Scrittura creativa

Libri e Lettura => Scienza => Topic aperto da: Doxa - Ottobre 18, 2013, 17:15:58

Titolo: Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 18, 2013, 17:15:58
In questo forum letterario non c’è una sezione dedicata alla psicologia, eppure ci sono dei  nessi tra psicologia, psicoterapia e creazione artistica, che comprende anche la poesia e la prosa. Ne è la prova Il  “Centro studi di psicologia e letteratura” fondato a Roma il 30 ottobre 1992 dallo psicoanalista e scrittore Aldo Carotenuto (1933 – 2005), che  nella capitale fu docente di “psicologia della personalità”  all’università “La Sapienza”.

Anche se qui non c’è la sezione dedicata alla psicologia si può utilizzare la sezione dedicata alle scienze, perché la psicologia è anche scienza, fin dal 1879. Tramite l’uso del metodo sperimentale ed appositi strumenti tecnologici questa disciplina può studiare i processi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte soggettive, indaga fenomeni quali la percezione e l'azione, l'attenzione e la coscienza, le emozioni e le motivazioni, la memoria, il linguaggio e il pensiero (ragionamento, soluzione di problemi, decisioni), le componenti conscie ed inconscie, i rapporti tra il soggetto e l’ambiente,  i comportamenti individuali e di gruppo (es. le dinamiche psicologiche nelle organizzazioni, nell’ambiente di lavoro), ecc..Le diversità di approccio hanno permesso delle ramificazioni e specializzazioni con differenti modelli epistemologici-culturali di riferimento e diversi metodi di ricerca.

Per quanto suddetto, continuerò a scrivere in questa sezione argomenti collegati alla psicologia usando questo topic come contenitore generalista.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Ottobre 19, 2013, 08:40:34
va benissimo, ti leggeremo con interesse.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Ottobre 19, 2013, 14:54:51
credo che dott, faccia bene all'occorrenza a risentirsi, visto che c'è chi attacca ancora prima che tutto abbia inizio. Dott, non ha mai detto che ciò che propone sia roba sua.
Se non sei d'accordo nessuno ti vieta di esprimerti, speriamo solo che tu non sia aggressiva come al solito.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Ottobre 20, 2013, 17:45:37
Eh ma abbiamo capito qual è la battaglia che vuole portare avanti e di cui vuol farsi paladino Dottorstranamore: dato che con le sue ricerche dei tanti autori, psicologi, psicoanalisti, psichiatri, filosofi, letterati,
e sessuologi  :redd:

Che non siano suoi i post è chiaro, ma piacerebbe (almeno a me) qualche suo pensiero in merito a ciò che pubblica, poi che condivida ciò che scriva è chiaro ma così non dice niente di se (o quasi)  ::)

Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 21, 2013, 11:38:14
Confessione e perdono

Il sostantivo femminile “confessione”deriva dal latino “confessio” e questo da “confessus”, participio passato di “confiteri” = “confessare”, dichiarare spontaneamente, ammettere un proprio errore.

La confessione libera la “coscienza” e svolge una funzione catartica.

Per alleviare l’afflizione c’è chi sceglie di confessarsi dal  presbitero e chi dal psicoterapeuta, perché  entrambi sono tenuti al segreto di quanto viene detto loro e ciò facilità la libertà di espressione delle persone. Ma la confessione di per sé non è terapeutica. Se lo fosse, i disturbi psichici e la sofferenza psichica non ci sarebbero. Non ci si può illudere che andando dal penitenziere o dallo psicoterapeuta si stia meglio o si guarisca dopo la confessione.

Dire ciò che fa soffrire è utile ma non sufficiente, perché siamo coscienti solo della parte più superficiale e non dell’inconscio. Infatti al prete  viene comunicato quel che “pesa” sulla propria coscienza, da lui si fa “l’esame di coscienza”, si dice quel che si conosce, invece dallo psicologo ci si va anche per scoprire alcune cose nel proprio inconscio che fanno star male.  E se la psicoterapia non funziona  la responsabilità è di solito equamente divisa tra  paziente e terapeuta, il quale non ha capito i problemi del paziente o non è professionalmente adeguato.

Il prete giudica, perdona in nome di Dio, commina penitenze,  indica il modo per espiare i peccati.  Invece lo psicoterapeuta non giudica, non commina penitenze, non assolve le colpe in nome di Dio, ma tenta di indurre il paziente ad auto-perdonarsi, lo aiuta ad accettarsi, a vivere in armonia con il proprio ambiente sociale, cerca di alleviare le sofferenze psicologiche, aiuta il paziente a comprendere le modalità di alcuni comportamenti.

Per la religione cristiana la confessione è un sacramento mediante il quale il penitente ottiene tramite il confessore l’assoluzione dei propri peccati. Chi per vergogna od altro non dice al confessore un proprio peccato, profana il sacramento e commette un sacrilegio. Allora è meglio rivolgersi dallo psicoterapeuta che ascolta senza condannare e se si tace un misfatto non si commette il sacrilegio.

La confessione religiosa è obbligatoria per i cattolici; molti la considerano benefica per l’anima (la mente); altri credono che dopo la morte ci sarà l’inferno per i peccatori, perciò confessano anche gli atti impuri per purificare l’anima ed avere la speranza di un posto nel purgatorio.   

Sant'Agostino ne “Le Confessioni” si domanda: "Perché mi confesso a Dio, che sa tutto ?" Se dio è onnisciente non c’è bisogno. "Il fatto è, prosegue Agostino d'Ippona, che non mi confesso soltanto a lui, ma di fronte a tutti gli uomini, per adempiere la Verità".

Nel periodo paleocristiano e tardo antico la pubblica confessione avveniva prima del culto liturgico. Nella Didachè c’è scritto: “Nella adunanza farai la confessione dei tuoi peccati e non ti recherai alla preghiera in cattiva coscienza... Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie, dopo aver confessato i vostri peccati affinché il vostro sacrificio sia puro (Didachè 4, 14; 14, 1).

L’”impronta” di quelle  pubbliche confessioni ancora permane nell’attuale liturgia: durante la celebrazione della Messa i fedeli recitano la preghiera penitenziale, il “Confiteor” (= confesso) per ottenere il perdono divino. 

La Chiesa cattolica ha un'esperienza millenaria delle potenzialità terapeutiche del perdono e le ha elevate al rango di sacramento.

Il perdono ha un legame con il dono. Infatti chi perdona  non condona la colpa ma consente al perdonato di riflettere sulle sue colpe. Inoltre, la persona offesa trae beneficio dall’aver donato il perdono: si libera dall’ira e dalla vendetta, attenua l’ansia e migliora l’autostima.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 24, 2013, 14:31:07
Peccato e colpa

C’è differenza tra peccato e colpa ? Si, c’è !

