Scrittura creativa

Libri e Lettura => Letteratura che passione => Topic aperto da: Doxa - Settembre 21, 2016, 07:33:04

Titolo: La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 21, 2016, 07:33:04
Lo scorso gennaio è stato pubblicato il libro “Donne e Chiesa. Una storia di genere”, scritto dalla storica e teologa Adriana Valerio, che insegna “Storia del cristianesimo e delle Chiese”.

Nel predetto testo l’autrice analizza il rapporto tra la Chiesa cattolica e il vissuto religioso delle donne. 

La Chiesa di Roma è un sistema religioso ma anche sistema politico, giuridico ed economico; comunità di fede e di appartenenza, ma pure agenzia culturale ed etica. In questa Chiesa il principio di uguaglianza non ha intaccato la millenaria divisione dei ruoli, nonostante l’affermazione di Paolo di Tarso  nella Lettera ai Galati: “Non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (3, 28):  davanti a Dio “non est acceptio personarum” = “non si fa distinzione tra le persone”.

Le narrazioni che ci sono pervenute furono scritte da uomini e raccontano solo episodi e parole che ritennero essenziali per la fede. Comunque nel Nuovo Testamento ci sono tracce del ruolo femminile. Nelle cosiddette Lettere pastorali (prima e seconda Lettera a Timoteo e Lettera a Tito) erroneamente attribuite all’apostolo Paolo, invece appartenenti ad una tradizione a lui successiva, la sottomissione della donna è un elemento qualificante di ordine e organizzazione gerarchica.

Nella prima Lettera a Timoteo c’è scritto: “La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto a nessuna donna di insegnare, né di dominare sull’uomo; piuttosto se ne stia in silenzio. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (2, 11 – 14).

Ma la subordinazione della donna all’uomo fu discontinua nei primi tre secoli del cristianesimo, periodo in cui questa religione cercava una propria identità spirituale e istituzionale, con la separazione dei seguaci di Gesù dal giudaismo e le sue tradizioni. Il processo non fu indolore. Ci furono contraddizioni e conseguenze anche per le donne che partecipavano alle fasi di trasformazione: discepole, apostole, diacone, martiri, ascete, ecc., che caratterizzarono la nascita e l’affermarsi del cristianesimo.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Birik - Settembre 21, 2016, 09:13:36
Che il problema della donna sia la religione monoteista?
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 21, 2016, 18:39:57
Birik ha scritto:
Citazione
Che il problema della donna sia la religione monoteista?

Questo problema l’ha creato la religione o il monoteismo ?

Credere in un solo dio non crea disparità di genere, la differenza la può creare la religione come istituzione, specie se antica, perciò basata sulla cultura patriarcale.

I testi considerati sacri dalla religione ebraica risentono della cultura in vigore nel periodo in cui furono elaborati e rielaborati dai rabbini, ma nel primo capitolo della Genesi la donna è presentata come contrapposta all'uomo, e non inferiore a lui.

Nel cap.31 dei “Proverbi” si argomenta sulla “donna di valore” e di essa si danno le caratteristiche: infonde fiducia e felicità, governa la casa e si preoccupa per la famiglia, lavora costantemente, soccorre chi ha bisogno, parla con saggezza.

Nel Seder di Pesah (il pranzo pasquale) quando si commemora la liberazione del popolo ebraico, accanto ai tre patriarchi vengono menzionate anche le quattro matriarche, Sarah, Leah, Rachele e Rebecca e questo per riconoscere la loro importanza nella storia del popolo ebraico.

Nel Libro dei Giudici una figura forte e vincente è quella di Deborah, giudice in Israele e profetessa.

Altre due ebree, Elisabetta madre di Giovanni Battista e Miriam o Maria, madre di Gesù, sono descritte nelle Scritture cristiane, ma si comprendono pienamente solo se viste nell'orizzonte ebraico. Elisabetta è equiparata ad Anna, madre di Samuele, e ad altre donne bibliche nel desiderio di un figlio che Dio le concede.

E’ la donna che trasmette l'ebraicità ai figli, è la loro prima insegnante di precetti religiosi.

Nell'ebraismo contemporaneo la donna ha un ruolo secondario nella liturgia pubblica, ma primario in quella familiare. Ha il compito di accendere i lumi dello Shabbat, come segno di passaggio dal tempo profano al tempo sacro.

Per quanto riguarda la donna dal punto di vista della religione cristiana c'è da dire che ,Maria di Nazaret osserva tutti i precetti dell'ebraismo. Avvia Gesù al suo “bar-mitzvah”  (= figlio del comandamento), è un termine che indica il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l’età della maturità (13 anni e un giorno per i maschi, 12 anni e un giorno per le femmine) e diventa capace di distinguere il bene dal male.  Maria rimarrà poi sempre vicina al figlio con discrezione, lo accompagnerà fino alla morte in croce.

Il ruolo di Maria, la madre di Gesù,  è stato proposto come prototipo di subalternità femminile, ma bisogna tener conto che il processo di inculturazione del cristianesimo avvenne nell’ambito della civiltà greco-romana, dove l’autorità era saldamente maschile.

Poi la Chiesa riconoscendo alla donna ruoli alternativi a quelli tradizionali, ha preparato, nei secoli, a cominciare dall'Occidente, il terreno per il raggiungimento di pari dignità e diritti tra uomo e donna.

Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 22, 2016, 07:50:54
Conosciamo Gesù di Nazaret come fu recepito da alcuni suoi discepoli che trasmisero la memoria del loro Cristo con la rielaborazione di tradizioni orali e di fonti scritte.

L’indagine storico-critica ci consente oggi di affermare che non è possibile ricostruire la biografia completa di Gesù ma possiamo sapere le caratteristiche del suo messaggio e lo stile di vita che indica la sua personalità. Alcuni elementi storici sono sicuri: l’appartenenza al popolo ebraico, il battesimo ricevuto da Giovanni il battezzatore o battista, la predicazione itinerante, i miracoli, il conflitto con le autorità religiose del sinedrio, il supplizio della croce.

Gli evangelisti comunicarono di Gesù informazioni parziali e selezionate per le prime comunità cristiane  come indicazioni pastorali e per  intenti apologetici.

Sappiamo che Gesù nacque durante il regno di Erode Antipa e che all’età di circa 30 anni iniziò a predicare nelle sinagoghe della Galilea per annunciare l’avvento del regno di Dio, la sconfitta del male e la vittoria dei giusti. Alcune donne diventarono sue seguaci (Lc 8, 1 – 2).

I vangeli sono concordi nell’attestare un seguito femminile che accompagnò il Maestro dall’inizio della sua missione in Galilea fino alla sua morte a Gerusalemme. Oltre a Maria sua madre c’erano Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, la madre dei figli di Zebedeo (Mt 27, 55 – 56), Salome (Mc 15, 40 – 41), Giovanna, moglie di Cuza, Susanna (Lc 8, 2) ed altre.

Il Gesù dei vangeli non concepisce la sua comunità come un gruppo di soli uomini. Il suo criterio non è l’esclusione ma l’integrazione. Con le donne Gesù discute e si confronta con empatia, a loro, non diversamente dagli uomini, dice messaggi di salvezza, chiede scelte. Le donne non le considera una categoria a parte né secondaria, con lui condividono vita, attese e azioni.

In quel tempo la religione ebraica distingueva e separava la casta sacerdotale dal popolo, i degni dagli indegni, i puri dagli impuri, i giusti dai peccatori, i conterranei dagli stranieri, gli amici dai nemici, gli uomini dalle donne. Invece Gesù pone l’alternativa della convivenza pacifica e solidale (Mt 25, 31 ss). 

Secondo le categorie di “puro” ed “impuro” della cultura ebraica, la donna a causa delle mestruazioni rendeva sporco l’ambiente che la circondava, poteva contaminare il “sacro” (Num 15, 38),  perciò era considerata in uno stato di perpetua impurità cultuale (Lv 15, 25 – 30). Non poteva partecipare alle attività di culto né alle feste religiose, non poteva entrare nel santuario.
Con Gesù la donna non è più impura. Egli incontra la donna  che aveva continua perdite di sangue (Mc 5, 25 – 34), ridona la vita ad una ragazza morta stringendole la mano (Mc  5, 35 – 42), si fa toccare dal corpo impuro di una prostituta (Lc 7, 36 – 50). Dio sconfigge l’impurità e niente può rendere immonda una persona, se non il male che compie (Mc 7, 15).

All’esasperato rispetto del riposo sabatico che vietava lo svolgimento di molte attività, Gesù contrappone la priorità della persona da soccorrere al momento del bisogno: di sabato guarisce una donna (Lc 13, 10 – 13), suscitando riprovazione ed ostilità da parte del capo della sinagoga perché non aveva rispettato il precetto della Torah (Es 20, 8 – 11).

Gesù non abroga la legge giudaica, ma la rifonda a partire dall’amore come principio.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Birik - Settembre 22, 2016, 08:37:39
Difficile avere tempo e pazienza per leggerti tutto.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 26, 2016, 19:07:47
Uno dei racconti nel vangelo di Giovanni ha come protagonista una donna di Sicar, località della Samaria (shomron) territorio a sud della Galilea e a nord della Giudea. E’ la regione centrale della biblica Israele.

Il racconto è noto col titolo: “La Samaritana” (Gv 4, 1 – 30). “Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni – sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli –, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria.
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: ‘Dammi da bere’. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: ‘Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?’. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: ‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva’. Gli disse la donna: ‘Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?’. Rispose Gesù: ‘Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna’. ‘Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché‚ non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua’. Le disse: ‘Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui’. Rispose la donna: ‘Non ho marito’. Le disse Gesù: ‘Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero’. Gli replicò la donna: ‘Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare’. Gesù le dice: ‘Credimi, donna, è giunto il momento in cui né‚ su questo monte, né‚ in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché‚ la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché‚ il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità’. Gli rispose la donna: ‘So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa’. Le disse Gesù: ‘Sono io, che ti parlo’. 
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: ‘Che desideri?’, o: ‘Perché parli con lei?’. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: ‘Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?’. Uscirono allora dalla città e andavano da lui”.


Il racconto ci fa immaginare la scena: Gesù è giunto al pozzo di Giacobbe.  Ha sete. E’ stanco del viaggio ed è l’ora di pranzo. Arriva questa donna per attingere l’acqua e Gesù comincia  con lei il dialogo in modo perentorio: “Dammi da bere”. La donna gli chiede: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”  I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Infatti la richiesta di Gesù è sorprendente per due motivi: perché un giudeo chiede qualcosa ad un samaritano; perché un rabbì parla con una donna in pubblico, e questo era vietato. I discepoli, quando se ne accorgono rimangono stupiti del comportamento di Gesù, il quale supera le barriere del sesso e dell’etnia.

Nel vangelo di Giovanni, le donne sono messe in rilievo in sette momenti, decisivi per la divulgazione della Buona Novella. A loro si attribuiscono funzioni e missioni, alcune delle quali, negli altri vangeli, sono attribuite agli uomini:

Alle nozze di Cana Gesù trasforma l'acqua in vino. Maria, la Madre di Gesù dice ai servitori "Fate tutto quello che vi dirà" (Gv 2,1-11).

La Samaritana è la prima a sapere da Gesù che lui è il Messia: "Sono io, che ti parlo" (Gv 4,26). E lei diviene l'evangelizzatrice della Samarìa (Gv 4,28-30.39-42).

Gesù non giudica, non condanna la donna adulltera e la salva dalla lapidazione (Gv 8,1-11).

Marta, sorella di Maria e Lazzaro, fa solenne professione di fede (Gv 11,27).

Maria, sorella di Marta, unge i piedi di Gesù (Gv 12,7).

Ai piedi della croce Gesù dice alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!", e a Giovanni:  "Ecco tua madre!" (Gv 19,25-27).

Maria di Magdala annuncia la risurrezione di Gesù.  (Gv 20,11-18).


 

Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 29, 2016, 14:39:26
Gesù, il Cristo, non progettò nessuna riforma sociale, non cambiò la condizione delle donne, così come quella degli schiavi e dei diseredati, non manifestò il suo pensiero sulla gerarchia dei sessi, non rivolse uno specifico messaggio alle donne,  non disse nulla circa la “caduta” dal Paradiso terrestre di Adamo ed Eva per colpa della donna. Egli disse parole profetiche ed impartì  insegnamenti reinterpretando ed attualizzando la Torah, al fine di un rinnovato rapporto filiale con Dio.

Le donne che lo seguirono nell’itineranza missionaria non lo abbandonarono, ma lo accompagnarono fino alla morte con la loro presenza sul luogo della crocifissione. 

Quando fu crocifisso sul Calvario “Vi erano anche alcune donne che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali quando era in Galilea lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme (Mc 15, 40 – 41).

Le pie donne furono le prime annunciatrici della tomba vuota e della risurrezione di Gesù.

Paolo di Tarso nella prima Lettera ai Corinti dice che  l’uomo non deve dominare sulla donna, che i rapporti nella coppia devono essere basati sull’amore scambievole. L’uomo e la donna dispongono l’uno del corpo dell’altra nella reciproca dedizione (7, 3 – 4).  Nella stessa lettera c’è la richiesta di Paolo alle donne di Corinto di usare il velo (11, 1 e ss.) e di essere silenziose nelle pubbliche assemblee (14, 34).
La richiesta di silenzio alle donne era incoerente con i ruoli esercitati da esse come attive collaboratrici nel movimento missionario.
Per questi motivi molti esegeti ritengono che la prima Lettera ai Corinti sia stata interpolata, che si tratti di di una pericope aggiunta successivamente per ridimensionare la facoltà delle donne di avere il diritto alla parola nelle pubbliche assemblee.   
Se invece si accetta l’ipotesi che parole scritte da Paolo non furono interpolate,  si può presumere che questo apostolo le abbia dette sia per non urtare la suscettibilità delle comunità giudeo-cristiane nelle quali le donne avevano ruoli più riservati, sia per consentire il corretto ed ordinato svolgimento delle assemblee finalizzate alla creazione di quella comunità cristiana.

Il brano paolino è stato interpretato come divieto assoluto e universale per le donne di esercitare autorità nella comunità, tacciando di peccato di orgoglio ogni loro diversa richiesta e orientando la loro voce limitandola al chiuso delle mura domestiche o monastiche.
Le donne cristiane di Corinto per affermare meglio la propria emancipazione, rifiutavano l’uso del velo sul capo, avvertito come simbolo di inferiorità e di diversità dagli uomini. Infatti le regole decoro sociale imponevano alle donne sposate di portare in pubblico un velo, per non essere scambiate per prostitute ed etère od essere identificate con le baccanti che nei riti orgiastici portavano la capigliatura sciolta sulle spalle.

A Paolo interessava che l’assemblea della comunità cristiana di Corinto si svolgesse con ordine e sobrietà: il velo sarebbe stato in tal senso, segno di identità e di rispetto, in accordo con la tradizione delle Chiese della Palestina. L’apostolo non poneva un freno al parlare delle donne, ma si preoccupava che ogni cosa nell’assemblea cristiana fosse fatta con decoro, con ordine e senza ambiguità, anche nel rispetto della diversità tra donne e uomini, come affermato nel Genesi: “Non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo” (1Cor. 11, 7) […] “Tuttavia, nel Signore né la donna è senza l’uomo né l’uomo senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio” (1Cor. 11, 11 – 12).

Anche a Cartagine c’erano donne non sposate (virgines) che pretendevano di  tenere il capo non coperto dal velo durante il culto (Tertulliano, “La preghiera” 21 – 22). Questa richiesta femminile di indipendenza fu condannata dall’apologeta cristiano, ma il suo intervento moralizzatore andava al di là della questione dell’abbigliamento delle donne, perché coinvolgeva il riconoscimento del loro ruolo ecclesiale. Con la gerarchizzazione degli stati di vita, per le donne che sceglievano la condizione monastica il rito della velatio rappresentava la consacrazione delle vergini.

Alla fine del IV secolo fu pubblicato un commentario dedicato alle lettere di Paolo di Tarso ed erroneamente attribuito ad Ambrogio,  (vescovo di Milano dal 374 al 397) perciò il testo fu denominato "Ambrosiaster". Lo sconosciuto autore ribadisce la subordinazione della donna all’uomo a causa del peccato originale: “Come può qualcuno sostenere che la donna sia a somiglianza di Cristo quando si mostra soggetta al dominio dell’uomo e non ha nessun tipo di autorità ? Perché non può né insegnare, né essere un testimone in una corte né esercitare i diritti di un cittadino, nemmeno essere un giudice od esercitare potere” (Commento alla 1 Lettera ai Corinzi 14, 34).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Settembre 30, 2016, 09:49:53
Il movimento carismatico rurale creato da Gesù di Nazaret, in pochi decenni fece molti proseliti e vennero create numerose comunità cristiane, presenti nei centri urbani dell’impero romano. Comunità influenzate dal giudaismo, seppure distinte per l’uso di alcuni rituali specifici: il battesimo come rito di iniziazione e costitutivo dell’identità cristiana, e il pasto comune nelle case private per commemorare l’ultima cena di Gesù.

Dopo la morte di Gesù tra i  suoi seguaci ci furono contrasti, provvisoriamente superati nell’anno 49 con  il cosiddetto Concilio di Gerusalemme. Ma poi ricominciarono le divergenze ideologiche con conseguente separazione e distinzione dalla matrice ebraica. Il distacco dal giudaismo indusse alla configurazione del cristianesimo come religione autonoma. L’evoluzione avvenne in circa cento anni, segnati da tragici avvenimenti, come la distruzione da parte delle milizie romane del tempio ebraico di Gerusalemme nell’anno 70, la sconfitta giudaica nella seconda rivolta contro Roma nel 135, che accentuarono la distanza dei seguaci di Gesù Cristo dalla comunità ebraica ormai dispersa.

Le comunità protocristiane iniziarono il processo di adattamento necessario per costruire la propria identità, indipendente dal giudaismo da cui provenivano e dalla società greco-romana nella quale si collocavano, la quale aveva le sue regole riguardo le donne. Ne abbiamo l’esempio da alcune delle lettere scritte da Paolo di Tarso. Nella Lettera agli Efesini (comunità cristiana di Efeso, nell’attuale Turchia) l’apostolo afferma:  “le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” (Ef 5, 22). Tale frase riflette la gerarchia ellenistica con le sue regole di ordine sociale: il rispetto dell’ordine nella Chiesa doveva corrispondere all’ordine sociale riconosciuto. Nel fare propri quei codici etici di comportamento, tuttavia, se ne attutiva la durezza inserendo il criterio dell’amore reciproco: “Mariti, amate le vostre mogli come anche Cristo ha amato la Chiesa […]  i mariti debbono amare le loro mogli come fossero i loro stessi corpi: chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ef 5, 25 – 28).

Anche l’atteggiamento paolino nella prima Lettera a Timoteo relativo al ruolo sottomesso delle donne rispondevano ad un’esigenza di ridimensionamento delle aspettative femminili e di freno nei confronti dei ruoli che le donne svolgevano in alcuni ambienti sociali.
Contestualmente alle Lettere pastorali di Paolo di Tarso circolava in Asia Minore (l’attuale  area occidentale della Turchia) un altro scritto autorevole, gli “Atti di Paolo e Tecla”, dove si afferma la leadership femminile di Tecla, discepola di Paolo, protomartire delle donne ed isoapostola (uguale agli apostoli).  Questa donna si vestiva da uomo per seguire l’apostolo e non avere impedimenti; ella battezzava, insegnava, predicava, rappresentava per la donne un modello di apostolato lontano dalle codificazioni che si stavano determinando nelle comunità cristiane. L’apologeta Tertulliano ne ha dato testimonianza: “quelle vipere che si sono arrogate il diritto di insegnare e vogliono battezzare rifacendosi all’esempio di Tecla” (da “Il battesimo”, 17).

Se alcuni gruppi cristiani vedevano in Tecla un modello di apostolato femminile, alcuni Padri della Chiesa come Ambrogio (vescovo di Milano) e Gregorio di Nissa la indicavano solo come esempio di virtù per aver rifiutato il matrimonio ma non per la sua attività pastorale.
 
La protomartire Tecla è anche menzionata dalla pellegrina Egeria, la quale nel diario di viaggio che fece in Terrasanta dal 381 al 383, le rese omaggio visitando oltre le cosiddette “tombe degli apostoli” anche il santuario di Tecla a Seleucia (Diario di viaggio 23, 4).

L’istituzionalizzazione delle comunità cristiane e l’accettazione delle strutture gerarchico-patriarcali confermarono l’emarginazione delle donne.     
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 03, 2016, 16:35:38
Dai testi canonici che compongono il Nuovo Testamento e dalla letteratura cristiana dei primi secoli le donne appaiono come figure positive e significative: ascoltano,  chiedono, accudiscono, amano, condividono. Alcune donne furono importanti nel cristianesimo delle origini.

Maria di Magdala (Maria Maddalena), definita “apostola degli apostoli” dai Padri della Chiesa, fece parte del  gruppo itinerante che accompagnò Gesù fin dagli inizi della sua missione. E’ citata nel Nuovo Testamento e in alcuni scritti apocrifi.

Dall’evangelista Luca sappiamo che era stata guarita da spiriti cattivi, “liberata da sette demoni”, e la menziona come una delle donne che “assistevano Gesù con i loro beni”, cioè  finanziavano la missione itinerante del Maestro (Lc 8, 2 – 3). 

Secondo la tradizione, la Maddalena era una delle tre Marie che accompagnarono Gesù anche nel suo ultimo viaggio a  Gerusalemme (Mt 27, 55; Mc 15, 40-41; Lc 23, 55-56) dove furono testimoni della crocifissione e  morte di Cristo: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena” (Gv 19, 25). Fu lei, assieme a Salome e Maria la madre di Giacomo il Minore (Mt 28, 1; Mc 16, 1-2) ad andare al sepolcro con gli unguenti per ungere la salma. Ma esse trovarono il sepolcro vuoto ed ebbero una "visione di angeli" che annunciavano la risurrezione di Gesù (Mt 28, 5). A lei apparve il Risorto, che la designò come prima destinataria e annunciatrice della sua risurrezione. (Mc 15, 40 e ss.).

La figura di Maria di Magdala è stata identificata per lungo tempo con altre figure di donna presenti nei vangeli.

Alcune tradizioni l’accostarono a  Maria di Betania, la sorella di Marta e del risorto Lazzaro (Lc 10, 38-42). Nei Vangeli canonici  Maria di Betania viene descritta come  donna molto attenta agli insegnamenti del Maestro, al quale pochi giorni prima della Passione gli unse il capo e i piedi (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Lc 10,38-42; Gv11,1-12,8).

Maria di Magdala oltre ad essere scambiata per Maria di Betania, fu anche accostata all'anonima peccatrice di cui narra Luca perché era  stata liberata dai demòni.

Anche la peccatrice unse i piedi a Gesù, a casa di Simone il Fariseo: “Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio” (Lc 7, 36 – 50).  La donna ottenne la remissione dei peccati.

La confusione forse avvenne perché Maria di Betania e la peccatrice lavarono i piedi al Cristo e gli unsero il capo con il profumo, però in luoghi e tempi diversi: Maria di Betania, a casa di Simone il lebbroso, la peccatrice a casa di Simone il Fariseo.
 
Dalla lettura dei brani evangelici alcuni pensarono l'esistenza di tre donne distinte (Maria Maddalena, Maria di Betania e la peccatrice anonima), altri due donne, altri una sola.

Maria di Magdala venne anche scambiata per l’anonima adultera salvata da Gesù dalla lapidazione. L’errore fu compiuto nel 591 da papa Gregorio Magno, che per un suo sermone si basò su alcune tradizioni orientali.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 09, 2016, 11:53:31
Di Maria, la madre di Gesù, abbiamo poche notizie dai Vangeli canonici. La citano brevemente gli evangelisti Marco e Matteo; Luca parla di Maria nel racconto teologico dell’infanzia di Gesù; mentre Giovanni  cita la “madre di Gesù” in tre casi ma senza nominarla: alle nozze di Cana (2,1-11); quando va a Cafarnao con Gesù, i fratelli e i suoi discepoli (2,12); e infine quando lei è sulla collina del Calvario (19,25-27).

Per l’evangelista Luca, Maria è una ragazza (almah), “riempita dalla grazia di Dio” (piena di grazia). Questa giovane viene a sapere che partorirà un figlio: “Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te[...]Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”  (Lc I,28,30-31). E’ l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria del concepimento verginale e della nascita verginale di Gesù; secondo l’evangelista Matteo l’annunciazione del concepimento del Figlio di Dio nel grembo di Maria fu data dall’angelo anche a Giuseppe.

Dopo la notizia del concepimento miracoloso Maria non consulta gli uomini della sua famiglia, ed è lei e non Giuseppe a dare il nome al figlio, secondo l’ordine ricevuto dall’arcangelo Gabriele.

Poco sappiamo del rapporto di Maria con Gesù. Certamente ebbe un ruolo determinante nella sua formazione culturale e sociale. A lei era affidato il compito dell’educazione religiosa, del rispetto dei precetti della tradizione ebraica.

L’evangelista Luca ci presenta Maria come “donna dello Spirito” che su di lei scese al momento dell’annunciazione del concepimento del “Figlio di Dio” (Lc 1, 32) e durante la Pentecoste nella fase costitutiva della prima comunità  cristiana per dare inizio alla Chiesa.

Gli scritti apocrifi enfatizzano teologicamente la verginità di Maria (solo accennata in Matteo e Luca) per difendere la divinità di Gesù.

In alcuni testi, come l’Ascensione di Isaia e il Protovangelo di Giacomo, ci sono indicazioni di quello che sarà lo sviluppo del culto mariano che si affermerà nei secoli successivi per consenso popolare.

Maria fu collegata al peccato e alla salvezza, come garanzia dell’incarnazione di Dio tramite il suo corpo di donna vergine.

Circa nel 150 d. C.  il  filosofo, apologista e martire cristiano Giustino, scrisse il “Dialogo con Trifone”, col quale accusa i rabbini ebraici di diffondere calunnie e bestemmie su Gesù. In questo testo egli argomenta con l'ebreo Trifone per convincerlo dell'importanza della fede cristiana e di come essa sia la prosecuzione della religione ebraica e il suo completamento. Fra l’altro dice:  “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provocata dal serpente fosse annullata attraverso la stessa vita per la quale prese inizio. Come infatti Eva, che era vergine ed incorrotta, dopo aver accolto la parola del serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo Maria, la Vergine, avendo ricevuto dall’arcangelo Gabriele il buon annuncio che lo Spirito Santo sarebbe disceso su di lei e che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata, concepì fede e gioia, per cui il nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio” (Dialogo con Trifone, 100).

Questo parallelo Eva – Maria, introdotto da Giustino e ripreso dal teologo e vescovo Ireneo (uno dei Padri della Chiesa)  che esaltava nella Vergine l’opera di redenzione (Contro gli eretici 5, 19), ebbe ripercussioni di lunga durata nella costruzione simbolica del femminile e del suo ruolo nella storia della salvezza. 
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 11, 2016, 08:22:58
Le prime comunità cristiane usavano incontrarsi nelle case di alcuni fedeli per la preghiera e l’evangelizzazione.

Negli “Atti degli apostoli”  e nelle lettere di Paolo di Tarso sono indicate delle donne che offrivano ospitalità nelle loro abitazioni: la commerciante Lidia di Filippi (At 16, 13 – 15), la vedova Tabità (At 9, 36 – 43), Priscilla (At 18, 2 – 4), Cloe (1 Cor 1, 11), Ninfa (Col 4, 15).

L’apostolo Paolo durante i suoi viaggi missionari trovava accoglienza in abitazioni private, dove aveva la possibilità di fare proseliti per la fondazione e l’edificazione delle comunità cristiane, nelle quali le donne che collaboravano con il tarsita avevano specifiche mansioni: nell’ambito della carità, nel diaconato, nella catechesi, nell’evangelizzazione e l’apostolato. Ciò emerge nel capitolo conclusivo della Lettera ai Romani (Rom 16, 1 – 17), dove Paolo saluta 12 donne, di cui 10 chiamate per nome. Tra esse c’è Febe che s’interessa del diaconato nella comunità cristiana di Cencre, vicino Corinto; la missionaria Priscilla, che con il marito Aquila collabora con questo apostolo nell’attività missionaria ad Efeso, mettendo a disposizione la propria casa e svolgendo attività di catechesi per i neofiti; Giunia, inviata in missione per fare proseliti; le evangelizzatrici Trifena, Trifosa e Perside; Maria, la madre di Rufo, che Paolo considera come sua madre; Pàtroba, Giulia, la sorella di Nereo e Olimpas.

A queste donne vanno aggiunte le missionarie di Filippi: Evodia e Sintiche. Nella Lettera ai Filippesi Paolo tra l’altro scrive: “Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d'accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4, 2 – 3).
 
Il tarsita non dimentica le benefattrici, come Apfia (Fm 1, 2), che lo ospitò a Colossi, e Ninfa, che lo accolse nella casa di Laodicea per la celebrazione eucaristica (Col 4, 15).

Erano donne attive ed autonome, spesso economicamente benestanti.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 12, 2016, 07:59:30
Sia nei vangeli sia nelle Lettere paoline c’è il termine  di origine greca “diaconia” (= servizio) in favore dei poveri, dei bisognosi.

Nel cristianesimo primitivo il diacono (= servitore) è l’uomo che svolge un servizio amministrativo e assistenziale al comando del vescovo. Paolo di Tarso li cita nella Lettera ai Filippesi (1,1) e nella Lettera a Timoteo (3, 8. I diaconi distribuivano l’eucarestia, leggevano i testi sacri ed erano dediti alla predicazione.

C’erano anche le diaconesse, le donne che si dedicavano alla cura dei malati, dei poveri e di alcuni uffici liturgici. Esse insegnavano, istruivano le catecumene, assistevano le giovani donne che ricevevano il battesimo per immersioni nelle vasche battesimali, aiutavano le ammalate. 

Paolo nella Lettera ai Romani usa il termine “diacono” riferito anche ad una donna: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, diacono della Chiesa di Cencre (16, 1 - 2). Tale termine appare anche nella Lettera a Timoteo (1: 3, 11)
Evidentemente, all'epoca della redazione della lettera (anni cinquanta del primo secolo d.C.), il termine era utilizzato in un contesto in cui i diversi incarichi nelle chiese locali stavano ancora strutturandosi.

È documentato che nel III secolo in Siria esistessero delle diaconesse che aiutavano il sacerdote nel battezzare le donne. Un ruolo attestato anche nelle Costituzioni apostoliche del IV secolo, che citano un apposito rito di istituzione della diaconia femminile distinto da quello dei diaconi maschi.
L ’incarico di diaconesse veniva conferito con un rito liturgico: con l’imposizione delle mani e con la preghiera di invocazione dello Spirito Santo (epiclesi), con la consegna della stola e, a Costantinopoli, del calice.

La loro presenza è attestata fino al V secolo in Occidente e fino all’VIII secolo in Oriente. Poi ci fu il progressivo ridimensionamento delle loro funzioni, sia per la scomparsa del battesimo degli adulti sia per il conflitto all’interno della Chiesa dominata dagli uomini sul ruolo da riconoscere alle donne.

Tra le femmine che svolgevano ruoli di servizio nelle comunità oltre le diaconesse c’erano anche le  vedove che avevano funzioni di collegamento tra i seguaci della fede cristiana.

Nel trattato cristiano “Didascalia degli apostoli”, elaborato nella prima metà del III secolo,  le vedove, insieme alla diaconesse, sono annoverate fra i membri del clero e contrapposte ai fedeli laici, ma in altri contesti veniva loro negata l’appartenenza al clero, ci fanno sapere Epifanio, Tertulliano ed Ippolito.

Le vedove dovevano promettere (propositum) di non risposarsi e di mantenersi caste fino alla morte, narra Tertulliano nel “De virginibus velandis” (= Le vergini che devono velarsi). 

