temere … Ci siamo stati, ma non abbiamo fatto alcuno scambio … una sera mi ha portata lì, ma io non mi sono sentita di partecipare e dopo un po’ siamo andati via …”
“Ma tu avevi la curiosità di sapere, di capire … Sei stata sempre molto curiosa …” e la baciai, ero assolutamente sicuro della sua sincerità. “E dimmi …” continuai “Come và con Michele?”
“Va …” rispose.
“Va così così?”
“Tu afferri tutto subito …”
“Altrimenti perché dovevate andare al piazzale degli scambisti …” Allungai una mano e le carezzai il pube.
“Ma non abbiamo fatto nulla!”
“Me lo hai detto e ti credo assolutamente! … E … avete provato qualche altro giochetto? …” Rise ancora.
“Ok … Ho capito … Non dirmi niente … vediamo se indovino …” Stavolta la mia mano scivolò dentro la sua fessura e si mise a scorrere su e giù … “Hai partecipato a qualche ammucchiata? …” Scosse la testa.
“Ho sbagliato! … Michele ha organizzato una gang bang tutta per te?” Rise nuovamente … Le mie dita penetrarono dentro … “E … ti sei divertita? … Quanti erano?”
“Tre con Michele”.
“C’era qualcuno che conoscevi?”
“C’era il fratello di Michele e un suo amico più giovane … questo non lo conoscevo …”
“Ah, ti ha portato i ragazzini …”
“Il fratello di Michele ha trent’anni!”
“Mi hai detto che il suo amico è più giovane … Va bene, mi correggo … ti ha portato i giovanotti …” Rise. Io aggiunsi: “Il fratello di Michele è uno sportivo … ha la tartaruga sulla pancia … spero che fare sesso con lui ti abbia fatto piacere …”
“Mi ha scopato tre volte!”
“Ahhh! Quindi è andata molto bene …” Fece cenno di sì con la testa. A quel punto chiesi: “Ti ha lasciato il numero del suo cellulare?” Fece ancora cenno di sì con la testa. “E vi siete anche incontrati?” Sorrise per confermare. Le mie dita frattanto erano entrate in profondità dentro di lei.

Si accostò a me e mi baciò appassionatamente e a lungo, poi disse “Perché mi piaci tanto? … mi piaci … mi piace come mi penetrano le tue mani … mi ricordo quando mi penetrarono la prima volta … tanto tempo fa … furono le prime mani che toccarono il mio sesso … non avevo ancora 14 anni …”
“Anche io ero minorenne … eravamo tutti e due timidi e imbranati … sono passati trent’anni …”
“No! Ventisette!”
“Quasi vent’otto …”.
“Perché mi ricordi che sto diventando vecchia?”
“Tu … vecchia? … Quando il mio orologio segnerà le sei e mezzo tu attirerai ancora gli uomini come il miele attira le mosche …”
“Finché staremo insieme ci penserò io a non fare suonare le sei e mezzo al tuo orologio!”
“Quindi dobbiamo continuare a stare insieme … e siamo appena giunti nel mezzo del cammin di nostra vita … devo prestare molta attenzione …” - le mie dita nel frattempo continuavano a scavare …
“Questa è una ottima maniera di prestare attenzione …” E tornammo a baciarci appassionatamente. Dopo un poco si fece seria, mi guardò negli occhi e mi chiese:
“Ma tu Daniela l’ami?”
“Se lo negassi mentirei spudoratamente … Ti sei resa conto che mi piace tantissimo …”
“Ti sono sempre piaciute le ragazzine …”
“Non è una ragazzina … è una ragazza … e poi non sono stato io il primo … non so quanti ce ne sono stati prima di me, ma sicuramente più di uno …”
“La stai educando come hai educato me?”
“Tu eri vergine in tutto e per tutto … lei è più smaliziata, ma non tanto, il che mi fa pensare che è stata solo con ragazzi coetanei e inesperti. Sono il primo uomo adulto che è entrato nella sua vita. … Tu eri ancora minorenne quando quell’adulto entrò nella tua vita … e credo che ci sia molta differenza tra me e lui …”
“Sì … e poi mi buttò via … e per me fu molto brutto … troppo brutto …”
“Ma poi son tornato io …”
“Se lasci Daniela di colpo, sarà anche per lei molto brutto, come è stato per me …” Fece una pausa. Poi riprese: “Io so … o almeno si dice … che un rapporto come quello tra te e Daniela, con quasi trent’anni di differenza, non può avere storia … non dovrebbe avere storia … e quindi dovrei stare tranquilla … ma con una persona imprevedibile come te, tutto è possibile … sì, con te è possibile tutto e il contrario di tutto …” Tacque mentre io l’ascoltavo attentamente. … Le mie mani non carezzavano più il suo sesso …

Poi aggiunse: “Vedi … averti lasciato in quel modo è il rimorso più grande della mia vita … un rimorso che ancora oggi mi perseguita …” - E io scorsi una lacrima nei suoi occhi. “Il rimorso più grande che ho … anche perché ti amavo veramente … ma nella mia ingenua stupidità mi lasciai trascinare dall’infatuazione che provavo per quella persona … aveva un aspetto gentile e dei modi di fare affascinanti … mi parlava di sesso in maniera aperta come nessuno aveva mai fatto … neanche tu fino ad allora mi avevi parlato così, forse perché eravamo ancora ragazzi inesperti tutti e due … forse anche perché i miei ormoni si erano sviluppati di colpo e andavano troppo veloci … probabilmente fu tutto questo che mi trascinò in quel turbine di passione … e ti lasciai in quella maniera assolutamente stupida e scortese … ma poi fui lasciata anch’io nella stessa maniera! …”

Io l’ascoltavo in silenzio. Conoscevo tutta la storia, ma lei non ne aveva mai parlato con tanta enfasi e così apertamente. Non si era mai espressa come questa volta. Non l’aveva mai raccontata con tale commozione.

Continuò: “Quando mi lasciò ero disperata … le mie amiche cercavano di consolarmi … non immaginavo … nessuno poteva immaginare … che tu saresti tornato a cercarmi … a consolarmi … e poi … ogni volta che io cercavo di implorare il tuo perdono tu mi tappavi la bocca con un bacio … mi impedivi di parlare … Non potrò mai dimenticare tutto quello che hai fatto per me …” A questo punto scattai. Le tappai ancora una volta la bocca con un bacio … e facemmo l’amore … come lo facevamo noi …

Lascia che sia …

(4. Continua)

Link di Musica per questo scritto:

https://www.youtube.com/watch?v=QDYfEBY9NM4



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Altro / 03. La Garçonniere
« il: Settembre 10, 2020, 08:23:01 »
Racconto. Tra sogno, realtà e molta fantasia. 3a parte.

Avevo affittato per Daniela un bilocale nella stessa città in cui abitavamo dove avremmo avuto i nostri incontri d’amore.
Le avevo lasciato libertà di sistemarlo e arredarlo come voleva e le avevo dato la mia carta di credito.

Pensavo che avremmo utilizzato quasi esclusivamente la camera da letto, invece Daniela cominciò ad arredarlo proprio come un appartamento per viverci. Non me l’aspettavo. Ogni volta che ci incontravamo, e ciò avveniva ogni giorno, tranne quando ero fuori città per lavoro, trovavo qualcosa di nuovo: un centro tavola con sotto un centrino ricamato, un vaso con i fiori freschi, dei libri sullo scrittoio, e così via.
Non avevo assolutamente problemi economici, anzi la spingevo a comprare cose di suo gradimento, ma non pensavo che avesse intenzione di rendere l’appartamento abitabile. Ne parlammo. Mi disse che pur continuando a vivere con i suoi aveva intenzione di trascorrere il pomeriggio nell’appartamento e di utilizzarlo per studiare.