Peccato: è la trasgressione di un precetto religioso, di una regola; induce il peccatore a pentirsi e a “consegnare” il male da lui compiuto alla misericordia divina, recitando preghiere e  l’atto di dolore. Se il peccato è una mancanza contro Dio ed un individuo non crede in Dio, ovviamente  per lui non è peccato.

Colpa: deriva dall’azione contraria alle norme o leggi vigenti, dal comportamento negligente od imprudente che causa danni agli altri. In ogni società c'è consenso diffuso circa le azioni che rendono colpevoli. Per esempio è colpevole chi ruba.

Differenza tra “senso del peccato” e “senso di colpa”. 

Il “senso del peccato” è attinente con la religiosità, con la teologia, riguarda il rapporto tra l’individuo e Dio.

Il “senso di colpa” è connesso con la psicologia, con l’Io, la personalità.  Suscita un’emozione endogena e la cosiddetta coscienza segnala un disagio, rimprovera se s’infrange il codice morale, che è in continua formazione fin dalla prima infanzia, e  “perseguita” fino a quando non ci attiviamo per rimediare con un gesto riparatore.

Collegare il senso del peccato al senso di colpa  è fuorviante, perché induce a pensare che sia peccato solo ciò che fa sentire in colpa.

Comunque peccato e colpa causano malessere se il proprio comportamento non corrisponde a quello dovuto o desiderato (ideale dell’Io). Allora si ricorre all’aiuto del confessore o del psicoterapeuta per liberarsi dal rimorso di azioni compiute nel passato e riportate o mantenute nella coscienza. Sono azioni che generano auto-rimprovero, auto-accusa, rimorso. Se prevale l’ossessione l’individuo tende a fissarsi nel ricordo del misfatto e nei suoi particolari. Pensa  a come avrebbe dovuto agire per non sentirsi in colpa né peccatore.  Se le proprie colpe vengono ingigantite si possono subire patologie psichiche.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 24, 2013, 14:38:14
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Per la Chiesa cattolica il peccato è una trasgressione alla “Legge di Dio” e verso il prossimo. 

La Chiesa distingue i peccati secondo il loro oggetto e li valuta secondo la loro gravità, per esempio un omicidio è più grave di un furto.   

Il peccato lo considera mortale se l’individuo disobbedisce i “Dieci comandamenti”, lo reputa veniale se la persona trasgredisce la biblica legge morale, che distingue il bene dal male.

Dal punto di vista laico la  legge morale è una regola di comportamento emanata dall'autorità competente per il bene comune. Viene appresa dal’individuo attraverso l’educazione valoriale e normativa da parte dei genitori  e di altre agenzie sociali.

La legge morale interiorizzata diventa coscienza morale, la “voce interiore” che esorta ed incoraggia, rimprovera ed accusa, approva e loda.

La coscienza morale presuppone una legge morale assoluta, la “verità” espressa da Dio, dalla quale  il soggetto attinge il proprio giudizio morale, l’imperativo etico che lo  “illumina” nelle scelte.   
 
Dal punto di vista psicologico la coscienza è la consapevolezza di sé (ho coscienza di me stesso, delle mie emozioni, sentimenti, pensieri, ecc.). Viene considerata “morale” quando l’individuo ha “costruito” dentro di essa un sistema di valori e di norme di riferimento che gli permettono di avere la soddisfazione per il bene compiuto ed il rimorso  se fa del male.   Infatti si usa dire: “liberarsi la coscienza da un peso”,  “avere la coscienza a posto”, “agire secondo coscienza”, “avere scrupoli di coscienza”, “avere la coscienza sporca”.

Dalla coscienza morale scaturisce il “senso del peccato”, detto anche “sentimento del peccato”  ed il “senso di colpa” o “sentimento di colpa”.

Il senso di colpa: deriva dal conflitto tra una pulsione e le esigenze dell'istanza morale. Si sviluppa con gradualità ed è condizionato da diversi fattori.

E' normale il sentimento di colpa provato da una persona che si considera (in modo cosciente e libero) l'autore o il complice di un'azione riprovevole. E’ invece patologico se non corrisponde alla reale colpa,  che può essere per eccesso ( se il soggetto si sente più colpevole di quanto lo sia in realtà) o per difetto (se nel soggetto manca o è scarso il sentimento di colpa per un reato rilevante).  La distinzione tra “normale”  e “patologico” è riferita solo al senso di colpa e non alla colpevolezza o alla coscienza morale.

Il sentimento di colpa è simile a quello della paura: ha una funzione difensiva. Il disagio  induce l’individuo a liberarsi dal male interiore tramite la confessione dal sacerdote o dallo psicoterapeuta.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 28, 2013, 08:40:13
Solitudine

Il  giovane poeta britannico Rupert Brooke (1887 – 1915) raccontò che sulla nave in partenza dall’Inghilterra verso l’America  fu coinvolto  da uno stato d’animo di profonda solitudine e tristezza vedendo gli altri viaggiatori  accompagnati da parenti ed amici che li salutavano, li abbracciavano, li baciavano, lui invece era solo, non c’era nessuno a mostrargli  che avrebbe sofferto la sua assenza.
Lo scrittore dice che c’era gente che sorrideva e gente che piangeva, c’era chi sventolava un fazzoletto bianco e chi agitava il cappello di paglia.  Allora lui pur di avere un commiato personale  offrì  6 scellini ad un ragazzo che era sul molo. Questo  acconsenti con entusiasmo e mentre la nave lasciava il porto salutava Brooke sventolando la sua bandana rossa.

L’intensità della sofferenza causata dalla solitudine può indurre a cercare rimedi a volte paradossali pur di attenuare il dolore.

Madre Teresa di Calcutta, che dedicò la propria vita al servizio dei poveri e dei malati,  disse che il sentirsi “trascurati, non desiderati, abbandonati e soli” causa molta sofferenza, a volte più dolore di una grave malattia.

La psicologa sociale Maria Miceli nel suo libro “Sentirsi soli” afferma che l’esperienza della solitudine, in forme e misure variabili, è  molto diffusa.

Se la propria infanzia è stata povera di affetti e di rapporti significativi, lascia dentro un vuoto incolmabile, dà la sensazione di essere emarginati, fa sentire estranei all’ambiente sociale in cui si vive, diversi ed incompresi se si hanno interessi e valori che gli altri non condividono.

Se l’individuo è aggressivo e competitivo gli altri lo evitano; se è timido ha difficoltà a comunicare ed aprirsi all’amicizia e gli altri lo ignorano. Se pensa di essere poco attraente o interessante,cerca di evitare gli altri per timore del loro giudizio.
 
Le ricerche di psicologia sociale evidenziano che la solitudine  “colpisce” persone di ogni età e di ogni condizione sociale, anche se con modalità diverse.