La colta ed aristocratica Olimpia (361 – 408), ordinata diaconessa dal vescovo Nettario di Costantinopoli, collaborò nell’attività pastorale con il vescovo e teologo bizantino Giovanni Crisostomo (in greco antico “chrysóstomos”), che significa “bocca d'oro”, epiteto derivante dalla sua eloquenza e le doti retoriche nell’omiletica. Fu secondo patriarca di Costantinopoli e scrisse anche un trattato dedicato a “La verginità”, per confrontare lo stato di coloro che optano per questa, con coloro che invece si sposano. Egli era dell’opinione che la verginità sia "superiore" e da preferirsi, mentre il matrimonio sia, per così dire, un rimedio (remedium concupiscentiae)  per coloro che non possono in altro modo resistere alle tentazioni carnali.

Il valore della verginità e del celibato fu anche sancito dal  Concilio di Trento, nella sessione XXIV (11 novembre 1563).  Al punto 10 afferma: "Se qualcuno dirà che lo stato coniugale è da preferirsi alla verginità o al celibato e che non è cosa migliore e piú beata rimanere nella verginità e nel celibato, che unirsi in matrimonio, sia anatema"
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 13, 2016, 00:03:05
“Profezia”: parola che deriva dal latino ecclesiastico “prophetìa”, e questa dal greco “prophètéia”. Il lemma è composto da due termini: “pro” (= avanti) + “femi” (= dire), allude alla predizione di eventi futuri su ispirazione divina. Sono esempi le profezie nell’Antico Testamento o quelle della Sibilla cumana. L’annuncio viene dato dal “profeta”: dal latino “prophèta”, che discende dal greco “prophètès”, composto da “pro” (= avanti) e “phètès”, da “phèmi” (= dico).
Il profeta “parla” per conto di Dio, perciò la profezia è un messaggio che Dio, tramite il profeta, vuol diffondere. Non sempre la profezia consiste nella rivelazione di un evento futuro.
Le profezie più importanti sono quelle che annunciano il compimento del disegno divino e l’avvento del regno del messia.

Nell’Antico Testamento il profeta parlava secondo quanto Dio gli aveva suggerito (in visione, direttamente o altro) e riportava spesso avvenimenti che sarebbero successi in futuro. Ciò serviva per confermare la parola di Dio.
 
Il dono della profezia non era un’esclusiva dei profeti ma anche delle profetesse. Per esempio Anna, la figlia di Fanuele, che l’evangelista Luca presenta come testimone silenziosa, modello di preghiera e ascolto (2, 36). Tertulliano, invece, descrive Anna come vedova anziana che con i digiuni e la preghiera era in grado di comprendere i misteri di Cristo (“Sul digiuno” 8, 14).

Profetesse erano considerate anche le figlie di Filippo, citate negli Atti degli apostoli (21, 9) ma anche da altri, per esempio dal vescovo Eusebio di Cesarea, che fu consigliere e biografo dell’imperatore romano Costantino I.

Massimilla e Priscilla erano due profetesse della Frigia (regione dell’Anatolia, Turchia), che con le loro predizioni ebbero notorietà.

Massimilla s’identificava con Cristo: “non ascoltate me, ma ascoltate Cristo” (da “Oracoli montanisti”, 13). A motivo di tale identificazione gli oracoli delle due profetesse erano messi sullo stesso piano  dei testi sacri.

Priscilla raccontò di aver ricevuto da Cristo, in visione, una rivelazione: “Sotto forma di donna, ornato con abito splendido, venne da me Cristo, m’infuse la saggezza, mi rivelò che questo luogo (Pepuzia, nella Frigia) è sacro e che qui sta scendendo dal cielo Gerusalemme” (“Oracoli montanisti, 17). 
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 14, 2016, 16:29:36
Il proselitismo da parte di numerose donne benestanti permise al cristianesimo delle origini di penetrare nelle famiglie più illustri dell’impero romano, divenendo motore di consenso e diffusione. Marcella, Demetriade, Fabiola, Melania, Blesilla, Paulina, Iulia, Olimpia, Teodora, Claudia e tante altre aristocratiche emancipate e dal forte carattere, con i loro beni sostenevano opere di carità e monastiche. Furono intraprendenti fautrici di conversione o di attenzione verso il cristianesimo. L’imperatrice Giulia Domna (170 – 217), moglie di Settimio Severo, consentì alla dinastia dei Severi di aprirsi al sincretismo religioso.

Della libertà della donna cristiana che, nell’accoglienza della fede relativizzava i legami familiari,  abbiamo diverse testimonianze, oltre quelle presenti nella letteratura martirologica dove ci sono donne che rinunciano ai rapporti materni o filiali per non rinnegare la propria fede cristiana.

Il filosofo Celso, vissuto nel II secolo, scrisse il saggio “Alethès lógos” (= La vera dottrina, o discorso della verità) contro i cristiani e la religione cristiana.  Del testo se ne conosce soltanto una parte, ricostruita tramite la confutazione che ne propose il teologo  cristiano Origine nel secolo successivo nel testo titolato “Contro Celso”, che ne contiene ampi stralci per confutarli.

Celso evidenzia le discussioni e le divisioni in molte famiglie a causa delle conversioni femminili. In particolare denuncia la scelta di numerose donne aristocratiche di sposarsi con uomini della stessa fede cristiana, trascurando le differenze economiche e sociali.
La frequenza delle conversioni al cristianesimo di donne di agiata condizione economica determinò il provvedimento di papa Callisto  I (pontificò dal 217 al 222) che permise alle ragazze e alle vedove appartenenti a famiglie senatorie, che non volevano decadere dalla loro condizione sposando uomini di classi sociali inferiori, l’unione anche con schiavi, purché cristiani, dando preferenza a queste relazioni vietate dal diritto romano, disapprovate dalla tradizione e tollerate solo nel concubinato.
L’audace scelta delle aristocratiche cristiane ebbe come conseguenza l’esistenza fatta di rinunce: sessuale, matrimoniale e materna.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 18, 2016, 09:05:46
C’erano uomini e donne che preferivano morire anziché rinnegare la loro fede cristiana. Nella comune religione non aveva rilevanza essere schiavo o libero, aristocratico o plebeo, maschio o femmina. Tutti potevano accedere alla “grazia del martirio”, eliminato nel IV secolo. Nel 380 l’imperatore Teodosio I  impose  il cristianesimo come religione di Stato dell’impero romano e da allora il potere dei vescovi,  esponenti del potere della Chiesa, andò crescendo con la “Prammatica sanzione” voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano I, nel 554. 

Nel contempo avanzava il processo di definizione dell’identità del cristianesimo tramite l’incontro-scontro con la cultura ebraica, dalla quale proveniva, e si distaccava. Dalla filosofia greca prese gli strumenti concettuali per formulare le proprie verità di fede, mentre della giurisdizione romana usò la parte normativa del vivere sociale, compreso il sistema familiare basato sui rapporti patriarcali, gerarchici. 

La cultura della superiorità maschile nei confronti delle donne fu condivisa sia dai cosiddetti “Padri della Chiesa” sia da altri autori cristiani, predominati dalla filosofia greco-romana e da alcuni brani biblici. Essi furono concordi nel considerare la donna subalterna all’uomo ed inadeguata a svolgere ruoli di potere. L’infirmitas mulieris, la “debolezza della donna”, fu il pretesto per ribadire l’imperfezione e l’insufficienza della natura della donna, nata per essere subordinata all’uomo. Ma nelle famiglie aristocratiche e nelle case regnanti le donne (mogli e madri)avevano  poteri reali come vicarie del pater familias e tutrici, impegnate in fondamentali ruoli di salvaguardia degli interessi economici, sociali e politici delle famiglie e delle dinastie.

La creazione di Eva dalla costola di Adamo (Gen 2, 21), l’essere sedotta dal serpente (Gen 3, 1 – 6) e la sua punizione (“sarai a lui sottomessa”, Gen 3, 16)  interpretati letteralmente, costituirono gli elementi basilari  per un’esegesi funzionale alla gerarchia sessuale.
 
Anche se per Agostino, vescovo di Ippona, maschio e femmina sono creati ad immagine di Dio e con uguaglianza spirituale, la formazione del corpo indica la subordinazione della donna ed innesta tra i due sessi una relazione di dominio-obbedienza. L’uguaglianza davanti a Dio affiancata dalla disuguaglianza nell’ordine della natura: una subordinazione, dunque, secondo Agostino, voluta da Dio.

Le considerazioni sulle donne dipendevano anche dalla valutazione negativa della sessualità da parte della religione cristiana, orientata alla castità. Il dominio del desiderio sessuale era determinante per la degna vita di fede, che nella verginità e nella continenza matrimoniale trovava la strada per la corretta interpretazione del volere divino. L’orientamento ostile verso la sessualità indusse a difendere la verginità come valore prioritario. Agostino considerò positivo il coito nel matrimonio ma, secondo lui, doveva essere finalizzato alla procreazione.

La sessualità coniugale era considerata rimedio al desiderio sessuale (remedium concupiscentiae) e sottoposta a rigidi calendari, con periodi di astinenza collegati alle funzioni fisiologiche della donna (mestruazioni, gravidanza, parto, allattamento) e ai periodi liturgici (Quaresima, Avvento, Pentecoste e feste religiose).

Nei libri penitenziali (secoli VI – XI) ci sono numerose indicazioni rivolte ai peccati della fornicazione (masturbazione, adulterio, pratiche anticoncezionali, aborto), con severe penitenze, alcune delle quali duravano vent’anni.

La sessualità fu l’ossessione del cristianesimo. Il rifiuto del mondo da parte del clero passava ed ancora dovrebbe passare attraverso la negazione dell’eros.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 19, 2016, 09:35:28
Dal IV secolo il processo di gerarchizzazione e sacralizzazione del clero diventò più marcato.

Oltre alla pratica di ordinare uomini sposati, c’erano richieste di vivere in castità con la moglie o di allontanarla e rinunciare al matrimonio.

Nel 306 il sinodo di Elvira (l’attuale Granada, in Spagna) decise il divieto di rapporti sessuali ai preti, pena la deposizione (canone 33); tale divieto fu ribadito nel 385 da papa Siricio, affermando la necessità della castità per il clero a motivo della purificazione rituale necessaria per il servizio liturgico (Lettera al vescovo Imerio). L’astinenza dai rapporti sessuali era necessaria perché il coitus era considerato impuro. 

In Occidente gli interventi disciplinari furono più rigidi e mirati all’imposizione della castità, invece in Oriente furono meno drastici.
Nel 325 il Concilio di Nicea proibì al clero la coabitazione con  le donne di servizio, “ a meno che non sia madre, sorella, zia o persona al di sopra di ogni sospetto” (canone 3). Ovunque, però, si sollevarono obiezioni e dissensi. Per esempio, il filosofo Sinesio di Cirene, eletto vescovo di Tolemaide nel 410, alla richiesta di rinunciare alla moglie, rispose negativamente: “Ho una moglie concessami da Dio, dalla legge, dalla sacra mano di Teofilo. Dichiaro pubblicamente e chiamo tutti a testimoni che non intendo essere separato da lei né convivere con lei di nascosto come un adultero, perché la prima ipotesi sarebbe empia, la seconda illecita” (epistola 105).

Anche  il clerico Ponzio Anicio Paolino, discendente di illustre famiglia senatoriale e consolare,  non rinnegò la moglie Therasia, donna ricca e bella. Lei era cristiana e battezzata, e lo convertì al cristianesimo. Nel 389 a Bordeaux fu battezzato dal vescovo Delfino e nel 394 a Barcellona ricevette l’ordinazione sacerdotale. In seguito i coniugi si trasferirono in Italia, dove entrambi decisero di dedicarsi alla vita monastica. A Cimitile, nei pressi di Nola (luogo dove Paolino aveva già soggiornato quanto era stato governatore della Campania) fondò un cenobio maschile ed uno femminile, noti all’epoca per la vita di preghiera e per l’assistenza ai poveri.  Nel 409 Paolino fu consacrato vescovo di Nola.

Queste esperienze diffuse di preti sposati e i ripetuti decreti che si susseguirono nell’alto medioevo, tramite concili regionali che ribadirono le disposizioni per il celibato ecclesiastico, indicano l’esistenza di differenti casi di vita con le donne, il rifiuto e la violazione di tali norme.

L’insistenza di allontanare il clero dalle donne era dovuta a diverse motivazioni:
la purezza, simbolo della superiorità e sacralità sacerdotali, non poteva essere contaminata nel rapporto con l’impurità delle donne e del sesso;
il monachesimo, con la scelta di vivere in austerità e castità, era il modello da imitare. I monaci erano entrati nelle gerarchie della Chiesa ed imponevano il proprio stile di vita rigoroso.

Vivere una vita casta significava rispettare norme (imposizioni giuridiche), controlli sulla sessualità  (confessione), accompagnati da un’impalcatura teologico-morale basata sul senso di colpa e sul peccato dovuto alla trasgressione.

La castità e la purezza richieste al clero allontanava le donne sia da ruoli sacramentali sia da posizioni di potere, ma ci sono testimonianze dell’esistenza fino all’VIII secolo di “presbitere” ed “episcope”, titoli questi che evocano lo status di mogli di preti o di vescovi, ed indicano anche una loro collocazione ecclesiale nell’esercizio del ministero sacerdotale o dell’amministrazione dei beni della Chiesa.
Gregorio di Tours (Historia Francorum) e Venanzio Fortunato (Carmina), ad esempio, narrano di mogli influenti in Gallia nella vita dei loro mariti vescovi e attive nella gestione della vita ecclesiale. A tal riguardo papa Gelasio I, che pontificò dal 492 al 496, espresse il suo disaccordo: “…la mancanza di rispetto verso le cose sacre è giunta a tale livello da tollerare che le donne amministrino sui sacri altari e che un sesso al quale non compete tratta tutte le materie che sono state affidate alla sola cura degli uomini (Decretale 26).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 20, 2016, 10:42:27
Pur sostenendo la liceità del matrimonio alcuni Padri della Chiesa sia in Occidente (Ambrogio, Agostino, Girolamo) sia in Oriente (Clemente Alessandrino, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo) furono i paladini della verginità, ponendola al primo posto nella gerarchia dei valori.

I testi sulla verginità del vescovo di Milano Ambrogio (tra il 377 ed il 394), l’Orazione funebre per Gorgonia, sorella di Gregorio di Nazianzo (nel 370), la “Vita di Macrina”, elaborata dal fratello Gregorio di Nissa (nel 380), le 17 lettere inviate dall’esilio alla diaconessa Olimpia da Giovanni Crisostomo (nel 400 circa), alcuni scritti di Gregorio Magno (fine VI secolo) offrivano alle donne ideali di vita, modelli in cui riconoscersi.

La verginità era considerata di livello superiore sia alla vita casta della vedova sia a quella della sposa, ma anche questa invitata all’astinenza.

Per Ambrogio la perennità della scelta verginale riscattava con “forza virile” la femminilità debole e peccaminosa. Nel 377 nel suo trattato “Sulle vergini” dedicato alla sorella Marcellina, questo vescovo annota che alla prozia paterna Sotere, martire nel 303 durante l’impero di Diocleziano, durante l’uccisione le fu risparmiato il  velato viso dallo schiaffeggiamento, considerato un affronto al pudore. Ella, come sfida, “Si scoprì il volto  per il martirio”, mentre di solito la martire rimaneva velata anche se il suo corpo era sottoposto a tormenti. Nello stesso anno, il 377, il vescovo Ambrogio pubblicò un altro trattato, riguardante “Le vedove”; nel 386-87 pubblicò “La verginità”, influenzato da Origene e da Gregorio di Nissa; nel 392 pronunciò l’omelia “L’educazione della vergine” ed, infine, nel 394 scrisse “Esortazione alla verginità”. 

Un argomento ricorrente negli scritti di Ambrogio in favore della verginità è l’ostilità al matrimonio per via della posizione subordinata della donna, che poteva emanciparsi solo rifiutando ufficialmente di affidarsi alla tutela di un uomo, cioè facendo voto di verginità. Ambrogio paragona la nubile a una schiava che si vende sul mercato al miglior offerente, avendo al collo una collana d’oro o di perle invece del collare di ferro delle schiave. Emerge dalle sue considerazioni una visione drammatica della società alla fine dell’impero, dove il senso di precarietà esistenziale dovuto a fattori negativi come le guerre ininterrotte, la pressione dei barbari, il calo di natalità, la recessione economica, spingevano sia i più deboli socialmente che i più evoluti culturalmente a cercare solidarietà anche al di fuori del gruppo parentale.

Nel 383 l’imperatore Graziano, su pressione di Ambrogio, emanò una legge che permetteva tra l’altro alle donne che si consacravano a Dio, vergini o vedove, di ricevere la dote o di portare con sé l’eredità, perché lo sposalizio in Cristo era considerato un matrimonio a tutti gli effetti. La cerimonia della velazione, che si svolgeva alla vigilia di Natale e di Pasqua, era strutturata come un matrimonio: durante la Messa, dopo il sermone, il vescovo prendeva il velo dall’altare, dove era stato collocato per essere santificato e lo metteva sul capo della vergine.

Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, atteggiamento umile erano gli elementi che costituivano lo scenario della vita quotidiana riservato alle donne che emerge dalle “Lettere” di Girolamo, divenuto nel 382 la guida spirituale del gruppo ascetico delle donne aristocratiche residenti sulla collina dell’Aventino, a Roma. La “Lettera 22” da lui indirizzata alla romana Eustochio nel 383, con i suoi richiami alla necessità di una vita ritirata ed austera, offre un quadro significativo dei pericoli che insidiavano la donna. Con la scelta monastica poteva sottrarsi alle decisioni parentali e ai pericoli del matrimonio: “Il seno che ingrossa, il bimbo che vagisce, le rivali che ti fanno dannare, le faccende domestiche che non lasciano un attimo di quiete, e tutti quei beni che si credono sorgente di felicità, ma che pensa la morte a portar via” (Epistola 22, 2).

La scelta monastica veniva presentata come occasione di riscatto per la donna, che così si rendeva indipendente dai legami familiari, si sottraeva agli obblighi matrimoniali ed era libera dalle necessità della procreazione.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Ottobre 28, 2016, 06:04:37
Atanasio,  vescovo di Alessandria d’Egitto dal 328 al 373, con varie interruzioni, la Chiesa cattolica lo considera uno dei 36 “dottori della Chiesa”. Fu lui uno dei primi ad introdurre a Roma le suggestioni dell’ascetismo egiziano. Tra il 341 ed il 343 fu ospite nella casa della vedova Marcella che, nel suo palazzo sull’Aventino (uno dei cosiddetti 7 colli di Roma) aveva accolto altre donne (Asella, Paola, Eustochio) dedite alla preghiera, allo studio e all’ascetismo ma non alla vita monastica.

Fino al IX secolo la religiosità cristiana femminile veniva espressa in modo differenziato: dall’eremitismo alla vita cenobitica, dall’isolamento domestico alla coabitazione con comunità maschili, da piccoli gruppi spontanei riuniti intorno ad una “magistra” a comunità monastiche più strutturate. I diversi contesti sociali consentivano maggiore o minore libertà e le molteplici esperienze creavano l’esigenza di norme da osservare per le specifiche esigenze spirituali.

Tra il IV ed il VI secolo Agostino vescovo di Ippona, Basilio vescovo di Cesarea, ed il monaco egiziano  Pacomio (fondatore del monachesimo cenobitico) elaborarono norme scritte per il monachesimo cenobitico maschile e femminile. Ma la prima “Regola” dedicata alle donne fu elaborata nel 513 in Gallia da Cesario di Arles per la sorella Cesaria (“Regula ad virgines”), che governava un monastero e per il quale chiedeva, tra l’altro, la clausura come garanzia di stabilità. Tale Regola superò l’ambito locale ed influenzò il monachesimo fino all’affermazione della Regola benedettina, conosciuta come “Sancta regula”, del 534, che dall’epoca carolingia del IX secolo prevalse in Occidente.

Benedetto da Norcia fece confluire nella sua “Regula” le precedenti normative ed ispirazioni di vita monastica riservata agli uomini, nonostante la sorella Scolastica fosse consacrata a Dio fin dall’infanzia. A lei, comunque, tradizionalmente si fa risalire l’origine del ramo femminile dell’Ordine benedettino, ma solo con la riforma del monaco Benedetto di Aniane la Regola venne introdotta in tutti i monasteri femminili per decisione del Concilio di Aquisgrana nell’817. Tale Regola venne criticata dopo due secoli dalla badessa Eloisa (1101 – 1164) perché compilata da uomini che non tennero conto delle specifiche esigenze del corpo e della spiritualità femminili. A loro ci pensò Chiara d’Assisi nel 1253 con la “Forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere”, una Regola scritta da una donna per le donne.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 02, 2016, 10:08:42
Nei primi secoli del cristianesimo per le donne c’erano tre diversi Ordini nell’ambito ecclesiale: Ordo virginum (Ordine delle vergini), l’Ordo viduarum (Ordine delle vedove) e le diacone o diaconesse.

L’Ordo virginum e l’Ordo viduarum erano forme di vita consacrata. La loro presenza è attestata nelle prime comunità cristiane  (lCor 7,17-8,25; At 21,9).

Il carisma dell’Ordo Virginum ha le sue radici nei primi quattro secoli del cristianesimo. Nel Canone Romano sono menzionate alcune delle prime vergini cristiane: Sant’Agata, a Catania; Santa Lucia, a Siracusa; Sant’Agnese e Santa Cecilia, a Roma; Santa Cristina, a Bolsena; ecc.

Fino al Concilio di Nicea, nel 325,  le vergini vivevano nelle loro  case dedite al culto divino, poi, dal VI secolo cominciarono a riunirsi in comunità monastiche o a partecipare nei movimenti di vita evangelica senza consacrazione pubblica e solenne. Successivamente la funzione dell’Ordine delle Vergini fu ritenuto superfluo ed abbandonato. 

Dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II la consacrazione a Dio si esprimeva all'interno delle varie famiglie religiose o in forma privata. Il Concilio Vaticano II ripristinò per gli uomini il diaconato permanente e per le donne l'Ordine delle Vergini, riconoscendo  il carisma di una vita consacrata.

Il 31 maggio 1970, festa della Visitazione della Vergine Maria, la Sacra Congregazione per il Culto Divino per mandato del pontefice  Paolo VI promulgò il rito della consacrazione delle vergini: “Ordo consecrationis virginum”. Nello stesso anno si svolsero le prime consacrazioni nelle diocesi di Vicenza e Roma, successivamente in altre. La celebrazione del rito in quegli anni si svolgeva in forma riservata in una delle cappelle laterali delle chiese. Negli anni ’90 la “consecratio virginum” venne accolta in molte diocesi con la celebrazione davanti l’altare maggiore nelle parrocchie, nei santuari o  nella cattedrale.

Dal vescovo diocesano vengono consacrate con rito liturgico ed unite in mistiche nozze a Cristo-Dio. Il rito prevede l’eventuale consegna  del velo alla donna, l’anello sponsale con Gesù Cristo, e il libro della liturgia delle ore. Esse non sono monache o suore, non vivono nella comunità monastica o conventuale, non hanno una struttura gerarchica, non hanno obblighi di vita comunitaria, non pronunciano voti ma promettono la loro verginità, dipendono dal vescovo e svolgono diverse mansioni al servizio della Chiesa. Il loro Ordine è riconosciuto dal Diritto Canonico.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 04, 2016, 06:03:20
La vedovanza è  citata varie volte nella Bibbia.

L’Antico Testamento narra di vedove con problemi economici e di solitudine. E’ il caso di Tamar, vedova di Onan, che ritorna alla casa del padre (Gen. 38);
della vedova di Tekòa (2 Sam. 14);
di Noemi, moglie di Elimelec e suocera di Rut la moabita (Rut, 1, 1 ss.);
della stessa Rut che invitata dalla suocera a risposarsi,  per obbedienza sposa Booz e diviene antenata di Davide da cui nascerà il Messia (Rut 3,1ss.).
La vedova di Zarepta,  che in occasione della siccità incontra il profeta Elia e mostra doti di generosità, in seguito premiate con il miracolo della risurrezione del figlio morto (1Re 17,10-24).
La vedova Giuditta (Giud. 8,2-8) vissuta in castità.

Nel Nuovo Testamento è citata la vedova e profetessa Anna, elogiata per la sua castità e la perseveranza nel pregare (Lc 2,36-38). 

Dai vangeli di Marco e Luca sappiamo che Gesù consolava e lodava le vedove che incontrava (Mc 12,43;  Lc 7,13).
Seguendo l’insegnamento del messia la Chiesa dei primi secoli del cristianesimo cercò di occuparsi delle necessità delle vedove (At 6,1). Se non hanno più parenti (1 Tm5,16), la comunità cristiana deve prendersene cura, come esige la vera pietà (Gc 1,27).

Paolo di Tarso
per evitare pericoli di cattiva condotta delle giovani vedove, in alcune sue lettere auspica per loro un secondo matrimonio se non riescono a vivere in castità (1 Cor. 7, 9 – 39; 1 Tim. 5, 13 – 15), altrimenti è meglio rimanere caste vedove come opportunità che apre all’azione di Dio.

Il teologo Girolamo, Padre e dottore della Chiesa, nel “De viduitate servanda” consiglia preghiere, rinunce ed offerte finanziarie alle ricche ed aristocratiche vedove sue seguaci abitanti a Roma. Queste donne avevano  formato dei gruppi di studio della Bibbia e di preghiera collettiva. Una di loro si chiamava  Melania, ricca gentildonna di origine spagnola. Le erano morti due figli ed era rimasta vedova in giovane età. Decise di non risposarsi ed affidò ad un tutore l’unico figlio vivente per dedicarsi alla vita religiosa. 

Agostino, vescovo di Ippona, nel “De bono viduitatis” consiglia il voto di castità alle donne cristiane vedove.  La pia continenza, dice Agostino, è grazia di Dio che si ottiene con la preghiera e la lettura della Sacra Scrittura come nutrimento dell’anima.

Le vedove consacrate che contraevano seconde nozze venivano considerate scomunicate.

Pure il vescovo di Milano, Ambrogio, scrisse un trattato sulle vedove, il De Viduis ove illustra i meriti della viduità (vedovanza)  accettata per amore di Dio. 

Dal VI secolo cadde in disuso la consacrazione delle caste vedove dedite al servizio della Chiesa.

Dopo circa 15 secoli, nel 1957, il pontefice Pio XII in occasione di un congresso dedicato all’infanzia orfana di padre (anche a causa della seconda guerra mondiale),  rivolse alle vedove un messaggio di speranza, poi utilizzato nel Concilio Vaticano II e successivamente dal pontefice Giovanni Paolo II per l’esortazione apostolica “Vita consecrata” ( ripeto: “consecrata”, non “consacrata”), pubblicata il 25 marzo 1996. Nel paragrafo 7 di questo documento si evidenzia che: “Torna ad essere oggi praticata anche la consacrazione delle vedove (Ordine delle vedove = Ordo viduarum), nota sin dai tempi apostolici (cfr. 1 Tim. 5, 5. 9-10; 1 Cor 7,8), nonché quella dei vedovi. Queste persone, mediante il voto di castità perpetua quale segno del regno di Dio, consacrano la loro condizione per dedicarsi   alla preghiera e al servizio della Chiesa”.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 05, 2016, 16:11:59
Per  la Bibbia il matrimonio è molto più di una convenzione sociale: è un’unione sacra tra un uomo ed una donna.

Nell’Antico Testamento c’è scritto che “Dal principio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina.  Per questo motivo l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne” (Genesi 2: 24).
Prima di dare una moglie al primo uomo Dio disse: “Non è bene che l’uomo stia solo. Gli farò un aiuto come suo complemento”. (Genesi 2, 18). E Dio creò la donna per essere il complemento dell’uomo.

Nel Nuovo Testamento: "In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”  Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 3 - 6).

Dell'indissolubilità del matrimonio ne parla anche l'evangelista Marco (10, 1 - 12) e l'aposto Paolo nella Lettera agli Efesini (5, 22 - 32).

 La Chiesa dei primi secoli aveva una propria idealità etico-religiosa della vita matrimoniale, ma non aveva una propria  tipologia di matrimonio. Consentiva ai fedeli di sposarsi secondo il diritto romano o secondo le regole o le consuetudini dell’ambiente sociale in cui vivevano, eliminando però il sacrificio animale agli dei, l’aruspice e gli eccessi del corteo nuziale. L’haruspex fu sostituito dal presbitero, che si limitava a benedire gli sposi, che esprimevano la loro volontà di essere marito e moglie. Il cristiano poteva sposare una pagana e viceversa. Successivamente, però, la Chiesa proibì i matrimoni misti.

Per il diritto romano il matrimonio era un atto privato fra due individui. Era necessario il consenso alle nozze espresso dagli sposi come fatto costitutivo dello sposalizio, che aveva effetti civili. I cristiani si sposavano senza la presenza del sacerdote. Se era presente nella comunità, si limitava a benedire il letto coniugale o il tavolo del pranzo nuziale.

Le nozze ed il convivio di solito si espletavano in casa, ed anche in Palestina, dove Gesù, a Cana di Galilea, proprio in occasione di un matrimonio ebbe modo di compiere il suo primo miracolo : la tramutazione dell’acqua in vino. L’evento è narrato nel Vangelo di Giovanni.
Con lo sviluppo  delle comunità cristiane aumentò la cura pastorale della Chiesa per il matrimonio. Vennero proibite le nozze tra individui legati da alcuni gradi di consanguineità o di affinità,  quelle tra cristiani ed ebrei e  tra cristiani e pagani.

Tertulliano non ammetteva che un cristiano potesse sposare una persona che non conoscesse Gesù Cristo (cfr. A uxorem II,2; De corona 13). E qualificando i matrimoni misti come veri e propri “stupra”, invitava le vedove che avessero voluto sposarsi a seguire l’insegnamento dell’apostolo Paolo (1 Cor. 7,12-16) e ad unirsi in matrimonio soltanto con un uomo cristiano. Analogamente Cipriano ribadì i termini del divieto del “matrimonium cum gentilibus non iungendum”; egli associava i matrimoni misti ai peccati carnali e li riteneva una delle cause principali delle persecuzioni contro i cristiani.

Nel 314 al Concilio di Arles venne decisa la scomunica per le ragazze cristiane che sposavano i pagani. Scomunica confermata nei Concili di Laodicea (343) e di Ippona (393).

Nel IV secolo ci furono altri sfavorevoli ai matrimoni misti. Il vescovo di Milano, Ambrogio, esortava a condannare i matrimoni misti, qualificandoli come non veri sul piano teologico. Tuttavia la questione della validità delle unioni miste era ancora aperta nel V secolo, visto che Agostino, pur mettendo in risalto i pericoli che potevano comportare, evidenziava chiaramente che non erano proibite nel Nuovo Testamento e non potevano essere ritenute in alcun modo viziose (cfr. De fide et operibus 21). Certamente il fatto che nei primi secoli gli obblighi del matrimonio derivanti dalla fede non siano stati compresi nello stesso modo da tutti gli autori cristiani dimostra che nelle diverse situazioni contingenti nelle quali la Chiesa si venne a trovare non sempre vennero ritenute vincolanti le coeve deliberazioni conciliari.

Agostino fu il primo teologo a considerare il matrimonio un sacramento istituito da Cristo. Nel  “De nuptiis” (11) e nel “De bono coniugali”(24, 32) scrisse che lo sposalizio è giustificato da tre funzioni: proles (procreare i figli), fides (essere fedeli per evitare l’adulterio) e sacramentum: l'indissolubilità del matrimonio come unione divina voluta da Dio fin dall’inizio del creato.
Agostino pur affermando l’uguaglianza spirituale tra maschio e femmina, ribadì la sottomissione della donna al marito. A Ecdicia ricordò i doveri della moglie: “Alla moglie non è lecito dire: ‘Del mio faccio quel che voglio’, dal momento ch’essa non appartiene più a se stessa, ma al suo capo, cioè al marito”, perciò deve essere a lui sottomessa, come fece l’obbediente Sara che chiamava il marito Abramo: “mio signore” (1Pt 3, 5 – 6).