Ne rimasi colpito. Non mi aspettavo una decisione del genere. E principalmente non ritenevo quell’appartamento di tipo economico adatto a lei ed all’utilizzo che voleva farne.
Andai in un’agenzia immobiliare per cercare un appartamento più adatto da affittare o anche da comprare. Mi fecero diverse proposte e c’era ampia possibilità di scelta, ma erano tutti appartamenti che andavano da tre vani in su. Comunque c’era anche qualcosa che mi piaceva.

Non mi sentii di decidere da solo, volevo parlarne con Daniela.
Il pomeriggio quando andai a trovarla, dopo i soliti baci e abbracci preliminari, le dissi che le volevo parlare. “Parliamone a letto” disse e si diresse verso la camera da letto. Mentre vi si dirigeva cominciò a spogliarsi. Era chiaro che aveva voglia di fare l’amore. Non era una cosa difficile da capire, lei aveva sempre una gran voglia di fare l’amore.

Mi spogliai anch’io, ci mettemmo a letto e cominciammo subito le nostre effusioni erotiche. Il mio pensiero era concentrato sull’appartamento, ma il contatto con il suo corpo nudo, la delicatezza della sua pelle morbida, la visione del suo seno meraviglioso mi facevano impazzire come sempre e non potevo esimermi dal fare ciò che facevo sempre: baciare, leccare, succhiare, accarezzare … e ancora baciare, ancora leccare, ancora succhiare, ancora accarezzare … così all’infinito … mentre lei mugolava e si contorceva al contatto del mio viso, della mia bocca, delle mie mani, sul suo corpo … fino al momento in cui, al colmo del desidero, mi abbracciava facendomi capire che desiderava essere posseduta. Anche io l’abbracciavo stretta e scivolandole addosso la possedevo finché esausti entrambi crollavamo uno addosso all’altra.

Si restava a lungo così … tutto il mio corpo nudo a contatto con il suo … il suo seno piccolo e duro come due limoni che premeva contro il mio petto … il mio viso, accanto al suo, con la bocca vicino al suo collo o al suo orecchio … le sue mani sulle mie spalle o sulla mia vita … le mie mani che accarezzavano i suoi fianchi e i suoi glutei …

Quando io riprendevo fiato e mi riavevo dallo sforzo fatto la mia bocca e la mia lingua cominciavano a muoversi cercando qualcosa di suo … il suo collo … la sua orecchia … la sua guancia …
A questo punto la decisione passava a lei: o accettava supinamente le mie coccole delicate restando passiva sotto di me … oppure cercava di farmi capire che desiderava continuare a fare l’amore … e riprendevamo.
Quel pomeriggio questa seconda fase non ci fu. Quando io cominciai a riprendermi e la baciai, anzi la leccai sulla guancia lei ricambiò baciando la mia guancia e scrollatosi di dosso il mio peso si posizionò su un fianco accanto a me.

“Cosa volevi dirmi?”
“Ti amo da impazzire!!” risposi (forse lo gridai) e tiratala contro di me, contro il mio corpo,  ripresi a baciarla ed a leccarla tutta … mi misi a succhiare il suo seno (era una cosa che mi piaceva tantissimo) … succhiavo il suo capezzolo e poi accoglievo tutta la mammella dentro la mia bocca dilatata al massimo … avrei voluto morderla, staccarla e ingoiarla … ma non le ho fatto mai male! … la mia passione in determinati momenti raggiungeva il parossismo, ma con lei riuscivo sempre a controllarmi, ad essere delicato … (in altre occasioni, con altre donne, talvolta ero stato anche violento) … ma con lei sempre tenero e dolce … anche quando la mia passione era molto forte.
Ci congiungemmo nuovamente e restammo di nuovo abbracciati così.

Quando ripresi nuovamente fiato i due sessi erano ancora uno accanto all’altro, percepivo la sua pelle vellutata a contatto con il mio corpo, e le mie mani carezzavano delicatamente la sua schiena e i suoi glutei. Ancora una volta fu lei a parlare: “Cosa mi volevi dire?”
“Domani mattina sei libera?”
“Sì, perché?
“Ti vengo a prendere in macchina alle dieci al solito posto”.
“Dove mi porti?”
“È una sorpresa …”.
“Bella?”
“Perché? Ti ho mai fatto sorprese brutte?”
“No! Hai ragione …”.

Il discorso finì lì. Io sono stato sempre di poche parole. Ho sempre privilegiato l’operatività alle parole. Ed anche lei, piuttosto timida, forse perché ancora molto giovane, non parlava molto.
Lei andò a fare la doccia, sarebbe tornata a casa con calma, io invece mi rivestii ed uscii perché avevo delle cose urgenti da sbrigare in ufficio.

Il giorno dopo alle dieci la passai a prendere in macchina. Avevo già telefonato e predisposto tutto.
Andammo dall’altra parte della città dove stavano sorgendo dei bei quartieri nuovi e ben messi. Lei mi guardava senza chiedere nulla. Posteggiai la macchina ed entrammo in un bar. Prendemmo un cappuccino e una pasta ciascuno.
Mentre facevamo colazione entrò l’impiegato dell’agenzia che si fermò all’ingresso per non disturbare. Gli feci segno di avvicinarsi, feci le presentazioni e lo feci accomodare. Chiesi se ci faceva compagnia, accettò un caffè.

Quando completammo ci alzammo e l’impiegato ci condusse verso un palazzo vicino. Era evidente che era stato costruito da poco, anzi si notava che stavano completando alcune rifiniture. Attraversammo un bell’ingresso e prendemmo uno dei vari ascensori che c’erano. Si fermò al terzo piano. L’impiegato scelse una chiave da un mazzo molto voluminoso che teneva in mano ed entrammo.

L’appartamento di tre vani con cucina e servizi era ben rifinito, ma era interno. La finestra da una parte e il finestrone dall’altra davano su dei cortili interni. L’impiegato ci mostrava tutto e ci dava le delucidazioni. Daniela ascoltava senza parlare. I suoi occhi mostravano la sua sorpresa, ma anche interesse. Io ascoltavo con attenzione e guardavo tutto come da mia abitudine, osservando Daniela con la coda dell’occhio. Ero felice per l’interesse che mostrava.

“Cosa glie ne pare?” disse alla fine l’impiegato rivolto a me, ma rivolse subito lo sguardo verso Daniela per cercare di intercettare il suo pensiero.
“Ho visto!” Dissi immediatamente io “Ora mi mostri l’altro!”
“Ma questo come le sembra?”
“Vediamo l’altro”. Ribattei. Sapevo già che l’altro era molto più caro.

Tornammo giù nell’ingresso e prendemmo un altro ascensore. Questa volta ci fermammo al sesto piano. Tre porte si aprivano sul pianerottolo. Ne aprì una ed entrammo. Ci rendemmo subito conto che questo era molto più luminoso. I due balconi si affacciavano sulla strada. Le rifiniture erano identiche. Anche la cucina e i sevizi erano simili. Osservavo Daniela che appariva sempre interessata, ma il suo viso ora si mostrava perplesso. L’impiegato continuava a illustrare l’appartamento. Alla fine si voltò verso di me, ma stavolta non parlò.

“Grazie” gli dissi “ci rifletteremo e parlerò con il titolare”.
Scendemmo, ci salutammo e ci separammo. Io e Daniela ci dirigemmo nuovamente al bar. Cercai il tavolo più isolato e andammo a sederci. La cameriera ci chiese cosa desideravamo “Due acque toniche” risposi sapevo che sarebbero rimaste intatte.

Ci sedemmo uno di fronte all’altra. Notai che Daniela aveva gli occhi lucidi e mi interrogava con lo sguardo. Era perplessa, confusa e frastornata. Allungai le braccia e presi la sua mano tra le mie. Si mise a scuotere la testa e notai le lacrime nei suoi occhi “No … no … no … è troppo … è troppo …” mormorava continuava a scuotere la testa.