Il portoghese José Saramago (1922 – 2010) nel suo libro “L’anno della morte di Ricardo Reis” scrisse che  “La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.”
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 29, 2013, 07:32:20
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Paolo Giordano nel suo romanzo titolato “La solitudine dei numeri primi” narra le vite parallele di Alice e Mattia attraverso le vicende spesso dolorose che segnano la loro infanzia, l'adolescenza e l'età adulta. Dal romanzo è stata tratta la sceneggiatura per l’omonimo film.  La trama fa riflettere sul problema  dell’isolamento e della solitudine.

L’isolamento può essere volontario ed involontario.

L’isolamento volontario di solito è di breve durata. Serve per riflettere, decidere, far maturare la propria creatività, per necessità psicofisica, ma poi si torna fra gli altri, agli affetti, alle amicizie. In questo caso isolamento non significa solitudine.

L’isolamento volontario, lo stare in disparte, può anche dipendere dalla scelta del soggetto per non essere deriso, schernito (si pensi all’omofobia tra gli adolescenti), per non soffrire evita il più possibile i contatti sociali.   E’ un ritiro per l’incapacità o l’impossibilità di rapportarsi, di confrontarsi con l'altro che parla, che giudica. E’ una solitudine che deriva dalla percezione degli altri come ostili o indifferenti ed il soggetto si rifugia nella propria individualità.

Invece l’isolamento involontario se prolungato nel tempo è disperante, specie in occasione delle festività o particolari ricorrenze. Questo tipo di isolamento corrisponde alla solitudine sociale, che viene subìta, fa patire l’assenza di amicizie, soddisfacenti rapporti interpersonali.

Il cardinale Gianfranco Ravasi  nel suo “Breviario” che viene pubblicato sul domenicale de “Il Sole 24 Ore (30 giugno 2013) ha scritto: "Quand'ero giovane prete, studente a Roma, mi recavo a visitare gli infermi di una parrocchia di Torpignattara. C'era un anziano che mi accoglieva con gioia, mi preparava il caffé, mi tratteneva il più possibile. Quando dovetti salutarlo per l'ultima volta perché ritornavo a Milano, mi disse: 'Lei non sa cosa vuol dire non attendere più nessuno.' "  E' questo un esempio di drammatica solitudine sociale.

Ma per solitudine non s’intende soltanto chi è privo di compagnia. Si può soffrire di solitudine, "sentirsi solo",  indipendentemente dalle circostanze esterne. E’ solitudine di tipo psicologico e si manifesta con diverse modalità.   Si può soffrire di solitudine nell’ambito lavorativo, in famiglia o nel rapporto di coppia.

Se la comunicazione  tra coniugi diventa esigua, se si dialoga solo per parlare del menage quotidiano, l'intimità lascia il posto all'incomprensione, alla delusione.

La solitudine può anche scaturire dalla paura di amare, si teme l’abbandono e subentra la riluttanza a rischiare.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Ottobre 30, 2013, 08:14:07
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Sigmund Freud: "C’è una storia dietro ogni persona. C’è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli."  

La  solitudine esistenziale o psicologica consente di avere coscienza della propria personalità, mette l’anima di fronte a se stessa dice la  poetessa statunitense Emily Elizabeth Dickinson (1830 – 1886) nella sua poesia titolata “Solitudine”:

Ha una solitudine lo spazio

solitudine il mare

solitudine la morte, ma tutte queste

saranno moltitudine

a paragone di quel più profondo luogo

quella polare intimità

di un’anima di fronte a se stessa,

finita infinità.
 

La Dickinson si auto-infliggeva l’isolamento, come il nick Francesco, che in un forum di psicologia ha scritto di sentirsi solo e triste “perchè ho allontanato tutti, ho paura degli altri,  temo i rapporti interpersonali.”

Il nick Maria gli domanda: “Cosa ti spaventa di un rapporto interpersonale ?”

Francesco le dice “il bambino che c'è in me è ferito ed ho paura di farlo sapere agli altri, temo che  gli altri se ne approfittino; mi spaventa far vedere le mie debolezze.”

Maria gli risponde: “E' una situazione che comprendo.Ma non  tutte le persone approfitterebbero di quelle che definisci debolezze. Aprendoti agli altri potresti invece  incontrare chi le comprende e/o potrebbe darti un sollievo psicologico.
Farci vedere per ciò che siamo veramente è un rischio ma non si può rimanere sempre nel proprio   guscio sicuro, finisce per svuotarci l'anima.  Agli altri può sembrare una scelta l'isolamento, mentre invece  si desidera molto avere qualcuno con cui condividere parte di noi stessi.

Ma che cosa potrebbe accadere di così terribile se ci esponessimo? S’immaginano conseguenze catastrofiche, invece, a volte,  potremmo riceverne un beneficio. 
 
Purtroppo viviamo in una società in cui  è necessaria la prudenza nei rapporti interpersonali  e a volte si teme di raccontare i  propri problemi come se fossero qualcosa che ci sminuisce, che ci  fa dipendere dagli altri (che devono tenersi alla larga). E' difficile pertanto trovare qualcuno disposto all'ascolto, al dialogo, alla comprensione, soprattutto se si ha così paura di esporsi.

Di solito chi per vari motivi soffre di solitudine od è un solitario ha scarse possibilità di fare esperienze e si affeziona molto alla prima persona con la quale instaura un legame di amicizia.”

Chi è solo si sente inutile, invisibile.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 04, 2013, 17:20:31
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La solitudine evoca l'abbandono, isolamento, esclusione, emarginazione, privazione degli altri, malinconia, sofferenza.

Però l'individuo può sceglierla per varie motivazioni, ad esempio come necessità in un un periodo della propria vita o bisogno di solipsismo.

Se una persona è introversa ed introspettiva tende alla “solitudine meditativa” ma non all’isolamento sociale: dialoga, interagisce, ma evita le amicizie vincolanti che inducono  comportamenti  forzati ed adattamenti reciproci per non deludere le aspettative altrui.

Essere capaci di star soli è un'arte, un'educazione all'autonomia: "Beata solitudo sola beatitudo", è un detto latino che significa "beata solitudine, unica beatitudine", attribuita a Bernardo da Chiaravalle.

Un altro punto di vista è quello di Salvatore Quasimodo nella sua poesia “Ed è subito sera”:

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Le considerazioni di Quasimodo sull’inevitabilità della solitudine  esistenziale o psicologica sembrano drammatiche: l’individuo è condannato all’infelicità  perché, per sua natura, non può sfuggire né alla solitudine  né al bisogno degli altri. E' una solitudine metafisica. 
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 05, 2013, 17:54:55
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Un’indagine sulla solitudine effettuata da ricercatori dell'universita'di Haifa (Israele) ha evidenziato che la maggioranza dei sofferenti di solitudine cerca soluzioni "culturali": lettura di libri, attività artistiche o creative, cinema, teatro. Altri preferiscono forum, chat, social network. Altri ancora scelgono i centri commerciali o vanno allo stadio la domenica per sentirsi parte della folla, oppure praticano un’attività sportiva, fanno viaggi o prediligono la compagnia di un animale domestico.  Sono reazioni di contrasto per non pensare alla propria solitudine o all’isolamento.