Nel IV secolo emerse anche l’esigenza di accompagnare la celebrazione del matrimonio con atti di significato religioso: preghiere, benedizione degli sposi, Messa nuziale, per la quale vennero elaborati i primi testi liturgici. E vennero consolidati due importanti valori, quello della fedeltà coniugale e quello dell’indissolubilità del matrimonio:

il patto di fedeltà, imposto senza distinzione all’uomo ed alla donna, era molto innovativo in quel tempo, perché instaurava un principio di parità tra i due sessi;

l’indissolubilità del vincolo coniugale impegnava ed impegna gli sposi cristiani a restare uniti per tutta la vita, non consentendo loro di utilizzare le possibilità di divorzio offerte dalle legislazioni dell’epoca.

Nell’VIII secolo la Chiesa d’Oriente considerò legittimo il matrimonio tra cristiani solo se celebrato in chiesa alla presenza del sacerdote e con la benedizione nuziale. Tale modalità si estese anche in Occidente.     

Dall’ epoca carolingia cominciò ad espandersi la tendenza di ridurre ad un’unica occasione sponsalia e nozze alla presenza di un sacerdote e di due testimoni.

Nell’XI secolo il matrimonio non è più un istituto regolato dalle leggi civili, ma è sottoposto, in ogni suo aspetto, al diritto e all’autorità della Chiesa. Il diritto canonico stabiliva i requisiti necessari per la validità del matrimonio; fissava e disciplinava i diritti e gli obblighi derivanti dallo stato coniugale. L’autorità ecclesiastica risolveva controversie riguardanti lo stato matrimoniale delle persone, all’autorità civile, invece, era demandata la regolamentazione degli aspetti economici, che non incidono sul vincolo coniugale.

Nel XII secolo la Chiesa d’Occidente stabilì per le nozze due fasi, con la presenza del presbitero. La cerimonia introduttiva veniva svolta sul sagrato della chiesa, dove la coppia esprimeva la volontà di sposarsi. I due dovevano parlare a voce alta, per evitare le unioni combinate dalle famiglie contro la volontà dei nubendi. Dopo il pubblico annuncio del consenso i due sposi entravano in chiesa fino all’altare, dove il sacerdote, alla presenza di due testimoni di nozze, celebrava la Messa nuziale ed impartiva la benedizione

Nel 1215 la parte liturgica del matrimonio fu regolamentata dal Concilio Lateranense IV, mentre nel 1439 il Concilio di Firenze disciplinò gli aspetti giuridici. In occasione del Concilio Lateranense IV la Chiesa cattolica per la prima volta impose l'uso delle pubblicazioni per evitare i matrimoni clandestini o le convivenze di fatto. Inoltre, fu solennemente proclamato che il matrimonio tra cristiani è un sacramento.

La Riforma protestante contestò la natura sacrale del matrimonio. E Martin Lutero considerò ammissibile il dìvorzio nei casi di infedeltà, impotenza, rifiuto di rapporti sessuali, ed abbandono. Egli difese la possibilità di nuove nozze per il partner offeso.

Filippo Melantone, discepolo di Lutero, limitò il divorzio all'infedeltà ed all'abbandono. Anche i riformatori Calvino e Beza permisero il divorzio dopo l'adulterio del partner.

Per reazione alla liberalità protestante, nel 16/esimo secolo la Chiesa cattolica nel Concilio di Trento fece elevare a legge canonica l'indissolubilità del matrimonio cristiano. Divorzio e nuove nozze furono ufficialmente banditi anche nei casi di adulterio.

Questa situazione di “monopolio” ecclesiastico sul matrimonio cominciò ad incrinarsi con la ripresa ed il rafforzamento del potere statale, che si delineò all’inizio dell’età moderna. Al sistema giuridico canonico della Chiesa si cercò di affiancare le prescrizioni tendenti a salvaguardare determinati interessi di ordine sociale.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 17, 2016, 07:13:26
Dal secondo al quarto secolo della nostra ci furono dibattiti cristologici  per affermare Gesù = Dio, che si è “incarnato” come Figlio di Dio nascendo da donna. E Maria, madre di Gesù Cristo e vergine per volere divino,  divenne oggetto di devozione e culto da parte dei cristiani, coinvolgendo la liturgia, l’arte e la letteratura.

Maria ponendosi al servizio di Dio, permette l'entrata nel mondo di Gesù il “salvatore”  (Lc 1, 38).

Maria la “theotòkos”:  = “colei che genera Dio”, più brevemente in italiano “Madre di Dio”; in latino “Deipara” o “Dei genetrix”. Il titolo onorifico di “theotòkos” le fu dato il 22 giugno del 431 durante il Concilio di Efeso.

La maternità di Maria garantisce l’umanità di Cristo; la sua verginità (prima e durante il parto) per volere di Dio ne tutela la divinità. Per i teologi la concezione ed il parto di Maria sono miracolosi, non corrompono la sua verginità carnale. Quindi niente travaglio, né cordone ombelicale da recidere.

Nell’alto medioevo nelle scuole carolingie e nell’ambito monastico venne esaltata la perpetua verginità di Maria, l’assenza in lei del peccato originale.  I teologi elaborarono “verità” dottrinali per tutelare l’inviolabilità della purezza di Maria. Indicata come esempio di virtù, la sua verginità divenne modello per la Chiesa e per le donne consacrate. Anche per gli uomini consacrati Maria è l’ideale mistico di donna.

Maria, secondo la Chiesa, partecipa, anche se in forma subordinata, alla vittoria di Cristo sul peccato.

In alcuni concili del periodo tardo antico e altomedievale,  indetti  anche per confutare le eresie cristologiche che negavano l’umanità di Cristo (monofisismo) o lo separavano dalla divinità (nestorianesimo) si discusse del ruolo di Maria nell’ambito della cosiddetta “salvezza”.

Salvezza da cosa ? Nel Nuovo Testamento per  “salvezza” (in latino salus, da cui deriva anche “salute”) s’intende la liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze temporali ed eterne,  anche se il suo compimento è escatologico: riguarda i destini finali dell’umanità e dell’universo. 

La salvezza si ottiene solo tramite Gesù, perché è il Figlio di Dio incarnato, secondo il vangelo di Giovanni (3, 16). E per il credente la salvezza diventa realizzabile tramite lo Spirito Santo, che nella tradizione cristiana è lo Spirito di Dio.

I monaci di Cluny  (secoli XI – XII)  e gli scritti di Bernardo di Chiaravalle su Maria  favorirono la devozione mariana, con attenzione specifica al suo ruolo di mediatrice di “salvezza”. 

Nella preghiera dell’Ave Maria viene invocata come “Madre di Dio”, come tale è oggetto di devozione e culto da parte della cristianità.
 
La religione cristiana celebra ogni anno a Natale la nascita di Gesù, incarnazione di Dio, ma nell’iconografia e nell’arte non ci sono rappresentazioni del momento della nascita di Gesù: viene raffigurata solo la gravidanza di Maria, come nella famosa “Madonna del Parto” affrescata nella metà del Quattrocento da Piero della Francesca a Monterchi, in provincia di Arezzo, nella cappella di Santa Maria di Momentana. L’affresco è ora conservato in un museo locale.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/10/Madonna_del_parto_piero_della_Francesca.jpg/350px-Madonna_del_parto_piero_della_Francesca.jpg)
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 24, 2016, 12:06:12
Ascetismo: è una parola di origine greca, significa “esercizio”, riferita nell’antichità all’allenamento degli atleti per acquisire le doti corporee per vincere. Il termine fu  poi ampliato di significato dai filosofi cinici e stoici per indicare l’educazione spirituale per dominare le passioni.

Le pratiche ascetiche inducono alla svalutazione corporea tramite solitudine, rinunce, astinenze, digiuni, repressione del desiderio sessuale (scambiato per diavolo tentatore), flagellazioni, ecc.,  al fine di raggiungere la spiritualità: questa non è collegata ad una religione, ma la pratica spirituale induce alla trascendenza, alle domande esistenziali  sul significato della vita e della morte.

Nell'individuo convivono due “nature”: quella materiale e quella spirituale. Chi considera soltanto la realtà materiale, apparente, vive soltanto nel mondo, invece la realtà spirituale, non dimostrabile, è uno stato del nostro Essere interiore.

La spiritualità deriva dall’esperienza religiosa  del credente che prega e cerca continuamente la volontà di Dio su di lui.

L’ascetismo può essere  “intramondano” od “extramondano”. L’ascetismo terreno è quello praticato da persone ascetiche che vivono ed operano nella quotidianità. L’ascetismo “ultraterreno” è quello attuato da persone che  preferiscono l’isolamento, come gli eremiti, o nel ritiro in una comunità cenobitica, come i monaci.  E' noto, per esempio, l’eremita Antonio (il calendario lo commemora il 17 gennaio: sant’Antonio abate), che visse in Egitto,  ma c’erano anche le donne, cosiddette “Madri del deserto” (ammas), come Sincletica (266 – 350), Maria, sorella di Pacomio (fine del III secolo), Teodora di Alessandria d’Egitto (fine del IV secolo). La loro scelta di vita solitaria attrasse altre donne che poi confluirono nel monachesimo femminile.
 
Fra le motivazioni che inducevano le donne verso la vita ascetica  c’erano le dure condizioni reali e le difficoltà che incontravano nella quotidianità dei rapporti con gli uomini. Nel contesto coniugale i rapporti sessuali erano un dovere da sopportare con rassegnazione. La donna era obbligata ad avere rapporti sessuali, anche brutali, ogni volta che lo desiderava il marito, spesso imposto dalla famiglia e di età avanzata. Ogni coito, inoltre, poteva provocare una gravidanza e il parto significava sofferenza, spesso la morte. Alla partoriente non era risparmiata alcuna forma di dolore nel travaglio perché condannata ad espiare il peccato di Eva (il cosiddetto “peccato originale” (Genesi 3, 16). Le pratiche ostetriche potevano creare lesioni alla madre o mutilazioni al bambino; le emorragie e le infezioni puerperali causavano frequenti morti per parto. Anche gli aborti con l’uso di erbe e rischiose tecniche strumentali, causavano molte morti femminili. Non meravigliano, allora, le numerose testimonianze di ragazze che rifiutavano il matrimonio per aderire alla fede cristiana e di tante vedove che rinunciavano al secondo matrimonio per dedicarsi alla preghiera, al raccoglimento, alla carità e all’evangelizzazione. Per esempio la regina Radegonda (520 – 587), che  fuggì per sottrarsi a Clotario, marito assassino, e per fondare un monastero nel quale ritirarsi con altre donne nella vita consacrata come rifugio e sicurezza. Fattasi ordinare diaconessa dal vescovo Medardo, Radegonda fece del monastero di Poitiers un luogo di meditazione e pacificazione.

Le prime protagoniste della vita monastica in Occidente furono le nobili riunite a Roma intorno al cenacolo della vedova  Marcella (330 – 410), legate da amicizia spirituale e culturale con Girolamo (san Girolamo). La domus di Marcella era frequentata da vergini e vedove, preti e monaci per studiare la scrittura. Dopo il 373 divenne un luogo di propaganda monastica e di proselitismo con l’aiuto del vescovo e teologo Atanasio di Alessandria d’Egitto  (venerato come santo), che fece loro conoscere gli esempi di esperienza religiose alessandrine.

Col tempo il monachesimo femminile divenne una fenomeno sociale elitario, in particolare dall’epoca carolingia, per le figlie dell’aristocrazia, spesso obbligate. Alcune sceglievano la vita religiosa per obbedire alle strategie familiari, altre per scelta. Le donne di condizione umile vi entravano come “servitrices” (chiamate poi “converse); solo alle aristocratiche spettava il ruolo preminente di direzione.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Novembre 30, 2016, 06:39:24
Badessa: forma abbreviata di “abadèssa”: è la superiora di un monastero autonomo di monache.
Badessa deriva dal  tardo latino “abbatĭssa”, femminile di “abbas”,  cioè "abate".

Nel medioevo nei monasteri femminili le badesse ebbero potere, ruolo strategico e politico per rendere stabile e visibile il prestigio e l’autorità delle famiglie nobili da cui discendevano. Esse gestivano il potere economico, sociale e religioso nell’area territoriale di competenza. Per esempio,  la monaca Lioba, badessa del monastero di Wimborne, nel Wessex (Inghilterra),  fu anche consigliera alla corte di Carlo Magno. Dall’Inghilterra si trasferì in Germania, chiamata dal suo parente Bonifacio (san Bonifacio) e fu nominata badessa del monastero di Tauberbischofheim.

Nei monasteri femminili fra le varie mansioni si praticava  pure l’attività scrittoria. Le monache elaboravano codici, manoscritti, raccolte di preghiere, opere letterarie, come nel monastero  delle canonichesse di Gandersheim, nella Bassa Sassonia, in Germania. Di fondazione imperiale, questo monastero  non era soggetto all’autorità vescovile. Aveva un proprio esercito, un proprio tribunale, un rappresentante alla Dieta imperiale, la facoltà di coniare monete. Qui le canonichesse, figlie nubili dell’alta nobiltà, conducevano una vita pia. Avevano il privilegio di conservare il proprio patrimonio e non avevano l’obbligo della “professione solenne”: nella Chiesa cattolica significa l’emissione in perpetuo dei  voti religiosi (di povertà, castità ed obbedienza) da parte di chi entra in modo definitivo in un Ordine religioso.  Esse avevano libertà di movimento, di studiare ed avere scambi culturali anche con uomini.
Una delle canonichesse più conosciute dell'abbazia fu la badessa Roswitha (935 – 973) nota per essere stata la prima poetessa donna in lingua tedesca. Scrisse poemi storici, scritti spirituali e testi teatrali, nonché le “Gesta Ottonis” per celebrare la dinastia degli Ottoni.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/6e/Bad-Gandersheim-Stiftskirche-Seite-vorn.JPG/250px-Bad-Gandersheim-Stiftskirche-Seite-vorn.JPG)
Abbazia di Gandersheim

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/03/Bad_Gandersheim_-_Stiftskirche_-_Westwerk.JPG/220px-Bad_Gandersheim_-_Stiftskirche_-_Westwerk.JPG)
Facciata della chiesa abbaziale.

Le badesse erano vere e proprie sovrane nel territorio da loro amministrato. Avevano la giurisdizione  sul clero e sulle popolazioni locali. 
Nel monastero spagnolo di Las Huelgas, fondato nel 1187 dal re Alfonso VIII per volere della moglie Eleonora d’Inghilterra, la “domina abbatissa” aveva ampi poteri temporali e spirituali su territori della Castiglia e del Leòn: riceveva obbedienza e sottomissione  dai monaci, permetteva al clero di amministrare i sacramenti; lei stessa aveva il privilegio di battezzare, confessare e predicare; rilasciava licenze matrimoniali, aveva giurisdizione in materia giudiziaria, emetteva censure ecclesiastiche ed infliggeva scomuniche nell’ambito territoriale di competenza. In sintesi esercitava un’attività governativa, aveva il privilegio di confermare le badesse di altri monasteri e di convocare i sinodi.

Dopo il XII secolo molte funzioni delle badesse furono riservate solo al clero maschile, in linea con la ridefinizione del termine “ordinazione” e del ruolo del clero come unico mediatore della grazia di Dio.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 07, 2016, 06:20:18
Regine. Nel Medioevo la condizione di inferiorità sociale della donna era ratificata dagli ordinamenti giuridici, però la nobile che poteva esercitare il potere, che poteva esplicare la sua autorità, superava le norme giuridiche, le consuetudini.

Il potere femminile in molteplici espressioni, veniva elogiato o biasimato dai Padri della Chiesa o da altri cristiani  a seconda di come era esercitato: se per il bene della Chiesa o per danneggiarla. In quest’ultimo caso quel potere femminile veniva demonizzato, come nel caso della biblica regina Gezabele che introdusse nel regno di Israele il culto pagano.
Nella Tanakh Gezabele è una regina dell'antico Israele, la cui storia è narrata nel libro 1 dei Re.  Fu una principessa fenicia, figlia del re Ithobaal I di Tiro, che sposò il re ebreo Acab. Ella convinse il marito a disconoscere il Dio dei Giudei per dedicarsi alla venerazione di Baal, scatenando l'ostilità dei sacerdoti ebrei e del profeta Elia. Tale regina è  simbolicamente evocata come falsa profetessa nel giovanneo libro dell’Apocalisse (2,20): “Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli”. Essa evocò nel Medioevo un esempio negativo del potere femminile.

Al contrario, la madre dell’imperatore romano Costantino I, la regina Elena, fu considerata esempio della sovrana devota che conduceva alla fede cristiana, perciò fu proclamata santa.

Nel ruolo di guida nella fede ci furono nella Chiesa cattolica altre regine attive nell’evangelizzazione e conversione forzata di popoli cosiddetti “barbarici”: Clotilde (475 – 545) regina dei Franchi; Teodolinda (570 – 628) regina dei Longobardi; Adelaide di Borgogna (931 – 999) reggente del Sacro Romano Impero; si ritirò infine nel monastero di Seltz, in Alsazia, e dopo la morte fu venerata come santa dalla Chiesa cattolica.

Diversamente dalla tradizione dell’impero romano d’Occidente che, ostile al potere delle donne, le escludeva dalle cariche pubbliche, la cultura bizantina nell’Impero Romano d’Oriente ammetteva la regalità femminile: la moglie del re non solo condivideva la sovranità del marito, ma, se vedova, aveva la reggenza in attesa della maggiore età del figlio maschio e trasmetteva il potere con un nuovo matrimonio. Il principio dinastico, contrariamente alla monarchia militare elettiva presente nelle popolazioni barbariche, consentiva alle donne di esercitare il potere.

Nella società medievale basata sui rapporti parentali, il potere veniva concesso ad una famiglia dominante che riusciva a controllare, anche con la violenza, territori e città e si attuava con il passaggio dinastico da padre a figlio: le donne costituivano oggetto di scambi matrimoniali, indispensabili per la procreazione, trasmissione e conservazione del potere.
Come mogli dei sovrani le donne potevano svolgere il ruolo di reggenti o di vicarie  (consortes regni) quando i mariti erano impossibilitati a governare per assenza  dal regno o per malattia; in quanto madri, assunsero il potere come “madri tutrici”, in nome del figlio minore; in quanto figlie, succedevano al padre qualora non vi fossero stati fratelli.

Di governo femminile si hanno esempi dal IV secolo, quando Pulcheria (399 – 453) e Galla Placidia (386 – 450) guidarono gli imperi d’Oriente e di Occidente. Pulcheria in nome del fratello Teodosio II, Galla Placidia per conto del figlio Valentiniano III.

Anche nel periodo di transizione tra il dominio romano e quello barbarico (VI secolo) non fu inconsueto l’esercizio del potere femminile , in particolare da parte di madri tutrici di figli minori. Per esempio, Amalasunta (500 – 535), figlia del re ostrogoto Teodorico, alla morte del padre nel 526 regnò per otto anni per conto del figlio Atalarico, ancora minorenne, da lei stessa istruita nella complessa arte del governare. Procopio di Cesarea la descrive come donna che “tenne il comando con saggezza e giustizia, dimostrando nei fatti un temperamento mascolino” (La guerra gotica V, 2, 2-3). Morto Atalarico, Amalasunta sposò Teodato e lo associò al trono come “consors regni”; questi, però, nell’intento di rafforzare la propria posizione tra i Goti, avversi ad Amalasunta perché non tolleravano che fosse una donna a governare, la fece uccidere.

Teodora (502 – 548), moglie di Giustiniano ed imperatrice d’Oriente, considerata complice dei Goti nell’uccisione di Amalasunta, aiutò il marito nella gestione del potere con le sue capacità decisionali. Essa riuscì ad imporsi non solo nell’ambito politico ma anche religioso: favorì i monofisiti ritenendo utile mantenere compatto l’Impero romano d’Oriente.

Relativamente al cristianesimo bizantino è da evidenziare come Bisanzio si distinse per l’importanza attribuita al culto di Maria “Theotòkos” (= Madre di Dio) e per la possibilità di accesso delle donne al potere imperiale. L’imperatrice Irene (753 – 803), moglie dell’imperatore Leone IV, rimasta vedova nel  780, governò per dieci anni in nome del figlio Costantino VI, poi regnò insieme a lui per sei anni, fino al momento in cui lo fece deporre ed accecare. Governò da sola per altri cinque  anni. Fu la prima donna nella storia europea a ricoprire il ruolo di monarca  sovrano. Venne deposta nell’802 da una rivolta.

Carlo Magno, non riconoscendo il legittimo potere di Irene imperatrice bizantina, in quanto donna, si fece incoronare imperatore dal papa  nell’anno 800: in questo modo, nel contrapporsi ad Irene, contribuì al rifiuto in Occidente del potere femminile.

I papi non trascurarono i ruoli delle regine, consapevoli dell’influenza che potevano esercitare sui loro popoli. Papa Gregorio Magno cercò di influenzare l’imperatrice bizantina Costantina (560 – 605), la longobarda Teodolinda, la visigota Brunilde (545 – 613), le merovinge Berta (560 – 616) e Batilde (630 – 680).

Queste donne dalla forte personalità non esitarono a far torturare ed uccidere i loro oppositori. Far parte delle logiche del potere significò acquisirne i mezzi e renderli funzionanti agli interessi personali della famiglia e della Chiesa.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 12, 2016, 15:58:55
Il 15 luglio 1099 Goffredo di Buglione, a seguito della prima crociata, conquistò Gerusalemme, e diede origine ad un regno che durò  fino al 1291. Quei circa duecento anni videro la presenza di regine dalla energica personalità: Melisenda, Agnese di Courtenay, Sibilla, Maria Comnena, Isabella, Maria di Monferrato, Isabella II.

Un caso particolare di autorità femminile è quello denominato “pornocrazia romana” o “governo delle prostitute”: con riferimento a Marozia e Teodora, due donne che dominarono la vita politica romana e l’elezione papale, nel periodo della storia del papato che va dall’888 (quando l’autorità imperiale venne meno e l’Europa fu coinvolta dal caos politico) al 1046. 

Il problema cominciò con l'incoronazione di Carlo Magno nell'anno 800: si venne a creare la concezione dei due “poteri universali”, quello laico e quello religioso,  che ebbe tanta influenza nei secoli a venire, specialmente nell'XI secolo con la “lotta delle investiture”. I due poteri universali reggevano il mondo e si "autolegittimavano" a vicenda: il papa governava la cristianità per condurla alla “salvezza eterna” e come vicario di Cristo consacrava l’imperatore, deputato a governare il “mondo” assicurandogli stabilità politica.
Questa duplice diarchia, così ben costruita a livello teorico, era però suscettibile a vari fattori, tra i quali spiccava la sicurezza militare offerta dall'imperatore nei confronti del Papa. Finché sul trono ci fu 'energico Carlo Magno il papato poté godere di una certa autonomia politica e protezione dalla rissosa nobiltà romana. Quando però il “Sacro Romano Impero” fu in crisi a seguito dei contrasti tra Ludovico il Pio e i figli (anni '30 dell’800) per poi dissolversi nell'888, il trono di Pietro divenne preda delle fazioni locali, screditando così la sua missione spirituale.

Il cardinale Cesare Baronio negli “Annales ecclesiastici” definì “saeculum obscurum” il periodo dal 1046 al 1122,anno in cui fu firmato il Concordato di Worms. “Secolo oscuro” per modo di dire, perché la Chiesa cattolica fu coinvolta da una serie di riforme, la più nota è quella gregoriana, dal nome del pontefice Gregorio VII, eletto al soglio pontificio nel 1073, rimasto famoso  per il ruolo svolto nella “lotta per le investiture”, che lo pose in contrasto con l’imperatore tedesco Enrico IV, quando questo decise di nominare il chierico Tedaldo alla diocesi di Milano divenuta vacante.
 
Il 24 gennaio 1076 a Worms, in Germania, fu convocato dall’imperatore Enrico IV un sinodo di vescovi tedeschi per rispondere al divieto delle investiture laiche degli ecclesiastici stabilito da Gregorio VII. L’assemblea episcopale dichiarò decaduto il papa dalla sede pontificia. Gregorio VII reagì scomunicando Enrico IV e sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà all’imperatore.

Nell'inverno fra il  1076 ed il 1077  Enrico IV per ottenere la revoca della scomunica da parte di papa Gregorio VII fu costretto ad umiliarsi al pontefice nel castello di Canossa (prov. Di Reggio Emilia), feudo della marchesa Matilde di Canossa, la quale cercò di mediare tra papato ed impero ed ebbe un ruolo da protagonista nella lotta per le investiture, finendo per schierarsi con la riforma ecclesiastica voluta da Gregorio VII. Ma dovette subire rivolte e tradimenti che la portarono ad essere addirittura vittima di feroci gossip, come li chiameremmo oggi, da parte dei propri avversari politici che non esitarono ad accusarla di essere la meretrice del papa.
 
La città di Worms dà anche il nome al concordato firmato nel 1122 fra l'imperatore Enrico V di Franconia e papa Callisto II. Con tale atto i due contraenti si impegnavano a rispettare i limiti delle proprie competenze nell'investitura dei vescovi-conti: la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi, mentre l'imperatore conservava la prerogativa di conferire loro i poteri politici e civili.

La figura dei vescovi-conti era stata istituita dall'imperatore Ottone I di Sassonia (936 – 973) per avere  funzionari statali fedeli al potere centrale, in antagonismo ai feudatari laici. Il vantaggio per l'imperatore era che il vescovo-conte dopo la morte non lasciava eredi legittimi e pertanto il feudo ritornava nelle mani dell'imperatore.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 15, 2016, 08:26:52
il rapporto tra teologia e le donne per secoli è stato problematico.

Nel passato la condizione femminile fu oggetto di riflessione teologica ed argomento della predicazione riguardante il “peccato originale” ed Eva tentatrice, “agente di Satana”.

Tertulliano:“Donna, tu sei la porta del diavolo. Sei colei che ha toccato l'albero di Satana e violato la legge divina ". Questa proposizione evidenzia la misoginia patriarcale causata dalla tradizione biblica, da cui è emersa la teologia cristiana, usata per rafforzare l'ordine sociale patriarcale in Occidente.

Il cristianesimo non progettò il patriarcato, ma le teologie cristiane nel passato contribuirono ad affermarlo. Forse perché la Chiesa stessa ha adottato questo ordine nella sua struttura interna, anche se Gesù chiamò uomini e donne nel discepolato di uguali.

Alcune frasi nelle Lettere attribuite a Paolo di Tarso rafforzarono l’errata opinione della donna colpevole, esposta alla seduzione del Male. Come tale doveva essere necessariamente sottomessa all’uomo: “La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato; ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza” (I Tim I, 11 – 15).

La letteratura e l’arte iconografica comunicarono con efficacia persuasiva tale concezione paolina. Il serpente era spesso raffigurato con il volto di donna. Significative varianti iconografiche sono nei mosaici bizantini del XII secolo della Cappella Palatina di Palermo e in una miniatura del XIV secolo (Bibbia angioina) realizzata dal napoletano Cristoforo Orimina: i due “progenitori” sono rappresentati mentre raccolgono insieme il frutto proibito.

Nel “Malleus maleficarum”, il manuale per gli inquisitori pubblicato nel 1486, si afferma la teologia  della subordinazione femminile, fino a giungere alla creazione ideologica della “donna strega”, per natura incline al Male.

Non sempre, però, gli uomini di Chiesa divulgarono pensieri negativi della femminilità. Alcuni esempi.  Il filosofo Abelardo (1079 – 1142) aiutò le monache a trovare la propria identità claustrale nel ruolo positivo delle donne nella Bibbia e nella storia della Chiesa (Lettera VII ad Eloisa).  Il monaco Guglielmo da Vercelli (1085 – 1142) fondò il Goleto, un monastero doppio, femminile e maschile, governato da una badessa. Il riformatore Pietro Valdo (1140 – 1218) era accompagnato dalle donne nella predicazione itinerante.

L’esegesi dei teologi medievali legittimava l’inferiorità della donna in vari ambiti: quello fisico (perché nata dall’uomo e in sua funzione: “sarai a lui sottomessa”, Genesi), quello morale (in quanto incapace di scelta etica: è lei che induce Adamo a trasgredire) e quello giuridico (in quanto considerata soggetta alla tutela dell’uomo: padre, marito, guida spirituale del prete).

La pregiudiziale antropologica che riteneva naturale la superiorità maschile, si rafforzò con l’affermarsi della riforma gregoriana. Nell’XI secolo la Chiesa era in crisi per la frequente simonia (vendita di cariche ecclesiastiche), per il nepotismo (successione di parenti alle cariche ecclesiastiche), per la presenza di numerosi religiosi senza vocazione, di preti incapaci, vescovi eletti dal potere politico che conducevano una cosiddetta “vita libertina”.  Il papa Gregorio VII, che pontificò dal 1073 al 1085, dette esecuzione alla riforma della Chiesa, iniziata nel 1046 e conclusa nel 1122 con il “concordato di Worms”. Tale riforma, una delle più estese ed incisive della storia cristiana, servì ad ostacolare la situazione di degrado morale, a modificare sistema delle investiture vescovili, e a trasformare la Chiesa in una istituzione monarchica dal potere centralizzato con l’esaltazione del primato di Pietro (“Dictatus papae2, del 1075).
L’operazione politica e teologica di rafforzamento del clero fu di tale portata da implicare il ridimensionamento dei laici  e la marginalizzazione delle donne. In modo particolare, le concezioni rigoriste del monachesimo riformato, orientate all’affermazione della purezza dei ministri di culto e l’inasprimento delle leggi contro il clero corrotto, tracciarono in maniera netta il ruolo del potere del prete, separato dal popolo. L’ambito temporale di competenza dei laici e delle donne era sottomesso alla sfera spirituale riservata ai soli chierici.
Leone IX, con il sinodo di Pasqua del 1049 a Reims, ribadì la regola del celibato, ma fu il Concilio Lateranense II del 1139 a considerare illecito ed invalido il matrimonio celebrato dai preti dopo l’ordinazione sacerdotale.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 16, 2016, 13:58:47
Nel 1091 il benedettino tedesco Bernoldo di Costanza nel suo  “Chronicon” scrisse che numerose donne ed uomini del suo tempo cercavano di ricreare un’esperienza religiosa simile alla struttura della primitiva comunità cristianaTale scelta, però, era avversata dalle autorità ecclesiastiche perché non facilmente controllabili. Quei movimenti laicali  avevano una significativa presenza femminile: valdesi, catare, umiliate, premonstratensi, almariciane, beghine, tutte tentavano di esprimere la propria fede e di fare proselitismo con la predicazione itinerante, con il lavoro, la meditazione.

Le seguaci di Valdo annunciavano tempi nuovi predicando il Vangelo nelle strade e nelle piazze, ma la loro missione evangelizzatrice destava preoccupazione nella gerarchia ecclesiastica, con il conseguente intervento dell’Inquisizione. Le procedure istituite dal pontefice Lucio III nel 1184 con la bolla “Ad abolendam” per estirpare le eresie e condannare le devianze, permise al tribunale dell’Inquisizione di agire con maggiore libertà contro le trasgressioni teologiche o morali.

Papa Innocenzo III capì che l'insoddisfazione e i problemi dei ceti più umili erano facile preda dei predicatori, che senza molte difficoltà potevano diffondere movimenti ereticali nella popolazione, perciò nel 1210 dette un primo assenso orale alla creazione dell’Ordine religioso francescano, in accordo con  l'autorità gerarchica ecclesiastica.

Gli Ordini mendicanti, francescano e domenicano, creati nel XIII secolo per indirizzare nell’ortodossia le “pericolose” velleità di rinnovamento, ebbero la funzione di allontanare le donne da movimenti considerati eretici. Nella sua “Confessio fidei” del 1210, Bernardo Primo, fondatore dei “Poveri riconciliati” per riavvicinarsi alla Chiesa di Roma dovette giurare che nessuna donna avrebbe preso parte alla predicazione.

Nel 1298 papa Bonifacio VIII con il decreto “Periculoso et detestabili” stabiliva per le religiose la clausura perpetua come precetto assoluto: “per tutte le singole monache, presenti e future di qualsiasi congregazione e Ordine, in qualsiasi parte del mondo risiedano”, e indirizzava le donne verso la monacazione o verso il Terzo Ordine, non tollerando alcuna attività esterna che non fosse sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica.