Non nego che anche i miei occhi cominciarono ad arrossarsi mentre la guardavo e continuavo a carezzarle la mano. Arrivò la cameriera con le bibite. Le feci cenno di posarle, cosa che fece subito rendendosi conto che era un momento per noi delicato ed andò via immediatamente. Come al solito un pensiero strano, ma fugace, passò per la mia mente: “Chissà cosa sta pensando di noi?”.
Non riuscivamo a parlare. Era inutile restare lì. Lasciai sul tavolo un biglietto da 10 euro che copriva largamente il prezzo segnato sullo scontrino e andammo alla macchina.

Mi diressi verso il nostro appartamento. Salimmo. L’abbracciai e la strinsi a me. La baciavo sul viso e sui capelli. La portai nella camera da letto. Tremava. Non sapevo se avesse freddo oppure era la tensione. La spogliai, la misi a letto e la coprii. Mi spogliai e mi coricai accanto a lei stringendola tra le mie braccia. Poggiò il suo viso nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla. Non parlava. Sentivo che le sue lacrime bagnavano il mio collo. Anche i miei occhi lacrimavano. Pian piano il suo corpo smise di tremare.

Restammo tutto il tempo abbracciati così. Non parlavamo. D’altronde entrambi sapevamo tutto anche se avevamo scambiato solo pochi monosillabi. La mia mente vagava per l’Iperuranio … Avevo avuto paura per il suo turbamento … pensavo che forse avevo sbagliato a non informarla prima … Ma se avessi parlato forse lei non sarebbe voluta venire … Perché lei non voleva l’appartamento nuovo? … Non si sentiva pronta? … Aveva paura? … Di cosa? … Aveva detto “No, è troppo” Non voleva che io spendessi tanti soldi? … Le avevo dato la mia carta di credito, ma dall’estratto conto avevo notato che lei era stata molto oculata nelle spese … Era commossa per la mia dimostrazione di affetto? … Non si aspettava tanto? … Una cosa era certa: non era arrabbiata con me, stava avvinghiata a me tenendomi stretto tra le sue braccia … Neanche quando siamo scampati al naufragio ed alla morte lei aveva avuto una reazione così …

Non riuscivo a dare una spiegazione al suo comportamento. E mentre il mio pensiero passava in rassegna le ipotesi più assurde le carezzavo delicatamente i capelli e le spalle. Sentivo il suo respiro sul mio collo che si era regolarizzato. Sentivo il suo seno che premeva contro il mio torace, era una sensazione dolcissima e niente affatto erotica. Sentivo che una mia coscia era incuneata in mezzo alle sue all’altezza del suo sesso ed avvertivo la sua pelle vellutata, ma anche questa era una posizione dolcissima che non provocava in me alcuna eccitazione. Stavamo fermi così e basta. E così restammo a lungo. Solo la mia mano si muoveva di tanto in tanto per carezzarle la testa o la schiena.

Alla fine cominciò a muoversi. Anche la mia mano si muoveva e la carezzava con maggiore frequenza. Sollevò la testa e mi guardò in volto. Anch’io la guardai. Si sollevò e si mise a sedere sul letto.
“Io voglio te … solo te … non voglio né case … né altro …”
La guardai, allungai le mani, le misi a forma di coppa e le poggiai sui suoi seni nudi e dissi:
“E io voglio questi … sì … questi … tutti interi … dentro la mia bocca …”
Mi si buttò addosso e mise uno dei suoi seni dentro la mia bocca …
Poi ci abbracciammo e ripeteva, anzi lo ripetevamo insieme: “Ti amo … ti amo … ti amo …”

Passò dell’altro tempo, restammo così, abbracciati, senza parlare e senza neanche fare l’amore. Solo io, di tanto in tanto, con la mia mano carezzavo la sua pelle.
Alla fine tornammo in noi.
Era pomeriggio. Non avevamo pranzato. Io avevo fame. Ci vestimmo e andammo al bar a prendere una granita con la brioche.

Seduti al tavolo riprendemmo il discorso. La feci parlare un po’. Ripeteva che non voleva nulla. Quando cominciò a rasserenarsi le dissi che non avrei fatto nulla senza la sua approvazione. Avremmo fatto tutto di comune accordo. Dovevamo fare tutto insieme. Volevo che lei fosse serena e felice. Non ci baciammo in quanto eravamo in un locale pubblico, anche se non c’era molta gente, ma le nostre mani si stringevano e si carezzavano. Feci una telefonata in ufficio e diedi delle disposizioni. Tornammo a casa e stavolta facemmo l’amore.

La sera tornai a casa. C’era mia moglie. Le si leggeva chiaramente negli occhi che aveva fatto l’amore. Ovviamente io sapevo anche con chi. Anche lei mi guardò negli occhi e ritengo che capì che avuto una giornata travagliata. Non so se immaginò il motivo. Ci comprendevamo senza parlare. Lei accettava tranquillamente il mio rapporto con Daniela, come io accettavo il suo con Michele. In questo periodo il nostro menage era tranquillo e facevamo anche l’amore.

Cenammo con i ragazzi ed io andai a letto. Ero stanco e volevo riposarmi. Poco dopo arrivò lei. Notai che si spogliò nuda prima di entrare sotto le lenzuola. Osservavo il suo corpo snello e ben tornito. Andava regolarmente in palestra e seguiva le direttive di un mio amico personal trainer. Ero convinto che ogni tanto ci andava anche a letto. Poco dopo sentii il contatto della sua mano sul mio corpo. Capii. Bastò quel tocco per risvegliare i miei sensi. Afferrai la mano e la tirai a me. La baciai. Ricambiò i miei baci.

“Sei felice?” le chiesi. Mi rispose di sì. La strinsi ancora di più a me.
“E tu?” mi chiese. Risposi “Anche”. Facemmo l’amore. Lo facemmo hard. Come era nostra abitudine. L’attrazione sessuale che provavamo l’uno per l’altra era ancora forte.
Quando, stanchi, ci stendemmo uno accanto all’altra, le nostre mani rimasero a contatto. Lo stress mentale che stringeva il mio cervello quando rientrai in casa si era sciolto ed era stato scacciato dalla fatica fisica di fare l’amore con mia moglie. Ero stanco, ma rilassato e beato.

Le rotelle dentro il mio cervello ripersero a girare al loro solito. Pensavo a tutta la giornata trascorsa con Daniela. Ai suoi scrupoli. Al fatto che mi amava a tal punto. All’amore che facevo con lei: dolce e delicato. Alla gioia sensuale che mi procurava il contatto con la sua pelle vellutata quando la carezzavo. Alla dolcezza che provavo quando la cullavo tra le mie braccia. Al suo corpo giovane e tenero che si stringeva contro di me. Al fatto che quando la guardavo nuda il mio desiderio più grande era quello di baciare e carezzare il suo corpo. Il sesso che facevamo era il completamento di tutto questo contesto e non il mio desiderio principale.

E poi pensavo a mia moglie. Al suo corpo statuario, attentamente curato e meravigliosamente modellato.
Sembrava una dea greca. Paragonavo il suo corpo a quello di Diana la cacciatrice, oppure a quello di un’amazzone (anche se lei i seni, meravigliosamente modellati, li aveva tutti e due). Ma al momento in cui ci scatenavamo a fare l’amore mi tornavano alla mente le donne romane la cui lussuria è stata tramandata dalla storia fino ai nostri giorni. Pensavo ai baccanali, alle menadi danzanti, ai riti orgiastici in onore del dio Bacco che esaltavano l’amore carnale e libero. Era così che vedevo mia moglie, era così che facevamo l’amore. Ogni volta dopo il nostro amplesso il letto era completamente disfatto. E quando stanchi, sfiniti, esausti, smettevamo credo che somigliassimo a due cadaveri nudi su un campo di battaglia.

Comunque, anche quando il mio corpo è stanco e sfinito, il mio cervello non smette mai di pensare.
Pensavo a quanta differenza tra l’amore che facevo con mia moglie e quello con Daniela. E mi chiedevo come sarà quello che mia moglie fa con Michele? Resterà stanca e appagata come quando lo fa con me oppure lo fa in maniera diversa?