Comprendere la propria condizione non è facile ed ognuno ha il suo modo di reagire alle diverse situazioni, come leggiamo in alcuni testi letterari di autori come Joyce, Kafka, Proust, T.S. Eliot.

Sulle nostre relazioni interpersonali abbiamo aspettative che vengono spesso deluse, e la delusione è tanto più cocente quanto più i rapporti sono amichevoli o affettuosi. Continuamente lanciamo segnali o messaggi che vengono ignorati o travisati: ci aspettiamo un consiglio e riceviamo un rimprovero, cerchiamo conforto e troviamo indifferenza, riveliamo una confidenza, sperando di ricevere complicità e condivisione, e ci ridicolizzano.

Scopriamo continuamente che la nostra immagine dell’altro/a, costruita sulla proiezione, sulla base delle nostre aspettative su come lui/lei dovrebbe essere, non combacia con i fatti. Se invece non inviamo messaggi e non facciamo richieste perché ci aspettiamo che l’altro/a spontaneamente si accorga delle nostre esigenze e vi corrisponda, allora aumentano le probabilità di delusione.

Rubin Gotesky nel suo libro titolato: “Aloneness, loneliness, isolation, solitude”, afferma che noi proviamo la solitudine se non riusciamo a condividere i nostri pensieri, le nostre verità, i nostri bisogni.

La solitudine può indurre all’isolamento, perché ci libera dalla tensione di offrire agli altri una nostra immagine socialmente adeguata. In assenza degli altri, si riduce la nostra attenzione su come appariamo, si evita il continuo automonitoraggio dei nostri gesti ed è più facile concentrare l’attenzione sui propri progetti, sulla creatività. Nelle biografie di filosofi, scienziati e artisti si legge spesso che le nuove idee o scoperte nascono in periodi di isolamento non costrittivo.

Tra i “solitari” per scelta  ci sono navigatori, eremiti, esploratori ai quali l’isolamento ha dato forme diverse di soddisfazione intellettuale. Si soddisfa il bisogno di mettersi alla prova, di farcela da soli, di dimostrare a se stessi ed agli altri, il proprio coraggio, la propria resistenza e la propria autonomia. 
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 06, 2013, 09:26:15
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Stare da soli e sentirsi soli.

Non c’è una relazione necessaria tra isolamento (essere soli) e senso di solitudine (sentirsi soli),  tra solitudine fisica e solitudine psicologica. Però tale relazione è possibile in determinate condizioni di isolamento.

I rimedi spontanei per contrastare la solitudine psicologica possono essere di tipo mentale o comportamentale.

Le strategie mentali permettono alla persona di agire sui propri pensieri, giudizi, ragionamenti, di cercare le cause e le soluzioni, di distogliere l’attenzione dal proprio malessere pensando ad altre cose, di esplorare mentalmente le modalità possibili per superare il proprio disagio e decidere la strategia comportamentale, che può essere di tipo sociale o non sociale.

Se si è insoddisfatti della quantità e qualità dei rapporti interpersonali si cerca d’intensificare i contatti e migliorare la qualità delle relazioni sociali. Se necessario, si tenta di migliorare il proprio aspetto fisico (andando in palestra, curando il look), oppure di rendersi più gradevoli, apprezzabili o amabili.

Le strategie non sociali consistono nel dedicarsi  da soli ad attività  creative o artistiche,  per distrarsi dai propri problemi o a scopo compensativo perché considerate piacevoli e gratificanti di per sé, come ad esempio un hobby.
 
Tra le strategie spontanee contro la solitudine c’è l’uso di Internet, perché consente molti contatti tramite forum, chat, social network. Diversamente dalla televisione è un medium interattivo che dà la possibilità di ampliare le proprie conoscenze prima virtuali e poi, eventualmente, reali.   

La psicologa sociale Maria Miceli nel suo  già citato libro “Sentirsi soli”  evidenzia che una delle caratteristiche della comunicazione tramite Internet è quella di mantenere l’anonimato, il quale può favorire identità fittizie, legami effimeri o immaginari, permette di raccontare bugie o rivelare verità che non si è mai avuto il coraggio di confidare a nessuno; può anche esporre al rischio di comunicare con individui senza scrupoli (maschi e femmine), oppure  di idealizzare l’interlocutore/trice, esponendo a cocenti delusioni.

Però l’anonimato può essere di aiuto per le persone afflitte da ansia sociale, dal timore del rifiuto da parte di altri, da chi teme di essere poco attraente, da chi è timido.

Le ricerche psicosociali più recenti fanno vacillare la convinzione che le relazioni on-line siano destinate a vita breve: sia le amicizie sia le relazioni sentimentali nate tramite Internet sono spesso durature come quelle nate  nella realtà.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 07, 2013, 10:05:58
Il tempo e l'eternità

Cos’è il tempo ? Comprenderlo significa capire il prima, l’adesso e il dopo.

Agostino d’Ippona nell' undicesimo libro delle “Confessioni” riflette sulla questione del tempo e dice:  "io so che cosa é il tempo , ma quando me lo chiedono non so spiegarlo".

Nel biblico libro della “Genesi” si narra che  Dio creò l’universo in giorni diversi con successione di eventi. Il fantasioso racconto fa domandare cosa  egli facesse prima della creazione e presuppone che anche Dio sia nel tempo, invece per  Augustinus Hipponensis  Dio é fuori dal tempo, é nell' eternità e non crea le cose nel tempo. Con la creazione delle cose Dio creò anche il tempo,  quindi non esiste  il tempo prima della creazione. Allora torno alla domanda iniziale: che cos’ é il tempo ? Parrebbe ovvio considerarlo la sommatoria  passato, presente e futuro, ma il passato non é più e il futuro non é ancora. E’ la nostra psiche che crea il concetto di tempo  per suddividere  il passato, il presente ed  il futuro, per dare un ordine temporale ai singoli fatti quotidiani che si susseguono, per rappresentare la ciclicità degli eventi astronomici: il succedersi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni.  ecc..

Se il concetto di tempo  potesse essere scisso nelle sue strutture elementari, come un bambino che  smonta un giocattolo, si vedrebbero scaturire il punto, la linea, lo scorrimento, la velocità, la divisibilità in parti uguali, la direzione, perché il  tempo viene immaginato come una retta infinita sulla quale a velocità costante  scorre un punto indivisibile ed inesteso,  che è il presente,  il quale separa in modo irreversibile il passato dal futuro, verso cui procede.

