Autore Topic: 017 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - Il Cortile  (Letto 579 volte)

victor

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017 - Pagine dal Diario di un Ragazzo felice - Il Cortile
« il: Febbraio 20, 2012, 18:59:05 »

IL CORTILE

Come ho detto uno dei lati lunghi della casa dava sulla strada nazionale, era quello con il portone di ingresso principale che stava sempre chiuso. Sul retro, cioè sul lato opposto, c’era un immenso cortile. Mi rendo conto che nella descrizione che sto facendo ho utilizzato spesso le parole “grandissimo” e “immenso”. In realtà tutti gli spazi erano grandissimi, impensabili oggi nelle case moderne. Questo cortile circondava la casa da due lati. Su un lato c’era un cancello che permetteva la comunicazione con la strada, questo lato era quello della porta murata (che una volta aveva dato ingresso al magazzino). Su questo stesso lato, in un luogo appartato, c’era la “concimaia”, cioè due vasche in muratura dove veniva deposta la spazzatura della casa che in pratica comprendeva soltanto quello che oggi viene definito “umido” perché tutto il resto o non esisteva (plastica e nailon) oppure veniva accuratamente conservato in casa per essere riciclato (carta, vetro o altri contenitori). In queste vasche veniva raccolto anche il letame del pollaio e il tutto veniva utilizzato per concimare l’orto dove si producevano verdure e ortaggi per la famiglia e gli animali.

Il lato lungo della casa, opposto a quello che si affacciava sulla strada, dava su questo ampio cortile il quale in parte era spianato e a terra battuta, in parte era incolto e ancora non sterrato, questo era il luogo in cui razzolavano liberamente le galline. Dietro il muro che recintava questo cortile si estendeva la campagna.

Nel cortile c’era una grande cisterna, dire grande è poco, era immensa. Raccoglieva l’acqua di tutta la casa e dei fabbricati adiacenti ad essa. Durante la guerra e anche dopo, quando in città a causa dei danni prodotti dai bombardamenti non c’era acqua nelle fontane delle strade, tutto il quartiere veniva ad approvvigionarsi dalla cisterna di mio nonno. Il meccanismo per convogliare l’acqua nella cisterna era molto elaborato. L’acqua della cisterna veniva utilizzata anche per bere e mio nonno stava molto attento che fosse assolutamente pulita. Questo meccanismo di raccolta dell’acqua, a seconda di come veniva regolato, poteva convogliare il flusso dell’acqua verso la cisterna oppure farlo riversare all’esterno. Era mio nonno che stabiliva la direzione che doveva prendere. La regola era che l’acqua delle prime piogge venisse buttata all’esterno in quanto si presupponeva che le tegole fossero sporche e dovessero essere lavate. Quella delle piogge successive si riversava nella cisterna.

Lateralmente sul cortile si affacciava il pollaio. Era composto da un caseggiato con annesso un cortiletto la cui porta d'ingresso veniva aperta la mattina affinché le galline potessero uscire per razzolare nel cortile grande e chiusa la sera per evitare che qualche cane randagio o qualche volpe entrasse e facesse del danno. Il pollaio coperto era una grande stanza rettangolare. La porta d’ingresso era posta su una delle pareti corte della stanza. A destra della porta d’ingresso c’era una cassa molto grande, suddivisa in vari scomparti, dove veniva tenuta la crusca, il granturco, il frumento ed altri mangimi per le galline. In questa cassa c’erano anche dei piccoli cesti nei quali venivano raccolte e tenute le uova, in quanto venivano salite in casa solo quelle che servivano per cucinare. La raccolta delle uova veniva fatta più volte al giorno personalmente da mio nonno oppure da mia zia. Sulla parete a sinistra della porta c’era un buco quadrangolare attraverso il quale le galline entravano e uscivano liberamente dal pollaio, anche con la porta chiusa. Lungo questa parete c’erano tutti i nidi quadrangolari, fatti a mattoni, con della paglia sul fondo. Paglia che veniva rinnovata spesso per motivi di igiene. In questi nidi le galline deponevano le uova. Quando le pollastre giovani cominciavano a deporre le prime uova (e ciò si evidenziava dal fatto che erano più piccole) mio nonno lasciava sempre un uovo in ogni nido, in modo che la pollastra capisse che quello era il posto dove doveva deporre le uova. Sulla parete opposta c’era una grande rastrelliera. Era una specie di impalcatura con delle travi poggiate da un lato a terra e dall’altro alla parete. Trasversalmente a queste travi per tutta la lunghezza della parete erano inchiodate sopra delle altre travi più piccole che servivano al gallo ed alle galline per appollaiarsi sopra durante la notte.