Sorridevo a questo pensiero: difficile che resti più appagata e più soddisfatta di quando lo fa con me. Sicuramente quel pomeriggio era stata con Michele, lo si leggeva nei suoi occhi. Ma perché l’ha voluto rifare con me? Quello che fa con me è amore mentre l’altro è sesso? O forse quello che ha fatto con Michele non le è bastato?

So bene che quando è affamata di sesso la sua libidine è infinita … come la mia. Certe volte con me continua a fare l’amore anche dopo che sono ridotto uno straccio. In questi casi fa tutto lei ed io lo subisco passivamente, anche se piacevolmente. Quando faccio l’amore con lei penso sempre che nelle sue vene scorre sangue greco. Ma sicuramente sangue greco scorre anche nelle mie vene. Ricordo quando abbiamo fatto l’amore la prima volta: lei era vergine e molto timida. Ma poi man mano questo suo erotismo è affiorato e infine si è scatenato. Ricordo anche quando una volta mi disse che avrebbe voluto tagliarmi il sesso e tenerlo sempre dentro di sé.

Che fortuna la mia! Riuscire a fare l’amore con due donne così diverse, in maniera così diversa, e nello stesso giorno!

Sì, nella mia vita sono stato sempre molto fortunato. Mia moglie me lo ripete sempre. Mi definisce strafortunato. Sono stato fortunato specialmente nelle due cose per me più importanti: il lavoro e l’amore. Non mi posso assolutamente lamentare né per l’uno, né per l’altro. Chissà cosa mi riserva l’al di là. Forse c’è già per me un posto riservato nel secondo cerchio dell’inferno della Divina Commedia di Dante assieme a Paolo e Francesca. Ma chi mi farà compagnia: Daniela o mia moglie? O tutte e due?

Victor

(3. Continua)

Link di Musica per questo scritto:

https://www.youtube.com/watch?v=rStYc1YWJEo



29
Pensieri, riflessioni, saggi / 03. Soma e psiche - Monaca.
« il: Settembre 08, 2020, 10:32:15 »
03. Soma e Psiche.

Era mia intenzione inserire una foto del 1943 come seconda puntata di queste mie riflessioni, ma non sono riuscito. Ci proverò ancora, sperando nell’aiuto di qualcuno.

Passo alla terza puntata.

Ho chiuso la prima puntata dicendo che a 16 anni ci fu un evento che di colpo mi fece rendere conto che non ero più un ragazzo. Ecco la storia.

Il titolo che ho dato è “Monaca”.

Era la fine di giugno … avevo appena compiuto 16 anni … avevo appena completato gli esami di 5° ginnasio … Quegli esami all’epoca erano d’obbligo per accedere al liceo classico.
Come ogni anno, finita la scuola, mio padre e mia madre mi avevano portato da mio nonno Tommaso e da mia zia Maria.

Era in corso la trebbiatura del grano ed io tutte le mattine accompagnavo mio nonno che si recava in campagna a controllare i lavori. Rientravamo a casa insieme la sera, dopo che tutto il grano trebbiato durante la giornata era stato riposto nei magazzini.

Il grano veniva trebbiato in maniera artigianale. Sull’aia i cavalli lo calpestavano con i loro zoccoli frantumando il gambo, in pratica separavano le spighe dalla paglia. Poi, rimossa la paglia con i forconi, al centro dell’aia restavano le spighe che venivano a loro volta frantumate da altri cavalli che trascinavano un grosso masso liscio in maniera da separare i chicchi di grano dalla pula (la sottile pellicola che avvolge ogni chicco).
Poi, con le pale, questo miscuglio veniva lanciato in alto in maniera che la brezza pomeridiana separasse la pula, più leggera, trasportandola di lato, mentre i chicchi di grano più pesanti, ricadevano al centro.

Completato questo lavoro, il grano veniva raccolto, insaccato e in groppa ai cavalli trasferito nei granai.
Come si può evincere dal mio racconto i cavalli erano un elemento essenziale per portare a compimento tutto il ciclo di produzione del grano: dalla aratura iniziale del terreno, alla semina, dal trasporto dei covoni dopo la mietitura, fino a questa fase finale della trebbiatura.

Nella campagna di mio nonno c’erano diversi cavalli. Anche mio nonno ne teneva uno nella sua stalla, era una giumenta e si chiamava Eva, e la utilizzava per recarsi in campagna. Al mio arrivo mio nonno aveva fatto portare un secondo cavallo affinché io lo potessi accompagnare nei suoi spostamenti.
Io a quel tempo pensavo che tutti i cavalli fossero di mio nonno, ma poi, con il tempo e con le mie riflessioni mi sono reso conto che non era esattamente così. Ritengo che anche don Salvatore, il suo uomo di fiducia e sovrintendente alla campagna, e alcune altre persone fossero parzialmente proprietari di quei cavalli.

In genere ogni anno venivano fatte ingravidare tre giumente che partorivano poco prima dell’estate nella stalla di mio nonno sotto il suo controllo. Io non ho mai assistito a nessuno di questi parti in quanto avvenivano sempre prima del mio arrivo.

I puledri, dopo la nascita, venivano allattati per un anno dalla madre e fatti crescere in uno stato semi brado. Dopo la trebbiatura, avendo già compiuto un anno si provvedeva alla loro “doma”. Se necessari al lavoro venivano trattenuti nella fattoria, se, invece, erano in esubero, venivano venduti in occasione della fiera in una città vicina, l’ultima domenica di settembre.

Quell’anno, tra i puledri, ce n’era una bellissima. L’avevano chiamata “Monaca” perché aveva il mantello tutto nero e lucido ed una stella bianca in fronte. Era veramente splendida ed io l’ammiravo quando correva e sgroppava libera attorno all’aia. Era un animale bellissimo, libero e selvaggio …

Un giorno mi trovavo vicino a mio nonno mentre lui con don Salvatore discutevano sulla organizzazione della “doma” dei tre puledri. Durante una pausa del loro discorso mi rivolsi a mio nonno e gli chiesi “Me la fa domare a me, Monaca?”.
Ritengo che la mia domanda lo abbia colto di sorpresa perché rimase un attimo interdetto, poi rivolse lo sguardo verso don Salvatore e sicuramente i loro occhi si parlarono.

Poi si rivolse verso di me e mi chiese “Te la senti?”
“Posso provare” risposi.
“No!” rispose perentorio “non si può provare! O te la senti, oppure non te la senti!”
In quel momento, punto nell’orgoglio, gonfiai il petto e dissi “Me la sento!”

Allora mio nonno guardò contemporaneamente me e don Salvatore e disse “Devi fare tutto quello che don Salvatore ti dirà! Niente di più e niente di meno!”
Mio nonno non sprecava le parole. Ogni sua parola aveva un profondo significato e doveva essere eseguita alla lettera! Alla perfezione! Non parlammo più dell’argomento.

La sera, mentre eravamo in casa bussarono al portone. Era una cosa strana, in genere la sera non veniva nessuno a disturbare. Vincenza, la donna di servizio, si affacciò alla finestra e rivolta verso mio nonno disse con sorpresa “È don Ciccio!” Mio nonno tirò fuori dal taschino del suo gilet la chiave del portone e le disse di andare ad aprire.
Tutti ci guardavamo sbalorditi, ma nessuno fiatava, nessuno osava chiedere spiegazioni. Don Ciccio entrò con il cappello in mano e salutò mio nonno dicendo “Voscenza benedica”.

Mio nonno nel frattempo si era alzato e si era diretto verso “la stanza di sbrigo” (così era chiamato il suo studio dove riceveva le persone) e nel frattempo fece segno a me di seguirlo.
Don Ciccio aveva posato per terra la sua cassetta e uno alla volta tirava fuori i suoi attrezzi. Mio nonno mi fece segno di sedere dicendo “Ti prende la misura degli stivali”.