Se tutto  restasse uguale o se tutto mutasse senza alcun punto di riferimento costante, il tempo non ci sarebbe o non verrebbe percepito. L'unico tempo che riusciamo a percepire è il presente, l’attimo fuggente come parte dell’eterno, che è origine e destino, l’alfa e l’omega. Il tempo presente scorre veloce e diventa secondo l’antico filosofo Platone ’“immagine mobile dell’eternità”, considerata un concetto metafisico del tempo, reputato “e - terno”: vocabolo  che deriva dalla locuzione latina "ex" (fuori) e da "ternum" (terno) ovvero, "fuori dalla triade del tempo: passato, presente e futuro".

Il concetto di eternità può essere  messo in relazione con la temporalità cronologica, immaginando ad esempio l'eternità come la sequenza di intervalli di tempo in numero illimitato sia precedenti sia posteriori Non esistendo alcuno strumento in grado di misurare un tale intervallo privo di limiti, esso si configura come congettura pertinente alla metafisica.

Il filosofo tedesco  Martin Heidegger  nel suo noto saggio “Essere e tempo”  afferma che passato, presente ed avvenire costituiscono un fenomeno unitario che chiamiamo temporalità.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 08, 2013, 10:40:18
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Nelle antiche filosofie pitagorica e stoica il tempo era concepito come ritmo del movimento cosmico, mentre per Platone era“immagine mobile dell’eternità” (Timeo, 37 d), gerarchicamente inferiore  all’eternità, “eterno presente immobile”.

Gli antichi Greci  avevano  tre parole per  indicare la temporalità:  kronos, kairos ed aion

Kronos
per  indicare il tempo quantitativo, sequenziale: passato presente e futuro, lo scorrere delle ore.
Per la mitologia greca il titano Kronos era figlio di Urano (Cielo) e Gea (Terra). Dagli antichi Romani Kronos era denominato Saturno e veniva raffigurato anziano, con la barba  bianca e lunga, mentre regge tra le mani una falce ed una clessidra;

kairos per denotare un tempo  indeterminato, un’azione da eseguire nel momento opportuno.
Per la  teologia kairos indica il tempo che è nel potere di Dio. Nell’antico testamento i vocaboli furono scelti con riferimento a kairòs e non a kronos proprio perché il tempo acquista il suo valore nell’incontro tra Dio e l’uomo.
Nella mitologia  Kairos è personificato da un giovane  nudo con le ali ai piedi , a volte anche agli omeri, con le braccia protese verso l’alto. Con la mano sinistra regge la staffa di una bilancia, in bilico sulla lama di un rasoio. Il volto è incorniciato da lunghe ciocche di capelli sulla fronte, ma la parte centrale della calotta cranica è rasata.

Aion (o Eone) simboleggia l’eternità, il tempo infinito. Nell’iconografia  è raffigurato come un uomo con la testa leonina, sorregge lo scettro, una chiave ed un fulmine. E’ avvolto da un serpente che intorno al suo corpo  compie 7 giri e mezzo, corrispondenti alle sfere celesti.
Il drammaturgo greco Euripide (485 a.C. – 407/406 a.C.) considera Aion figlio di Kronos.

Gli antichi Greci collegavano il Tempo anche alla memoria, mitologicamente personificata da Mnemosine (una delle Titanidi,  anche lei figlia di Uranoe di Gea), amata da Zeus, con il quale ebbe nove figlie, le Muse, protettrici delle arti, secondo quanto narra Esiodo nella sua “Teogonia”.   
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 10, 2013, 18:05:35
Ah... è la nostra psiche che crea il tempo! Ahahahahahah...

Io spero soltanto che chi leggerà queste ... "cose" abbia un minimo di cultura e di intelligenza tali da non considerarle che tue discutibili, quando non assurde, opinioni. Che poi voglio vedere (e forse lo so già) quale sarà la conclusione del thread. Sì, è tutta una nostra impressione, non esiste alcuna realtà oggettiva. È l'uomo che crea! È l'uomo Dio! Peccato che l'uomo distrugge pure, e tanto. Peccato che l'uomo è fautore di cattiverie inaudite e di barbarie, di omicidi efferati, di stragi, di disastri ambientali, di soprusi e sopraffazioni, di stupri e violenze di ogni tipo, di inganni e truffe, e di tutto lo schifo immaginable e possibile che solo l'essere umano sa mettere in atto. Come dio mi sembra un tantino difettoso l'uomo, forse è molto più simile al Demonio. Se l'uomo fosse sostanzialmente "capace" di Bene, sempre, non avrebbe avuto bisogno di "credere" in un Dio, che esista davvero o no.
Che c'iazzecca poi la disquisizione sul tempo con la psicologia? L'hai presa proprio alla larga; qui entriamo nella pura filosofia. Vuoi parlare di filosofia o di psicologia?    ;D

Citazione
Io spero soltanto che chi leggerà queste ... "cose" abbia un minimo di cultura e di intelligenza tali da non considerarle che tue discutibili, quando non assurde, opinioni.

Se ci riesci esprimi le tue opinioni, invece di “pontificare” su ciò che scrivo.

Togliti i paraocchi  laterali che mettono ai cavalli così puoi guardare i nomi degli autori che cito. Non sono mie opinioni.

Bisogna che ti decidi.  Di solito col tuo sodale mi accusate che non esprimo opinioni ed ora mi accusi di aver espresso opinioni ?

Considerami un “cronista”  o un narratore. Racconto le ricerche altrui per mio beneficio conoscitivo e forse di alcuni lettori, ai quali  faccio risparmiare del denaro acquistando libri  che hanno pochi concetti ma si dilungano senza costrutto, ma faccio risparmiare anche il tempo necessario per leggere cosa scrivono in Internet e discernere.

Comunque già ti ho detto pubblicamente che  considero sgradito il tuo sarcasmo e che voglio evitare di risponderti.

Citazione
Che c'iazzecca poi la disquisizione sul tempo con la psicologia? L'hai presa proprio alla larga; qui entriamo nella pura filosofia. Vuoi parlare di filosofia o di psicologia?

Cosa debbo risponderti ? Che sei una presuntuosa ? Che ti diverti ad irritare gli altri ?

