Autore Topic: 014 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - La casa di mio nonno  (Letto 498 volte)

victor

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14 – LA CASA DI MIO NONNO

Mi sembra opportuno iniziare a raccontare la storia della famiglia di mio nonno dicendo che suo padre, cioè il mio bisnonno era figlio cadetto di un barone. A quei tempi per conservare intatto il patrimonio della famiglia, i figli cadetti erano destinati alla vita monastica o a quella militare. Anche il mio avo fu rinchiuso in un convento di monaci cappuccini. Ogni tre ore, d’inverno o d’estate, con il sole o con la pioggia, di giorno o di notte, tutti i monaci erano chiamati a recitare l’uffizio. Ed il padre guardiano passando per il corridoio bussava alla porta di ogni cella, invitando monaci e frati a recarsi in chiesa. Una fredda notte d’inverno con pioggia, lampi e tuoni, passò il padre guardiano e come al solito bussò alla sua porta invitando il frate ad andare in chiesa a recitare “l’uffizio”. Al che questo mio avo quella notte memorabile rispose “Che frate di ‘stu cazzo, chista è vita ca non fazzo, domani mi spoglio e me ne torno a Rannazzo”.

In altra parte dei miei scritti ho detto che mio nonno viveva in una cittadina di provincia e che la casa era proprio al confine della città, anzi era addirittura proiettata in mezzo alla campagna. Oggi buona parte di quel terreno che ieri era campagna è stato invaso da case di nuova costruzione. Ma, a quel tempo, oltre la casa c’era solo terreno coltivato e qualche casetta di contadini sparsa qua e là. Tutto quel terreno, per una profondità di circa cinque chilometri, dove io scorazzavo liberamente, quasi allo stato selvaggio, apparteneva a mio nonno o a suoi parenti stretti.

Passo alla descrizione della casa di mio nonno. È stata costruita alla fine dell’ottocento, era un gran fabbricato rettangolare, un isolato, quasi una roccaforte, con quattro ingressi, posti al centro di ciascun lato della casa, di cui tre protetti da portoni di ferro spessissimo e il quarto era murato (più avanti ne scriverò il motivo). Le altre aperture presenti a piano terra (poche in verità) erano finestre protette da inferriate molto robuste.

Il portone principale, come ho detto era in lamiera di ferro molto spessa, ampio, ma non molto, permetteva l’accesso solo ai pedoni, ed era posto su uno dei lati lunghi della casa, quello che dava sulla strada nazionale. Io ho visto questo portone aperto solo una o due volte in tutta la mia vita. Da quest’ingresso si accedeva ad un ampio androne, e oltre c’era la scala che portava al primo piano, quello in cui abitava mio nonno con la sua famiglia e con la servitù.

Nell’androne si aprivano due porte, una a destra dell'ingresso e l'altra a sinistra. Quella posta sulla destra immetteva nel granaio dove veniva riposto sia il grano che cereali e legumi che dovevano servire per l’alimentazione della famiglia ed anche degli animali di proprietà di mio nonno. Quella posta sulla sinistra immetteva in un immenso magazzino. In realtà questo locale era ancora allo stato rustico e non rifinito, la sua superficie si estendeva per quasi metà della casa. Qui c’era di tutto e di più. Da cataste di legna utilizzate per accendere il forno e riscaldare la casa, a mobili non utilizzati, a cataste di tavole di legno di castagno e di abete spesse e impilate che poi, dopo la guerra furono utilizzate per rifare gli infissi distrutti dai bombardamenti.

Questo magazzino aveva la sua porta di comunicazione con l’esterno posta su uno dei lati corti della casa, ma questa porta era murata. Sia perché questa parte della casa non era ancora rifinita, sia perché proprio di fronte a questa porta era caduta una bomba che con il calore e lo spostamento d’aria della sua esplosione l’aveva accartocciata (io l’ho vista ridotta come il coperchio di una scatola di sardine) e l’aveva scagliata contro la parete opposta sfondandola. In conseguenza di ciò la porta venne murata. Pertanto a questo magazzino, che come ho detto era grandissimo, si accedeva sia dalla porta posta nell’androne, che dall’ampio squarcio del muro provocato dall’esplosione della bomba, che comunicava con il locale adiacente che aveva la porta di comunicazione con l’esterno dal lato opposto all’androne. In pratica l’accesso a questo magazzino dove c’era di tutto e di più, era completamente controllato. E se oggi con mente attenta riesamino e rifletto su tutto quello che sto descrivendo devo riconoscere come mio nonno riusciva a tenere sotto un controllo molto stretto sia tutta la casa, che era grandissima, sia tutto ciò che in essa era contenuto.

Sulla parete di fondo del vano della scala c’era una terza porta che immetteva in un altro locale chiamato “carretteria”. Questo era un locale anch’esso molto grande, dove stavano due carri uno a due ruote (“carretto”) ed uno a quattro ruote (“carramatto”) e un carrozzino. Il carrozzino equivaleva all’auto di oggi, anzi, a una vettura spider, ma mio nonno non lo usava mai, quando andava in campagna preferiva usare il cavallo. Questo gli permetteva di raggiungere luoghi che con il carrozzino non poteva raggiungere e percorrere anche viottoli molto stretti e aspri. Questo locale, come ho appena detto, comunicava con il magazzino mediante una porta e mediante lo squarcio sul muro provocato dalla bomba. Il portone d’ingresso della carretteria era anch'esso in lamiera di ferro ed era molto grande, permetteva il passaggio di carri e carrozze. Una parte di questo locale era adibita a falegnameria. Ci stavano due banchi con tutti gli attrezzi utili a lavorare il legno. In questo locale vennero costruiti tutti gli infissi della casa e il portone d’ingresso di una chiesa vicina che furono distrutti dai bombardamenti durante la guerra. Per questi lavori vennero utilizzate le grosse tavole di abete e di castagno che si trovavano nel magazzino e che generosamente mio nonno donò alla chiesa. Mio nonno era una persona generosa e devota.

L’ultimo portone d’ingresso, anch’esso in ferro, era posto sul quarto lato della casa (quello opposto alla porta murata). Ricordo che, quando si apriva e chiudeva, i cardini stridevano con un cigolio molto caratteristico, ma veniva aperto la mattina e così restava per tutto il giorno per essere chiuso la sera. Questo era l’unico varco da cui si poteva accedere alla casa. Immetteva a piano terra in un vano chiamato “l’entrata” in cui si trovava la scala di servizio che portava al piano superiore. Nell’entrata c’era una porta posta sul lato sinistro, che immetteva nel granaio, una porta sul fondo che immetteva nella carbonaia e nella legnaia, e una terza porta sul lato destro che immetteva nella cantina e nella dispensa. Nella cantina c’erano tre grosse botti e diverse altre più piccole, per il vino della famiglia. La cantina era scavata sotto terra per mantenere il vino ad una temperatura costante e fresca. Dalla cantina si entrava nella dispensa dove veniva tenuto il formaggio, la ricotta salata (in una cassa ricoperta di cenere), l’olio nelle giare di terracotta, le olive bianche in salamoia, le olive nere in recipienti cilindrici di terracotta sotto sale, il pane in una grossa cesta di canne con coperchio, e appesi a ai ganci del soffitto salumi, prosciutti e tante altre cose che non ricordo.

Questo portone poteva essere chiuso solo a chiave, come del resto anche gli altri. Lo apriva mio nonno la mattina quando si alzava e lo chiudeva la sera quando la campana del vicino convento dei padri Cappuccini suonava l’ave Maria. Era eccezionale che qualcuno bussasse alla porta dopo quell’ora, e se ciò accadeva era solo per motivi importanti o urgenti. In tal caso, dopo che la persona di servizio, affacciata alla finestra, aveva identificato chi bussava ed aveva riferito a mio nonno il motivo della visita mio nonno le dava la chiave per aprire, ma quando l’ospite andava via era mio nonno che personalmente lo accompagnava e chiudeva nuovamente il portone a chiave.

Quando suonava l’ave Maria tutta la famiglia e la servitù si radunava in cucina attorno a mio nonno, che iniziava la recita del Rosario mentre mia zia e la servitù continuavano a sfaccendare per preparare la cena. D’inverno, durante la recita del rosario, mio nonno si sedeva accanto al braciere che tenuto in mezzo alla stanza serviva per riscaldarla. Io ero l’unico esentato dal rito del Rosario per cui potevo restare in cortile a giocare. E questo era uno dei pochi casi in cui mio nonno ritardava la chiusura del portone fino alla fine della recita del Rosario.

« Ultima modifica: Febbraio 20, 2012, 18:55:34 da victor »
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Re:014 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - La casa di mio nonno
« Risposta #1 il: Febbraio 21, 2012, 07:49:23 »
Che bellezza ripercorrere passo dopo passo quella casa, insieme a te. Fa uno strano effetto abitare i ricordi di un'altra persona.  abow