Senza fiatare ubbidii … e capii …
Capii che da quel momento non potevo più tornare indietro … Fu una sensazione terribile! … Una terribile avventura mi attendeva! … E in quel momento mi sentii “tremare le vene e i polsi” come racconta Dante, quando, assieme a Virgilio, si accingeva a varcare la soglia dell’Inferno.

L’indomani mattina quando arrivai con mio nonno in campagna don Salvatore mi diede una carota cui erano ancora attaccate le foglie verdi del gambo e mi disse di portarla a Monaca che scorrazzava libera nei dintorni. E così, ogni giorno, a più riprese, mi dava delle verdure fresche da darle da mangiare.

Dopo alcuni giorni mi diede una zolletta di zucchero (come se la fosse procurata a quell’epoca non lo so, la guerra era finita da poco e l’abbondanza non si vedeva neanche all’orizzonte). Mi spiegò che dovevo tenerla nascosta e soltanto se Monaca veniva spontaneamente a cercarmi potevo dargliela.
Così feci e, mentre passeggiavo per il terreno con aria indifferente essa si avvicinò lentamente a me e cominciò a sfregare il suo muso contro la mia spalla. Fu a quel punto che le diedi la zolletta … e scoprii che eravamo diventati amici …

Una sera, uscendo in piazza, mi procurai dal dolciere alcune zollette di zucchero e il giorno dopo le mostrai a don Salvatore. “Conservale” mi disse “ci serviranno più avanti!”. E così feci. Le parole di mio nonno “devi fare quello che lui ti dice … niente di più e niente di meno …” risuonavano ancora nelle mie orecchie.

La trebbiatura volgeva al termine e gli operai cominciavano ad approntare i recinti per la “doma”.
Finita la trebbiatura mio nonno sospese i suoi viaggi in campagna ed io mi ci recavo tutti i giorni da solo.

Dovevo insegnare a Monaca a girare per il recinto trattenuta da una lunga briglia e ad ubbidire alla mia voce: “Al passo … al trotto … al galoppo … alt …”. E la mia voce spesso veniva accompagnata dallo schiocco della frusta oppure dalla zolletta di zucchero (mio nonno me ne aveva fatto comprare una confezione intera nella drogheria di Rasano).
Questo lavoro di addestramento era estenuante. Durava tutta la mattinata sotto il sole. Ma don Salvatore era sempre accanto a me, con i suoi consigli e i suoi suggerimenti, non mi lasciava un istante.

Quell’anno la procedura della “doma” era stata modificata per causa mia, sarebbe stata fatta con la sella e non “a pelo” (cioè domando il cavallo senza sella). Questa modifica comportava una settimana di lavoro in più, ma il cavaliere che domava il cavallo correva meno rischi.

Per tutta la settimana i cavalli furono addestrati a girare per il recinto con la sella e ovviamente all’inizio si ribellavano e scalciavano. E io dovevo tenere a bada Monica, che mi strattonava da tutte le parti, con la frusta e con la briglia ed a gratificarla alla fine con lo zuccherino.

Don Salvatore era sempre al mio fianco, non mi lasciava un istante. Mi diceva quando usare il “dolce” e quando il “brusco”. E mi spiegava che il brusco, quando veniva usato, doveva essere “duro”, ma proprio “duro” e se necessario anche cattivo!

Il cavallo imbizzarrito andava sfiancato, vinto per esaurimento, ma non dovevo mai abusare della mia superiorità, della mia forza, se non era assolutamente necessario … Regole dure, apparentemente anche crudeli, ma dalle quali non bisognava mai farsi prendere la mano … e che alla fine dovevano sempre essere temperate dal “dolce”. Insegnamenti importantissimi, impartiti per domare un cavallo, ma che mi sono serviti anche nella vita! …

Finalmente arrivò il gran giorno!

Mio nonno quella mattina venne in campagna di buona mattina e si mise a controllare che tutto fosse perfettamente in ordine.
Quando fu il momento di sellare Monaca si avvicinò al chiuso dove era trattenuta e fu lui a stringere e serrare con le sue mani le cinghie che avrebbero sostenuto la mia sella.

Quando tutto fu pronto don Salvatore mi fece un cenno con il capo. Io ero già sullo steccato e saltai in groppa, mio nonno da un lato e don Salvatore dall’altro infilarono immediatamente la punta dei miei stivali nelle staffe mentre due operai aprivano il cancello … Monaca saltò fuori con un gran balzo …
“Sfiancala! … sfiancala! …” mi gridò don Salvatore … e io affondai gli speroni nei suoi fianchi … e fra l’altro questa manovra a tenaglia delle mie gambe serviva egregiamente per aiutarmi a restare saldo in sella …

Furono minuti … interminabili … terribili … poi … la violenza delle sgroppate e i salti cominciarono ad affievolirsi nella loro intensità … e alla fine Monaca si fermò sconfitta … in mezzo al recinto … abbassò il collo e la testa in segno di resa … ma sbruffava ancora bava e schiuma dalla bocca e dalle froge …

I miei speroni non premevano più sui suoi fianchi … la carezzai sul collo … e “Vai!” le dissi … e poiché essa non si muoveva … “Vai … vai …” ripetei gridando a gran voce e strattonando le briglie … e Monaca si mosse … facemmo un paio di giri al passo e ci fermammo al centro del recinto …

Subito don Salvatore ed altri due uomini si accostarono a noi per bloccare eventuali intemperanze residue dell’animale … Tutti guardavano in silenzio … credo che trattenessero anche il respiro …

Mentre don Salvatore teneva ben saldo con la mano sinistra il morso dell’animale mi porse il braccio destro e rivolto a me disse “Vossia ora può scennere …”
Lo guardai … non capivo …
“Vossia ora può scennere …” ripeté invitandomi a scendere da cavallo.

Quelle parole mi sconvolsero più della sgroppata sul dorso di Monaca …
Come? … fino a poco prima mi aveva dato del “tu” … “Sfiancala … sfiancala …” mi aveva gridato ed ora mi dava del Vossia? …”

Era una cosa che assolutamente non mi aspettavo … Sapevo bene cosa tutto ciò significasse … se mio nonno era Voscenza cioè “vostra eccellenza” … e a me ora dava del Vossia … cioè “vostra signoria” … tutto d’un tratto riconosceva in me una autorità seconda soltanto a quella di mio nonno!

Questo pensiero era assolutamente sconvolgente …
Ma contemporaneamente esaltava il mio orgoglio!
Era un riconoscimento che mi ero conquistato sul campo!

Mi resi conto che da quel momento la mia vita sarebbe stata stravolta … mi resi conto che di colpo ero diventato adulto … e contemporaneamente … mi resi conto che da quel momento non dovevo … non potevo essere più un ragazzo …

Aiutato da don Salvatore scesi da cavallo … Senza apparire il suo forte braccio mi sorreggeva e impediva alle mie gambe di farmi crollare per terra in quanto si era esaurita tutta l’adrenalina scaricata sia per lo sforzo fisico della “doma” che per lo shock psicologico.