Anche le galline (circa un centinaio) avevano i loro ritmi circadiani (ora si chiamano così, ma allora erano soltanto regole stabilite da mio nonno o dalla tradizione) ben precisi e ben scanditi. La mattina presto, quando mio nonno usciva di casa per andare a messa, apriva prima il cancello del cortiletto del pollaio in maniera che le galline potessero passare liberamente nel cortile grande e cominciare a razzolare. Poi dopo che era tornato ed aveva fatto colazione, verso le otto, entrava nel pollaio e raccoglieva le uova deposte durante la notte, nel frattempo la persona di servizio che era scesa con lui, impastava la crusca, ovviamente ricavata dal grano di casa e la distribuiva nei contenitori di terra cotta (“scifo”). Ricordo che quello dell’acqua era ricavato da un blocco di lava scavato di forma rettangolare. Mentre la donna di servizio riempiva i contenitori con la crusca (talvolta, mentre veniva impastata a me piaceva assaggiarla) mio nonno batteva con un legno su un vecchio recipiente di metallo appeso al muro e richiamava le galline che correvano a mangiare. A mezzogiorno, era mio nonno che distribuiva personalmente il secondo pasto alle galline, dopo che tutti a casa avevamo finito di mangiare. A giorni alterni distribuiva una volta gran turco e una volta “scaglio”. Quest'ultimo era il grano che si raccoglieva alla fine della trebbiatura, pertanto era frumento misto a semi di altre piante e terra o sassolini vari. Il sabato e la domenica veniva sempre distribuito gran turco per ricominciare il ciclo il lunedì con lo scaglio. Dopo la distribuzione del cibo batteva nuovamente con il legno sul recipiente di metallo per chiamare le galline a raccolta.

Inoltre, nel cortiletto del pollaio, ogni tanto, quando mio nonno notava che il guscio delle uova era meno spesso, faceva buttare della calce spenta per terra in quanto le galline, che, come tutti gli animali, sono più attenti di noi alle proprie esigenze biologiche, l’avrebbero beccata e mangiata per far fronte alla necessità di calcio. Così il guscio dell’uovo tornava nuovamente ad essere duro e forte. Io non so se queste conoscenze e attenzioni erano capacità specifiche di mio nonno, ma la mia impressione era che a quei tempi si trattava di una cultura diffusa, tutti erano degli attenti osservatori e conoscitori della natura e delle reazioni biologiche che il nostro organismo ed anche quello degli animali aveva e ne traevano delle indicazioni per comportarsi in conseguenza. Per esempio Maria, quando vagavamo per la campagna, mi spiegava tutte le piante e tutte le bacche e sapeva se erano commestibili o meno. Mangiavamo le cose più strane e diverse (dalle mandorle ancora non mature, all’uva verde e acerba, a bacche raccolte nelle varie siepi, e quando i contadini lo riferivano a mio nonno, lui ripeteva “chiddu ca appitisci non fa mai male” (ciò che piace non fa male). Una volta capitò che io notai meravigliato che c’era un cane che mangiava dell’erba e lui mi spiegò che gli animali riconoscono le loro esigenze biologiche e provvedono con quello che la natura mette a loro disposizione.

Lateralmente al pollaio c’era l’orto. Qui venivano coltivati gli ortaggi, non solo per la famiglia, ma anche per tutte quelle persone che, direttamente o indirettamente, avevano rapporti di lavoro con mio nonno. Venivano coltivate anche delle piante che servivano per alimentare il maiale (generalmente fave e lupini) e le galline (periodicamente alimentate con verdura fresca).

Sul quarto lato della casa, quello con l'ingresso di servizio, tra il cortile grande e la strada, c’era il “baglio” (cortile recintato da mura). Era questo un cortile recintato e pavimentato. Sul lato che confinava con la strada, il muro di cinta era alto e si trovava il portone d’ingresso, il secondo lato era quello che confinava con la casa, il terzo lato confinava con il cortile grande e aveva anch'esso un muro con il cancello, sull’ultimo lato si affacciavano dei fabbricati, uno di questi era la cucina piccola (per modo di dire, in contrapposizione con quella “grande” che era quella di casa), qui si trovava il forno dove si faceva il pane, ed altri fornelli tra cui quello posto in basso che serviva per metterci a scaldare il latte per fare il formaggio e la ricotta. In un altro fabbricato c'era il lavatoio dove si lavava a mano la biancheria e in un terzo abitava la famiglia di una persona che lavorava per il nonno e la cui moglie di tanto in tanto aiutava in casa o faceva delle commissioni esterne. In pratica era anche una specie di portineria che controllava l'ingresso delle persone nel baglio.

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor