Autore Topic: Aporofobia  (Letto 180 volte)

Doxa

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Aporofobia
« il: Febbraio 29, 2024, 15:43:21 »
Aporofobia: parola composta di origine greca, formata da “àporos” (= povero) e dal suffisso “- fobos” (= paura): paura del povero o avversione verso il povero. Il neologismo è stato coniato dalla filosofa spagnola Adela Cortina Orts, che ha recentemente pubblicato il libro titolato: “Aporofobia. Il disprezzo dei poveri” (edit. Timeo), recensito lo scorso 25 febbraio sull’inserto “Domenica” del quotidiano “Il Sole 24 Ore” dal prof. Vittorio Pelligra, docente di politica economica all’Università di Cagliari.   

Pelligra nel suo articolo evidenzia che durante i primi mesi dell’invasione russa in Ucraina, l’esodo provocato dalla guerra ha generato anche in Italia un fenomeno paradossale: la tradizionale ostilità nei confronti degli immigrati da parte delle forze politiche di destra si è trasformata in disponibilità, solidarietà e accoglienza. Questo atteggiamento ha contribuito ad incrementare la “guerra fra poveri” con esponenti politici che distinguevano tra “profughi veri”, quelli provenienti dall’Ucraina e “profughi finti”, quelli provenienti dall’Africa, Medio Oriente o dall’Asia centrale. Cosa c’è alla base di questo trattamento differenziato ? 

La Orts, docente di etica e filosofia politica nell’Università di Valencia, nel suo libro dice che la chiave interpretativa corretta è quella economica: il pil pro-capite dell’Ucraina si avvicina ai cinquemila dollari, mentre quello del Sudan, per esempio, è inferiore ai 600 dollari. 

Gli stranieri non ci piacciono, ma quelli poveri ci piacciono ancora meno. E’ l’aporofobia, il rifiuto, l’avversione e il disprezzo per i poveri.  E’ vero ? Per quanto mi riguarda non disprezzo i poveri ma i finti poveri, come quei “nomadi” che chiedono l’elemosina ed hanno il reddito d’inclusione perché nati in Italia ma nel contempo dalla Romania e da altri luoghi fanno venire in Italia persone menomate per impietosire i passanti. Molti di loro come “professione” si dedicano all’accattonaggio. Tale “mestiere” se lo stanno imparando anche gli africani. Chiedono l’elemosina davanti l’entrata dei supermercati, dei centri commerciali ma anche dei negozi di alimentari. Li vedo sia a Roma sia a Milano, dove vado spesso. 

Torno all’articolo di Pelligra: “Come la xenofobia, anche l’aporofobia è una forma di odio sociale, indistinto. Non riguarda questa o quella persona conosciuta, ma questa o quella categoria di persone sconosciute: gli stranieri, quelli che hanno la pelle di colore diverso, o i poveri e i miserabili. Infatti quando i ricchi pensionati inglesi o italiani si trasferiscono in Spagna o Portogallo o gli infermieri spagnoli e le badanti bielorusse vanno a lavorare in Gran Bretagna o vengono qui da noi, nessuno ha da obiettare. 

Il problema non è lo straniero ma il suo conto in banca. (Non sono d’accordo con Pelligra). Questo atteggiamento è in palese contrasto con l’etica scritta e pensata che ratifichiamo in pompa magna nelle dichiarazioni e nei trattati internazionali. Infatti la lotta alla xenofobia, al razzismo, all’omofobia”. 

La filosofa Orts: “nei nostri Paesi democratici che si dichiarano a favore dell’uguaglianza e della pari dignità di tutti gli esseri umani (…) è ormai un compito che spetta alla giurisprudenza e alle forze dell’ordine, ed è un compito arduo. Il fatto che alla base anche della xenofobia ci sia il disprezzo per i poveri non può in nessun modo farci star meglio perché, come dice l’autrice, ‘aporofobici lo siamo quasi tutti’. L’aporofobia, come la xenofobia, ha basi biologiche. Nasce dalla naturale diffidenza per il diverso”. 

Il prof. Pelligra rileva che durante la preistoria le piccole comunità di cacciatori-raccoglitori impararono che per sopravvivere era importante il reciproco altruismo, la cooperazione per avere le risorse necessarie alla vita e organizzare la difesa contro i nemici. La reciprocità, il dare e avere è il collante della cooperazione, della sopravvivenza e dello sviluppo. E chi non può dare ? Chi è impossibilitato a contribuire ? Questi sono gli “esclusi”, i poveri. L’aporofobo non ha nulla da dare e tutto da prendere, uno con cui non vogliamo avere nulla a che fare.  Se poi tale posizione viene rinforzata come capita spesso da discorsi d’odio, o dalla retorica meritocratica le conseguenze sono più gravi: il povero va allontanato e combattuto, perché la sua povertà è la sua colpa. Lo straniero non va bene , neanche il povero. E il disabile ? Anche i disabili, soprattutto quelli gravi, hanno tutto da prendere e nulla da dare. Allora nel migliore dei casi il rapporto con gli esclusi non riguarda la giustizia ma la benevolenza.  Non è difficile rinvenire in questa impostazione la causa alla base della rottura dei patti intergenerazionali in fatto di pensioni, delle resistenze verso le società multietniche, la crisi delle politiche pubbliche negli ambiti dell’istruzione, della sanità e del welfare e più in generale di tutte le politiche di contrasto alla povertà e di promozione delle pari opportunità. La cura ? Ci vuole l’altruismo, il desiderio di cura verso chi ha bisogno, promuovere la pari dignità delle persone, capaci di tirar fuori la parte migliore di ogni essere umano”.