Ci dirigemmo verso mio nonno il quale, mi poggiò una mano sulla spalla e disse “Bravo, ce l’hai fatta”. Mille parole non avrebbero potuto avere per me un significato superiore a quel gesto … chinai il capo in silenzio …
Non ci furono applausi … non ci furono abbracci … non ci furono parole inutili …

Don Salvatore, reggendomi ancora con il suo forte braccio mi accompagnò verso le case … uomini e ragazzi al mio passaggio si facevano da parte e chinavano il capo …

Entrati in casa accostò una sedia al tavolo e mi fece sedere … donna Concetta, sua moglie, arrivò subito con un bicchiere in mano e un fiasco di vino … Don Salvatore lo riempì fino all’orlo e lo poggiò sul tavolo davanti a me …

Gli feci cenno di sedere … si scoprì il capo e si sedette di fronte a me … con la mano tremante presi il bicchiere e lo portai alle labbra … ne bevvi alcuni sorsi … il vino era ottimo (sicuramente era il migliore che avevano in casa) ed era fresco … avevo bisogno di rinfrescare la mia gola e di assorbire energia …

Poi, don Salvatore si alzò e con la coppola in mano disse “Vossia mi permette? …” Mi chiedeva il permesso di allontanarsi in quanto la sua presenza era necessaria fuori. Annuii con un cenno del capo …

Ero rimasto solo nella grande stanza … anzi no! … in un angolo lontano, con le spalle al muro, con la testa china e con gli occhi bassi, c’era Peppina, la figlia di don Salvatore, un anno più piccola di me …

Sussurrai il suo nome … alzò gli occhi … le feci cenno di avvicinarsi … si avvicinò fino a circa due metri dalla mia sedia, dove si arrestò con il capo chino …

Ci guardammo, ma nessuna parola uscì né dalle sue labbra, né dalle mie … ma sono assolutamente certo che lo stesso turbinio di pensieri e di ricordi che in quel momento passava per la mia mente, passava anche nella sua … erano una infinità di ricordi comuni … fino a due settimane prima ci eravamo rotolati insieme felici e spensierati sull’aia in mezzo alla paglia … ora … di colpo … un muro altissimo … invalicabile … era stato innalzato tra noi … e ci separava …

Ad un tratto lei volse il capo e scappò via singhiozzando …

Un mondo … un mondo che per me era stato bellissimo … e immagino anche per lei … di colpo si era chiuso … il mondo della gioventù … il mondo della spensieratezza … il mondo di una reciproca innocente attrazione … era finito! … era finito per sempre! …

Dopo un poco con il dorso della mano asciugai le lacrime che erano uscite dai miei occhi, mi alzai e uscii fuori all’aperto.

Quanto tempo era trascorso non lo so. Arrivai nello spiazzo. Mio nonno era già andato via. Gli altri due cavalli erano già stati domati. Monaca era legata ad un palo, vicino al recinto. Mi avvicinai, cercai in tasca una zolletta di zucchero, glie la diedi e la carezzai sul collo, non reagì.

Immaginai che anch’essa, come me, in quel momento si rendeva conto che anche il suo vecchio mondo era finito e ne sarebbe cominciato un altro … uno tutto nuovo …

Tornai da don Salvatore, lo salutai, salutai tutti gli altri e mi diressi verso il mio cavallo che era legato poco distante. Lo sciolsi, saltai in groppa e partii al galoppo cercando di raggiungere mio nonno che era diretto verso casa …

Victor

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Altro / 02. Coppia aperta
« il: Settembre 06, 2020, 04:44:36 »
Racconto. Tra sogno, realtà e molta fantasia. 2a parte.

Anche il secondo e il terzo giorno continuò la tempesta e noi restammo chiusi nella capanna a coccolarci e fare l’amore. Mi aveva detto che aveva la spirale e quindi non essendoci rischio di gravidanza abbiamo dato ampio sfogo alla nostra passione. Sono stati tre giorni di luna di miele tutto sesso e coccole.
È vero che avevamo fame in quanto non c’era nulla da mangiare né dentro, né fuori e per bere raccoglievamo l’acqua piovana in un recipiente che avevamo trovato. Ma per tutto il tempo non abbiamo smesso di fare sesso peggio di due conigli.

Il quarto giorno la pioggia aveva smesso di cadere e anche il vento si era parzialmente calmato. Uscimmo nudi, in quanto dentro la capanna eravamo rimasti nudi per tutto il tempo. Quando fummo fuori ce ne rendemmo contro e ci mettemmo a ridere. Rientrammo e indossammo gli slip dei costumi, il suo reggiseno non era utilizzabile.
Esplorammo il terreno attorno alla capanna. Non c’erano alberi da frutta e il viottolo che avevamo preso al nostro arrivo portava solo alla capanna, non andava oltre. Sicuramente i pescatori che usavano la capanna venivano dal mare.

Ci dirigemmo verso il mare e arrivammo alla spiaggia che era molto lunga e poco larga. A ridosso della sabbia c’erano le rocce e dietro queste il terreno incolto con alberi sparsi e macchie di rovi ed erbacce. Nessuna traccia di vita umana o animale.
Dissi a Daniela che i soccorsi potevano arrivare solo dal mare o dal cielo e quindi era necessario fermarsi tutto il giorno sulla spiaggia, al calar del sole saremmo tornati alla capanna. Il sole non era ancora alto e quindi ci mettemmo ad esplorare la spiaggia. Alla nostra sinistra era poco estesa, un costone di roccia la delimitava e impediva di vedere oltre. Al largo di questo promontorio si vedevano gli scogli contro i quali la nostra barca aveva fatto naufragio. Decidemmo di esplorare l’altro lato della spiaggia che era più esteso.

Camminavamo tenendoci per mano ed ogni tanto ci abbracciavamo e ci baciavamo. La striscia di sabbia finiva dove un altro promontorio di roccia si inoltrava nel mare e impediva di vedere oltre. Cercammo di esplorarlo e ne tentammo la scalata. Ma ci rendemmo conto che sarebbe stata un’impresa ardua e la roccia dava la sensazione che si estendesse parecchio e non ci fosse spiaggia oltre.
Ridiscendemmo e tornammo indietro lungo la spiaggia dopo aver fatto ancora una volta l’amore, questa volta in piedi, in un anfratto tra le rocce per ripararci dal sole.

Anche se la tempesta era passata il mare era molto agitato, erano le onde residue che andavano smorzandosi.
Mentre tornavamo indietro ad un tratto in lontananza notai un punto nero al largo degli scogli del naufragio. Mi fermai e osservai con attenzione. Forse era una barca di pescatori. Lo indicai a Daniela e ci mettemmo a correre per avvicinarci il più possibile e farci notare.

Era una barca che veniva nella nostra direzione costeggiando la riva. Noi le correvamo incontro e contemporaneamente agitavamo le braccia per inviare dei segnali. La barca continuava a venire nella nostra direzione costeggiando la riva. Ad un certo punto notammo che una persona a bordo si mise ad agitare le braccia. Ci avevano notato e venivano verso di noi.
A questo punto ci fermammo e ci abbracciammo … ci avevano visto … eravamo salvi!

La barca si avvicinava, a bordo c’erano tre uomini, uno stava a prua e guardava chiaramente nella nostra direzione, ogni tanto faceva cenni con le braccia. Lo identificai anche se erano ancora lontani: era Michele. Lo dissi a Daniela. Ebbe un sussulto di gioia. Avevamo corso ed eravamo stanchi, ci fermammo ad attenderli mentre la barca, che andava a motore si avvicinava rapidamente.
Ci guardammo in faccia e solo in quel momento ci rendemmo conto che Daniela aveva il seno tutto nudo.

Giunta alla nostra altezza la barca si diresse perpendicolarmente verso la riva e si arenò con la prua sulla spiaggia. Michele saltò giù, mentre gli altri due tiravano a riva la barca per non farla travolgere dalle onde.
Padre e figlia si abbracciarono. Mentre si distaccavano Daniela disse a suo padre “Lui mi ha salvato la vita …” Io e Michele ci abbracciammo.
“Siete tutti salvi?” chiesi io. “Sì, tutto a posto! Salite presto in barca che torniamo subito indietro. Il tempo potrebbe cambiare.” disse Michele.

Aiutammo Daniela a salire in barca e poi assieme ai due pescatori la facemmo scivolare nuovamente in acqua. Ci imbarcammo tutti e ripartimmo. Sulla barca mi resi conto che il mare era più brutto di quanto appariva da terra.
Il motore andava al massimo, ma la barca rispetto alla terra si muoveva lentamente. Significava che avevamo la corrente contraria.