Particolarmente aggressiva fu la repressione nei confronti del “Movimento degli apostolici” di Gherardo Segalelli, messo al rogo nel 1300, condannato per la sua utopia di una Chiesa egualitaria, povera e penitente. Ebbero conseguenze anche i suoi discepoli, guidati da “Dolcino” (Davide Tornielli) e Margherita Boninsegna. Contro di loro nel 1306  il pontefice Clemente V bandì una crociata. I “dolciniani” si rifugiarono a centinaia sul monte Rubello, nel vercellese. Furono assediati per circa un anno e si arresero nel 1307.  Dolcino e Margherita vennero imprigionati, torturati ed arsi vivi.

La repressione del dissenso, la propaganda, la predicazione e l’insegnamento furono determinanti per “normalizzare” la vita dei credenti, il comportamento dei fedeli e delle donne in particolare, per essere funzionali alla società gerarchica e patriarcale, alla Chiesa clericocentrica.
 
Domenicani e francescani si rivolgevano alle donne tramite gli “exempla” ricavati dalle cosiddette “sacre scritture” per formare vergini ubbidienti, vedove caste, madri operose, indicando ruoli e compiti conformi ai modelli sociali cristiani.
La funzione pedagogica induceva i predicatori a modificare il testo biblico alle esigenze etiche e sociali, per rafforzare il ruolo laborioso ma passivo della donna nella famiglia.

Il teologo francescano Bernardino da Siena (1380 – 1444) in alcune sue prediche esaltava il matrimonio e l’importanza delle donne nella vita degli uomini, nel ruolo di mogli, madri ed educatrici. Nel contempo invitava i mariti ad aiutare la propria consorte nelle faccende domestiche, specie  se lei era in stato di gravidanza o aveva  bambini da accudire: “Tutta questa fadiga vedi che ella è sola della donna, e l’uomo se ne va cantando… E però… tu, marito… fa’ che tu l’aiti a portare la fadiga sua”.
 
Di una madre che si occupa del suo bambino dice: “Ella el fascia e fascia; ella el netta, ella el lava quando n’ha bisogno; ella l’adormenta quando el piagnie; ella il lusinga con cotali giocolini; ella il vuol fare venire a sé, e mostrali talvolta la saragia”.
 
Il frate inveisce contro quei mariti che trattano meglio le galline delle mogli, e avverte che dalla donna maltrattata si ottiene solo il contrario di quel che si pretende: “O pazzi da catena di molti,… che tali so’ che sapranno meglio comportare una gallina, che fa ogni dì un uovo fresco, che non comporteranno la propria donna… che come ella parla una parola più che a lui non pare, subito piglia il bastone e comincia a bastonare; e la gallina, la quale gracida tutto dì e tu hai pazienza di lei per avere l’ovicciuolo!”. Solo un uomo sciocco, dice Bernardino, picchia la moglie: “Così dico a te, marito, non dare busse a la donna, però che mai busse fecero buona la donna; farà meglio co’ le buone parole… mostrandole il suo errore”. E la donna che si sente “dispregiata, farà del male più che del bene”.

Raccomanda ai mariti di essere amorevoli e tolleranti con le spose novelle giovanissime, per far loro superare il trauma dell’aver abbandonato la famiglia d’origine. E aggiunge: “fra la donna e ‘l marito bisogna che sia delle più singolari amicizie del mondo… se uno è lordoso e l’altro è virtuoso non si accorderanno mai insieme, ma se tutti e due sono virtuosi et amansi di vero e buono amore generasi tanta amicizia che pare già fatto un paradiso”. Ed ancora: “Iddio non fece la donna dell’osso del piè dell’uomo, acciò che non se la mettessi per soggiogazione sotto de’ piedi. E no la fece dell’osso del capo dell’uomo, perch’ella non soggiogasse l’uomo. Fecela dell’osso del petto ch’è presso al cuore… per darti ad intendere che con amore l’ami come tua compagna”.

Bernardino si preoccupava pure del decoro personale delle donne:  le invita curarsi anche stando in casa, ma di non recarsi in chiesa agghindate: “Quando va alla chiesa, ella vi va ornata, lillata, inghiandata, che pare che la sia madonna Smiraldina, e in casa sta come una zambraca (pezzente)… ve ne dovreste vergognare…  che doveste stare meglio e più in ponto in casa col tuo marito, che in vescovado fra la gente”. 

In una predica elogia le donne  che sanno suonare, cantare, danzare, leggere e scrivere poesie: “La bellezza d’una donna è una bella grazia datale da Dio, quando ella è savia, e stalle molto bene…  io voglio che tu stia ornata e dilicata, ma con discrezione ogni cosa, e con modo onesto”.

Questo frate non  era contrario all’istruzione delle giovani donne: “istruite, foss’anche per lieggere solo la Bibia”. Perciò riteneva se non indispensabile almeno utile che anche le donne imparassero a leggere: per edificarsi coi testi sacri e devoti. Diceva che le letture avrebbero aiutato le ragazze a purgarsi da tante vanità: “Volite voi le vostre donne oneste? Fatele imparare lettera, che, t’avviso, che non possono stare senza diletto, e se farai si dilettino nelle Scritture, bon per te”, però avverte che ci sono libri che possono al contrario sollecitarne prurigini poco onorevoli. E invita a vigilare sulle giovani lettrici.

Bernardino oltreché elogiare le donne non aveva remore nel criticarle: “Superbe e lussuriose che si orientano verso le arti magiche e le seduzioni del demonio”. Per esse chiede lo sterminio: “E perciò dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda o incantatore o streghe, fate che tutte siano messe in sterminio per tal modo che se ne perde il seme” (da “Le prediche volgari”).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 17, 2016, 09:11:43
Il “Malleus maleficarum” (= martello delle streghe) è un testo in latino della seconda metà del 15/esimo secolo  redatto dai dai frati inquisitori domenicani  Jacob Sprenger ed Heinrich Institor Kramer. Fu usato  come “manuale” per reprimere l’eresia, il paganesimo e la stregoneria in alcune zone della Germania.  Nello stesso secolo furono pubblicati sull’argomento altri testi, i più noti dei quali sono: il “Formicarius” (un trattato demonologico sugli “inganni dei malefici” (“De maleficis et eorum deceptionibus”, scritto dal frate domenicano tedesco Johannes Nider),  e il “De lamiis et phitonicis mulieribus” (Delle streghe e delle indovine) di  Ulrich Molitor.

Il “Malleus Maleficarum” non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa cattolica, ma non fu neppure inserito nell'indice dei libri proibiti, anzi ricevette consensi della quasi totalità degli inquisitori e di autorevoli ecclesiastici, nonché di giudici dei tribunali statali.
Il libro è diviso in tre parti. La prima affronta la discussione sulla natura della stregoneria. Le donne, a causa del loro “intelletto inferiore” sono predisposte a cedere alle tentazioni di Satana. Alcuni degli atti confessati dalle streghe, quali ad esempio le trasformazioni in animali o mostri, sono illusioni indotte dal diavolo, mentre altre azioni, come la possibilità di volare ai sabba, provocare tempeste o distruggere i raccolti sono possibili. Gli autori, inoltre, si soffermano con insistenza sulla licenziosità dei rapporti sessuali, che le streghe intratterrebbero con i demoni.

La seconda parte riprende opinioni espresse nella prima e le approfondisce nel tentativo di far comprendere il modo di fare le stregonerie e il modo in cui si possono facilmente eliminare.

L'ultima parte dà istruzioni pratiche sulla cattura, il processo, la detenzione e l'eliminazione delle streghe. Discute di quanta fiducia si debba riporre nelle dichiarazioni dei testimoni, le cui accuse sono spesso perpetrate per invidia e malizia; tuttavia gli autori affermano che i pettegolezzi pubblici sono sufficienti a condurre una persona al processo e che, anzi, una difesa troppo vigorosa da parte del difensore è prova del fatto che anche quest'ultimo è stregato. Il manuale fornisce indicazioni su come evitare che le autorità siano soggette alla stregoneria e rassicura i lettori sul fatto che, in quanto rappresentanti di Dio, i giudici sono immuni dai poteri delle streghe.

Largo spazio è dedicato all'illustrazione di tecniche di estorsione delle confessioni e alla pratica della tortura durante gli interrogatori: in particolare è raccomandato l'uso del ferro infuocato per la rasatura dell'intero corpo delle accusate, al fine di trovare lo “stigma diabli”che ne proverebbe la colpevolezza.

L'Inquisizione torturò e bruciò sul rogo migliaia di persone. Erano accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate senza processo, in segreto, col terrore della tortura.  Se “confessavano" erano dichiarate colpevoli di stregoneria, se invece "non confessavano" erano considerate eretiche, e poi arse sul rogo. 

Alcune personalità famose caddero vittime dell’Inquisizione.  La più nota è senza dubbio Giovanna d'Arco, la pastorella che assunse il comando dell'esercito, salvò la Francia dall'invasione nemica e rimise in trono il legittimo sovrano.  Fu però accusata di stregoneria ed eresia perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo e fu quindi bruciata viva.  Ora però è canonizzata.

Il francescano Alvaro Pelayo, penitenziere alla corte papale di Avignone (dal 1309 al 1377) nel “De statu et planctu ecclesiae” espose 102 motivazioni per dimostrare l’inferiorità e la pericolosità della donna: “origine del peccato e arma del diavolo. Per Pelayo la donna doveva essere controllata ed esclusa da tutti gli incarichi pubblici.

Questa visione negativa del femminile e l’angoscia del diavolo trovarono nelle donne il capro espiatorio. La stregoneria, considerata fino ad allora una superstizione, e come tale tollerata, alla fine del quindicesimo secolo fu reputata eresia.

Gli inquisitori usavano fonti tratte dalla Bibbia e dalla letteratura classica per dimostrare le donne come soggetti infedeli  e lussuriose ed oggetto di particolare attenzione da parte del demonio. Le streghe potevano così compiere gli atti più delittuosi: evirare gli uomini, trasformarli in bestie, infliggere malattie, provocare l’aborto, uccidere i bambini e offrirli al diavolo.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 18, 2016, 09:59:46
Bellezza Orsini: strega ! Il 16 dicembre scorso è stato presentato il libro titolato: “Bellezza Orsini. La costruzione di una strega (1528), scritto da Michele Di Sivo e pubblicato dall’Associazione “Roma nel Rinascimento”.

Servendo nella nobile famiglia Orsini, a Bellezza fu concesso il cognome della casata.Ebbe modo di conoscere nobili e prelati, di viaggiare. Fu madre di tre figli.

Questa donna del Rinascimento sapeva leggere e scrivere. Praticava ciò che imparava dai primi libri di medicina ed erboristeria stampati in lingua volgare, divenendo una curatrice, nota nella zona della Sabina.

All’età di vent’anni cominciò a guarire qualche persona, ma anche a colpire –si disse-  con “fatture”, malefici su richiesta altrui.

Nel tempo ebbe varie denunce. L’ultima, al ritorno da una novena pasquale a Roma. Morì un ragazzo del gruppo di pellegrinaggio che  da tempo veniva curato da lei perché malato.  Si chiamava Camillo. La madre del ragazzo, di nome Sabetta, denunciò Bellezza accusandola di averlo stregato e ucciso  col maleficio.

Bellezza Orsini fu imprigionata  nel 1528 nel carcere del castello di Fiano. Aveva circa 50 anni. Fu processata per stregoneria e fattucchierìa,  torturata “alla corda” e costretta a confessare ciò che non aveva commesso.

In cella scrisse una “confessione” autografa separata dal verbale degli interrogatori.  Il memoriale autoaccusatorio ella lo consegnò alcuni giorni dopo le torture ricevute. Dice, fra l’altro, di essere volata fino a Benevento dove c’è un noce noto come luogo di riunione  triennale delle streghe, per partecipare al sabba infernale. La frase magica per volare era questa: “Unguento, unguento, portace alla noce  di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo”.

Rivela l’organizzazione delle streghe  e dice che sono governate dalla Befana, delle quali è maestra: “Andamo alla noce de Benevento e illi facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro”.

In un altro interrogatorio fu costretta a dire l’inverosimile: “E andamo alla noce  de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova (gioco) e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare (stregare) e far male ad qualcheduno…”.

Ai giudici dell’Inquisizione disse: “Ho un libro de 180 carte dove stanno tucti li segreti del mondo”.

Chiese inutilmente pietà: “Per tutti quisti mali che ò fatto io me mereto de murimme, ma perdonateme… Vicaru meu, si me lassi viva un munnistero non te ne  penterrai. Io pregharò sempre per te…”. Così si chiude il lungo memoriale che la donna presenta al tribunale al termine del processo. Il documento testimonia l’ambiente storico culturale di quegli anni, ma soprattutto coglie lo stato d’animo di chi era accusata di essere una strega in tempi in cui per questo si finiva al rogo.

Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini per non finire sul rogo preferì suicidarsi nella cella dov’era imprigionata. Si colpì più volte alla gola con un chiodo ferendosi alla vena giugulare.

Le persecuzioni delle streghe possono considerarsi iniziate con le prediche di san Bernardino da Siena, che inveì contro di loro. Le additava al popolo come responsabili delle sciagure, perciò dovevano essere sterminate.

Un'ulteriore motivazione per la “caccia alle streghe” venne dalla pubblicazione, del citato “Malleus maleficarum”  in cui si spiega come riconoscere le streghe, processarle ed interrogarle con crudeli torture. In questo modo, tra il quindicesimo ed il diciassettesimo secolo furono estorte numerose confessioni di supposte streghe, le quali più volte parlano di sabba a Benevento. Nella maggior parte dei casi le "streghe" venivano bruciate col rogo,  mandate al patibolo o comunque punite con la morte con metodi più o meno atroci.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 22, 2016, 11:24:39
I papi rinascimentali, da Alessandro VI a Giulio III, si comportarono da re guerrieri e concubini, coinvolti nelle trame del potere che usarono con spregiudicatezza tramite il nepotismo e la compravendita delle cariche ecclesiastiche (simonia). Le logiche nepotistiche prescindevano da valutazioni meritocratiche, erano basate sulle esigenze politico-economiche e di ascesa sociale da parte dei parenti del pontefice.
Inoltre, la pratica di cumulare più incarichi, per fruire delle rendite annesse, tendeva a creare un alto clero prevalentemente assenteista, vescovi solitamente non residenti che affidavano la gestione pastorale e patrimoniale delle diocesi a vicari spesso incompetenti.

Anche Il basso clero spesso non era idoneo alla mansione da svolgere per impreparazione dottrinale, inosservanza degli obblighi pastorali e liturgici, malcostume e stili di vita che, invece di fungere da modello, si conformano spudoratamente a quelli dei laici. Questi, d’altro canto, non potendo contare su un confacente supporto spirituale, erano esposti al rischio di travisamenti e contaminazioni delle esperienze di fede.

Molti religiosi non rispettavano le  regole di povertà e castità. Numerose ragazze erano costrette dalle famiglie ad entrare nei monasteri e diventare monache, per conseguenza il rispetto della clausura veniva spesso trascurato: la monaca di Monza di manzoniana memoria docet.

Fu intensa la critica per la decadenza morale delle istituzioni ecclesiastiche, per l’inadeguatezza pastorale e la scarsa spiritualità.
L’evidente decadenza sollevò verso la Chiesa le accuse di corruzione, dissolutezza, immoralità, sia da parte di semplici fedeli sia dei più avveduti religiosi. Si chiedeva una “renovatio ecclesiae in capite e in membris”, l’urgente riforma della Chiesa cattolica. I riformatori volevano il ritorno alla Chiesa delle origini, all’adesione al Vangelo, alla povertà ieratica. Fra loro ci furono anche numerose donne che profetizzavano imminenti sciagure sulla Chiesa se non si fosse convertita. Ma gli appelli furono inutili e le proteste s’incanalavano in correnti religiose che però venivano considerate eretiche.

Lo Stato pontificio rinascimentale, al pari delle coeve monarchie, instaurò l’assolutismo regio, esaltando la bidimensionalità della sovranità papale come capo della cristianità con l’autorità del principe territoriale.
Enea Silvio Piccolomini, papa col nome di Pio II, pose in evidenza la prerogativa pontificia di coniugare la instructio del sacerdote e la praeceptio del re.

Il collegio cardinalizio e l’alto clero si trasformarono progressivamente da elementi antagonisti al sovrano pontefice a potenti organismi di governo, i cui componenti si configuravano come “funzionari” competenti in ambito civile e pastorale, a causa dell’ambivalente caratterizzazione in spiritualibus et in temporalibus del potere papale.

La tendenza al potenziamento del dominio temporale da parte del papato rinascimentale fu favorita, assecondata e testimoniata dall’ascesa al soglio pontificio di personaggi di prevalente formazione giuridica, i quali, più che vantare una solida esperienza pastorale, provenivano dalle fila dei funzionari curiali, dalla carriera diplomatica.

C’è da dire però che il consolidamento del potere temporale fu strategicamente idoneo a garantire la libertà della Chiesa dai condizionamenti delle altre potenze e a consentire al papa di esercitare la sua autorità sovrastatale in ambito spirituale. La “duplice anima” del sovrano pontefice se da un lato rappresentava un atipico elemento di forza per la monarchia papale, dall’altro non era sufficiente per colmare le debolezze derivanti dalla sua natura elettiva e non ereditaria e dal frequente avvicendamento sul “trono di Pietro”.  La discontinuità del papato era bilanciata dalla stabilità dell’organismo curiale e dai voleri dei papi per inserire la propria famiglia nelle dinamiche di assegnazione dei titoli e negli ingranaggi dello Stato pontificio. È come se all’impossibilità della trasmissione dinastica della sovranità  si ovviasse, da parte dei papi, con l’elevazione dei propri congiunti ai più alti gradi della nobiltà, delle onorificenze, degli incarichi di governo. Il dilagante fenomeno del nepotismo, la creazione di “dinastie di porporati” proiettate alla gestione di trame politiche e schieramenti, erano funzionali ai complessi e precari equilibri inerenti all’elezione papale.

Fu il papato del XVI secolo – incalzato dalla riforma protestante – a dover inevitabilmente promuovere un complessivo rinnovamento spirituale, etico e istituzionale che, dopo il Concilio di Trento, impronterà per secoli la Chiesa e la società.

Le tesi di Martin Lutero, espresse in quella che venne chiamata Riforma protestante”, ebbero come esito una frattura nel cristianesimo.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 23, 2016, 09:23:48
Dalla fine del ‘300 e nel ‘400 ci fu il movimento culturale definito “umanesimo” nel 1808 dal pedagogista tedesco Friedrich Immanuel Niethammer, col fine di valorizzare gli studi di greco e latino all'interno del curriculum studiorum.  In quel periodo del basso medioevo ci fu una rinnovata fiducia nella capacità umana di autodeterminarsi, di essere artefice della propria vita, di avere l’autonomia di pensiero rispetto alle ingerenze ecclesiastiche. Nello studio e nella comprensione della Bibbia ci furono confronti sulla sua corretta interpretazione. Gli scontri divisero la cristianità e l’Europa dando origini a conflitti tra le confessioni religiose che dai testi biblici traevano differenti ispirazioni, diversificate elaborazioni dottrinali e prassi ecclesiologiche. E le donne colte non furono estranee ai mutamenti culturali.

Come detto nel precedente post, le tesi del monaco agostiniano Martin Lutero ebbero come esito una frattura nel cristianesimo, che provocò un riassetto geopolitico del continente europeo e alla creazione di un’Europa divisa sulle adesioni confessionali, con scelte di appartenenza e ricerca di nuove identità.

Il teologo tedesco Lutero (1483 – 1546) fu l’iniziatore della Riforma protestante e la sua dottrina teologica viene detta “luteranesimo”.

L’interpretazione letterale delle opinioni di Paolo di Tarso non si conciliava con la consuetudine ecclesiastica di concedere il perdono ai peccatori pentiti con la vendita delle indulgenze. Il pagamento pecuniario simboleggiava il pentimento e le azioni da compiere per essere perdonati ed ottenere la remissione delle pene. All'epoca si credeva generalmente che dopo la morte i peccatori venissero puniti per un certo periodo di tempo, mediante le sofferenze del Purgatorio. Tuttavia si diceva che questo periodo poteva essere abbreviato anche grazie alle indulgenze concesse con l'autorizzazione del papa in cambio di denaro.

La predicazione contro la vendita delle indulgenze fu  il primo atto "riformatore" intrapreso da Lutero a Wittenberg, in Sassonia, dove  il principe Federico aveva instaurato, col permesso del papa, la vendita delle indulgenze una volta l'anno il giorno della festività liturgica dedicata a “tutti i santi”. 

Nel 1516 in tre occasioni Lutero parlò contro le indulgenze, affermando che il semplice pagamento non poteva garantire il reale pentimento dell'acquirente né che la confessione del peccato costituisse di per sé una sufficiente espiazione. La situazione degenerò nell'anno seguente quando un altro esempio di vendita delle indulgenze dalle amplissime ramificazioni richiamò l'attenzione di Lutero.

La discussione sulla “Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum” (dichiarazione sul potere delle indulgenze), è nota come “le 95 tesi”, che il frate agostiniano il 31 ottobre 1517 affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg e propose come discussione in una pubblica assemblea, allora usuale nei centri universitari. Quell’affissione, che per Lutero ancora non rappresentava la rottura definitiva con la Chiesa romana, per convenzione è considerata l’inizio della Riforma protestante. Però non ci sono testimonianze coeve di quell’azione. Autorevoli storici hanno sostenuto che le 95 tesi furono in realtà inviate il 31 ottobre 1517 ai vescovi interessati e che furono diffuse solo dopo la mancata risposta dei vescovi.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/20/Luther95theses.jpg/220px-Luther95theses.jpg)
Lutero spiega le 95 tesi affisse sul portale della chiesa.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/05/Tesent%C3%BCr_WB.jpg)
Il portale della cattedrale di Wittenberg, dove Lutero avrebbe affisso le sue tesi

Nell'aprile del 1518 Lutero fu citato a comparire davanti al capitolo dell'ordine agostiniano a Heidelberg, ma la cosa si risolse in un nulla di fatto, perché la rivalità degli agostiniani con i domenicani inquisitori non motivò i superiori di Lutero a ridurlo in silenzio. Contemporaneamente egli dava alle stampe le “Risoluzioni riguardo alle 95 tesi”, un testo in cui le affermazioni del 1517 venivano ridiscusse in modo più articolato attraverso citazioni e riferimenti alla Sacra Scrittura.
Le “Risoluzioni” furono inviate a Roma per essere esaminate da papa Leone X, il quale autorizzò un processo nei confronti del monaco ribelle.
Lutero ebbe sessanta giorni di tempo per presentarsi a Roma e contestare l'accusa di aver diffuso idee erronee. Ma il suo ragionevole timore di essere arrestato e condannato senza alcuna possibilità di spiegare le proprie ragioni spinse Lutero a rivolgersi al principe Federico per ottenere garanzie e protezione.

Il 3 gennaio 1521 con la bolla “Decet Romanum Pontificem”, Leone X scomunicò Martin Lutero, accusandolo di  eresia. Il principe Federico ottenne che a Lutero non fosse fatto alcun male e che gli si consentisse di esporre le sue ragioni. Lutero il 15 giugno 1520 aveva già spregiativamente bruciato in pubblico la bolla papale "Exsurge Domine", con la quale era stato minacciato di scomunica se non avesse desistito dal proprio intento (in suo pravo et damnato proposito obstinatum).

Per concisione evito gli ulteriori passaggi per dire che la Riforma, voluta da uomini come Lutero, Calvino  e e  Zwingli, determinò la formazione  del protestantesimo come nuovo movimento religioso nell'Europa Occidentale. In poco tempo ciascun principato tedesco si schierò per la fede protestante o per quella cattolica. Il protestantesimo si diffuse e ottenne larghi consensi nel centro e nord Europa ed anche in Inghilterra.

Quest’anno è iniziata la commemorazione per i 500 anni (che ricorreranno il prossimo anno) da quando Il monaco agostiniano Lutero affisse le 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg, e che in pochi anni portarono alla Riforma luterana. E per la prima volta un pontefice cattolico, papa Francesco, nello scorso mese di ottobre ha commemorato a Lund, in Svezia, l’inizio della Riforma protestante insieme con i luterani. Nella cattedrale ha celebrato una preghiera ecumenica comune.

E’ un traguardo visibile del  percorso di dialogo ecumenico iniziato mezzo secolo fa da papi europei (in particolare Wojtyla e Ratzinger) e che culmina con un pontefice latino-americano, che dopo il riavvicinamento con gli ortodossi, specie i russi, ora va verso i protestanti, 800 milioni complessivi al mondo, sparsi per le molte chiese che fanno capo al protestantesimo (80 milioni i luterani). Il dialogo ha permesso la riconciliazione e l’unione nella fede in Cristo. Nell’attuale contesto è importante che luterani e cattolici davanti al mondo esprimano la misericordia e il perdono. Un processo che ci ha fatto comprendere diversamente la storia
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 24, 2016, 08:03:19
Nel 16/esimo secolo dopo la Riforma protestante  si svolse il Concilio di Trento (1545 – 1563) per il rinnovamento teologico, liturgico e di riorganizzazione delle istituzioni della Chiesa cattolica.

Il concilio condannò i principi fondamentali del protestantesimo e in Europa  divenne definitiva la scissione religiosa tra l’area cattolica, soprattutto mediterranea, e l’area protestante, soprattutto nordica.

In contrapposizione ai luterani la Chiesa si irrigidì nelle sue posizioni e precisò meglio la sua dottrina. Furono compilati un catechismo, un breviario ed un messale cosiddetti “romani”. Il concilio proclamò fonte delle verità religiose non solo le Sacre Scritture, ma anche i dogmi della Chiesa. Riaffermò la suprema autorità del Papa, vicario di Cristo in Terra. Fece istituire i Seminari per preparare i futuri sacerdoti alla loro missione; obbligò i parroci ed i vescovi ad aver cura dei loro fedeli risiedendo nella loro parrocchia e nella loro diocesi; riconfermò il celibato ecclesiastico ed impose il latino come lingua ufficiale della Chiesa cattolica.

Per evitare nuove eresie ed impedire la diffusione della Riforma cattolica fu istituito il Tribunale del Sant'Uffizio, che processava e condannava gli eretici, compiendo anche eccessi.

Per quanto riguarda le questioni dottrinali, il concilio ribadì l'importanza delle opere di carità, dei sette sacramenti e del purgatorio, confermò l'esigenza del culto dei santi, delle reliquie e il valore delle indulgenze. Tentò di eliminare i più gravi abusi ecclesiastici: il favoritismo verso i parenti (nepotismo), la compravendita di beni sacri (simonia), il concubinaggio del clero. Si occupò anche della riforma dei monasteri femminili, della definizione e la gestione dei sacramenti, in particolare il matrimonio.

La questione dei preti concubini: durante il concilio tridentino ci furono tentativi di compromesso a favore del matrimonio dei preti, ma limitatamente alla Germania, per arginare il protestantesimo che, attraverso la laicizzazione del sacerdozio, contestava la legittimità della legge celibataria. Ma i padri conciliari  a maggioranza confermarono il divieto di matrimonio per il clero di rito latino, stabilendo la superiorità del celibato rispetto allo stato coniugale.

Il fenomeno del concubinato, però non si attenuò. La storia di Clelia Farnese (1556 circa – 1613), figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, mostra come anche nell’epoca della controriforma, alti prelati non nascosero i loro figli naturali, strumentalizzati per mire di potere e di strategie politiche.
All’età di circa 10 anni, nel 1566, la piccola Clelia venne promessa sposa al nobile Giovan Giorgio Cesarini. Gli “sponsalia” si svolsero a Roma nel Palazzo Cesarini a Torre Argentina. Però passarono quasi cinque anni tra gli sponsalia e la celebrazione del sacramento del matrimonio.

)In epoca romana le nozze erano solitamente precedute dagli “sponsalia”, cerimonia per la “promessa di matrimonio. Il pater familias prometteva al fidanzato la propria figlia in moglie.  Questa cerimonia era un atto solenne, fondato sulla tradizione patriarcale, impegnativo quasi quanto il matrimonio. Gli sponsalia si svolgevano alla presenza di parenti ed amici delle due famiglie che svolgevano la funzione di testimoni dell'impegno matrimoniale. Seguiva lo scambio dei doni, che costituivano il "pegno" delle future nozze, dopodiché l'uomo regalava alla fidanzata un anello, l'anulus pronubus, cosiddetto perché infilato al penultimo dito della mano sinistra, detto appunto anularius, da cui si credeva partisse una vena che giungeva dritta al cuore. Inizialmente, come ricorda anche Plinio il Vecchio, l'anulus era un cerchietto di ferro, ma in seguito fu realizzato in oro. Dopo aver firmato il contratto nuziale, nel quale erano stabiliti la natura e l'ammontare della dote della sposa e dopo aver fissato la data delle nozze, la cerimonia degli sponsalia giungeva al suo termine. Seguiva, quindi, un banchetto al quale partecipavano tutti i presenti.)

Anche per il clero appartenente alle classi sociali più basse il concubinato continuò ad essere fenomeno diffuso, anche se accompagnato dal senso di colpa per le norme infrante, dalla paura di perdere l’indipendenza economica e dal timore del disprezzo sociale.
I processi intentati contro il clero concubinario testimoniano che le pene non erano particolarmente severe per il prete, le cui azioni erano lasciate alla riservatezza per non dare scandalo: “nisi caste saltem caute” (= “se non castamente, almeno con cautela”). Per le concubine, invece erano previste punizioni più severe, fino all’esilio. Esse vivevano la loro marginalità morale e giuridica: assimilate alle meretrici e perseguite con la stessa pena: erano madri illegittime, mogli non riconosciute.
 
Il decreto tridentino sui religiosi e sulle monache ebbe come esito il prete estraniato dalla dimensione quotidiana del vivere comune, accentuò la polarizzazione tra chierici e laici, rafforzò la verticalizzazione della struttura ecclesiastica governata dal papa, massima autorità.

Il decreto conciliare “Tametsi” evidenziò all’epoca la necessità del consenso al matrimonio da parte di entrambi gli sposi; mise sullo stesso piano le donne e gli uomini; li sottrasse alle imposizioni familiari dei matrimoni combinati ma non liberò la donna dal ruolo subalterno, rinforzando il modello esemplare di moglie a servizio delle necessità del marito e della casa.

La Chiesa di Roma  cercò di riorganizzare le strutture ecclesiastiche, il controllo sulla moralità e sulla vita religiosa dei fedeli. Promosse i viaggi dei missionari sia nei continenti più lontani, dall'America Centrale e Meridionale al Giappone e alla Cina, sia nelle campagne europee, dove la cultura cristiana era  latente. Per il proselitismo  o evangelizzazione si avvalse anche dell'attività dei nuovi ordini religiosi creati proprio nel 16/esimo secolo: per esempio i teatini, i barnabiti, i cappuccini, i somaschi, gli oratoriani e soprattutto i gesuiti, che si distinsero per l'attività missionaria e per il grande ruolo culturale e politico che ricoprirono in tutta Europa nei due secoli seguenti.
I gesuiti riuscirono a contrattaccare il protestantesimo in molti paesi, e la loro più grande impresa fu la riconversione della Polonia al cattolicesimo. Inoltre si distinsero nel tentativo di convertire le popolazioni locali in India e in Cina ,aderendo agli usi e costumi locali.

La Controriforma cattolica fu caratterizzata da un impegno costante nel tentativo di fermare l'avanzata del protestantesimo in tutt'Europa e dalla volontà di riorganizzare le proprie strutture, anche tramite la cultura e le arti che si tradussero nel fiorire dello stile barocco.
Il principale strumento di questa affermazione fu il severo impiego del tribunale dell’Inquisizione (Sacra Congregazione del Sant'Uffizio), dapprima impegnato a condannare reati di eresia e successivamente orientato a reprimere tutte le forme di pensiero e di comportamento ritenute non conformi alla dottrina della Chiesa di Roma.
Furono colpiti non solo dottrine e costumi non in linea con il magistero cattolico, ma anche la spiritualità mistica e i testi letterari, le pratiche e i culti contadini considerati superstiziosi e devianti, come la stregoneria e le pratiche magiche.
Alcuni scienziati e  filosofi sperimentarono, seppure in forme diverse, il rigore della repressione dell'Inquisizione per la difformità nelle loro ricerche ai canoni imposti dalla Chiesa: lo scienziato Galileo Galilei fu costretto ad abiurare; il filosofo domenicano Giordano Bruno, fu imprigionato ed ucciso al rogo a Roma nel 1600; il filosofo e teologo domenicano Tommaso Campanella, sottoposto a numerosi processi e condannato a 27 anni di carcere, che trascorse in prigione a Napoli.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 25, 2016, 07:13:15
Dopo il Concilio di Trento le attività pastorali, formative, normative e repressive coinvolsero anche le donne attive nell’ambito religioso. La Chiesa intervenne nei loro confronti con iniziative ed azioni rivolte in più direzioni.