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« Ultima modifica: Febbraio 29, 2024, 16:03:13 da Doxa »

Doxa

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Re:Aporofobia
« Risposta #1 il: Febbraio 29, 2024, 15:47:33 »
Nella stessa pagina del quotidiano che ho citato nel precedente post c’è anche un articolo della professoressa Francesca Trivellato, studiosa di storia culturale, economica e sociale nel primo periodo moderno.

E' titolato “Alle origini di una atavica disparità economica”.

La Trivellato dice che nel 2020 l’1% degli italiani deteneva il 22% della ricchezza nazionale privata, il 5% ne aveva il 40%. Nel XIV secolo le percentuali rilevabili in vari centri della penisola erano sostanzialmente analoghe.

La tendenza della disuguaglianza economica a crescere nel tempo non è recente e neppure inevitabile.

Prima del conflitto mondiale del 1914 – ’18 solo la “peste nera” del 1348 (che falcidiò oltre un terzo della popolazione europea) ebbe l’effetto di appianarla. Se ne deduce che la disuguaglianza può aumentare anche in periodi di stagnazione economica.

A determinare la disuguaglianza economica non sono le calamità naturali ma le politiche fiscali e i regimi successori adottati dalle élite al potere.
Questi risultati impongono che all’analisi dei dati quantitativi si affianchi quella dei valori e dei presupposti ideologici che hanno indotto tali politiche.

Nel ‘400 fu la legittimazione culturale dei profitti tratti da operazioni finanziarie a consentire a famiglie prive di pedigree, come i Medici a Firenze, di scalare i vertici dello Stato. Ma proprio a Firenze e in altre città governate da oligarchie di nuova estrazione, il divario economico crebbe ancor più che nelle terre di antico dominio feudale.

Perché dopo 200 anni dalla Rivoluzione francese non a tutti è data la medesima opportunità di arricchirsi ? Perché le disponibilità economiche non azzerano i pregiudizi ?

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Re:Aporofobia
« Risposta #2 il: Febbraio 29, 2024, 15:53:50 »
Ancora dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” (del 18 giugno 2021) un articolo di Andrea Gianotti: “Quanto sei lontano dalla soglia di povertà? Scoprilo con il calcolatore interattivo”.

“Quasi un italiano su dieci è povero. Ma non di quella povertà che non ti permette di andare in vacanza ad agosto, quanto piuttosto di quelle che ti costringe a misurare ogni euro quando si va a fare la spesa.

Il report annuale Istat certifica una situazione sotto al limite per 2 milioni di famiglie, ossia il 9,4% della popolazione italiana, in forte crescita nel 2020 rispetto all’anno precedente quando era “solo” il 7,7%. Che tradotto in valori assoluti fanno 333mila famiglie in più.

Come possiamo quantificare la condizione “assoluta” come la definisce l’Istituto di statistica? Dipende da diversi fattori, tra i quali dove vive e la composizione del nucleo famigliare.

Facciamo degli esempi: una famiglia composta da due trentenni e da due figli alle scuole primarie è considerata povera se, vivendo in una grande città del nord, non riesce a guadagnare complessivamente almeno 1.680 euro al mese. Tenuto conto del costo degli affitti per l’abitazione o del mutuo e delle spese fisse generali, quel che rimane è davvero minimo. La stessa situazione ma al sud e in un piccolo comune di provincia scende a 1.230 €, considerando dunque il differente costo della vita. E ancora, un anziano solo di oltre 75 anni, non è povero se ha redditi mensili per almeno 700€ circa, ma solo se vive in un comune di almeno 50mila abitanti nell’Italia centrale e che non sia una città metropolitana. Ne servirebbero 65 in più se abitasse in una grande città del Nord ma 140 in meno se la stessa grande città fosse al Sud Italia.

L’incidenza tra le famiglie aumenta vertiginosamente al crescere del numero dei figli. Più di una su cinque tra quelle con tre minori si trova in questa condizione. I poveri, dunque, sono soprattutto giovani: il 13,5% dei minorenni lo è, e ben il 12% dei neonati è nato povero o lo è diventato povero nel corso del 2020. E se pensate che la povertà sia correlata esclusivamente ad una situazione di disoccupazione o marginalità sociale, un dato potrebbe stupirvi: il 13,2% delle famiglie che ha come persona di riferimento un operaio è considerato assolutamente povero”.

ninag

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Re:Aporofobia
« Risposta #3 il: Marzo 01, 2024, 19:53:58 »
Povera Italia.