Finalmente riuscimmo a superare il promontorio con gli scogli dove avevamo fatto naufragio e la barca cominciò a correre più velocemente, la corrente ora ci era favorevole ed era anche abbastanza forte. Era questo il motivo per cui Michele non era riuscito a controllare la nostra barca durante il naufragio. Ma forse quella stessa corrente li aveva aiutati a raggiungere la riva dell’altra isola che distava qualche centinaio di metri.

Guardando attorno vidi che, perpendicolarmente alla spiaggia dove eravamo noi, nella nostra isola c’era un’altra spiaggia. Mentre la osservavo con attenzione Michele mi disse “L’abbiamo percorsa tutta, avanti e indietro alla vostra ricerca”. Feci cenno di sì con la testa. Pensavo che eravamo stati fortunati a raggiungere la spiaggia dove ci eravamo salvati. Sarebbe stato parecchio difficoltoso raggiungere questa che ora osservavo.
“Siete rimasti tutti e tre insieme fino alla riva?” chiesi io.
“Si, per fortuna.” rispose Michele. Pensai quanto fosse importante saper nuotare bene.

Non sprecavamo le parole … Eravamo ancora sotto shock. Daniela seduta accanto a me poggiava la sua spalla contro la mia. Mi resi conto che lei non aveva ancora superato la paura e in quel momento la barca era sballottata dal mare. Le misi un braccio sulle spalle, la strinsi a me e le sorrisi guardandola in viso per darle coraggio e indicandole la spiaggia verso cui eravamo diretti che ormai era vicina. Michele vide la scena e rivolse subito lo sguardo altrove. Immagino che capì tutto. O comunque ebbe conferma di quello che sicuramente aveva immaginato.

“Avete toccato terra qui?” chiesi a Michele indicando la spiaggia. “Sì, ma il villaggio è ancora distante almeno quattro chilometri”. La barca nel frattempo proseguiva il suo cammino costeggiando la riva.
Andando avanti ad un tratto notai che la spiaggia formava una insenatura che doveva essere piuttosto profonda, protetta dal nostro lato da alcuni scogli e all’altra estremità da un promontorio di roccia molto pronunciato. Immaginai che doveva essere un buon riparo ed anche un buon approdo. Ma non era segnalato sulle carte nautiche oppure io non lo avevo notato.

Superati gli scogli vidi l’insenatura abbastanza profonda e sul fondo alcune capanne in legno certamente di pescatori, assieme a delle barche tirate a riva e delle persone sulla spiaggia.
Avvicinandoci ancora la mia attenzione fu attratta da due figure che uscite dalla boscaglia si dirigevano correndo verso la riva. Le osservai con attenzione e intuii che dovevano essere mia moglie e Marta la moglie di Michele.

Le feci notare a Daniela che cambiò subito espressione e si rasserenò. Anche Michele le aveva notate. Lo guardai in maniera interrogativa e lui mi rispose di sì con un cenno ripetuto della testa.
Avvicinandoci alla riva le loro figure divennero chiare. Notai che mia moglie era in ottima forma. Sapevo che quando facevamo sesso lei rifioriva. Non potei fare a meno di collegare questa sua ottima forma ad un soddisfacente rapporto con Michele.

Appena sbarcati ci furono calorosi abbracci di tutti con tutti. Anche le persone, uomini, donne e ragazzi che erano sulla spiaggia intorno a noi mostravano la loro gioia e gesticolavano parlando in greco. Non capivamo le loro parole ma era evidente che si rallegravano per il fatto che eravamo sani e salvi.
“Abbiamo fame!” dissi appena cominciarono a rallentare gli abbracci. Ci condussero verso l’interno, oltre la boscaglia che delimitava la spiaggia, e qui notai il villaggio: non più di una ventina di casette basse in muratura sparse e separate da viottoli in terra battuta e della terra coltivata attorno.

Ci fecero entrare in una di queste case e trovammo una tavola apparecchiata con del cibo che, anche se non sapevo cosa era, emanava un buon profumo, d’altra parte io avevo una fame da lupo.
Fummo subito invitati a sederci e cominciarono a servirci e ad invitarci a mangiare con gesti e con parole che non comprendevamo, ma delle quali immaginavamo il significato.

Nel frattempo arrivò uno che parlava un poco di italiano. Ci informò che via telefono aveva informato la polizia che eravamo tutti sani e salvi. Ci disse che la capitaneria era a conoscenza sia del nostro SOS, come pure del nostro naufragio, ci informò anche che sarebbe venuta una motovedetta per prelevarci.
Finimmo di pranzare e andammo a riposarci in quanto eravamo molto stanchi e stressati. Michele e Marta erano ospitati da una famiglia la quale aveva loro fornito una stanza. Un’altra famiglia aveva dato ospitalità a mia moglie e lì avrei alloggiato anche io. Una terza sistemazione era stata trovata per Daniela.

Mi coricai e dormii come un sasso per diverse ore. Quando mi svegliai mia moglie era già alzata e seduta su una sedia. Aveva una tunica addosso che le era stata fornita dalla stessa famiglia. Mi stirai, mi alzai, mi rinfrescai e sedetti vicino a mia moglie.
“Ti devo parlare” le dissi e lei alzò lo sguardo per prestarmi attenzione. Feci alcuni secondi di pausa per trovare le parole adatte e poi dissi “Durante questi giorni io e Daniela abbiamo fatto l’amore”. Fece più volte cenno di assenso col capo, ma non profferì parola. Dopo diversi altri secondi di silenzio le chiesi “Tu hai da dirmi qualcosa?” “È meglio che te lo fai raccontare da Michele” rispose.

In verità sapevo cosa aspettarmi; era chiaro che avendo fatto per primo la confessione, avrei accettato senza sollevare obiezioni qualsiasi sua confessione. Comunque le dissi “Va bene. Però dillo tu a Michele di parlare con me”. Assentì nuovamente con dei cenni del capo.
Più tardi, mentre eravamo tutti assieme, Michele mi fece un cenno del capo e capii che dovevo seguirlo. Ci allontanammo e quando fummo in un luogo appartato cominciò a parlare. “Alcuni anni dopo il nostro matrimonio con Marta abbiamo preso la decisione di costituire una coppia aperta, ma contemporaneamente avremmo fatto di tutto per tenere unita la famiglia … C’erano degli amici nel nostro gruppo che avevano già fatto una scelta di questo tipo … Spero che tu mi capisca …”. E mi guardava in viso.

Avevo sentito già in precedenza delle voci in merito a questo argomento su Michele e Marta, ma non vi avevo dato importanza in quanto il mio concetto è che ciascuno è libero di fare ciò che ritiene opportuno ed a me non deve interessare. Assentii, ma poi chiesi “Le tue parole sono un invito acciocché anche io e mia moglie prendiamo una decisione analoga? …”. “È una decisione che riguarda solo voi …” rispose. Al che io aggiunsi “Questa regola vale anche per tua figlia Daniela?” “Sì – rispose – vale anche per lei …” ma notai un senso di amarezza nelle sue parole.
Passeggiammo ancora un poco in silenzio e poiché non c’era più nulla da aggiungere ci voltammo e ci riunimmo agli altri.

La sera a letto parlai con mia moglie “Michele mi ha spiegato che loro sono una coppia aperta … ma che hanno l’obiettivo prioritario di tenere unita la famiglia …” Lei taceva, così aggiunsi “Penso che tu eri al corrente di questa loro decisione …” e poiché lei taceva ancora aggiunsi “Dimmi sì o no …” Rispose di “sì”.
Tacqui per un po’. Poi dissi “Pensi che sia il caso che anche noi prendiamo una decisione analoga?” e poiché lei taceva aggiunsi “È una decisione che va presa in due. Io, se tu sei d’accordo mi trovo anche d’accordo … forse quando uno entra in crisi è un diversivo che può risolvere la situazione … forse anche agendo con chiarezza si creano meno problemi … forse, infine, se uno in alcuni momenti ha bisogno di un sesso più coinvolgente o anche nuovo può essere una soluzione che non scombina la famiglia …”.

E poiché lei taceva ancora aggiunsi “Per me è importante che si conservi l’unità della famiglia almeno fino a quando i ragazzi diventano maggiorenni.”
Mi misi a sedere sul letto e guardandola direttamente in viso ribattei “Allora quale è il tuo pensiero?” Finalmente si scosse e disse “Se per te va bene, va bene anche per me”.
Volli precisare ulteriormente “Anche sull’impegno di tenere unita la famiglia finché i ragazzi diventano maggiorenni?” Rispose “Sì”.

Mi rendevo conto che quello che in quel momento la rodeva, anche se non aveva il coraggio di esternarlo, era il mio rapporto con Daniela, così volli aggiungere “E sei anche d’accordo che tutto ciò non debba influire sui nostri rapporti intimi?” Si girò verso di me e disse “Sì!”. Stesi le braccia e la tirai ma me … l’abbracciai … la baciai … e facemmo l’amore …
Il giorno dopo arrivò una motovedetta della Capitaneria di porto greca. Scesero tre militari e vollero parlare con noi. Ci riunimmo nella casa dove avevamo mangiato. Uno parlava abbastanza bene l’italiano e ci chiese di raccontare l’accaduto. Lasciai che parlasse Michele, in fondo era lui che aveva firmato il contratto di noleggio ed era al timone al momento del naufragio. Il militare ascoltava il racconto di Michele e poi dettava in greco il verbale ad un altro militare che lo metteva per iscritto.

Quando Michele finì il racconto ci disse che dovevamo andare con loro al comando che si trovava su un’altra isola per sbrigare altre formalità burocratiche. A questo punto intervenni io e chiesi cosa dovevamo fare per pagare ai pescatori tutte le spese per l’assistenza che ci avevano dato. Tutti i nostri documenti e i nostri soldi erano andati perduti col naufragio. Ci disse con orgoglio che non dovevamo nulla in quanto l’ospitalità in Grecia era sacra.
Le sue parole e il suo orgoglio mi commossero. Ne parlai con Michele e insieme decidemmo che per il momento avremmo ringraziato. Nel frattempo avremmo studiato di fare qualcosa. A quella gente dovevamo la vita.

Ci furono abbracci con quasi tutto il villaggio. Il nostro discorso di ringraziamento fu tradotto in greco dal militare della Capitaneria, anche le parole di augurio dei pescatori furono tradotte dal militare. Poi ci imbarcammo e dirigemmo verso sud.
Alla stazione di comando ci trattenemmo altro tempo ancora per la stesura di nuovi verbali. Fummo invitati a pranzare alla mensa della capitaneria e subito dopo partimmo con un battello che ci portò all’isola dove avevamo noleggiato la barca e c’era l’ufficio del Tourist Operator.

Erano già al corrente di tutto. Mentre Michele raccontava tutto per la terza volta io parlavo con un altro impiegato per trovare un alloggio per la notte. L’albergo vicino al porto aveva solo una stanza libera con tre letti che fu prenotata per Michele e i suoi. Io e mia moglie trovammo ospitalità presso una famiglia che affittava le camere. Prenotai anche la cena e acquistai il biglietto del traghetto per il rientro ad Atene. Pagai tutto firmando una cambiale che avrei pagato al mio rientro in Italia.
Nel frattempo era arrivato il noleggiatore della barca che si mise a parlare con Michele e si disperava per la barca persa. Non mi intromisi, ma mi augurai che l’assicurazione lo rimborsasse adeguatamente.

Il giorno dopo rientrammo ad Atene con il primo traghetto. Io e le donne andammo in albergo. Michele invece si recò dalla polizia e sicuramente dovette raccontare ancora una volta tutta la storia e firmare ancora altri documenti.
Spiegai al direttore tutto quello che era successo, contattammo la compagnia aerea e riuscimmo ad anticipare il volo di rientro in Italia al giorno successivo. Tutte le spese furono pagate all’albergo con un’altra cambiale che avrei pagato al rientro in Italia.

Con Daniela parlavo poco in quanto avevo molte cose da sbrigare e poi avevamo un certo imbarazzo, ma quando ci guardavamo negli occhi i nostri sguardi comunicavano tantissime cose compreso un gran desiderio di fare l’amore.
Tornati a casa le cose da fare ancora non erano finite. Eravamo tutti sprovvisti di documenti, di carta di credito, di telefonino, ecc. Passammo il nostro tempo andando di qua e di là a sbrigare pratiche. Finalmente, a fine settimana, quando avevamo completato quasi tutto e consumate anche le nostre ferie ci riunimmo per una cena. Io avevo prenotato il ristorante e avevo anche ordinato una bottiglia di champagne.

In un momento in cui non eravamo osservati passai a Daniela un biglietto con il numero del mio nuovo cellulare e l’orario in cui poteva chiamarmi. Essendo un attento osservatore notai che anche Michele passò qualcosa a mia moglie. Nella mia mente passò un sorriso.
Sapevo che Michele utilizzava la sua casa di campagna per i suoi incontri privati. Pensai che anche io dovevo procurarmi una garçonnière e l’indomani, domenica, comprai il giornale con gli annunci. Vidi che c’erano parecchie offerte di mono e bilocali per studenti, ne segnai alcuni che scelsi in base alla zona (doveva essere vicino casa mia, ma non troppo) e rimandai la scelta definitiva al giorno dopo.
Nel frattempo Daniela mi aveva mandato un messaggio con il numero del suo cellulare dicendo che potevo chiamarla liberamente. Restammo per oltre un’ora a parlare al telefono dicendoci reciprocamente che avevamo un gran desiderio di incontrarci e fare l’amore. Le spiegai anche quello che intendevo fare e le ne fu entusiasta.

Nella giornata di lunedì feci una serie di telefonate e fissai alcuni appuntamenti per visitare gli appartamenti. Il terzo che visitai mi piacque molto. Era un bilocale situato in un palazzetto di vecchia costruzione e di due piani in una strada secondaria. Al primo piano c’era un ufficio e notai che c’era un discreto movimento di clienti, quindi si passava facilmente inosservati. Al secondo piano c’era l’appartamentino: un soggiorno studio molto ampio, arredato con scrittoio e posto per il computer oltre al tavolo centrale e alla credenza, una camera da letto piuttosto piccola, con letto matrimoniale e un armadio, la signora mi precisò subito che i due letti si potevano separare, un cucinino e il bagno.

Il prezzo era proporzionatamente alto, ma nella mia mente mi dissi che “Parigi val bene una messa” e firmai immediatamente il contratto per un anno firmando l’assegno per la cauzione più le prime due mensilità anticipate. La signora mi consegnò le chiavi dicendo che potevo adoperarlo da subito. Dovevo soltanto provvedere per il tovagliato e la biancheria per la camera da letto e il bagno. E aggiunse “Tanto a casa sicuramente ha già tutto pronto”. Ma io non avevo niente pronto. Mi disse anche che se volevo lei si poteva occupare della pulizia una volta la settimana. Le risposi che ci avrei pensato e glie lo avrei fatto sapere.

Appena la signora andò via telefonai a Daniela le dissi che avevo affittato l’appartamento. Mi rispose che desiderava vederlo subito e mi chiese di aspettarla che sarebbe arrivata immediatamente.
Quando entrò e lo vide mi buttò le braccia al collo e ci baciammo, poi finimmo a fare l’amore sul letto, anche se non era apparecchiato. Le spiegai che lei doveva occuparsi di comprare la biancheria e tutto quello che le occorreva. Le diedi la mia carta di credito e le dissi di non badare a spese e comprare tutto di buona qualità, in particolare la biancheria per il letto.
Ebbe così inizio una bellissima avventura …

(2. Continua)

Link di Musica per questo scritto:
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