Abbi l’umiltà di acquistare un paio di libri riguardanti la scorrere del tempo dal punto di vista psicologico,e cerca di smetterla se ti è possibile.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Novembre 10, 2013, 21:55:55
Il tempo è il mutamento della materia, e alla fine come ogni altra cosa è una creazione della nostra concezione delle cose.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 11, 2013, 04:31:45
/3

Il “tempo” non è solo quello oggettivo scandito dalle lancette dell’orologio o indicato dal calendario, c’è anche un tempo soggettivo, il cosiddetto “tempo psicologico”,  la cui percezione è individuale ed è collegato con le esperienze, che possono essere state positive o negative ed influenzano le proprie scelte, gli atteggiamenti ed i comportamenti.  Infatti, senza esserne consapevoli le nostre azioni quotidiane sono spesso regolate dal nostro prevalente orientamento  temporale.

Gli individui orientati al presente decidono in base alle circostanze del momento;

quelli orientati al passato cercano nella propria memoria situazioni simili per decidere come comportarsi;

gli orientati verso il futuro considerano solo le possibili conseguenze (costi/benefici) che possono  riceverne.

Lo psicologo  sociale statunitense Philip Zimbardo, (figlio di genitori italiani originari della Sicilia) ha effettuato delle ricerche in merito con la collaborazione dello psicologo John Boyd ed altri. I risultati li ha pubblicati nel suo libro titolato: “ Il paradosso del tempo”. Egli ha individuato sei orientamenti psicologici: 

orientamento psicologico verso il proprio passato positivo:  gli individui con questo orientamento psicologico  ricordano il proprio passato con piacere e nostalgia;  amano la continuità nella propria famiglia ed i connessi  rituali, hanno  autostima  e sono socievoli. Non gradiscono i cambiamenti e le novità. Sono i cosiddetti “laudatores temporis acti” (lodatori del tempo passato). La locuzione in lingua latina “Laudator temporis acti” è nell’”Ars poetica”, scritta dal poeta di epoca romana Quinto Orazio Flacco, più noto come Orazio (65 a.C.-8 a.C.), il quale scrisse la frase  parlando delle persone anziane che, non potendo far retrocedere gli anni passati, vi ritornano volentieri con la memoria.  Orazio critica tale orientamento, perché denota l’ incapacità, da parte delle vecchie generazioni di accettare le innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso.

Orientamento psicologico verso il proprio passato negativo: è causato da esperienze traumatiche, dolorose, da ingiustizie e delusioni. Le persone comprese in questo tipo di orientamento psicologico  hanno scarsa autostima e tendono alla depressione, all’ansia e all’aggressività.

Orientamento psicologico verso il presente edonistico:  è tipico nei bambini che trovano nel gioco il divertimento e la gratificazione. Gli adulti compresi in tale orientamento psicologico tendono all’amicizia, sono creativi ma possono avere scarso autocontrollo. I tossicodipendenti, o i borderline, sono orientati al presente-edonistico (agiscono in base a un istinto di piacere, vivono il presente e pensano poco alle conseguenze delle proprie azioni). In queste persone il disagio nasce da una prospettiva temporale univoca e tendenzialmente rigida: è il loro modo di vedere il mondo, il filtro che utilizzano per dare un significato alla realtà.

Orientamento psicologico verso  il presente fatalistico:  l’individuo si affida al fato e pensa che tutto sia determinato dal caso. Tende ad essere ansioso ed aggressivo.

Orientamento verso il futuro con  progetti ed obiettivi: è tipico di chi pensa che ogni mattina si debba pianificare la giornata e che rispettare le scadenze sia più importante del divertimento. Chi appartiene a questa categoria di solito è coerente  e perseverante, ed ha autocontrollo.  L’eccesso di programmazione può causare l’ansia, la competitività e l’asocialità.

Orientamento verso il futuro trascendentale: tipico nei credenti una religione, in chi crede alla vita oltre la morte. In questo gruppo ci sono persone anziane.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Novembre 11, 2013, 08:44:00
Il tempo è la quarta dimensione.
Studiate ragazzi... o vi boccio eh !  ;D

Finalmente l'hai capito!  ;D
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Novembre 11, 2013, 20:05:02
Il tempo è la quarta dimensione.
Studiate ragazzi... o vi boccio eh !  ;D

Finalmente l'hai capito!  ;D
Come sarebbe "finalmente l'hai capito"? Ma di che stiamo parlando? Di pastasciutta?
Le altre dimensioni: Lunghezza, larghezza, altezza esistono oggettivamente, con esse misuriamo gli oggetti.  Il tempo è una realtà oggettiva oltre che essere percepito in diversi modi psicologicamente.  Lo ha dimostrato la teoria della relatività, che è dimostrata concretamente.
Scientificamente parlando il tempo  è il rapporto tra lo spazio percorso e la velocità impiegata nel percorrerlo e si calcola in questo modo:  t = s/v e si misura in secondi. Che sia legato al mutamento, e ai tipi i movimento, all'accelerazione,  senz'altro.
Ma tutte queste regole chi le ha inventate? L'essere umano, di conseguenza ciò che è oggettivo non è altro che ciò che noi abbiamo organizzato e suddiviso secondo uno schema per noi consono, fine fisica o non fisica la realtà che noi percepiamo è infinitesimamente piccola a quella reale, tra l'altro potrebbe benissimo essere diversa, e lo affermano fisici.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Novembre 12, 2013, 09:29:25
Ah bè ma ragionando così si può affermare di non avere la certezza assoluta di nulla ! .... e grazie !  abow
Tutte queste regole potrebbero essere delle scoperte più che invenzioni.
La scienza è un modo per indagare sulla realtà (o su ciò che noi riteniamo reale). Tuttavia non dimentichiamo i risultati positivi concreti a cui ci ha portato, al progresso...

Certo perché la certezza è solo un immagine di ciò che noi crediamo sia reale, a parte le emozioni naturalmente  ;D

O più invenzioni che scoperte  ;)

Progresso? quale progresso? quello che ci ha fatti dimenticare ciò che siamo? Quello ci ha intrappolati in regole assurde rendendoci più tortuoso la via per la felicità? Questo sarebbe il progresso portato dalla scienza? Non è solo questione di come vengono usate determinate scoperte, ma del perché averle cercate, quando potremmo vivere meglio senza tutte queste astruse regole che ci intrappolano privandoci di una vera libertà.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: presenza - Novembre 12, 2013, 11:52:48
Ah bè ma ragionando così si può affermare di non avere la certezza assoluta di nulla ! .... e grazie !  abow
Tutte queste regole potrebbero essere delle scoperte più che invenzioni.
La scienza è un modo per indagare sulla realtà (o su ciò che noi riteniamo reale). Tuttavia non dimentichiamo i risultati positivi concreti a cui ci ha portato, al progresso...

Certo perché la certezza è solo un immagine di ciò che noi crediamo sia reale, a parte le emozioni naturalmente  ;D

O più invenzioni che scoperte  ;)

Progresso? quale progresso? quello che ci ha fatti dimenticare ciò che siamo? Quello ci ha intrappolati in regole assurde rendendoci più tortuoso la via per la felicità? Questo sarebbe il progresso portato dalla scienza? Non è solo questione di come vengono usate determinate scoperte, ma del perché averle cercate, quando potremmo vivere meglio senza tutte queste astruse regole che ci intrappolano privandoci di una vera libertà.

... che parlare ozioso, tutto, dall'inizio alla fine, non porta da nessuna parte, si arrotola su se stesso come il cane con la sua coda. Realtà, certezza,regole e progresso... se tutto è così astruso intrappolando e privando il singolo della libertà basta scegliere di non farsi intrappolare, cominciate dunque!
Questo lamento che tutto va male, che questo e quello non funziona è solo negatività, liberatevi da voi stessi e sarete più leggeri, crediate in voi stessi e allineatevi alla vita così com'è!
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 12, 2013, 15:44:43
/4

L’unico tempo che la mente riesce a percepire è il presente. Acquisiamo la consapevolezza del tempo passato tramite i ricordi e pensiamo al futuro con l'immaginazione.

 Nella costruzione della percezione temporale sono determinanti la memoria e le emozioni. Alcune recenti ricerche di neurofisiologi hanno evidenziato che le emozioni possono accelerare o rallentare la nostra percezione del tempo.

A Clermont Ferrand, in Francia,  alcuni ricercatori della locale università hanno valutato le variazioni del senso del tempo in relazione a particolari film. Gli psicologi hanno mostrato estratti di film horror a dei volontari ed hanno constatato che la loro paura distorce la percezione del tempo: i filmati erano percepiti più lunghi di quanto fossero in realtà.

La percezione del tempo varia a seconda dell'età, delle emozioni, degli stati d'animo.  Per  un adolescente il tempo scorre troppo lento se attende d’incontrare chi ama; per l'adulto il tempo scorre troppo veloce, se pensa che va incontro alla vecchiaia. 

Alcuni avvenimenti naturali permettono di capire le partizioni del tempo: il giorno, la settimana, il mese,  l'anno, le stagioni.
 
Giorno: questa parola deriva dal latino medievale “jòrnum”, mutuato dal latino classico “diurnum”. Col tempo i parlanti hanno trasformato i primi fonemi: da “diu – rnum” a “jò – rnum”.   Consideriamo giorno il  periodo temporale nel quale il Sole illumina il nostro emisfero, invece  per gli astronomi è l’intervallo di tempo impiegato dalla Terra in circa 24 ore per compiere una rotazione completa attorno al proprio asse rispetto ad un dato punto nel cielo, perciò distinguono tra giorno siderale e giorno solare, a seconda del riferimento ad una stella o al Sole.

Settimana: deriva dal latino “séptimus” (=settimo): indica un periodo di tempo ciclico di sette giorni e dipende dal calendario lunisolare, il quale tiene conto sia della durata dell'anno tropico del Sole, sia della durata del mese lunare. L'anno tropico (dal greco tropos, rotazione) o anno solare, è il tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all’equinozio di primavera: il periodo intercorrente tra l’inizio della primavera e l’inizio della primavera successiva. L'anno solare è il ciclo delle stagioni.

Mese:dal latino “ménsis”, che significa anche “Luna”. Il mese può essere "lunare", "sidereo" e "sinodico" .

Il mese lunare è basato sul ciclo delle fasi lunari.  Tra un plenilunio ed il successivo trascorrono 29,53 giorni.

Il mese sidereo o siderale è in riferimento col tempo che impiega la Luna a ruotare di 360° intorno alla Terra. Il termine sidereo o siderale proviene dal latino sidereum e significa stellare.

Il mese sinodico è il tempo che impiega la Luna per riallineare nuovamente la sua posizione con il Sole e la Terra dopo aver compiuto una rivoluzione intorno alla Terra: si può anche definire come il tempo che intercorre tra un novilunio e quello successivo.
Il termine sinodico (dal latino synodicum), deriva dal greco “synodikó”e questo da “synodos” che significa riunione: in astronomia indica l'allineamento tra Sole, Luna e Terra. In ambito religioso è noto il "sinodo dei vescovi".

Anno dal latino annus, etimologicamente significa “cerchio”, “anello” comprende il periodo di tempo impiegato dal pianeta Terra per compiere la sua orbita (rivoluzione) intorno al Sole.

Stagioni: sono partizioni dell'anno solare. Per l’astronomia  la stagione è l’intervallo di tempo che intercorre tra un equinozio ed un solstizio. Ciascuna delle quattro stagioni ha la durata costante di tre mesi.
La parola “stagione”  è d’incerta etimologia: oscilla tra due parole latine: statiónem (= stazionare, stare)  e satiónem (“atto di seminare”): da questa deriva la francese  saison  (= stagione) e l’inglese season.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Micio - Novembre 12, 2013, 19:40:38
Ozioso? Negatività?  Strano a me pare di leggerlo nelle tue parole, ma si sa è più facile parlare che capire, di fatto mostri di non capire le mie parole. La vita non è uguale per tutti e ognuno crede in cose diverse, pertanto ci sono strade e soluzioni diverse..
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: Doxa - Novembre 14, 2013, 08:31:43
/5

L’ eternità è un concetto metafisico del tempo. Se si ipotizza l’assenza di un limite anteriore e di un limite posteriore  al trascorrere del tempo,  si può supporre la temporalità infinita, eterna.

L’eternità non si può misurare con unità di tempo perché in essa non vi è nessuna successione, perciò non la si può abbinare alla durata, per conseguenza è sbagliato dire: "ho trascorso un istante che mi è sembrato un'eternità", un continuum definiuto nella lingua latina “in-finitus” (il prefisso in = non; finitus da “fìnis” = fine), non finisce.

Nel lingua greca il vocabolo infinito si traduce con il lemma “apeiron” (= illimitato, indefinito), caratterizzato dall’alfa privativa: “a-peiron”  che include la negazione ed il significato di “non finito”  oppure “senza fine”.

Furono i filosofi pitagorici e gli eleati a  sviluppare il concetto di infinito. Nella Scuola Pitagorica, a Crotone, furono sviluppate le tesi filosofiche di Anassimandro e Anassimene. Per Pitagora tutte le cose derivano dalla sintesi di "definito-indefinito", di "limitato-illimitato". Le cose definite sono "misurabili" e "numerabili".

Dall’antica concezione greca di infinito si distaccò quella cristiana attraverso la filosofia neoplatonica di Plotino ed altri, i quali pensavano fossero riunite nell'infinità del Dio creatore delle realtà finite ( es. la  biblica creazione del mondo): il limite e l’infinito: “péras ed apeiron”, nella lingua greca.
 
Nel XV secolo il matematico ed astronomo (nonché cardinale, teologo e filosofo)  Nikolaus Krebs von Kues  o Nikolaus Chrypffs; (in Italia è noto col nome e cognome italianizzati:Niccolò o Nicola Cusano, 1401 – 1464) unificò il concetto dell'infinito matematico con l'infinità di Dio.

Anche  alcuni  antichi scrittori e poeti greci e latini argomentarono sul tempo, l’eternità, l’infinito.  Per esempio il veronese Gaio Valerio Catullo nel carme 5; Quinto Orazio Flacco ed il “carpe diem” (carmina III,30). Seneca nel “De brevitate vitae” non si lamenta  per l’esiguo tempo di vita concesso agli individui, ma recrimina perché quasi tutte le persone  sprecano la propria vita, la vivono in modo sbagliato.

Fra gli scrittori moderni e contemporanei non si può dimenticare che Giacomo Leopardi titolò “L’infinito” una delle sue più note e belle poesie.

Con questo post concludo  il topic. Proseguirò  l’argomento  nei prossimi  giorni  ma in un’altra sezione. Mi dedicherò  al “Tempo di Avvento”, che quest’anno inizia il primo dicembre.   
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Novembre 15, 2013, 17:59:09
sbagliato per chi? forse per lo spettatore, non per chi la vive!
E tu cosa fai di giusto, Azzurra? come rendi giusta la tua vita?

Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: presenza - Novembre 18, 2013, 16:01:41
Rispondere al tuo "fuori topic" è già una contraddizione in termini, in più è anche fuori luogo considerato che tante volte proprio tu ti sei lamentata di chi lo faceva. Riguardo poi la questione che hai sollevato, beh credo ci sia molto poco da rispondere e davvero non si capisce cosa tu voglia argomentare, o dimostrare.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Novembre 19, 2013, 11:32:17
Azzurra, per il fuori topic, c'è il forum apposta, vai in cassonetto differenziato e lì ce lo trovi. E' il forum per proporre qualunque tipo di dialogo.  abow
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: presenza - Novembre 19, 2013, 16:15:52
Azzurra, non posso aprire un topic su Cassonetto differenziato al posto tuo. L'argomento e la domanda sono stati da te espressi, perciò se vuoi approfondirli e farci comprendere meglio il tuo punto di vista a te la scelta.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Novembre 21, 2013, 11:53:33
Chiedo scusa per il fuori topic, ma sono curiosa di sapere.          Nihil ma tu che titolo di studio possiedi? Eri un'infermiera e ai tuoi tempi bastava la licenza media per esercitare questo mestiere. Se ricordo bene dal dopoguerra fino agli anni 60 bastava a licenza elementare. Dagli anni 80 occorreva aver frequentato i primi due anni di scuola superiore.  Adesso ci vuole un diploma di laurea. A me sembra ridicolo che abbiano portato molti mestieri a livello di laurea. Sarebbe bastato in questo caso, dopo il diploma, un corso triennale dipendente dalla facoltà di medicina e relativa qualifica, come forse era già fino al 94. Invece adesso non si capisce più cosa è diventata l'università: lauree che non sono lauree, ma perché siano davvero tali si deve conseguire la specialistica, "specialistica" che una volta era un corso successivo alle lauree quinquennali (o quadriennali). Insomma, l'università è diventata un'insalata e un groviglio di discipline che non so con quale reale preparazione ne escono i "laureati" di oggi. Non so fino a che punto giova portare tante qualifiche a livello di laurea. A che serve? Non parlo di aggiornamento e di adeguata preparazione che è indispensabile in un modo che si evolve, ma mi riferisco al titolo di studio. Poiché il solo titolo (solo al quale molti si interessano) fa "pretendere"  una maggiore retribuzione e quant'altro. Allora mi chiedo: se si fa fatica a pagare e tanto più  aumentare gli stipendi, se non ci sono più nemmeno le opportunità di sbocchi lavorativi perché aumentare di grado le qualifiche portandole a lauree?
  Rispondo solo per quanto riguarda la laurea in Scienze infermieristiche. Ti è mai venuto in mente che l'Infermiera professionale non porti padelle, ma faccia funzionare macchinari di ultima generazione? che debba essere aggiornata su le ultime ricerche, esami diagnostici e malattie? che sappia perfettamente l'inglese, visto che le istruzioni per i macchinari sono sempre in inglese? L'infermiera è quasi un vice medico, il quale si attiene il più delle volte alla diagnosi e alla terapia, ma poi che legge gli occhi del malato è l'infermiera, che deve sapere esattamente cosa sta accadendo in quel corpo. L'infermiera ha bisogno di istruzioni specifiche per fare una relazione esatta al medico di turno di come abbia reagito un paziente alle cure, visto che il medico non è presente 24 ore in corsia, ma l'infermiera sì. Senza togliere nulla ai medici, ovviamente, le competenze si intrinsecano e se la cosa funziona, i pazienti stanno sicuramente meglio.
Piccolo esempio: la ferrrista. Ogni intervento ha una sua precisa sfilza di ferri che vengono chiamati con il nome della metodica. Intervento per tumore ai polmoni secondo metodo XXX ( di metodi ce ne sono assai), e la ferrista li deve conoscere tutti, per ogni tipo di intervento ci sono tipi di strumenti, e poi deve prevedere l'imprevedibile. Quando si apre un corpo per un intervento ci puoi trovare sorprese, che devono essere previste. Deve prevedere persino cosa fare se al chirurgo viene un infarto. Eccetra.... ::) :P
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: presenza - Novembre 21, 2013, 14:03:49
"... Di questo passo anche per fare il salumiere occorrerà la laurea."


... continuo a non comprendere cosa tu voglia dire, dove vuoi arrivare e cosa vuoi dimostrare, per favore, puoi esprimere più chiaramente il tuo pensiero, la tua idea in merito?
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Novembre 22, 2013, 09:13:03
è evidente solo una cosa, che l'Università è diventata tecnicamente un girone dell'inferno, e che tu non conosci le professioni. Il salumiere, comunque!, deve fare un corso per farlo. L'unica cosa che non si insegna e non si apprende è l'intelligenza.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: nihil - Novembre 22, 2013, 13:33:52
il topic riguarda scienza e psicologia, se hai opinioni da esprimere apri un topic in cassonetto differenziato.
Titolo: Re:Scienza e psicologia
Inserito da: presenza - Novembre 22, 2013, 15:13:21
"...Occorre intelligenza e cultura per dialogare"

... purtroppo non è sempre così, anzi, la gran parte delle persone dialogano solo perché è democratico e liberale. E spesso non sanno cosa dicono, sconoscono realmente gli argomenti. Oggi si è "tuttologi", infatti un'infarinatura basta a fare aprire la bocca.
L'intelligenza tuttavia non misura la capacità di dialogo, solo la capacità di riconoscere i propri limiti, quanto alla cultura, non si può confondere con l'informazione.