Per tutelare la fede delle comunità religiose femminili venne ribadita ed imposta la clausura, voluta nel 1298 deal pontefice Bonifacio VIII  con la costituzione “Periculoso et detestabili”, riguardante la clausura perpetua alle donne che per scelta o costrizione entravano nella vita religiosa. Questo provvedimento, però, ebbe ampi margini di trasgressione; infatti, alle donne aristocratiche, indirizzate alla vita monastica per soddisfare complesse strategie familiari, erano consentite libertà di movimento ed autonomia sufficiente a sopportare la condizione monacale non scelta ma subita.

Molte ragazze furono costrette alla vita monastica senza averne la vocazione, per rispettare la volontà delle loro famiglie, motivate da considerazioni  economiche o politiche. Le monacazioni forzate dipendevano da scelte di tipo ereditario-patrimoniale. Ma nel monastero si entrava anche per povertà: l’indigenza era motivo sufficiente,  per cui timide ragazze, senza un futuro degno di essere vissuto e senza dote,  preferivano lasciare la famiglia e ad avviarsi alla penosa clausura, che permetteva vitto e alloggio.
 
La povertà dilagante in molti monasteri costringeva le  monache ad uscire per chiedere l’elemosina. Poiché i finanziamenti non bastavano,  esse dovevano provvedere al proprio mantenimento con il lavoro e le sovvenzioni familiari.

Le ragazze appartenenti a famiglie nobiliari non dormivano nelle camerate ma in celle monastiche, anche dotate di camini, che oltre a scaldare l’ambiente  nel periodo invernale, consentivano di cucinare nelle singole stanze. Per conseguenza il pasto in comune non era generalizzato. Nelle celle si effettuava gran parte dell’attività lavorativa delle monache che per lo più si dedicavano a lavori di cucito e di ricamo, accettando commissioni dall’esterno e trattenendo per sé il ricavato della loro attività. La cella monastica diventava un microcosmo autosufficiente dove si riproducevano le differenze sociali ed era possibile condurre una vita quasi privata.
Diverse monache coltivano orti ed allevano pollame proprio.

La clausura ribadita dal Concilio di Trento ebbe la legittimazione istituzionale da papa Pio V nel 1566 con la costituzione “Circa Pastoralis”, contenente l’interpretazione restrittiva delle disposizioni del Concilio di Trento col “Decretum de regularibus et monialibus”, riguardante la riforma della vita comunitaria negli Ordini religiosi maschili e femminili. La predetta costituzione fu necessaria per contrastare la vita amorale e indisciplinata diffusa in molti monasteri e per fronteggiare le lacerazioni verificatesi in seguito alla Riforma protestante, che nel centro e nord Europa aveva chiuso i monasteri, inducendo le religiose al matrimonio.

La clausura veniva giustificata come “incarceramento volontario” e veniva scomunicato chi la violava. Ciò comportò la riorganizzazione degli spazi monastici e un adeguamento dell’architettura alle nuove normative per rendere invisibili le donne, separandole dall’ambiente esterno. Si imposero l’innalzamento delle mura perimetrali dei monasteri,  la muratura delle finestre, la costruzione di cancellate, l’adozione di catenacci e chiavi che consentissero l’apertura dei portoni d’ingresso solo dall’esterno, nonché grate strette ed impenetrabili, l’inserimento della doppia inferriata in parlatorio e la costruzione di ruote per il passaggio delle cose necessarie.

Alle monache fu imposto il ridimensionamento delle spese, l’abolizione della servitù personale alle monache benestanti, il ripristino della vita comune nelle camerate e l’eliminazione delle “celle-appartamento”. Per le cariche direttive venne introdotto il principio della turnazione triennale. Inoltre, ci fu il divieto di fasto e mondanità; diminuzione delle spese superflue per l’organizzazione delle feste, abolizione degli oggetti legati alle cure e agli affetti personali (come specchi, trucco, creme, cani), limitazione della confezione e della vendita di dolci, obbligo della presenza costante di confessori e visitatori apostolici. Per le monache che si opponevano a tali disposizioni era previsto il carcere o l’allontanamento dalla vita monastica.

Verso tutte le donne, anche laiche, ci fu l’azione pervasiva e costante del “controllo delle coscienze” mediante la confessione e la direzione spirituale.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 26, 2016, 00:08:23
L’architettura cercò di attuare le decisioni prese nel Concilio di Trento riguardo i monasteri femminili, rendendoli simili a fortezze. Gli spazi interni furono cambiati per consentire la realizzazione di dormitori e refettori comuni, confinando le monache in spazi definiti, chiusi. Non fu più loro consentito di frequentare chiese esterne al monastero: dovevano ascoltare la messa da una posizione sopraelevata e nascosta ai fedeli tramite griglie.

L’accesso nei monasteri fu consentito in base al sesso, lo stato sociale e le regole ecclesiastiche. I parlatori, collocati vicini all’entrata, simboleggiavano ed ancora simboleggiano un’area di confine all’interno delle mura conventuali.

La professoressa Adriana Valerio, autrice del citato libro “Donne e Chiesa. Una storia di genere” narra che “Nel monastero  napoletano di Sant’Antonio da Padova, ad esempio, la finestra collocata dietro l’altare maggiore era munita di un’inferriata chiodata e di un telo che impedivano la vista alle monache, costrette solo ad ascoltare la messa nel coro. Al centro era inserita una finestrella in ferro, anch’essa munita di serratura, detta ‘comunicatorio’, ideata per la distribuzione dell’eucarestia: la badessa ne custodiva la chiave perché fosse aperta in occasione della celebrazione della messa. A destra e a sinistra dell’altare maggiore vi erano due finestrelle di ferro che fungevano da confessionali, traforate da piccoli buchi, coperti dalla parte interna da un telo, che rendevano impossibile qualsivoglia contatto fisico tra monache e confessori. Nella parte esteriore della chiesa vi era una ruota attraverso la quale passavano i paramenti e il necessario per la celebrazione della messa. Tali interventi non eliminarono, tuttavia, azioni trasgressive da parte delle monache, che riuscirono ad aprire varchi di comunicazione con l’esterno. Per tutto il Seicento e il Settecento a interventi repressivi si susseguirono atti di ribellione in un continuo altalenarsi di imposizioni e disubbidienze”.

Il corpo femminile diventò oggetto di particolare attenzione da parte degli organi istituzionali, civili e religiosi tramite il “controllo” della sessualità. Oltre all’inasprimento normativo relativo al concubinato, al meretricio e a qualunque forma di sessualità disordinata, ci fu il ruolo  esercitato soprattutto dai gesuiti, predicatori e confessori, con la loro “direzione spirituale” delle “anime”, tramite le continue confessioni alle donne, alle quali venivano rivolte specifiche ed umilianti domande rivolte sulla loro vita sessuale. Tale vigilanza condizionò per secoli la quotidianità dei fedeli cattolici.

Le norme di continenza o di astinenza, gli impulsi sessuali orientati solo all’interno del matrimonio, l’unione coniugale accettata come “remedium concupiscentiae”, il diniego del piacere sessuale nel coito, il decoro nell’abbigliamento sono gli aspetti che orientarono la formazione della buona cattolica, il cui corpo era funzionale alla procreazione e alle necessità fisiologiche del marito.

Il peccato derivante dalla sessualità esigeva la penitenza e la sorveglianza da parte del confessore che, come un giudice, doveva indagare sugli intimi desideri sessuali, verificare la purezza o meno delle azioni, condannare le colpe e assolvere infliggendo pene e penitenze. Ma la confessione dei “peccati” sessuali da parte delle donne poteva diventare occasione di peccato per i confessori che, eccitati dal corpo delle penitenti e dalle loro parole, potevano indurle a pratiche sessuali e a compiere atti osceni.

Il diritto canonico  della Chiesa cattolica definisce “sollicitatio ad turpia” (= provocazione a cose oscene) da parte del confessore che usa la circostanza del sacramento della penitenza per provocare il o la penitente all’attività sessuale.

Dal XVI secolo la Chiesa considera crimine  e violazione morale la “provocazione a cose oscene”, soggetta a pena variabile, che può giungere alla dismissione del prete dallo stato clericale. 

Questo reato, però,  non fu sempre  e dovunque adeguatamente e severamente punito. Non era facile denunciare l’accaduto da parte di donne sposate, che dovevano difendere l’onorabilità propria e della famiglia, o da parte di monache, intimorite dall’autorità dei confessori. Né era semplice superare l’omertà e la difesa della casta sacerdotale.

Per impedire l’eccessiva vicinanza tra il prete e la penitente durante la confessione, il cardinale Carlo Borromeo (1538-1584) fece introdurre nelle parrocchie della diocesi di Milano dei confessionali in legno, dando indicazioni sulla loro forma, in particolare per ciò che concerne la chiusura ai due lati e riguardo alla grata che doveva separare il confessore dal penitente.
Il prete siede all'interno del confessionale ed il penitente si pone sull’inginocchiatoio ad uno dei due lati del confessionale dotato di grate, protette dall’interno da uno sportellino,  in modo che solo un penitente per volta possa essere in comunicazione con il prete, parlando in modo bisbigliato. 

Da Milano il confessionale venne rapidamente diffuso in tutto il mondo, ma non eliminò il fenomeno e favorì la subalternità della donna al confessore che ne controllava la coscienza oltre ai comportamenti. Mentre gli uomini erano esortati a confessarsi almeno una volta l’anno, a Pasqua,  le donne erano indotte a confessarsi mensilmente o anche più frequentemente per tutelarne l’onorabilità.

Dopo il  Concilio ecumenico Vaticano II il sacramento della penitenza è stato “aggiornato” e nel nostro tempo  è consentita la confessione faccia a faccia fra il sacerdote ed il penitente. I nuovi confessionali consistono in un pannello che divide la sedia in cui siede il prete dall'inginocchiatoio in cui prende posto il penitente; questo consente di mantenere l'anonimato. Esiste, però, anche la possibilità di sedere di fronte al sacerdote e fare così la confessione. Sussiste in ogni caso la possibilità di continuare a ricevere il sacramento della penitenza nei confessionali tradizionali.

L’ossessione per il corpo femminile, desiderato e nel contempo rifiutato e respinto, si manifestò in maniera drammatica nella letteratura demonologica. I trattati di stregoneria dal ‘400 in poi acutizzarono il concetto di inferiorità naturale e fisiologica delle donne, “predisposte a cedere alle lusinghe del demonio con il quale avevano licenziosi rapporti sessuali”.  E’ questo il motivo della crudeltà verso le donne nelle torture inflitte alle cosiddette “streghe”, la cui persecuzione insanguinò l’Europa cattolica e protestante.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 27, 2016, 08:50:55
Le guerre, anche quelle tra cattolici e protestanti, le pestilenze ed altre epidemie inducevano a trovare la causa di ogni sciagura nella presenza del “maligno”, il diavoletto che agiva tramite il corpo delle “streghe”, con le quali coitava,  perciò dovevano essere uccise perché alleate col demonio. Ucciderle per estirpare il Male. Venivano prese di mira le donne solitarie, le “guaritrici” ed altre tipologie considerate pericolose, dannose alla società per i loro rapporti con Satana, dal quale, si pensava, ricevevano poteri oscuri e mortali. Bastava una denuncia, generata dal sospetto o dalla vendetta, per essere sottoposta ad un processo per stregoneria. Sul corpo nudo delle imputate si cercava il marchio del demonio. Se l’inquisita rifiutava di ammettere la propria colpa (che non aveva) si passava alla tortura, che prevedeva anche la mastectomia.

Possessione diabolica o pretesa di santità furono oggetto di indagine da parte dell’Inquisizione e dei confessori, che spesso rimanevano “turbati” dai racconti intimi delle donne e rischiavano il celibato ecclesiastico.

Il rapporto tra i confessori e le donne decise ad intraprendere la vita religiosa si caricò anche di aspetti visionari e profetici. Ma quale Ordine religioso scegliere, quale Congregazione ? Relegarsi in un monastero o nel convento ?

Monastero non è sinonimo di convento.
 
Il convento ospita una comunità religiosa di un Ordine mendicante (Domenicani, Francescani, Agostiniani, Carmelitani, ecc.) i cui membri sono chiamati "frati" e “suore”. Il sostantivo “frate” deriva dal latino “frater”, da cui anche “fratello”; il sostantivo “suora” deriva dal latino “soror”, da cui anche “sorella.

Nella  Chiesa cattolica si indica con l'appellativo di suora una donna che avendo emesso  in forma semplice i voti religiosi di povertà, obbedienza e castità fa parte di un Ordine religioso o Congregazione religiosa.

La suora si distingue dalla monaca perché quest'ultima appartiene ad un Ordine religioso femminile generalmente di antica fondazione e dove i voti sono emessi in forma solenne.

Mentre gli ordini monastici femminili (dediti esclusivamente a vita contemplativa) nacquero quasi contemporaneamente a quelli maschili, le prime congregazioni religiose femminili sorsero a partire dal XVI secolo ed ebbero origine da comunità di terziarie laiche  legate ad un Ordine religioso.
 
Diversamente dalle monache, dedite a vita contemplativa e votate alla clausura, le suore si dedicano prevalentemente all'apostolato attivo (insegnamento, assistenza ad anziani e ammalati, animazione parrocchiale...).
Il convento femminile  è governato dalla “madre superiora”.

Il monastero, invece, ospita monaci o monache di un Ordine religioso che ha una regola, di solito quella benedettina o agostiniana.  L’abate governa in uno o più monasteri maschili confederati, la badessa o priora governa in quello femminile.
Un particolare tipo di monastero è l’abbazia, che per il diritto canonico è un ente autonomo. 
Anche i monaci e le monache emettono tre voti religiosi: povertà, obbedienza e castità. 
La regola benedettina comprende oltre alla preghiera anche attività lavorative (ora et labòra).

Conventi e monasteri nel passato furono luoghi privilegiati dalle donne con la vocazione di essere “spose di Cristo”,  ma furono anche dimore coatte per tante ragazze che non sopportavano la vita religiosa imposta loro dalle proprie famiglie.

Dopo la Controriforma cattolica conventi e monasteri diventarono punti di riferimento indispensabili per le cosiddette “mal maritate”, per le vittime di violenza domestica e per le donne considerate “a rischio”: ex prostitute, giovani vedove e altre figure femminili rimaste prive della protezione maschile.

Le ragazze di famiglie nobili avevano la cella monastica personale, indispensabile per avere autonomia e indipendenza.

L’iter che dallo stato laicale conduceva una ragazza a diventare monaca prevedeva alcune tappe principali: l’accettazione e l’entrata nel monastero;  la vestizione (la giovane indossava la tonaca dell’Ordine religioso); la professione (quando la novizia pronunciava i voti di castità, povertà e obbedienza);la consacrazione e la velazione.

Nel monastero la novizia riceveva una cinta dalla badessa, come simbolo di temperanza e castità, ed ogni monaca della comunità tagliava una ciocca di capelli  alla ragazza, che poi indossava il velo, simbolo di modestia, sobrietà e continenza. Ogni dettaglio della cerimonia di vestizione  e taglio dei capelli era anche espressione metaforica del sacrificio della bellezza della giovane.
La cerimonia si concludeva con il bacio della “conciliazione” che la novizia dava alla badessa e alle altre monache. (cfr. Ordo, rituum et caeremoniarum  suscipiendi  habitum Monialem)

C’erano due tipologie di monache: le coriste (o velate) e le converse, le quali svolgevano incarichi di servizio.
Le coriste provenivano di solito da famiglie nobili o ricche. All’ammissione offrivano la dote avuta dalla famiglia. Nel monastero avevano gli incarichi più prestigiosi: da quello di badessa a quelli di tesoriere, sacrestane, cellerarie, procuratrici, consigliere della badessa, insegnanti, portinaie, ecc.. Le converse erano invece quasi sempre di umili origini, non avevano accesso all’istruzione, e, a differenza delle coriste, non emettevano necessariamente la “professione” dopo un anno di noviziato. Erano ammesse in convento soprattutto per svolgere mansioni di servizio alle coriste, le quali potevano concentrarsi sulla preghiera. Le converse pulivano gli alloggi, facevano il bucato, cucinavano, curavano le monache ammalate, badavano agli animali domestici, curavano il giardino e l’orto.

Anche gli abiti indossati da coriste e converse esplicitavano le loro differenti funzioni: il velo nero distingueva le prime dalle seconde che invece indossavano il velo bianco. Era comunque obbligatorio per tutte indossare l’abito dell’Ordine di appartenenza. 

Ovviamente le differenze fra coriste e converse si riverberavano anche negli spazi a loro disposizione: vivevano in aree separate e di norma le celle delle prime erano più grandi di quelle delle seconde. Anche in refettorio c’era una sorta di diritto di precedenza: le converse potevano accedervi alla fine del pasto delle coriste.

Per quanto riguarda la sessualità c’è da dire che nelle comunità monosessuali  la sessualità  viene sublimata nella castità, ma dalla letteratura sappiamo dei rapporti omo ed eterosessuali. Le monache o suore che partorivano davano i figli in adozione oppure li facevano affidare al brefotrofio, l'istituto che accoglie e alleva i neonati illegittimi, abbandonati o in pericolo di abbandono. Si distingue dall’orfanotrofio che è invece la struttura di accoglienza dove sono accolti ed educati i bambini orfani, e a cui vengono anche affidati minori abbandonati o maltrattati dai genitori naturali.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 28, 2016, 08:02:40
Il teologo gesuita Roberto Bellarmino (1542 – 1621), venerato come santo e proclamato dottore della Chiesa, fu un esponente di primo piano della teologia della Controriforma cattolica.
Nel 1597 il pontefice Clemente VIII lo nominò consultore teologo, esaminatore per la nomina dei vescovi, consultore del Sant'Uffizio e teologo della sacra penitenzieria. Nel concistoro del 3 marzo 1599 lo stesso  papa lo nominò cardinale presbitero.

Bellarmino come consultore del Sant’Uffizio  s’interesso dal 1597 del caso del filosofo e frate domenicano Giordano Bruno, condannato al rogo per eresia, nel 1600. Il cardinale tentò di fargli abiurare le molte tesi considerate eretiche, nel probabile tentativo di salvargli la vita, poiché la condanna per eresia era inevitabilmente la pena capitale. La lunga durata del processo fu causata dal fatto che Giordano Bruno non ebbe un comportamento lineare nell'ammettere l'ereticità delle proprie posizioni. Benché gli inquisitori volessero ricorrere come extrema ratio alla tortura, papa Clemente VIII si oppose e lo volle condannato al rogo.

Anche Galileo Galilei ebbe due processi presso il Santo Uffizio: uno nel 1616 e l'altro nel 1633.Ci furono i  processi a suo carico perché la teoria eliocentrica era considerata eretica dai teologi. Infatti lo scienziato pisano sostenendo che il Sole fosse fisso al centro dell'universo smentiva alcune frasi contenute nel Vecchio Testamento, per esempio "Dio fermò il sole" (Giosuè 10,12), o alcune teorie sostenute dalla Chiesa secondo cui la terra è immobile al centro dell'universo. La dottrina prevalente in quel tempo era infatti che l'infallibilità della Bibbia comprendesse anche il significato letterale, non solo quello simbolico.

Galilei non fu condannato per eresia, avendo egli obbedito ai precetti del Sant'Uffizio. Non rinnegò la fede cattolica, non fu sottoposto a tortura e non disse la frase: "Eppur si muove", che gli fu attribuita circa un secolo dopo dal giornalista Giuseppe Baretti nel 1757 a Londra.
 
Nel processo contro  Galilei alcuni storici hanno voluto vedere una partecipazione del cardinale Bellarmino su una posizione oscurantista, ma non fu così.  Bellarmino fu coinvolto solo nel primo processo a Galilei, quello del 1616, poiché nel secondo, quello del 1633, quando Galilei fu condannato al carcere, il cardinale Bellarmino era deceduto da 12 anni. 

La condanna di Galileo Galilei ebbe un peso determinante nella storia della Chiesa cattolica ed indirettamente ebbe ripercussioni anche sull’evoluzione della condizione femminile, perché non consentire dubbi interpretativi sui testi sacri, considerati rivelati, significò fissare le donne negli stereotipi di alcune figure bibliche non sottoposte ad indagine critica, come dimostra l’interpretazione letterale di Eva, considerata veramente esistita, nata il sesto giorno della creazione da una costola di Adamo, a lui sottomessa e causa del “peccato”. 

Per la Chiesa gerarcocratica, monarchico-piramidale post-tridentina non era possibile conciliare indagine scientifica e verità di fede. Dio è l’eterno senza mutazione, il Cristo, mediatore risorto nella maestà e nella potenza, il re trionfante, capo della Chiesa cattolica, la quale tendeva ad identificarsi con il regno di Dio, ridotto alla dimensione della Chiesa visibile.: “Ecclesia dicitur regnum caelorum” (= La Chiesa è il regno dei cieli).
Il Regno dei Cieli, oppure “Regno di Dio” è un concetto chiave del  cristianesimo, basato su un’espressione attribuita a  Gesù, con riferimento alla sovranità di Dio su tutte le cose. Nella tradizione cristiana il Regno dei Cieli (o di Dio) è stato accostato al concetto di Paradiso.

Nel Nuovo Testamento è scritta più di cento volte la parola “regno”, per indicare la regalità e il reame  della potestà divina.
In ebraico l'espressione "i cieli" è un eufemismo per indicare Dio senza nominarlo esplicitamente. Tale uso entrò nella lingua italiana in espressioni come "se il ciel lo vuole”. 

Nei primi tempi della sua predicazione itinerante Gesù annunciava l'imminenza del regno dei cieli (o di Dio): “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15).
Anche Giovanni Battista diceva: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt 3, 2). La stessa frase è ripetuta da Gesù, secondo il Vangelo di Matteo (4, 17). 
La “salvezza” si poteva raggiungere con l’obbedienza ai dettami della fede mediata dall’autorità gerarchica della Chiesa, arbitra della “verità” e dell’agire morale. 

Al servizio della dottrina della Chiesa furono coinvolte anche le arti.  Il Concilio di Trento volle nuove modalità artistiche con funzione pastorale e pedagogica per educare i fedeli attraverso le immagini, e favorire la devozione e la pietà popolare.
Le figure femminili dell’Antico Testamento furono reinterpretate in chiave cristiana: Rebecca, Giuditta, Ester e Giaele consentivano la rappresentazione allegorica della storia mariana; furono considerate  prefigurazioni della Vergine e del suo ruolo di mediatrice vittoriosa sul Male. Le predette donne bibliche erano indicate come esempi di virtù da seguire, mentre le donne negative (Eva, Gezabele, Erodiade ed altre) erano additate per i loro atteggiamenti viziosi e ribelli, perciò erano da condannare.

Alle rappresentazioni artistiche volute dalla Controriforma cattolica ed ispirate dalla Bibbia si aggiunse il culto delle reliquie, dei santi e delle pratiche devozionali. 
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 29, 2016, 08:01:17
Nel 15/esimo secolo la nobile veronese Isotta Nogarola (1418 – 1466) intraprese un dialogo epistolare con il letterato e podestà di Verona, Lodovico Foscarini, per riscattare la donna dal peso del “peccato originale”, avvenuto, a suo avviso, per brama di conoscenza e non di potere: “Eva […] non appetivit se esse Deo similem in potentia, sed in scientia tantum boni et mali” (= Eva non bramava essere simile a Dio  nella potenza, ma nella conoscenza del bene e del male). La corrispondenza tra i due fu poi pubblicata nel 1451  con il titolo “De pari aut impari Evae atque Adae peccato”. Isotta Nogarola immagina Eva come creatura debole e ignorante, a giustificazione del suo comportamento alle lusinghe del serpente, mentre Lodovico Foscarini sostiene la maggiore colpevolezza della donna. Nel dialogo le argomentazioni e le confutazioni sono sostenute dal ricorso a passi biblici, a frasi aristoteliche, al “De genesi ad litteram” di Agostino, vescovo di Ippona, ai “Moralia in Job” di papa Gregorio Magno, alle “Sententiae” di Pietro Lombardo e alla teologia di Tommaso d’Aquino.

Un’altra donna, la scrittrice, filosofa e poetessa francese di origini italiane Christine de Pizan (in Italia meglio conosciuta come Cristina da Pizzano, nata a Venezia nel 1365 e morta a Poissy nel 1430) scrisse un libro titolato: “Livre de la cité des dames” (la città delle dame), pubblicato nel 1405, come risposta ad alcuni testi di vari autori, come quello di Giovanni Boccaccio, titolato: “De mulieribus claris” (Sulle donne famose), e quello del poeta francese Jean de Meung: “Roman de la rose” (romanzo della rosa), un poema allegorico che descrive le donne come seduttrici.   
La de Pizan scrisse: “Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d'accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline ad ogni tipo di vizio”.
Questa scrittrice immagina (nel quindicesimo secolo) una società utopica e allegorica in cui la parola “dama” indica una donna non di sangue nobile, ma di spirito nobile. Nella città fortificata e costruita secondo le indicazioni di Ragione, Rettitudine e Giustizia,  la De Pizan racchiude sante, eroine, poetesse, scienziate, regine, ed altre che offrono un esempio del potenziale che le donne possono offrire alla società.
Per  i temi trattati nelle sue opere, in cui combatte la misoginia, è considerata un'antesignana del femminismo. Nella “Città delle Dame”, per esempio, la protagonista esclama ad un certo punto con voluta ironia: “Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere”.

Nel  17/esimo secolo un’altra poetessa e scrittrice italiana, la veneziana  Lucrezia Marinelli (1571 – 1653) prese parte al dibattito europeo sulla “querelle des femmes”, che coinvolse numerosi intellettuali europei dal tardo medioevo fino al Settecento. In risposta al testo misogino dello scrittore Giuseppe Passi, “Dei donneschi difetti”,  pubblicato nel 1599, la Marinelli scrisse “La nobiltà et l'eccellenza delle donne co'difetti et mancamenti de gli uomini”, pubblicato nel 1600.  Questo libro è diviso in due parti: in una elogia le donne, nell’altra critica i difetti degli uomini.

Contemporanea della Marinelli fu la parigina Marie de Gournay (1565 – 1645, figlia adottiva di Michel de Montaigne), la quale scrisse il saggio: “Egalité des hommes et des femmes”, pubblicato nel 1622, a cui fece seguito nel  16126 un altro saggio su “Les femmes et grief des dames”, nel quale auspica l'uguaglianza tra i sessi.

I testi citati costituiscono per la storia delle donne lo sfondo di discussione sull’identità e sui ruoli del maschile e del femminile, anche se gli esiti più originali e rilevanti ci furono nel XIX secolo.

C’è anche da dire che alcuni uomini,filosofi, scrissero libri in difesa delle donne.

Nel 16/esimo secolo il filosofo ed astrologo tedesco Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486 – 1535), conosciuto in Italia col nome italianizzato di Cornelio Agrippa, dedicò a Margherita d’Asburgo il breve trattato titolato “De nobilitate et praecellentia foeminei sexus”  (= Nobiltà e preminenza del sesso femminile), nel quale sostiene la superiorità della donna rispetto all’uomo, dal momento che già il nome della prima donna, Eva, che significa “vita”, è più nobile di quello di Adamo, che vuol dire terra. E l’essere stata creata dopo l’uomo è motivo di maggior perfezione. Inoltre, la donna è più eloquente e giudiziosa.

Alla fine del Seicento il filosofo e scrittore francese François Poullain de La Barre (1647 – 1726), considerato da alcuni studiosi il padre del femminismo moderno, convinto delle ingiustizie nei confronti delle donne, nel 1673 pubblicò il saggio “De l’egalitè des deux sexes,  discours physique et moral où l'on voit l'importance de se défaire des préjugez” (= L’uguaglianza dell’uomo e della donna…), col quale pose le basi teoriche del principio di uguaglianza tra i due sessi. Egli raccomanda che le donne ricevano un'educazione adeguata, ma anche che siano aperte a loro tutte le carriere, comprese quelle scientifiche. E’ sua questa famosa massima: “la mente non è il corpo, la mente non ha sesso”.
Le teorie di Poullain sulla parità tra uomo e donna influenzarono numerosi intellettuali. Alcuni esempi.

La drammaturga francese Olympe de Gouges (1748 – 1793) nel 1791 pubblicò la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, in cui afferma l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna; il 3 novembre 1793 venne ghigliottinata perché si era opposta all’esecuzione di Luigi XVI.

Il filosofo francese Charles Fourier (1772 – 1837) fu favorevole all’uguaglianza tra uomini e donne; nel 1830 partecipò al moderno movimento femminista.

Il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806 – 1873) Influenzato anche dalle idee femministe della moglie, la suffragetta  Harriet HardyTaylor, e da quelle della figliastra Helen, Mill scrisse nel 1869 “La servitù delle donne”, in cui rivendica la parità dei sessi nel diritto di famiglia e il suffragio universale, sostenendo che ciò migliorerà anche gli uomini, i quali smetteranno di sentirsi superiori solo per il fatto di essere maschi e metterà fine all'ultimo residuo di schiavitù legale esistente dopo l'abolizionismo dello schiavismo dei neri negli Stati Uniti.

La predetta filosofa inglese Harriet Hardy Taylor (1807 – 1858) fu un’esponente del primo femminismo liberale; sposò in seconde nozze John Stuart Mill. Negli scritti della Taylor, si può leggere la volontà di raggiungere una definitiva eguaglianza tra uomo e donna nell'istruzione, nel matrimonio e, in generale, nella giurisprudenza.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Dicembre 30, 2016, 08:32:31
A Firenze, negli anni settanta del Quattrocento, la colta  scrittrice e poetessa Lucrezia Tornabuoni (1424 – 1482), moglie di Piero di Cosimo de’ Medici e madre di Lorenzo il Magnifico, scrisse anche cinque brevi poemi di carattere sacro dedicati a personaggi biblici, uno dei quali è Giuditta, che nella lingua ebraica significa “lodata” ed è la forma femminile del nome Giuda. Le vicende di Giuditta sono raccontate nell’omonimo libro, composto di 16 capitoli. La storia è ambientata al tempo del re Nabucodonosor (605 – 562 a. C.). Si narra dell’assedio al popolo israelita  da parte delle truppe assiro-babilonesi comandante dal generale Oloferne.  Assediati, ridotti allo stremo per fame e sete, dopo 34 giorni gli israeliti avrebbero voluto arrendersi, ma la giovane e bella Giuditta, ricca vedova di indiscussa virtù, convoca gli anziani, rimprovera loro la scarsa fede nella vittoria,  ne ottiene la fiducia e, invocata per sé la protezione del Dio di Israele, si veste in modo elegante per presentarsi  ad Oloferne con la sua serva e con doni, fingendo di essere venuta a tradire i suoi.
Condotta alla presenza del generale viene ben accolta. Ella gli fa credere di poter avere la rivelazione dei peccati del suo popolo a causa dei quali l'Eterno lo darà in mano al nemico, permettendogli di giungere vittorioso fino alla conquista di Gerusalemme.
Oloferne accetta l'offerta e la lascia pregare ogni notte il suo Dio per avere la promessa rivelazione. Dopo tre giorni la invita al suo banchetto, credendo di poterla anche possedere. Ma quando viene lasciato solo con la donna è molto ubriaco. Giuditta si avvicina  alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, prende la scimitarra di lui, si avvicina al letto, afferra l'uomo per i capelli e con forza lo colpisce due volte al collo fino a staccargli la testa. Poi Giuditta fugge a Betulia tra i suoi, dove riceve molti onori. Le truppe assiro-babilonesi trovano morto il loro comandante ed impauriti fuggono, inseguiti dai Giudei.
La fama di questa donna fu dal Medioevo tema iconografico di numerosi artisti. Mantegna immagina Giuditta con un coltello in mano mentre taglia la testa di Oloferne; Donatello la raffigura con una sciabola; Caravaggio con una spada; Artemisia Gentileschi con uno spadone.

Un altro noto personaggio biblico che ha ispirato numerosi capolavori artistici  è  il pastorello Davide che, armato di fionda, vince Golia, il temibile gigante dei Filistei, in guerra contro il popolo di Israele guidato da re Saul.  Davide simboleggia la fede e il coraggio contro la violenza.
E’ rappresentato nella statua in marmo scolpita tra il 1501 e il 1504 da Michelangelo Buonarroti.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/24/'David'_by_Michelangelo_JBU0001.JPG/265px-'David'_by_Michelangelo_JBU0001.JPG)

Nel secolo precedente, prima del David michelangiolesco furono realizzate a Firenze sullo stesso tema altre opere d’arte, per esempio, quella eseguita nel 1425 circa dall’architetto e scultore Lorenzo Ghiberti in una formella della “Porta del Paradiso”, nel battistero del duomo; la scultura in bronzo del David  prodotta da Donatello nel 1440 circa. Nel 1495, in occasione della seconda cacciata dei Medici, venne trafugato dalla folla e trasportato in palazzo Vecchio, quale simbolo della libertà repubblicana. Da aggiungere, la scultura bronzea del Verrocchio, raffigurante il David, databile al 1472 – 1475. Caravaggio invece, ma non a Firenze, nel 1606 pone in primo  piano nel dipinto la testa mozzata e il viso stravolto dal dolore di Golia, al quale il pittore presta le sue fattezze (è infatti quasi certo che si tratta di un autoritratto). La sofferenza dello sconfitto si riverbera anche sul volto tormentato di Davide, ben diverso in questa raffigurazione dall'adolescente spavaldo e trionfante immortalato da Donatello e da Michelangelo.

Nella Firenze della seconda metà del ‘400 oltre i citati artisti spicca il frate domenicano Girolamo Savonarola, predicatore e politico. Profeta di sventure, tentò di instaurare un modello politico teocratico per la Repubblica fiorentina dopo la cacciata dei Medici. Ma nel 1497 il pontefice Alessandro VI lo scomunicò e l’anno dopo lo fece impiccare e bruciare sul rogo come eretico e scismatico. Gli scritti di questo domenicano nel 1559 furono inseriti nell’Indice dei libri proibiti, poi riabilitati dalla Chiesa. Ora è servo di Dio. Come al solito la Chiesa adatta la sua politica del bastone e la carota secondo l’epoca ed il contesto sociale.

Da Firenze a Napoli, dove nel 1534 arrivò con un incarico politico il teologo spagnolo Juan de Valdés (1500 – 1542). Nel capoluogo partenopeo costituì un cenacolo di nobili donne (Costanza d’Avalos, Maria d’Aragona, Caterina Cybo, Isabella Bresegna ed altre) e di nobil uomini (Ferrante Sanseverino, Galeazzo Caracciolo, Marcantonio Flaminio ed altri). La sua casa a Chiaia divenne un circolo letterario e religioso, e le sue conversazioni e le sue opere, che circolarono manoscritte, stimolarono il desiderio di una riforma spirituale della Chiesa. Alla sua morte, nel 1542, la sua erede spirituale, la contessa Giulia Gonzaga, continuò le relazioni tra le donne colte dell’aristocrazia europea. Tra queste la principessa Vittoria Colonna, amica spirituale di Michelangelo Buonarroti.

Un’altra donna sensibile ai fermenti religiosi del tempo fu la colta duchessa di Camerino, Caterina Cybo (1501 – 1557), quinta figlia di Franceschetto Cybo (1449-1519), figlio naturale di Giovanni Battista Cybo (che fu papa  col nome di Innocenzo VIII dal 1484 al 1492) e di Maddalena de' Medici (1473-1519), figlia di Lorenzo il Magnifico e sorella di Giovanni de' Medici, divenuto papa Leone X nel 1513. In questo stesso anno Caterina, all’età di 12 anni, fu promessa sposa di Giovanni Maria Varano (1481-1527), creato nel 1515 duca di Camerino da papa Leone X, zio di Caterina, la quale fu determinante per il riconoscimento pontificio dell’Ordine dei frati minori cappuccini (in latino Ordo fratrum minorum capuccinorum).
L’Ordine dei frati minori cappuccini fu creato nel 1520 circa dal frate francescano osservante Matteo da Bascio, quando si convinse che lo stile di vita condotto dai francescani del suo tempo non era quello che san Francesco aveva immaginato. Egli desiderava ritornare allo stile di vita originario in solitudine e penitenza come praticato dal fondatore del suo ordine. Nel 1528, Matteo ottenne, con la mediazione di Caterina Cybo, duchessa di Camerino, l'approvazione di papa Clemente VII. Gli fu dato il permesso di vivere come un eremita e di andare ovunque predicando ai poveri. Questi permessi non furono solo per lui, ma per tutti quelli che si sarebbero uniti a lui nel tentativo di restaurare l'osservanza della Regola di san Francesco.

Fra le donne del primo Rinascimento spicca la scrittrice e poetessa francese Margherita  d'Angoulême (1492 -1549), figlia di Carlo di Valois e di Luisa di Savoia. Margherita fu principessa di Angoulême, duchessa di Alençon, e poi regina di Navarra. Fu protettrice di artisti e letterati. Scrisse, fra l’altro,  una raccolta di novelle titolata “Heptaméron”, ispirata dal “Decamerone” di Giovanni Boccaccio.
   
In contatto con il circolo umanistico della regina di Navarra ci fu Renata di Francia (1510 – 1575), figlia del re Luigi XII. Data in moglie ad Ercole II, duca di Ferrara, creò  a corte un luogo di accoglienza per gli esuli francesi e i dissidenti religiosi. Con loro discuteva sull’autorità del papa, la presenza reale di Gesù nell’ostia consacrata, la validità dei sacramenti, la mediazione di Maria e dei santi, l’esistenza del purgatorio. Con Giovanni Calvino, in visita a Ferrara nel 1536, iniziò una corrispondenza che durò per tutta la sua vita. Il marito temendo per lei l’Inquisizione l’aveva relegata agli arresti domiciliari. Dopo la morte del marito Renata nel 1558 fece ritorno in Francia. Nel suo piccolo feudo di Montargis, vicino Orléans, accolse cattolici ed ugonotti, affermando il rispetto per la libertà di coscienza.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 03, 2017, 09:24:57
Fin dai primi secoli del cristianesimo ci furono donne  che scelsero la vita ascetica, rifiutando il matrimonio e vivendo ritirate nelle proprie case di famiglia nei due gradi di castità: quelle “virgines”, consacrate pubblicamente a questo stile di vita, e quelle “viduae sacrae”, la cui presenza, non sempre apprezzata dalla gerarchia ecclesiastica, si è prolungata per due millenni e perdura ancora oggi nella Chiesa cattolica.
Quelle donne,  singole o in comunità, moderavano il vitto ed il vestiario, osservavano l’astinenza sessuale e conducevano una vita ritirata, prodromo di quella clausura, che nei secoli successivi caratterizzò la vita monastica femminile.

Le prime notizie su forme di vita ascetica femminile organizzata sono della metà del IV secolo. L’aspirazione alla vita cenobitica assunse rilievo con la partecipazione di donne, vergini o vedove aristocratiche.   

Gaetano Greco nel suo saggio “Ordini monastici femminili e la Chiesa in Italia” afferma che nell’Alto Medio Evo i monasteri femminili erano fondazioni regie o aristocratiche, con poche monache, appartenenti anche a casati e clan nobili sconfitti politicamente. Allo stesso modo di analoghe fondazioni maschili, talora i monasteri  femminili costituivano un rifugio, voluto od imposto, per le donne in situazioni di violenza, subita o temuta, e per salvaguardare almeno parzialmente i beni di clan gentilizi sconfitti, che si ritiravano dentro queste istituzioni ecclesiastiche. In seguito, anche per questo monachesimo femminile si riscontra una lenta influenza del movimento cluniacense.

Nell’XI secolo ci fu una ripresa delle fondazioni monastiche su base gentilizia, anche dentro le città comunali, con la dotazione di beni familiari comuni e conservando il patronato familiare nell’elezione della badessa, spesso eletta a vita: come già in età longobarda e franca, in questi monasteri si ebbero vere e proprie dinastie di badesse appartenenti alle stirpi dei fondatori.

La rinascita monastica del XII secolo indusse alla creazione di rami femminili di Ordini monastici maschili: le Camaldolesi (1085) le Vallombrosiane (1145), le Certosine (1228) le Olivetane. In questo contesto di ripresa furono importanti le fondazioni femminili legate all’ordine dei Cistercensi: i monasteri di questo tipo si sottoponevano al governo spirituale del ramo maschile, che provvedeva tramite propri monaci all’amministrazione dei sacramenti alle monache.
Con l’affermazione degli Ordini Mendicanti nacquero, sul loro esempio e sotto la loro guida, monasteri del ramo femminile, come le Domenicane, istituite nel 1206 circa, e le Clarisse, nel 1212. Agli inizi, Chiara e le sue consorelle  vivevano in ospizi nei pressi delle città, si mantenevano con il proprio lavoro e rifiutavano le donazioni di beni e le offerte; ma nel 1229 anche a loro furono imposte le due norme tradizionali delle fondazioni monastiche femminili: il possesso dei beni e la clausura. A partire dalla fine del XIII secolo comparvero le Eremitane Agostiniane, che formarono il ramo femminile degli Agostiniani, chiedendo ed ottenendo di porsi sotto il loro governo e la loro assistenza spirituale.
Il primo monastero di Servite nacque a Todi nel 1285 con un gruppo di prostitute convertite da san Filippo Benizi: le loro fondazioni erano legate al ramo maschile attraverso il priore generale o il priore provinciale dell’Ordine. Infine, alla metà del XV secolo nacquero anche monasteri di Carmelitane.

Gli ordini monastici femminili conobbero una serie di problemi comuni. Di fatto non ottennero il riconoscimento della loro aspirazione alla povertà evangelica, che pure era forte in alcune delle loro ispiratrici. Si pensava  che la condizione di miseria esponesse le donne alle tentazioni ed ai pericoli della “carne”, cioè a relazioni sessuali libere o a pagamento. Nonostante le loro aspirazioni, Francescane e Domenicane si dovettero limitare a uno stile di vita più austero rispetto agli altri monasteri femminili e anche i loro monasteri furono fondati su una base patrimoniale, arricchita con le doti delle singole monache: l’involuzione fu favorita dal  successo che le case femminili dei Mendicanti riscossero negli stessi ceti aristocratici.

Le monache, in quanto donne, erano considerate inabili all’amministrazione dei sacramenti, di conseguenza dovevano ricorrere al servizio sacramentale fornito per l’eucarestia e la confessione da religiosi maschi: questa presenza maschile esponeva le monache a rischi e maldicenze, mentre gli stessi religiosi non di rado provavano fastidio e imbarazzo nell’assolvere a questo compito, soprattutto nel caso dei confessori. Inoltre, con la Decretale “Periculoso ac detestabili” del 1298 confermata nel 1309 dalla “Apostolicae Sedis”,  papa Bonifacio VIII impose anche a questi monasteri l’obbligo della “clausura”, cioè della segregazione rispetto al mondo esterno.

Agli inizi dell’età moderna  molti monasteri femminili cessarono di osservare l’obbligo della clausura, o non lo avevano mai rispettato sin dalle origini. L’apertura dei monasteri e delle case femminili verso l’esterno poteva avere in qualche caso inferenze sentimentali (come testimonia la novellistica), ma più spesso costituiva una scelta obbligata, determinata da concrete esigenze di sopravvivenza: per i monasteri era necessario mantenere rapporti con chi commissionava alle monache lavori di filatura, tessitura, cucito, etc., e in alcuni mesi dell’anno i monasteri più poveri dovevano mandare fuori dal loro chiostro alcune sorelle, per raccogliere le elemosine indispensabili a sfamare la comunità. Soprattutto, l’apertura verso l’esterno manteneva in costante rapporto le singole monache con il contesto sociale, in primo luogo con le proprie famiglie d’origine, rispondendo a esigenze connesse alla gestione economica dei patrimoni monastici e delle doti monacali.

La Chiesa dopo il Concilio di Trento promosse una forte offensiva per introdurre un nuovo stile di vita nei monasteri:  il mandato temporaneo  e non più perpetuo dell’ufficio di madre superiora, l’obbligo della vita comune e la realizzazione del regime di clausura in tutti i monasteri femminili, a qualunque ordine appartenessero e qualunque regola seguissero. Momenti principali di questa strategia disciplinatrice furono alcuni provvedimenti romani.
Il 29 maggio 1566, con la costituzione “Circa Pastoralis officii” e due anni dopo con la “Lubricum vitae genus”, papa Pio V impose l’obbligo della rigida clausura a tutti i monasteri femminili. Con la bolla “Deo sacris virginibus” del 30 dicembre 1572 Gregorio XIII ribadì gli ordini del suo predecessore, aggiungendovi una minaccia: i monasteri inadempienti sarebbero stati condannati all’estinzione, perché non avrebbero potuto accettare nuove consorelle. L’imposizione dall’alto del rigore disciplinare controriformistico sollevò le proteste generalizzate delle monache e tentativi di resistenza, che si protrassero fino agli inizi del Seicento.

La benedettina napoletana Fulvia Caracciolo, di nobile famiglia, nelle sue memorie, “Breve Compendio”, scritte nel 1580, testimonia gli atti di ribellione delle monache. Per ripristinare la disciplina nel monastero di San Festo, a Napoli, ad esempio, fu necessario ricorrere al “braccio secolare”: il monastero fu assediato ma le monache reagirono violentemente scagliando pietre dalle mura, ferendo e addirittura uccidendo alcuni tra gli assalitori. Le monache, come riferisce Fulvia, “furono maltrattate con prigionie ed altri modi orribili e dimoravano nelle carceri […] per mesi due e giorni venti”. Analoga situazione a Napoli con le monache benedettine del monastero di Santa Maria Donnalbina che nel 1564, lanciando per quasi due ore pietre, scodelle, vasi colmi di terra, colpirono anche Giulio Santoro, delegato del cardinale Carafa.

Era difficile per le monache cambiare uno stile di vita consolidato nei secoli e diventato prassi quotidiana. Alla fine, il coinvolgimento attivo dei ceti nobiliari e dei patriziati cittadini, interessati alla nuova ideologia sottesa alla disciplina della Controriforma, sugli antichi monasteri femminili fu imposta una pesante cappa claustrale.

Nel Seicento e nel Settecento i concili post tridentini e gli interventi dei vescovi diocesani ribadirono le norme per evitare abusi nei monasteri femminili.
 
Gli editti emanati a Napoli dal cardinale Ascanio Filomarino tra il 1642 ed il 1658 ripetutamente vietarono di ricevere visite, di abbellire gli altari, di usare canto e musica durante la messa senza il permesso del vicario delle monache, di far dormire nelle proprie celle educande, novizie e professe, di introdurre bambini, di fare spese superflue e sperperare doti. Tali divieti evidenziano le resistenze delle monache napoletane a vivere nella totale clausura e nella più rigorosa austerità economica.
Contrariamente alle norme per isolare dal contesto urbano gli spazi claustrali tramite l’innalzamento di alte mura di cinta, le religiose realizzarono in alcuni monasteri logge ai livelli superiori, belvedere, chiostri maiolicati (Santa Chiara) per rendere più piacevole la loro vita, che volevano comunque aperta alla città.

Le “monacazioni forzate” continuarono nell’età moderna tra alcuni pubblici scandali (come quello della famosa monaca di Monza) e drammi individuali connessi alle strategie familiari tese a consolidare i patrimoni domestici, privilegiando la discendenza maschile nella successione ereditaria e confinando le figlie nei monasteri.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 05, 2017, 11:18:44
Gaetano Greco nel suo citato saggio  sugli “Ordini monastici femminili e la Chiesa in Italia” evidenzia che agli inizi dell’età moderna, tranne i casi di autentica vocazione volontaria e autonoma, la scelta dello stato monastico delle fanciulle spettava ai padri o ai maschi delle loro rispettive famiglie e dipendeva da motivazioni esclusivamente connesse con quelle “strategie familiari”, che erano tese, oltre che a sistemare in qualche modo figlie illegittime o inadatte al matrimonio per evidenti difetti fisici, a conservare e accrescere il patrimonio domestico, senza intaccarlo con l’erogazione di ricche doti coniugali o con lasciti testamentari.

Fino alla metà del Cinquecento queste strategie familiari, condizionate da motivazioni economiche, erano sopportabili per le interessate, poiché non comportavano la recisione dei loro legami affettivi con le famiglie d’origine. La comunità familiare si perpetuava nel monastero o nel convento.Infatti  l’assenza di clausura consentiva alle donne e ai maschi della famiglia di visitare le parenti monacate, di servirsi delle celle monastiche per conservarvi i denari, i gioielli e i preziosi di casa nei momenti più turbolenti della vita cittadina, di usare la cucina monastica per organizzare i pranzi in occasione di battesimi e matrimoni. 

Nonostante la repressione ed i provvedimenti censori, nelle comunità religiose persistevano comunque margini di autonomia e spazi di libertà. Tale stato di cose indusse numerose monache ad accogliere con entusiasmo l’inasprimento della vita monastica e della clausura di tipo carcerario. Alcune di loro ne fecero il fondamento di nuovi istituti, come nel caso delle monache "Clarisse Cappuccine", create a Napoli dalla nobildonna catalana Maria Longo (1463-1542): rimasta vedova, si recò in pellegrinaggio a Loreto dove decise di entrare nel Terz'ordine di San Francesco, assumendo il nome religioso di Lorenza. Tornata a Napoli, con alcune consorelle iniziò a dedicarsi alla cura dei malati negli ospedali per poveri della città; nel 1497 fondò un Ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, destinato ai malati di sifilide, e si pose sotto la direzione spirituale di Gaetano di Thiene, che a Napoli animava l'oratorio del Divino Amore. Nel 1530 fondò il convento di Sant'Eframo Vecchio, destinato alla prima comunità di frati cappuccini napoletani.

Un'altra spagnola, la mistica Teresa d’Avila fu la promotrice della riforma rigorista delle Carmelitane.

Ai monasteri ed ai conventi furono aggiunti altri istituti per sopperire al disagio sociale, alla povertà dilagante, soprattutto in seguito alla crisi economica e politica che coinvolse l’Europa lacerata dalle guerre.  Quegli istituti di assistenza cercavano di arginare la mendicità, di aiutare orfane, vedove, ragazze appartenenti a famiglie povere, donne in disaccordo con i mariti e che non avevano il sostegno economico della famiglia, le vagabonde o chi era senza fissa dimora.
Le opere di carità servivano per contrastare i disordini sociali e le malattie. Quelle strutture svolsero ruoli assistenziali: sostentamento all’educazione tramite l’insegnamento delle cosiddette “arti donnesche” (cucito, ricamo, ecc.), offerta della dote maritale alle giovani in procinto di sposarsi, il recupero sociale delle donne disonorate con la rieducazione e formazione.
La costituzione di una fitta e articolata rete di istituzioni per l’aiuto alle donne bisognose, rispondeva alle esigenze di natura religiosa, economica e demografico-sociale. Si difendeva il prestigio dell’aristocrazia, l’onorabilità delle famiglie, si manteneva l’ordine pubblico e si esaltava la Chiesa cattolica nella sua visibilità istituzionale.

Angela Merici (1474 – 1540) con la fondazione di donne laiche “Compagnia delle dimesse di sant’Orsola” si occupò dell’istruzione femminile.
La “gesuitessa” Mary Ward (1585 – 1645) con le “Dame inglesi” fu attiva nell’apostolato per educare le giovani, ma si dovette scontrare con le resistenze dei Gesuiti e con le autorità ecclesiastiche che non approvavano l’impegno delle laiche senza l’abito monacale, non soggette alle regole della clausura e libere di muoversi per la città.

La nobile francese Giovanna Francesca Frémiot de Chantal (1572 – 1641)  a vent’anni sposò il barone de Chantal, da cui ebbe numerosi figli. Rimasta vedova avvertì il desiderio di ritirarsi dalla vita secolare e di consacrarsi a Dio. Nel 1604 conobbe il vescovo di Ginevra, Francesco di Sales, e si affidò alla sua direzione spirituale. Insieme crearono  l’Ordine della Visitazione di Santa Maria dedicato all’assistenza dei  poveri e dei malati. In seguito, però, la congregazione delle “Visitandine” fu trasformata in un ordine claustrale dedito alla vita contemplativa.

Un’altra nobile francese, Luisa de Marillac (1591 – 1660), anche lei sposata e rimasta vedova, nel 1625 incontrò Vincenzo de Paoli (1581 – 1660) che divenne suo direttore spirituale. Insieme crearono la “Compagnia delle Figlie della Carità” col fine di aiutare i diseredati, educare i trovatelli, soccorrere i feriti delle guerre, curare i malati a domicilio o negli ospedali, ecc..

Oltre alla fondazione di istituti di suore caritatevoli, nel Seicento e nel Settecento nacquero in Italia anche nuovi istituti religiosi femminili di clausura:
a Genova nel 1604 Maria Vittoria Fornari Strada fondò l’Ordine della Santissima Annunziata;
ad Avellino nel 1654 sorsero le Oblate Sacramentine, che osservavano la stretta clausura, benché si dedicassero all’educazione delle giovani in un conservatorio interno;
nel 1731 Maria Celeste Crostarosa, con l’aiuto di Alfonso Maria de’ Liguori fondò un monastero per le monache Redentoriste;
nel 1744 Maria Antonia Felice Solimani fondò il monastero per le Romite di san Giovanni Battista.
nel 1771 fu la volta delle Passioniste, fondate da san Paolo della Croce.

Nel 1785 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo impose ai monasteri di clausura di impegnarsi nel campo dell’educazione delle ragazze, obbligando i monasteri femminili e le singole monache a scegliere fra la clausura (con l’abolizione delle celle individuali) e la riconversione in conservatori finalizzati all’istruzione.

Tra il 1806 ed il 1810 l’occupazione napoleonica  dell’Italia ebbe tra le conseguenze la soppressione di monasteri e confische dei relativi patrimoni.

Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna e la Restaurazione  dell’Ancien Régime, in seguito alla sconfitta di Napoleone Bonaparte,  fu riattivata la clausura nei monasteri femminili. Ma il  ritorno ai valori e agli stili di vita della tradizione cattolica fu ostacolato non solo dai mutamenti sociali, resi irreversibili di fatto dall’alienazione massiccia dei patrimoni ecclesiastici (acquistati pure da famiglie di sicura fedeltà alla Chiesa e al pontefice), ma anche dalla ripresa dei principi del giurisdizionalismo ecclesiastico, soprattutto in Toscana e nel Settentrione. Per attenuare gli ostacoli frapposti alla vita contemplativa, gli ordini monastici femminili adottarono un atteggiamento di compromesso, facendo coesistere l’osservanza della clausura con l’impegno educativo verso le ragazze. Questa strategia dell’impegno in attività di educazione, d’istruzione e di assistenza si rivelerà utile anche negli anni immediatamente successivi all’Unità per attenuare gli effetti dell’estensione a tutto il Regno d’Italia (legge del 7 luglio 1866) delle leggi piemontesi di soppressione degli enti ecclesiastici non dediti ad attività di utilità sociale (29 maggio 1855).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 08, 2017, 00:06:02
Qual è la lunghezza giusta per un post? Credo che 5000 battute siano già molte, forse troppe. Troppe rispetto al tempo che un lettore è disposto a concedere ad un argomento che si legge di corsa dal monitor del computer o sul tablet. Ci sono temi però che non possono essere descritti in poche righe.
So che  i post che scrivo in questo topic necessitano di pazienza e volontà da parte del lettore, perciò  non intendo chiedere a chi passa di qua di andare avanti con la lettura; ma so anche che lo sforzo che dovrei fare per non dire ciò che voglio dire, sarebbe di gran lunga superiore. Perché “soffrire” ? La tentazione mi seduce, non resisto ed insisto, per raccontare che… la controriforma cattolica voleva l’’oblazione del corpo delle monache, affinché si “donassero” allo “sposo celeste”; anche le donne sposate non dovevano sottrarsi alle richieste sessuali dei mariti, anche se violenti. Si pretendeva la donna che patisce e si dona come vittima sacrificale, nella totale passività ed obbedienza al confessore, dedito all’analisi introspettiva degli stati d’animo.

Al sistema familiare e sociale interessava il controllo della sessualità femminile, alla Chiesa la sottomissione della donna. In quel periodo nelle prediche veniva esaltata la dedizione femminile. La morale la esigeva.

Preghiere e sensi di colpa, crisi affettive e spirituali inducevano numerose  monache e suore al misticismo, alla ricerca della trascendenza. Alcune di esse riuscivano ad avere esperienze estatiche, le transverberazioni, come quelle della monaca carmelitana spagnola Teresa d’Avila (1515 – 1582), le “estasi di santa Teresa”.

Nell’autobiografia questa santa scrisse: “Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio” (XXIX; 13).

Il racconto teresiano (e di altri mistici) della  sua transverberazione è stato interpretato da alcuni psicoanalisti  in termini di pulsione erotica che si esprime sublimandosi nel deliquio spirituale. 

La raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino, rappresenta uno dei temi dell’arte barocca. Essi vengono mostrati “con gli occhi al cielo”.

Gian Lorenzo Bernini basandosi su alcune frasi nell’autobiografia teresiana, realizzò una scultura in marmo e bronzo dorato in cui raffigura la “Transverberazione di santa Teresa d'Avila”. Il gruppo scultoreo è a Roma,  nella chiesa di Santa Maria della Vittoria. La composizione del Bernini mostra la santa in estasi mistica, supina su un masso a forma di nuvola, con gli occhi rivolti al cielo, le labbra dischiuse come per emettere un gemito; dai raggi dorati sembra provenire una luce divina. Vicino a lei c’è un angelo che ha in mano un dardo, simbolo dell’amore di Dio. Il cherubino le scosta la veste per colpirla al cuore. Il giovane angelo fa più pensare al mitologico Eros che ad un’entità spirituale.

(http://www.scultura-italiana.com/Approfondimenti/Foto/Bernini%20-Transverberazione%20di%20Teresa.jpg)
Gian Lorenzo Bernini: “Transverberazione di santa Teresa d'Avila” (1647 – 1652), Cappella Cornaro, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma.

Estasi: questo sostantivo deriva dal tardo latino “ecstăsis” e questo dal greco  “èk – stasis”, composto dalla particella ek (= al latino ex = “fuori”) + stasis = stare, di solito viene tradotto col significato di “essere o stare fuori di sé”, infatti il soggetto coinvolto subisce un intenso turbamento dovuto a meraviglia, stupore. È uno stato simile all'ipnosi. Generalmente l’estasi deriva da esperienze religiose e dà beatitudine, benessere interiore.

Dal punto di vista psichiatrico le manifestazioni di stupore mentale possono presentarsi in soggetti isterici o psicotici.

Nell'Antico Testamento vengono citate le estasi di  alcuni profeti mentre ascoltavano la Parola di Dio, i suoi ordini e i suoi avvertimenti. Nelle estasi perdevano coscienza,  il contatto con la realtà ambientale. Perdere coscienza non significa svenimento ma uno stato di semi-incoscienza, durante il quale  quei personaggi biblici riferivano del loro “incontro” con Dio, oppure scrivevano ciò che Dio dettava, come accadde al profeta Daniele: "Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine" (Dn 12,4).

Nel Nuovo Testamento il termine ékstasis è citato varie volte, per esempio nel Vangelo di Luca:  "Tutti rimasero stupiti  (ékstasisi) e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano; 'Oggi abbiamo visto cose prodigiose" (Lc 5, 26).

Le esperienze estatiche esigono che l’individuo sia spiritualmente pronto a ricevere le manifestazioni divine; per questo l'estasi è sempre accompagnata da una totale calma interiore e dalla serenità (hesychia) che permettono all'uomo di interrompere i rapporti con se stesso e con il mondo circostante per dedicarsi a Dio con tutto il proprio essere.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 10, 2017, 06:56:41
La carmelitana Teresa d’Avila (1515 – 1582) col suo libro titolato “Cammino di perfezione” dà consigli alle consorelle nei monasteri delle Carmelitane Scalze da lei fondati, nel contempo, con rammarico o riprovazione evidenzia la situazione di difficoltà sociale ed ecclesiale delle donne nella Spagna della Controriforma cattolica: esse non potevano evangelizzare, escluse dai circuiti della cultura e del potere, non potevano leggere la Bibbia in lingua volgare, non potevano insegnare.

Anche in Italia, la situazione sociale era simile. Per esempio, la monaca benedettina veneziana Elena Cassandra Tarabotti (1604 – 1652), contro la sua volontà fu destinata dal padre alla vita religiosa,  alla monacazione forzata nel monastero benedettino di Sant'Anna, a Venezia,  nel rione Castello. Questa donna aveva geneticamente ereditato da suo padre un difetto fisico che la rendeva zoppa e che all'epoca non la rendeva maritale, perciò fu destinata ad entrare in monastero nel 1617. Tre anni dopo, nel 1620 prese i voti con la cerimonia della vestizione diventando suor Arcangela, nome con il quale firmerà anche la maggior parte dei suoi libri, in alcuni dei quali denunciò la drammatica realtà delle monache forzate e la condizione delle donne veneziane di quel periodo. 
Nel libro “Tirannia paterna”, che firmò con lo pseudonimo “Galerana Baratotti”, anagramma del suo nome,  descrive la durezza dell’esistenza non solo da un punto di vista personale ma di quello di tante altre donne che come lei erano state costrette alla monacazione dai padri che ingannano le figlie per farle entrare in monastero col permesso dello Stato, la Repubblica di Venezia. Ella accusa pure le autorità ecclesiastiche di lassismo nell'indagare la reale vocazione. Questo testo, suddiviso in tre libri, fu pubblicato solo dopo la sua morte nel 1654 con il titolo de "La semplicità ingannata".

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/57/Chiesa_di_Sant'Anna_di_Castello.jpg/260px-Chiesa_di_Sant'Anna_di_Castello.jpg)
La Chiesa di Sant'Anna in Castello, a Venezia

Pure nel cosiddetto “Nuovo Mondo” era simile la coercizione verso le donne. La religiosa e poetessa messicana Juana Inés de Asbaje y Ramírez de Santillana (1648 circa – 1695),  figlia illegittima di un nobile spagnolo, all'età di diciotto anni, entrò nel ramo femminile dell'ordine di San Girolamo, i cui adepti vengono popolarmente denominati “girolamini” se maschi e “girolamine” se femmine. Juana  prese i voti col nome di suor Juana Inés de la Cruz. e per oltre un ventennio la sua cella conventuale divenne un centro di vita culturale e di ritiro spirituale. Acquisì notevole capacità di critica che manifestò in una disputa con il gesuita Antonio Vieira (1608 – 1697), predicatore portoghese, del quale non condivise alcune considerazioni teologiche. Fu costretta a difendersi dall’accusa di dedicarsi allo studio, attività non consentita alle monache. Invece lei voleva il diritto allo studio per tutti coloro che avevano talento e volontà, donne o uomini che fossero.
Nel 1692 suor Juana dovette abiurare davanti al tribunale dell’Inquisizione. Il confessore ed altri la indussero a regalare la sua biblioteca (più di 4 mila volumi), i suoi strumenti musicali e matematici all’arcivescovo Francisco de Aguiar y Seijas, affinché li vendesse.  Il forte  dispiacere la motivò alla rigorosa vita ascetica, che in poco tempo la condusse alla morte.

Il diritto allo studio per le donne veniva invocato anche in Italia. La veneziana  Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646 – 1684),vissuta nella Repubblica di Venezia, è ricordata come la prima donna laureata al mondo.
Figlia di un nobile  veneziano, che ne favorì l'educazione, a diciannove anni prese i voti come oblata benedettina, proseguendo gli studi di filosofia, teologia, greco, latino, ebraico e spagnolo.
Nel 1669 fu accolta in alcune delle principali accademie. Quando il padre chiese che Elena potesse laurearsi in teologia all'Università di Padova, il cardinale Gregorio Barbarigo  si oppose, in quanto riteneva "uno sproposito" che una donna potesse diventare "dottore".
Nel 1678, all’età di 32 anni,  Elena ottenne, finalmente, la sua laurea. Gliela concessero, però, in filosofia, non in teologia. Non poté, in quanto donna, esercitare l'insegnamento. Sei anni dopo morì a Padova per una grave malattia.

Comunque, per il diritto allo studio e l’accesso per le donne alle facoltà teologiche, dovettero passare altri tre secoli. 
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 11, 2017, 00:14:13
Tra la rivoluzione inglese del 1688 e la Rivoluzione francese (1789 – 1799) ci furono innovazioni e nuove opinioni verso la religione, la scienza, la filosofia, la politica, l’economia, la società. Insieme dettero vita al cosiddetto “Illuminismo”, dal francese “illuminisme”, da cui “l'età dei lumi”: con questa espressione, che mette in evidenza l'originalità e la caratteristica di rottura consapevole nei confronti del passato, si diffuse in Europa il nuovo movimento di pensiero degli illuministi francesi, come Voltaire, Montesquieu, Rousseau, ispirati dalla filosofia inglese fondata sulla ragione empirica e sulla conoscenza scientifica, elementi essenziali del pensiero di Locke, David Hume, Newton.
L’Illuminismo fu un movimento ideologico e culturale che voleva portare i lumi della ragione in ogni campo dell'attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie discipline, ma la vita sociale, la cultura e le istituzioni, combattendo per mezzo della critica l’ignoranza e i pregiudizi che impediscono il cammino della civiltà e si oppongono al progresso. L’Illuminismo rifiutava ogni religione rivelata, in particolare il Cristianesimo, ritenuto origine degli errori e della superstizione.

Le religioni rivelate  furono considerate sistemi di dogmi, riti e regole morali imposte dall’autorità politico-religiosa in maniera normativa, ma non validate dalla ragione. Invece l’Illuminismo rivendicava il libero arbitrio, voleva una  religiosità razionale che rifiuta il concetto di rivelazione delle religioni “storiche”. Le religioni venivano percepite come responsabili, insieme con il potere politico, della condizione di ignoranza e di schiavitù culturale di larga parte del genere umano.

Poi ci fu la Rivoluzione francese con molte conseguenze, come l'abolizione della monarchia assoluta, la proclamazione della repubblica,  l'eliminazione delle basi economiche e sociali del cosiddetto Ancien Régime ("antico regime"), l'emanazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino;  venne spezzato il millenario rapporto tra Chiesa cattolica e gli Stati cristiani, l’alleanza tra il trono e l’altare. Si voleva una società moderna, emancipata dalla guida spirituale e morale dell’autorità religiosa, ma il papato non voleva accettare la separazione tra Chiesa e Stato ed il concetto di libertà religiosa ad esso connesso.

Le donne non rimasero passive spettatrici dei rivolgimenti in atto. Alcune intervennero con le loro proposte  per la definizione dei diritti umani. Alcuni valori della Rivoluzione francese, pensati per gli uomini, avrebbero potuto essere utili anche alle donne, ma non ottennero nulla. Pur chiamate ad appoggiare la Rivoluzione e a combattere per essa, le donne non usufruirono  degli stessi diritti degli uomini.

Durante la rivoluzione francese la scrittrice Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze (1748 - 1793), nel 1788 pubblicò le "Réflexions sur les hommes nègres" in cui prendeva posizione contro la schiavitù. Nel 1791  scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” (basata sulla Dichiarazione del 1789)  in cui dichiarava l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna.  Il 3 novembre 1793 fu ghigliottinata perché si era opposta all'esecuzione di Luigi XVI e pare avesse attaccato il Comitato di Salute Pubblica ("perché si era dimenticata le virtù che convengono al suo sesso"). Con la sua morte si avviò non solo la repressione spietata di ogni dissidenza, ma un'involuzione liberticida, il tutto dovuto allo stato di guerra ormai permanente posto in essere dalle potenze alleate e controrivoluzionarie (Prussia, Inghilterra, Austria e Russia).

Nel 1848 in America Elizabeth Cady Stanton nella sua “Dichiarazione dei sentimenti”, ispirata alla “Dichiarazione d’indipendenza americana”, deliberò, tra l’altro, che “la donna è uguale all’uomo –che così il Creatore voleva che fosse- e che il bene supremo della specie esige che venga riconosciuta come tale”. Ma anche lei non riuscì ad ottenere la parità nei diritti civili e politici tra maschi e femmine.

In Italia un’interessante figura femminile del Risorgimento fu la nobile  napoletana Enrichetta Caracciolo di Forino (1821 – 1901). Costretta dalla madre alla monacazione, si liberò dai voti e nonostante le persecuzioni del cardinale Riario Sforza, e divenne un'attiva garibaldina. Fece parte del comitato femminile napoletano per l’emancipazione della donna italiana. Nel 1866, in occasione della terza guerra d’indipendenza, scrisse  e pubblicò a Napoli un “Proclama alle donne d’Italia” per spronarle a sostenere la causa nazionale e promuovere l’istruzione e il lavoro femminile.  Nel 1867 sostenne insieme ad altre il disegno di legge per il riconoscimento alle donne dei diritti civili e politici. Nel 1875 fece la richiesta per il diritto di voto alle donne. Ma le sue richieste furono vane.

Pio IX, l’ultimo “Papa-Re”, l’8 dicembre del 1864, nella ricorrenza della solennità  dell’Immacolata Concezione,  pubblicò insieme all’enciclica “Quanta cura”, il “Syllabus”, “ Elenco contenente i principali errori del nostro tempo”: sono condannati il liberalismo, alcune eresie, l'ateismo, il comunismo, il socialismo, l'indifferentismo ed altre proposizioni relative alla Chiesa ed alla società civile (tra cui il matrimonio civile.
Quando fu pubblicato il Sillabo, il Regno d'Italia stava terminando l'unificazione della penisola ed aveva già annesso parte dello Stato pontificio. I protagonisti del Risorgimento erano stati tutti scomunicati ed il Regno stava sopprimendo diversi ordini religiosi e secolarizzando i beni ecclesiastici. Erano diffusi testi "demitizzatori" (come la Vita di Gesù di Ernest Renan e parte dello stesso mondo cattolico anteponeva le idee liberali alla dottrina della Chiesa. A queste circostanze si sommava la delusione dei liberali (che avevano gradito ed applaudito l'elezione di Pio IX credendolo un "papa liberale").
Nei primi giorni del gennaio 1865, prima il governo francese e poi quello italiano proibirono la lettura pubblica del Sillabo; parte della stampa italiana ed estera criticò papa Pio IX e la pubblicazione del Sillabo.

Alcune donne cattoliche furono colte da inquietudine spirituale, da esperienze mistiche e da visioni apocalittiche collegate della Chiesa cattolica in pericolo e da salvare, ma anche da riformare. Altre donne cercarono la possibilità di far convivere la fede cristiana con i valori della Rivoluzione francese, ma non ci riuscirono.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 15, 2017, 06:43:44
Con l’Illuminismo cambiò la condizione femminile ? Il “secolo dei Lumi”, il Settecento, oltre all’affermazione della  ragione nei confronti delle superstizioni e dei pregiudizi, fu il secolo della parziale emancipazione della donna ? No ! Però ci furono importanti innovazioni culturali.

Nel 1748 venne pubblicato a Ginevra “Lo Spirito delle leggi”, ventennale lavoro  di Charles-Louis de Secondat de Montesquieu, che teorizzò sulle tre forme di governo: il repubblicano, il monarchico ed il dispotico; sulla divisione dei poteri pubblici: il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. La sua costruzione di società in cui i doveri dei sovrani e dei cittadini erano reciproci ebbe varie critiche, in particolare dal Sant’Uffizio che il 29 novembre 1751 mise questo libro all’indice, durante il pontificato di Benedetto XIV.

Le istanze illuministe furono  anche condannate dal pontefice Clemente XIII con l’enciclica: “Christianae reipublicae salus”, del 1766, e da papa Pio VI con l’enciclica “Inscrutabile divinae sapientae”, del 1775.

L’anno dopo, nel 1776, fu pubblicata la “Dichiarazione dei diritti della Virginia” (U.S.A.). Nei primi due paragrafi si afferma che “Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà, mediante l’acquisto ed il possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza. Tutto il potere è nel popolo, e in conseguenza da lui è derivato; i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori, e in ogni tempo responsabili verso di esso”.

Questa dichiarazione ispirò la “Dichiarazione dei diritti degli uomini e del cittadino”, pubblicata in Francia nel 1789, con la quale alla donna venne riconosciuta la capacità civile,  la possibilità di acquistare, alienare, comparire davanti alla giustizia come parte o testimone, difendersi. Ma alle parole non seguirono gli ordinamenti giuridici per l’uguaglianza tra uomo e donna.

Basandosi sulla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, la scrittrice francese Olympe de Gouges scrisse la ‘’Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina’’, pubblicata nel 1791 con la speranza di farla approvare  dall’Assemblée nationale francese, ma non ci riuscì. In questo testo la scrittrice  dice: “La donna nasce libera ed ha uguali diritti dell’uomo”. Ma  la Rivoluzione francese dimenticò le donne nel suo progetto di libertà ed uguaglianza.

Pio VI nel concistoro del 17 giugno 1793 si scagliò contro “l’irrefrenabile smania di novità” e contro quei “perfidissimi filosofi (che) vanno gridando e proclamando fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è sottomesso all’imperio di nessuno”. La Chiesa rilanciò l’immagine di una società cristiana autosufficiente che nulla concedeva alle istanze di riforma e cambiamento, e tantomeno alle donne. 
I valori fatti propri dall’Illuminismo venivano percepiti dall'autorità ecclesiastica in contrasto con l’unicità della “verità” cristiana e minaccia alla possibilità della propria legittimazione, in quanto attentavano  al principio di autorità della struttura gerarchica della Chiesa cattolica. Di qui la ripetuta condanna delle tesi illuministe che la privava delle certezze, dei privilegi, su cui aveva calibrato la propria presenza nella società ed elaborato da tempo le proprie strategie pastorali, ripensate alla luce dei principi della Controriforma cattolica. 

La Chiesa considerò la Rivoluzione francese e l’epopea napoleonica la concretizzazione del male che irrompeva nella storia per abbatterne i capisaldi, sradicare il cristianesimo (la sola religione, secondo la forma della confessione cattolica, considerata autentica), mettere fine alla civiltà fondata sui principi formulati dalla Chiesa cattolica, preoccupata dall’invadente secolarizzazione. Considerò la donna un imprescindibile elemento di difesa dell’identità cattolica e di protezione della famiglia tradizionale.

Il citato pontefice Benedetto XIV era consapevole che con l’assolutismo monarchico si affermava il principio della religione di Stato, mentre con il diffondersi dell’Illuminismo il cristianesimo rischiava una crisi di esistenza in un mondo sempre più laico e ateo. Per questo egli, durante i suoi diciotto anni di pontificato, volle e seppe conciliare i bisogni dell’epoca e stimare i tentativi che si adoperavano per rinnovare i rapporti tra la Chiesa e la società: egli - quasi profeticamente - prevedeva i cambiamenti imminenti della modernità, guardando realisticamente al dovere della Chiesa di impegnarsi per vivere secondo tradizione ma con uno sguardo nuovo le incombenti novità. Il suo pontificato è considerato uno dei più significativi della storia del papato in età moderna. Attuò riforme pastorali nello spirito dell'Illuminismo.

Quand’era cardinale, come arcivescovo nella città natia, Bologna,  promosse le arti e la scienza ed ottenne che la bolognese Laura Bassi (1711 – 1778), seconda laureata in Italia, insegnasse fisica sperimentale nell’Università felsinea. Come ho già scritto in un precedente post, la prima donna laureata fu la veneziana Elena Lucrezia Cornaro, ma la Bassi fu la prima ad intraprendere la carriera accademica e scientifica e la prima al mondo ad ottenere una cattedra universitaria, nonostante le avversità dei colleghi.
Oltre alla Bassi,  Lambertini favorì l’ingresso nell’insegnamento universitario alla milanese Maria Gaetana Agnesi (17118 – 1799), filosofa e matematica. Fu la prima donna autrice di un libro di matematica e la prima ad ottenere  nel 1750 una cattedra universitaria di matematica nell’università di Bologna.
 
Nel 1757, Benedetto XIV, un anno prima della sua morte, autorizzò la prima cattedra di ostetricia in Italia. Fu affidata a Giovanni Antonio Galli, maestro di chirurgia del noto Luigi Galvani, che conosciamo per i suoi esperimenti  sulle rane e per essere lo scopritore dell’elettrofisiologia animale. Il bolognese Galvani fu anche professore di Anatomia. Come medico ed ostetrico curava i malati e le partorienti negli ospedali cittadini.

Altri uomini di Chiesa pur incoraggiando le donne negli studi, precisavano che esse non dovevano mettere in discussione ruoli e gerarchie maschili.  Temevano che l’autonomia femminile potesse essere destabilizzante per l’assetto della società.
Numerosi predicatori, come Paolo Segneri e Giovan Battista Scaramelli, ribadirono la pericolosità delle donne e la necessità  della loro sottomissione alla tutela maschile. Le invitavano a rimanere nell’ambiente domestico per difendere l’onorabilità. 

Il giurista e filosofo Gaetano Filangeri (senior) le escluse dall’istruzione: “Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione; per formare un popolo io preferisco la pubblica”; alle donne l’istruzione pubblica “le renderebbe meno familiari, rendendole più sociali […]. L’educazione domestica è la sola che a loro convenga”; “formando gli uomini, la legge verrebbe a formare indirettamente anche le donne” (libro IV, 1785, capo XXXIV).

Anche il noto sacerdote filosofo ed economista Antonio Genovesi era una fautore dell’ordine gerarchico familiare e del suo decoro, priorità da tutelare e difendere. Le aperture nei confronti dell’educazione e dell’istruzione femminili non dovevano inficiare i  doveri di moglie e madre.

Il filosofo  e matematico Paolo Mattia Doria (1667 – 1746) nel 1716 pubblicò  i “Ragionamenti ne' quali si dimostra la donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferiore” . Le donne, sosteneva Doria, hanno gli stessi diritti naturali degli uomini e possono governare e fondare grandi imperi ma non sono adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre una sapienza storica e filosofica.

Il senese Giovanni Niccolò Bandiera (1695 -  nel 1740 pubblicò il “Trattato degli studi delle donne” per dimostrare che anche le donne potevano impegnarsi in studi impegnativi come la filosofia, la fisica e la teologia, ma il Bandiera non andava oltre l’affermazione teorica di egualitarismo spirituale (“lo Spirito non ha sesso”).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 17, 2017, 00:07:18
Nel Settecento l’assistenza sociale pubblica e religiosa erano di solito indirizzate alla beneficenza verso i mendicanti, gli infermi, il ricovero di orfani, di bambini abbandonati e illegittimi. In particolare, il recupero delle ragazze abbandonate a se stesse era finalizzato a sottrarle alla prostituzione e alla criminalità. La maggior parte degli interventi erano rivolti alla creazione di istituti femminili, destinati principalmente a ospitare le fanciulle sole. Vennero indicati con il nome generico di “Conservàtori della Virtù”. Una efficace sintesi dei loro scopi è tramandata del cardinale Carlo Luigi Morichini  (1805–1879): “I conservàtori furono creati perché ponessero in salvo l’onestà delle fanciulle, dessero loro una cristiana educazione ed abilitandole ai lavori donneschi e alle faccende domestiche, le preparassero a diventar buone madri di famiglia”. L’istruzione che veniva loro impartita era basata sull’economia domestica: non veniva insegnata la scrittura alle ragazze perché giudicata pericolosa. Gli istituti religiosi femminili avevano regolamenti severi, venivano sorvegliati da chierici che ne garantivano il buon funzionamento nell’affrontare situazioni individuali di grave disagio sociale.

Numerosi istituti religiosi femminili cercarono di dare aiuti alle ragazze povere, di tutelare l’onorabilità delle donne che si rivolgevano a loro (nubili, separate, abbandonate, maltrattate, vedove senza legami parentali e senza casa), di rieducare sia le fanciulle “pericolanti” esposte a situazioni di rischio sia le “pericolate” già “cadute” per errore o sventura. 
 
Questi istituti erano spesso vittime del clientelismo degli amministratori laici o ecclesiastici, che se ne servivano per sistemare le proprie parenti e quelle dei propri “clienti”: “nulla di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1, 10).  In questo modo, l’originaria ragion d’essere di tali strutture, ovvero l’opera di soccorso a tutela della moralità femminile negli strati più poveri della popolazione, ne risultava grandemente indebolita. Non va dimenticato che tale servizio non era rivolto alle esponenti della piccola e media “borghesia”, ma a quelle popolane che, per la loro marginalità sociale, costituivano la maggiore minaccia alla stabilità di una società basata sulla centralità e sacralità della famiglia e, soprattutto, su quella gelosa custodia dell’onore femminile che ne costituiva l’indispensabile premessa e il principale fondamento.

La Rivoluzione francese travolse la vita religiosa con le “Leggi di soppressione”, che in tutti gli Stati cattolici (in Spagna nel 1820, in Italia nel 1855 e nel 1866, in Francia nel 1880) si abbatterono sugli istituti religiosi di assistenza considerati non socialmente utili. I loro beni vennero  sottratti alla Chiesa ed incamerati, vennero disperse persone e cose (documenti, archivi, oggetti), le strutture furono diversamente riorganizzate per la diretta gestione dei loro patrimoni e delle loro finalità sociali.

Anche i monasteri femminili (non sottratti alla Chiesa cattolica) necessitavano di azioni più incisive per salvaguardarne il decoro. Gli interventi del vescovo di Bologna, Prospero Lambertini, furono diretti all’efficace controllo istituzionale sulle esuberanze delle monache e indicarono la strada per la “regolata devozione”, per arginare i fenomeni mistici, le esperienze estatiche e visionarie, i casi di simulata santità. Vennero intensificati i controlli sulla scrittura femminile e sui comportamenti disdicevoli.

Le suore e le monache dovevano detestare ricchezze e vanità, vivere in semplicità e modestia, pensare alle devozioni, agli esercizi spirituali. Ma i riti per la monacazione delle ragazze aristocratiche erano, al contrario, la manifestazione dell’eccesso, con feste paragonabili alle cerimonie nuziali, perché considerate nozze mistiche con Gesù.  Le istituzioni ecclesiastiche  tolleravano e spesso incoraggiavano quegli eventi fastosi e costosi  per rendere meno triste l’ingresso delle giovani aristocratiche nella vita religiosa. Erano previsti pranzi, cortei con molti invitati,  ricchi ornamenti  per la monacanda e la chiesa, servizio di paggi e persino spettacoli teatrali. Quei rituali consentivano alle  nobili famiglie di ostentare il proprio prestigio sociale, le relazioni di patronage o di matronage col monastero,  erano occasione per le monache recluse di avere contatti con l’esterno.

A Napoli, ad esempio, il monastero di Santa Chiara si distingueva per il fasto e l’agiatezza dello stile di vita con ricevimenti, feste ed esecuzioni musicali. La stessa opulenta agiatezza c’era nel monastero di San Gregorio Armeno, centro di vita musicale della città, dove si eseguivano musiche composte  dalle stesse monache oltre a quelle di Handell, Pergolesi e Paisiello.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 24, 2017, 00:13:13
Nel 1751, in Francia, con la pubblicazione dell'Encyclopédie cominciò la sfida ai privilegi feudali della nobiltà e dell’alto clero. Le accuse di Diderot, d'Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Holbach ed altri  contro il fanatismo, l'intolleranza, il dogmatismo, la superstizione, il potere temporale della Chiesa cattolica e il clericalismo, indussero dal 1770 il cattolicesimo conservatore a reagire contro quei philosophes 'colpevoli' di ateismo, miscredenza, empietà.

Poi ci fu la Rivoluzione francese, ed il processo di secolarizzazione della società e di laicizzazione dello Stato furono considerati dalla Chiesa  l’attuazione di un progetto satanico per scristianizzare il mondo. I primi provvedimenti dell’Assemblea nazionale costituente  francese intesero razionalizzare gli intrecci Stato-istituzione ecclesiastica e la proclamazione della libertà religiosa. Furono soppresse  le decime (tasse, ribadite come obbligatorie dal Concilio di Trento, con comminazione della scomunica a chi non le pagava) e furono “incamerati” i beni della Chiesa.

Numerosi monasteri e conventi avevano ricche rendite e grandi proprietà. Ad eccezione di quelli che si dedicavano all'insegnamento o all'assistenza medica, gli ordini religiosi venivano considerati socialmente inutili. Ignavia e rapacità le accuse principali a loro rivolte.

La confisca dei beni, la perdita del potere temporale spinsero i papi a credere che i principi di libertà e di uguaglianza della Rivoluzione francese fossero incompatibili con l’essenza del cristianesimo e motivo di sfaldamento della società. Solo la Chiesa, riunita sotto il sovrano pontefice, poteva garantire “verità”, stabilità e sicurezza. Ma questa velleità papale fu sconfitta da Napoleone I Bonaparte, che in Italia conquistò Stato Pontificio  e fece imprigionare il pontefice Pio VII, favorendo la  “repubblica giacobina romana” del 1798. Poi Napoleone per non inimicarsi i cattolici si accordò con Pio VII, il quale accettò l’assetto politico fondato sui principi della Rivoluzione francese ed il controllo statale dell’istruzione, ma in cambio ottenne per la Chiesa cattolica la restaurazione del culto pubblico e l’istituzione canonica dei vescovi (1801).

Dopo il Congresso di Vienna (1815) si affermarono tre orientamenti nella gerarchia della Chiesa cattolica.  Il primo voleva tornare all’alleanza trono-altare tipica dell’ancien regime, recuperando gli antichi privilegi. La corrente più radicale, controrivoluzionaria (Maistre, Bonald), puntava ad un ritorno al medioevo  teocratico, cancellando l’evo moderno portatore di secolarizzazione e laicizzazione. La terza corrente era quella cattolico-liberale: la chiesa non doveva contrapporsi alla costruzione di Stati ad ordinamento liberal-costituzionale perché i valori di fondo erano compatibili con la fede cristiana.

Un esponente della corrente cattolico-liberale fu Pio IX, eletto al soglio pontificio nel 1846. Fra le sue prime decisioni ci fu quella di concedere l’amnistia per i reati politici. Nei primi anni di pontificato governò lo Stato Pontificio con progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione. Istituì nel 1847 la Consulta di Stato, concesse la libertà agli ebrei, permise la libera circolazione dei giornali, ed altro. Il suo rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell'epoca per realizzare l’unità d’Italia ma in modo federale  e permettere la sopravvivenza dello Stato pontificio.

Il 14 marzo 1848, a seguito dei moti rivoluzionari  diffusi in varie parti d’Europa, Pio IX concesse la Costituzione: lo “Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa
”, seguendo l’esempio del sovrano delle Due Sicilie. Lo Statuto istituiva due Camere legislative e apriva le istituzioni (sia legislative sia esecutive) ai laici. Ma non fu sufficiente.
Quel 1848 fu un anno drammatico per il papato. Involontariamente lo Stato Pontificio rimase coinvolto nella guerra contro l’Austria, nazione cattolica, per l’indipendenza del Regno Lombardo-Veneto. Come capo della Chiesa universale e allo stesso tempo capo di uno Stato italiano (lo Stato Pontificio) non poteva mettersi in guerra contro un regno cattolico: "Fedeli agli obblighi del nostro supremo apostolato, Noi abbracciamo tutti i Paesi, tutte le genti e Nazioni in un istintivo sentimento di paterno affetto". E ritirò le truppe pontificie da quella guerra.  Non senza conseguenze. Il 15 novembre 1848 a Roma ci fu un tentativo di rovesciamento politico. Fu ucciso Pellegrino Rossi, capo del governo dello Stato Pontificio. Successivamente i rivoluzionari, guidati da Angelo Brunetti (detto Ciceruacchio) pretesero di dettare condizioni per la formazione del nuovo governo. Pio IX, non volendo scendere a patti con essi, ma avendo capito che un'azione repressiva avrebbe potuto innescare una guerra civile, decise di lasciare Roma. Il 24 novembre 1848 il pontefice partì di notte, con la talare di semplice sacerdote, per andare a Gaeta, nel territorio del Regno delle due Sicilie. Pio IX si appellò alle potenze straniere affinché gli fosse restituito il potere temporale. Come è noto accorse in suo aiuto la  Francia. E Pio IX dopo un esilio di 17 mesi rientrò a Roma. Annullò gli atti governativi della “Repubblica romana”, abolì lo Statuto, ripristinò la pena di morte, ripristinò l’isolamento degli Ebrei nel ghetto, con relativi balzelli e divieti.

Successivamente Pio IX contro la sua volontà si trovò coinvolto nella nascita anche in Italia di uno Stato nazionale unitario. Nello Stato della Chiesa le prime città a manifestare l’insofferenza al dominio papale furono quelle dell’Emilia Romagna. Negli anni seguenti numerose furono le insurrezioni, sempre represse con l’aiuto delle truppe austriache. Infine il 20 settembre 1870 si giunse alla conquista di Roma e alla dissoluzione dello Stato Pontificio. 

Durante il pontificato di Pio IX (che durò più di 31 anni, dal 1846 al 1870) alcuni articoli pubblicati tra il 1852 ed il 1854 sulla rivista “La civiltà cattolica”, ribadirono i tradizionali compiti della donna cattolica: sottomessa, obbediente ed esclusa da qualunque tipo di partecipazione attiva alla vita sociale e religiosa. “All’uomo soltanto appartiene per universale dispensazione della Provvidenza il nome di cittadino e l’uso della cittadinanza” (“Dell’educazione dell’uomo e della donna”, in “La civiltà cattolica”, 1854, 6, pag. 502). Secondo tale rivista il sapere non era per tutti, anzi pericoloso oltre che disdicevole per la  modestia della donna, alla quale erano precluse le “arti liberali” e lo studio delle scienze.

Papa Leone XIII pontificò dal 1878 al 1903 ed affrontò in varie circostanze la “questione femminile”. In più occasioni affermò la sua ideologia: società gerarchizzata nella quale le disuguaglianze , espressioni di un ordine stabilito da Dio, dovevano essere accettate come tali. Nelle encicliche “Quod apostolici muneris” (del 1878), “Arcanum” (1880), “Diuturnum” (1881) e “Rerum novarum” (1891), ribadì il carattere sacro dell’autorità e la conseguente sottomissione della donna. Nelle teorie sociali egualitarie vide “mostruosità” che non tenevano conto che la “diseguaglianza degli uomini sulla terra è diseguaglianza necessaria, inevitabile”.

Pur approvando la formazione del movimento cattolico femminile, Leone XIII lo volle circoscritto all’ambito assistenziale per “perfezionare l’istinto materno” ed escluse che potesse occuparsi di emancipazione sociale e politica della donna.

I “diritti dell’uomo e del cittadino", che i movimenti femminili laici volevano declinare anche per le donne, furono vissuti come una minaccia, un pericolo per la “diseguaglianza nel diritto e nei poteri (che) proviene dall’Autore stesso della natura” (da “Quod apostolici muneris”).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 26, 2017, 00:08:58
La consapevolezza della necessità dell’istruzione per le donne motivò numerose religiose a volgere la propria vocazione verso l’insegnamento scolastico.
 
Rosa Venerini (1656 – 1728) nel 1685 a Viterbo, dov’era nata, cominciò a dedicarsi all’educazione femminile aprendo alcune scuole gratuite. Nell’attività destinata all’istruzione e all’educazione religiosa delle giovani più povere, fu aiutata  da altre due ragazze, Girolama Coluzzelli e Porzia Bacci. 
Nel 1692 il cardinale Marcantonio Barbarigo, vescovo di Montefiascone, affidò  alla Venerini l’incarico di aprire scuole popolari per fanciulle nella diocesi da lui governata. Per iniziativa dello stesso cardinale fu istituita la congregazione religiosa delle “Maestre Pie”, che successivamente aprì altre a scuole in varie località laziali. 
Nel 1694 la Venerini lasciò Montefiascone per tornare a Viterbo, distante circa 15 chilometri, affidando le scuole istituite nel comprensorio falisco ad una sua discepola,  la nobile Lucia Filippini (1672 – 1732) che nel 1707, su richiesta del pontefice Clemente XI, aprì una scuola autonoma a Roma,  dando origine a una nuova congregazione indipendente di “Maestre Pie” , che vengono distinte in “Maestre Pie Venerini” e “Maestre Pie Filippini”.
Nel 1926  Lucia Filippini fu dichiarata beata da  papa Pio XI e canonizzata dal medesimo il 22 giugno 1930. Anche Rosa Venerini salì agli onori degli altari: fu beatificata  da Pio XII nel 1952 eproclamata santa nel 2006 da papa Benedetto XVI.

Altre esperienze di donne religiose che si dedicarono  all’educazione femminile.

A Verona la giovane nobile Maddalena Gabriella dei marchesi di Canossa (1774 – 1835) si dedicò all’educazione delle ragazze povere e la visita agli ammalati. Nel 1808 con alcune compagne diede vita nel quartiere di San Zeno  all’istituto religioso “Figlie della Carità”, dette “Canossiane”.
La congregazione ebbe rapida diffusione in Veneto e Lombardia, specialmente nei centri urbani: nel 1812  venne avviata anche la formazione di maestre contadine per l'insegnamento nelle scuole nelle aree rurali.
Nel 1831 Maddalena di Canossa fondò anche un ramo maschile, la congregazione dei “Figli della Carità”, detti comunemente “Canossiani”, che ebbero origine  a Venezia presso la "casa di carità" annessa alla  chiesa di Santa Lucia, abbattuta nel 1844 per far posto alla nuova stazione ferroviaria.Nel 1941 la fondatrice fu beatificata e nel 1988 proclamata santa dal papa Giovanni Paolo II.

Altre “Figlie della Carità” sono quelle di “San Vincenzo de’ Paoli”. Derivano dalle confraternite francesi delle nobili  “dame della carità”, istituite nel 1617 dal presbitero francese  Vincent de Paul (1581 – 1660) (in Italia noto come Vincenzo de’ Paoli), per il servizio a domicilio dei poveri e degli ammalati. Le “Figlie della carità” erano di estrazione sociale più bassa rispetto alle “dame”. La “Compagnia delle Figlie della Carità” fu fondata a Parigi nel 1633 da san Vincenzo De Paoli e da santa Luisa de Marillac.
Molte generose volontarie erano sparse per Parigi, ognuna a servizio di una diversa confraternita; Luisa de Marillac si rese conto della necessità di raggrupparle, per meglio formarle e accompagnarle nel loro servizio, sia materiale che spirituale. Era una novità per la Chiesa di allora che non ammetteva che ci fossero delle religiose al di fuori del chiostro. Per salvaguardare il servizio dei poveri San Vincenzo impegnava le sue “Figlie” a curarli nelle loro case e conoscerli di persona. Fin dalle sue origini la Compagnia è sottoposta al Superiore Generale della Congregazione della Missione, come volle Luisa de Marillac per preservare l’unità della Compagnia.

Pure la religiosa italiana Leopoldina Naudet (1773 – 1834) fu fondatrice di una congregazione, quella delle “Sorelle della Sacra Famiglia”, creata nel 1816 per l’educazione delle ragazze appartenenti alle classi sociali medio-alte e la formazione delle maestre.
Leopoldina redasse un piano di studi per le ragazze: la conoscenza di 4 lingue (lingue italiana, francese, tedesca, inglese), la calligrafia, il disegno, il catechismo e  la storia sacra. Lezioni di belle arti, matematica, geografia, storia, teoria e pratica dell’economia domestica, principi di creanza e civiltà cristiana.

Nel Lazio le “Suore Adoratrici del sangue di Cristo” furono fondate nel 1834 ad Acuto, in provincia di Frosinone, dalla religiosa Maria De Mattias (1805 – 1866) per la formazione delle giovani. La De Mattias venne ispirata dal fondatore dei “Missionari del Preziosissimo Sangue”, il sacerdote Gaspare del Bufalo (1786 – 1836), beatificato nel 1904 da papa Pio X e proclamato santo da Pio XII nel 1954. Attualmente le adoratrici del Sangue di Cristo si dedicano all'apostolato missionario svolgendo opera di evangelizzazione e promozione umana.

A Napoli, l’istituto religioso dedicato alle “Mantellate Calze di Sant’Agostino”, fu fondato nel 1824 da Maria Giuseppa Crosta per l’educazione di ragazze di “buona famiglia”, cioè di condizioni economiche agiate.
 
Sempre a Napoli si distinse la religiosa e mistica Orsola Benincasa (1547 – 1618), fondatrice nel 1582 delle oblate della SS. Concezione di Maria, suore dedite all’educazione della gioventù. Nel 1617 fondò anche la congregazione delle romite dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine, monache di clausura. Oggi suore Teatine.

Ancora a Napoli, la religiosa Caterina Volpicelli (1839 – 1894), appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia, si dedicò alla diffusione della stampa cattolica e al culto al Sacro Cuore di Gesù. Per iniziativa dell’arcivescovo di Napoli, il cardinal Sisto Riario Sforza, fondò la “Pia Unione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù”, impegnata nell’apostolato e nella santificazione delle anime. Anche lei nel 2001 fu beatificata e santificata nel 2009. 

Le donne elencate, fondatrici di congregazioni, segnarono una svolta di autonomia femminile all’interno della Chiesa cattolica, con ruoli di animazione e formazione culturale nella comunità ecclesiale.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 27, 2017, 10:28:18
Il monachesimo forzato condusse numerose donne ad esperienze mistiche: esaltazioni, estasi visioni, possessioni diaboliche,  simulata santità, impetuosa effervescenza religiosa comportamenti esuberanti, rivelazioni del divino.
 
La storia di alcune di quelle donne è nelle deposizioni giudiziarie nei tribunali dell’inquisizione, nelle loro autobiografie, costrette a scrivere con  la vigilanza ecclesiastica, spesso sotto dettatura, ma che comunque evidenziano i disagi interiori e visioni alternative ai modelli imposti.

Per esempio, Maria Antonia Colle (1723 – 1772) fu accusata di simulazione e “affettata santità”. Più volte processata, incarcerata e segregata, riuscì a costituire a Mulazzo (un paesino nell’alto corso del fiume Magra, in provincia di Massa Carrara), con la protezione della marchesa Deianira Malaspina, una comunità segreta e settaria, alternativa alla Chiesa cattolica, considerata corrotta.
Maria Antonia profetizzava l’arrivo di una nuova era, l’unificazione religiosa e la riforma della cristianità. Inoltre, svolgeva funzioni sacerdotali, celebrava messe, matrimoni, confessava le sue seguaci, impartiva battesimi, ordinava sacerdoti, vescovi e cardinali. Lei stessa, trasformata in maschio dal Cristo, sarebbe salita al soglio pontificio per rinnovare la Chiesa, perciò si faceva chiamare “papino”. La sua non fu solo un’esperienza mistica ma una vocazione carismatico-profetica indirizzata alla riforma della Chiesa, che considerava inadeguata a comunicare la salvezza. Il ruolo femminile, nella figura di un papa donna, anche se “trasformata” in uomo da Cristo, ebbe un ruolo determinante in questa visione ecclesiale e teologica che riprendeva temi delle dottrine eretiche femminili (montaniste, guglielmite, aderenti al movimento cristiano laico del “Libero Spirito”, diffuso nell’Europa settentrionale nei secoli XIII e XIV. Il movimento entrò in conflitto con la Chiesa cattolica e fu dichiarato eretico da papa Clemente V al Concilio di Vienne (1311 – 1312), un Comune francese. Gli adepti erano identificati come “Fratelli e sorelle del Libero Spirito” con seguaci anche nel centro Italia. 

In Umbria nei primi anni del ‘300 Giovannuzzo di Mevania, confessore della poi santa Chiara di Montefalco, propagava le opinioni della setta dello “Spirito della Libertà”, fondata dal francescano Bentivenga da Gubbio, i cui adepti sostenevano di essere “impeccabili”, cioè di non peccare, pur compiendo azioni solitamente considerate peccaminose, perché scelti dallo Spirito Santo. 
Giovanni Olorini di Spello in una cronaca  del 1304 a lui attribuita, annota: "Fra Bentivenga da Gubbio francescano passa per Spello con una compagnia d'huomini e di donne quasi nudi, tutti con una croce in mano e nell'altra una frusta, mostrando gran santità e penitenza...".
Chiara denunciò l’eresia ed alcuni eretici. L’inquisitore, il predicatore e teologo francescano Ubertino da Casale (perché nato a Casale Monferrato), nel suo “Arbor vitae crucifixae Iesu” inveisce contro gli adepti della setta, definita “sentina omnium vitiorum”
Nella “Vita di santa Chiara di Montefalco”, scritta dal francese  Berengario di Sant’Africano, vicario del vescovo di Spoleto, si legge che questa donna ebbe la visione di uomini nudi che andavano per la valle di Spoleto flagellandosi: da questa visione essa avrebbe avuto la prima intuizione della setta che si stava diffondendo in Umbria.

In quell’epoca anche la mistica e terziaria francescana Angela da Foligno (1248 – 1309) nelle sue “Instructiones” confuta le teorie dello “Spiritus Libertatis”.

Interessante è la mistica italiana Guglielma la Boema, o Guglielma di Milano, detta la Boema (1210  circa – 1281 circa) Giunse  a Milano nel 1260 accompagnata da un figlio, dove fu un'oblata  nell'Abbazia di Chiaravalle. La sua fama di guaritrice crebbe fino a dar vita ad un movimento religioso, chiamato dei “Guglielmiti”, a cui presero parte molte donne e qualche membro dell'aristocrazia milanese. Quando morì i monaci e le suore di Santa Caterina la proposero per la canonizzazione. La cappella che ne ospitava le spoglie divenne luogo di culto, eliminato dal tribunale dell’Inquisizione che condannò alcuni seguaci per eresia.

Dopo la digressione medievale torno nel 18/esimo secolo, per narrare la storia di Lucia Roveri della Mirandola (1728-1788), venerata nel modenese come “incarnazione di Dio Padre”, chiamata a completare l’opera di redenzione del Figlio per fondare una nuova era di pacificazione universale: la caduta del genere umano avvenuta a causa dell’ingenuità di Eva, sarebbe stata cancellata da Dio incarnandosi nel corpo femminile di Lucia Roveri per manifestare la sua potenza nell’elevare le donne a strumento di redenzione.
All’età di vent’anni, si scoprì una vocazione pseudo religiosa ed iniziò a pronunciare profezie,  ad avere estasi celestiali, compiere sortilegi, leggere il futuro ed era in grado di dire se i defunti fossero in paradiso, purgatorio o inferno … in cambio di piccole elemosine offerte dai parenti naturalmente. Il governo della città la lasciò fare non ritenendola pericolosa, la Chiesa però la ostacolò. 
Fu un furbo contadino di San Martino Carano a porre fine alla sua carriera. La chiamò nella sua casa colonica e le chiese di fargli conoscere il destino del padre morto pochi giorni prima. La profetessa si concentrò un attimo e poi affermò che l’uomo si trovava in purgatorio, ma che con una buona elemosina lo si poteva trasferire in paradiso. A quel punto il contadino l’accompagnò fuori e le mostrò il padre che lavorava tranquillamente nei campi. Lucia Roveri fu costretta ad abiurare davanti ai prelati ed al popolo per evitare il rogo. Morì in miseria nel 1778 ospite dell’albergo dei mendicanti di Reggio Emilia.

Problematico fu anche il caso della terziaria francescana Maria Virginia Boccherini (1761 – 1801). Agli interventi di Gesualda Franceschini, una suora a lei vicina che, per liberarla dagli inganni del Maligno, la schiaffeggiava, percuoteva e prendeva a calci, si affiancava la direzione dei francescani all’insegna della pedagogia dell’annullamento: “Non parlate, non guardate, non ascoltate, non toccate, non desiderate, se non il necessario […]. Stimatevi vilissima”. Eppure Maria Virginia riceveva rivelazioni celesti tali da spingerla a parlare della necessità di una riforma nella Chiesa, iniziando dai sacerdoti che davano cattiva testimonianza. Il suo ruolo profetico, tuttavia, non superò le mura del convento di Santa Elisabetta, a Lucca, perché la mistica fu costretta nella funzione di sofferenza vicaria nella quale i confessori l’avevano relegata: doveva solo patire per i peccatori e per le anime del Purgatorio. 
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 30, 2017, 09:55:14
Tra il Settecento e l’Ottocento l’educazione femminile più elevata era riservata ai nobili, ai ricchi borghesi, dipendeva spesso dai padri, se erano sensibili alle istanze della scienza e della filosofia.

In un precedente post ho citato come esempio l’oblata benedettina Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna al mondo a conseguire la laurea  in filosofia nell’università di Padova, nel 1678. Perché donna, non le fu riconosciuta anche la laurea in teologia, per opposizione del cardinale padovano Gregorio Barbarigo. Comunque la Cornaro fu un esempio significativo per l’accesso femminile alla cultura.

Donne colte e letterate, come già detto in altri post, furono in auge nelle corti rinascimentali, ma furono alla ribalta anche in concomitanza con le novità suscitate dalla filosofia cartesiana e dalle acquisizioni delle scienze sperimentali.

Nei cosiddetti “salotti buoni”  le donne erano promotrici e protagoniste di dibattiti, di riflessioni sul ruolo femminile e sulla propria identità.

Nel Seicento le “femmes savantes” suscitarono l’ironia di Molière per la loro aspirazione al sapere che le faceva apparire presuntuose, invece nel Settecento riformista l'interesse femminile per la filosofia e le scienze era considerato essenziale per la loro formazione culturale.
 
In alcune città, come Napoli, Padova e Bologna, le donne che studiavano potevano avere relazioni culturali di alto livello, sostenute ed incoraggiate da quel cattolicesimo moderato aperto al dialogo tra scienza e religione.

A Napoli la filosofa e traduttrice Giuseppa Eleonora Barbapiccola (1700 – 1740), esponente dell’Illuminismo italiano, nel 1722  divenne nota per la sua traduzione dal francese (e, in parte, dal latino), dei “Principi della filosofia” di Cartesio. L'impegno che vi profuse, andò al di là di quanto richiesto da una traduzione: nell'introduzione al testo ella  difende l’accesso femminile alla cultura superiore ed esprime la volontà  di dare inizio con questo libro di filosofia cartesiana in lingua italiana ad un programma formativo in favore delle donne,  alternativo al consueto connubio “catechismo, cucito, canto, danza, ecc.”, che la tradizione  loro riservava. Sosteneva che la debolezza intellettuale delle donne era dovuta non certo alla natura, ma a una cattiva educazione. La notorietà acquisita come traduttrice le aprì le porte del “salotto intellettuale” di Giovambattista Vico, di cui divenne assidua frequentatrice.

A Padova nel 1723 ci fu un dibattito tra i membri dell’Accademia dei Ricovrati per decidere l’ammissione delle donne agli studi superiori di scienze e belle arti. Si decise di ammettere soltanto quelle intellettualmente e culturalmente dotate. Fra i favorevoli ci fu la poetessa  senese Aretafila Savini de’ Rossi (1687 – 1731)  con la sua “Apologia in favore degli studi delle donne”

A Bologna, nel 18/esimo secolo, nell’Accademia dell’Istituto di Scienze furono accolte alcune donne come socie:

la fisica Laura Bassi (1711 – 1778), seconda donna laureata in Italia dopo la veneziana Elena Lucrezia Cornaro, ma la prima ad intraprendere la carriera universitaria e scientifica, e prima donna al mondo ad ottenere la cattedra universitaria;

l’anatomista Anna Morandi Manzolini (1714 – 1774);

la poetessa e scienziata Cristina Roccati (1732 – 1797), che si dedicò alle scienze naturali ed alla fisica;

la filosofa e matematica Maria Gaetana Agnesi (1718 – 1799). Nel 1748 pubblicò un libro divulgativo e didattico di analisi matematica (in lingua italiana anziché in latino come  tradizionalmente previsto per i testi scientifici), titolato “Instituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana”. Questo testo ebbe notorietà e fu tradotto in francese ed in inglese. I dotti dell'Accademia Reale di Francia lodarono il libro come un'opera avanzatissima; l'imperatrice Maria Teresa d'Austria  le inviò un anello di brillanti in un prezioso cofanetto; il papa Benedetto XIV le inviò benedizioni e doni preziosi;  Carlo Goldoni le dedicò un sonetto. Nel 1750 sostituì il padre nell'insegnamento della matematica all'Università di Bologna. Nel 1752 morì il padre ed il pontefice Benedetto XIV le offrì di ricoprire ufficialmente la cattedra, ma Agnesi rifiutò, ritirandosi completamente dalla vita pubblica per dedicarsi ad opere di carità.

Queste donne scienziate, introdotte nelle accademie, animatrici di salotti culturali e presenti nei circoli scientifici, rappresentarono la possibile convivenza tra dimensione religiosa e ricerca scientifica, tra fede e ragione.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Gennaio 31, 2017, 09:48:54
La Rivoluzione francese suscitò nei cattolici opposte reazioni. Tra le donne c’erano  le sostenitrici dei valori della cattolicità e delle prerogative della Chiesa di Roma, ma anche le anticlericali  aderenti a società segrete.

All’epoca, fra le profetesse apocalittiche c’era  la visionaria Suzette Labrousse (17147 – 1821) che difendeva la Rivoluzione e chiedeva al papa di rinunciare al potere, di abolire gli ordini religiosi. Pensava di convincere il pontefice Pio VI di una catarsi della Chiesa.
 
Alla Labrousse fecero da contraltare le drammatiche profezie della senese  Anna Maria Giannetti (1769 – 1837), terziaria dell’Ordine della Santissima Trinità (Trinitari scalzi) e sostenitrice del trionfo finale del papato.  Tra i suoi carismi, spicca quello di un sole luminoso, che le brillò davanti agli occhi per 47 anni, dal 1790 alla morte: in esso avrebbe visto avvenimenti passati e futuri, e lo stato delle anime di vivi e defunti.

Molte monache, monarchiche, borboniche, antirivoluzionarie videro nella Rivoluzione francese “la spada dell’ira di Dio” e per questo si offrirono in perpetuo olocausto al Signore per difendere la Chiesa di Roma.

Numerosi sono gli scritti dell’epoca che evidenziano consapevolezza della condizione femminile.

Il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806 – 1873), esponente del liberalismo e dell’utilitarismo, influenzato anche dall’ideologia della moglie, la filosofa inglese Harriet Taylor, riguardo i diritti delle donne, pubblicò due saggi: nel 1859 “On liberty”, nel 1869 “The subjection of women”. Inoltre, insieme scrissero: “Early Essays on Marriage and Divorce”, pubblicato nel 1832.
Nel celebre “Saggio sulla libertà” (“On Liberty”) Mill sostiene che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e nessuno può costringerlo a fare qualcosa con la motivazione che è meglio per lui, ma potrà al massimo consigliarlo; l'unico caso in cui si può interferire sulla libertà d'azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro, solo ed unicamente in questo caso l'umanità è giustificata ad agire allo scopo di proteggersi. In tal senso lo Stato è giustificato ad indirizzare la vita degli individui solo quando il comportamento di uno di essi danneggia gli altri. Solo in tal caso potrebbe essere giustificabile la limitazione della libertà dei cittadini da parte dello Stato; il concetto di libertà di Mill si avvicina molto a quello di Alexis de Tocqueville di cui è stato amico.
Nel saggio dedicato alla “La servitù delle donne” (“The subjection of women”), influenzato anche dalle idee femministe della figliastra, Helen,  Stuart Mill rivendica la parità dei sessi nel diritto di famiglia ed il suffragio universale, sostenendo che ciò migliorerà anche gli uomini, i quali smetteranno di sentirsi superiori solo per il fatto di essere maschi e metterà fine all'ultimo residuo di schiavitù legale esistente dopo l'abolizionismo dello schiavismo dei neri negli Stati Uniti.

Decenni prima dei citati saggi di John Stuart Mill, l’1 luglio del 1797, ci fu il discorso della fiorentina Carolina Arienti (1771 – 1818) nell’Accademia di Pubblica Istruzione di Mantova sulla “schiavitù delle donne”. Mise in evidenza i limiti dell’educazione impartita alle donne, denunciò l’uso delle monacazioni forzate, rivendicò gli stessi diritti e doveri degli uomini e la partecipazione delle donne alla vita politica.
La Arienti partecipò con entusiasmo all’esordio della “Repubblica Cisalpina” e fu tra le prime ad evidenziare i limiti della legge in materia di divorzio e diritti patrimoniali. A Milano nel 1804 fondò la rivista “Corriere delle dame”.

Un’altra patriota risorgimentale fu  la nobile Maria Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808 – 1871), editrice di giornali rivoluzionari ma anche filantropa. A Locate, vicino Milano, creò un asilo, una scuola elementare per maschi e femmine per combattere l’analfabetismo, una scuola professionale femminile, una scuola tecnica agraria maschile e laboratori artigianali. Per tutelare l’ordine sociale impose la chiusura delle osterie durante le celebrazioni religiose e oltre le ore 21.00. Trasformò il suo palazzo in una sorta di falansterio. Una sala della villa divenne uno “scaldatoio” per le madri e i loro piccoli, offrì pasti a basso prezzo, medicine per i malati e doti alle donne prossime all'altare. Cristina avrebbe voluto anche modificare gli insegnamenti religiosi, che riteneva in parte criticabili, ma non procedette in una direzione che avrebbe incontrato notevoli ostacoli.

La principessa Adelaide del Balzo Pignatelli (1843 – 1932), eccentrica protagonista del Risorgimento napoletano, fu scelta come “dama di corte”  della regina Margherita di Savoia, che la delegò ispettrice del “Ritiro di Suor Orsola Benincasa”, fondato a Napoli dalla mistica Orsola Benincasa (1547 – 1618). Questo istituto sopravvisse come ente laico educativo alla legge eversiva delle proprietà ecclesiastiche.  La Pignatelli del Balzo lo trasformò in ente per l’educazione femminile, istituì anche la facoltà di magistero, diventando “Università degli studi Suor Orsola Benincasa”, fondata nel 1895 come istituzione accademica privata-parastatale. Nel 1932 fu nominata rettore la pedagogista Maria Antonietta Pagliara, prima donna rettore in Italia.
 

Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 01, 2017, 00:10:48
Papa Pio IX il 29 giugno 1868 con la Bolla “Aeterni Patris” convocò il Concilio ecumenico Vaticano I. La prima sessione fu tenuta nella basilica di San Pietro l’8 dicembre 1869. Vi parteciparono quasi 800 padri conciliari. Le sessioni furono interrotte nel luglio 1870 a causa della guerra franco-prussiana. Il Concilio fu aggiornato sine die il 20 ottobre 1870. Il mese precedente, il 20 settembre ci fu la conquista di Roma da parte dell’esercito italiano e la fine dello Stato Pontificio. I padri conciliari ebbero il tempo necessario per sancire l’assurdo dogma dell’infallibilità del magistero del papa in materia di fede e di morale. Approvarono anche il dogma della conoscenza di Dio con la sola ragione. L’uomo ha questa capacità perché è creato “a immagine di Dio”.
 
Il 9 dicembre 1869 come contrapposizione del Concilio Vaticano I venne organizzato a Napoli l’Anticoncilio, un’assemblea di intellettuali, uomini politici, rappresentanti di associazioni e di legge massoniche. Fu presente anche la delegazione del comitato di Napoli per l’emancipazione delle donne italiane. 185 di loro sottoscrissero la petizione con la quale chiedevano: “la ragione libera da ogni autorità religiosa, l’indipendenza dell’individuo dal dispotismo della Chiesa e dello Stato, la solidarietà dei popoli contro l’alleanza dei principi e dei preti[…] l’emancipazione della donna da vincoli religiosi e legislativi e la necessità dell’istruzione al di fuori di ogni intervento religioso, dovendo la morale essere completamente indipendente da questo intervento”.

L’alta partecipazione femminile fu dovuta all’impegno del patriota Giuseppe Ricciardi e del comitato per l’emancipazione delle donne. Coinvolsero nell’iniziativa donne singole ed associazioni femminili per affermare la fede laica e indipendente. “La donna ha bisogno di emanciparsi dal gioco clericale sotto cui finora è rimasta oppressa né potrà mai abbattersi il mostruoso colosso del papato finché il clero si imporrà alla coscienza della donna e la terrà sua schiava” (Luisa Lolli, 16 novembre 1869).

E del ruolo antimoderno della Chiesa di Roma la poetessa Laura Battista (1845 – 1884) il 27 novembre 1869 scrisse: “Il giorno 8 dell’entrante mese (di dicembre 1869) le belve porporate che si radunano in Vaticano […] formeranno un Concilio […] per opporsi in pieno secolo XIX alla civiltà […]. Gridiamo a Pio IX  che noi ci ridiamo delle sue scomuniche siccome disprezziamo le sue indulgenze […]. Io sento al vivo il dovere di levare su la voce siccome un essere pensante che reclama la sua parte di dignità” 

Le  suddette opinioni evidenziavano il pensiero di una élite, ma erano significative del mutamento di mentalità che si andava affermando e che vide sempre più le donne protagoniste nella trasformazione in atto. Ne fu testimone una delle partecipanti all’Anticoncilio: la napoletana Enrichetta Caracciolo, descritta in un precedente post. Seppe narrare con passione il suo affrancamento dalla condizione monacale per volgersi alla causa liberale. Donna colta e amante degli studi, Enrichetta, come ho già detto, subì come un atto di violenza il suo confinamento nel monastero napoletano di San Gregorio Armeno, per volontà della madre. Le angustie di una vita non scelta misero in evidenza le grettezze di quell’ambiente clericale chiuso ed ipocrita, soffocante e doloroso: “La privazione della libertà, l’uniformità del vivere, la monotonia delle impressioni, la frivolezza della giornaliera conversazione e, nella maggior parte delle monache che si trovano dalla fanciullezza nel chiostro, la scarsissima educazione ricevuta, fanno sì che la terza parte di loro o siano matte del tutto, o fissate almeno su di qualche cosa” (Enrichetta Caracciolo, “Misteri del chiostro napoletano”, pag. 135). Questa donna in più occasioni presentò a Pio IX le istanze per ottenere lo scioglimento dei voti o almeno una dispensa temporanea. Le fu concesso, infine, di soggiornare presso la sorella Giulia, che la introdusse nei circoli massonici. Nel 1851 fu prima arrestata e poi consegnata in custodia presso il ritiro di Mondragone (prov. Di Caserta). Dopo varie vicissitudini, riuscì ad ottenere per motivi di salute, alcuni permessi che le consentirono di muoversi liberamente, anche se controllata dalla polizia a causa dei suoi contatti con le reti cospirative. Il 7 settembre 1860 Garibaldi giunse a Napoli, lei gli andò incontro e nel duomo depose sull’altare il suo nero velo da monaca. Sposò il patriota Giovanni Greuther, corrispondente di giornali politici. Nel 1866 Enrichetta pubblicò un “Proclama alla donna italiana”, esortando le donne a sostenere la causa nazionale per l’unità d’Italia. Nel 1867 fece parte del comitato femminile napoletano di sostegno al disegno di legge di Salvatore Morelli per i diritti femminili. Nel 1869, durante i lavori  del Concilio Vaticano I, partecipò a Napoli all’Anticoncilio del libero pensiero. La sua adesione agli ideali risorgimentali le offrì l’occasione per osservare in modo critico la coercitiva vita monacale di tante donne, la contrapposizione tra le istanze laiche e liberali con le posizioni cattoliche, considerate intransigenti ed oscurantiste, l’emergere della consapevolezza di dignità femminile insofferente alle rigide regole dei ruoli tradizionali.

Il disagio che le donne avvertivano emerse con forza  nelle scrittrici di fine ‘800. Con le loro capacità comunicative riuscirono a far comprendere l’irritazione nei confronti dell’educazione religiosa mortificante.

L’americana Elizabeth Cady Stanton (1815 – 1902) fu una leader dei primi movimenti femministi per l’emancipazione della donna e per l’affermazione dei suoi diritti. La sua “Dichiarazione dei sentimenti”, ispirata dalla “Dichiarazione di indipendenza americana”, viene considerata atto fondativo del primo movimento suffragista e di emancipazione femminile degli Stati Uniti.
La Stanton insieme ad altre 26 donne elaborò anche  “La Bibbia della donna” (Woman’s Bible, 1895 –’98), un testo politico che collega la questione dei diritti delle donne all’errata interpretazione della Sacra Scrittura che ne ostacolava  l’attuazione. Cominciò così quella che poi divenne l’esegesi femminista, anticipata dal lavoro della giornalista e scrittrice vicentina Elisa Salerno (1873 – 1957), femminista di matrice cristiana che dedicò la sua vita a lottare contro ciò che ostacolava la dignità femminile negli ambiti familiare, lavorativo, sociale ed ecclesiale. Nel 1909 fondò la rivista “La donna e il lavoro”, dedicata alle donne impegnate nel lavoro. I suoi scritti erano orientati a combattere l’errata concezione di inferiorità della donna, diffusa anche negli ambienti cattolici e talora supportata dalle gerarchie ecclesiastiche.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 01, 2017, 22:02:27
A  proposito di monacazioni forzate, oggi su alcuni giornali c'è l'articolo riguardante le scarse vocazioni e gli abbandoni. Mi domando  ancora quanti secoli ci vorranno per l'estinzione della religione cristiana, come già avvenuto nell'antichità per altre religioni ? Nonostante il proselitismo in Africa, in Asia  e nelle zone sottosviluppate economicamente depresse per cercare possibili preti o monaci suore o monache,  i seminari rimangono vuoti. Nel passato dalle zone rurali e depresse d’Italia e d’Europa  migliaia di giovani ambivano alla vita clericale, anche senza o falsa vocazione, ma almeno avevano vitto e alloggio gratuito, anche se di tipo mediocre o insufficiente. Le loro famiglie dicevano: “E’ stato chiamato dal Signore” ! Perché ora il “Signore” tace ? Il suo silenzio è “assordante”. Altro che vocazioni.

Posto l'articolo pubblicato  sul quotidiano "Il Messaggero"

La grande fuga dai conventi, crolla il numero delle suore

CITTÀ DEL VATICANO. La fuga è silenziosa, costante, implacabile. Il calo numerico non offre tregua, e anno dopo anno costringe la Congregazione dei Religiosi una sorta di ministero al quale fanno capo gli ordini nel mondo a compilare statistiche negative, sintetizzando una debacle inarrestabile. Le suore sono quelle che in un decennio hanno conosciuto il calo più consistente, passando da 800mila nel 2000 a 693 mila nel 2013. Papa Francesco, sabato mattina, ricevendo un gruppo di religiosi, ha definito il fenomeno una autentica «emorragia». Difficile dargli torto. I segnali del crepuscolo del mondo religioso, maschile e femminile, sono facilmente individuabili persino dalle notizie di cronaca. In Belgio, come in Olanda o in Francia, tanti istituti religiosi, per mancanza di vocazioni, sono costretti a chiudere case, vendere proprietà, fondersi con altre comunità pur di sopravvivere. Spesso alla ricerca di strategie alternative in passato ci sono stati persino istituti religiosi che per non morire, visto il calo delle vocazioni e l’elevata età delle suore rimaste, facilitavano l’ingresso a ragazze straniere andandole a reclutare in villaggi sperduti nelle Filippine o in diversi Paesi africani. Il problema che si trova a fronteggiare il mondo religioso non è uno scherzo.

Al calo fisiologico va aggiunto anche il fenomeno di coloro che monaci o monache lasciano i voti perpetui per fare altre esperienze di vita, magari per sposarsi, o semplicemente per allontanarsi da un ambiente incapace di soddisfare pienamente le aspettative. Di fatto l’anno scorso più di 3.000 hanno lasciato la vita consacrata. Un bilancio pesantissimo e allarmante. Monsignor José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per i religiosi, in cinque anni ha autorizzato 11.805 dispense: certificati di indulti per lasciare l’Istituto, decreti di dimissioni, secolarizzazioni ad experimentum, secolarizzazioni per incardinarsi in una diocesi. Con una media annuale di 2.361 dispense. A questa emorragia se ne aggiunge un’altra, stavolta conteggiata dalla Congregazione per il clero (dal quale dipendono i sacerdoti diocesani). Da questo istituto sono state autorizzate 1.188 dispense.

Sommando i dati, hanno lasciato la vita religiosa 13.123 religiosi e religiose con una media annuale di 2.626. «I numeri non sono tutto, ma sarebbe da ingenui non tenerne conto». Le ragioni di questa disfatta sono molteplici. Carballo, un francescano, prova a dare una risposta: «Viviamo il tempo dello zapping: significa non assumere impegni a lungo termine, passare da un esperimento all’altro senza fare nessuna esperienza di vita. In un mondo dove tutto è agevolato non c’è posto per il sacrificio, né per la rinuncia, né per altri valori. Invece la scelta vocazionale esige di andare controcorrente».
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 08, 2017, 00:13:10
In uno dei precedenti post ho citato la religiosa Leopoldina Naudet (1773 – 1834), nata a Firenze da padre francese e da madre tedesco-slovacca, subendo perciò l’influenza di tre diverse aree linguistiche e culturali e una non comune istruzione. A Firenze studiò dalle monache agostiniane, che erano vicino la parrocchia di San Frediano, poi proseguì gli studi in Francia dalle “Dame di Nostra Signora di Soissons”.

Tornò a Firenze per lavorare come educatrice dei figli del granduca di Toscana, Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (1747 – 1792), detto Leopoldo I, granduca di Toscana dal 1765 – al 1790, poi imperatore del Sacro Romano Impero, re d’Ungheria e Boemia dal 1790 al 1792, anno della sua morte. Figlio dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa d’Austria,  fratello della celebre Maria Antonietta, regina di Francia, la quale durante la Rivoluzione francese fu ghigliottinata il 16 ottobre 1793, invece il marito, re Luigi XVI, fu ghigliottinato il 21 gennaio del 1793.

Nel 1790 la Naudet si recò a Vienna al seguito di Maria Luisa di Borbone, moglie di Leopoldo, che il 9 ottobre 1790 viene incoronato “Sacro Romano Imperatore” e Maria Luisa diventa imperatrice consorte, ma regnarono per breve tempo, perché lui morì l’1 marzo del 1792 e lei il 15 maggio dello stesso anno.

Leopoldina si trasferì a Praga, come dama di compagnia dell’arciduchessa Marianna, figlia del granduca di Toscana Pietro Leopoldo.
Marianna nella capitale boema era badessa delle canonichesse, co-fondatrice e madre generale di un istituto maschile, la “Compagnia della fede di Gesù”.
 
La Naudet non si limitò al ruolo di dama di compagnia. Aiutò i francesi esuli a causa della Rivoluzione, collaborò con i “Padri del Sacro Cuore”, sostenuti dall’ex gesuita Giuseppe Varin, impegnato nella riabilitazione dei gesuiti dopo la soppressione della Compagnia di Gesù il 21 luglio 1773, voluta dal pontefice Clemente XIV col breve “Dominus ac Redemptor”.

La comunanza d'intenti tra l’arciduchessa Marianna e Leopoldina Naudet venne cementata da un progetto comune di vita religiosa, a seguito del loro incontro con Niccolò Paccanari, che all’epoca stava cercando di rifondare un gruppo “gesuitico”, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù. Ci riuscì nel 1797 creando la “Società della Fede di Gesù”.
Su invito del pontefice Pio VI il Paccanari provvide nel 1799 ad unire la congregazione da lui fondata con quella dei “Padri del Sacro Cuore”, ma questi, nel 1804, ridiventarono autonomi.

Il carismatico presbitero Niccolò Paccanari fu anche l’ispiratore per la creazione della congregazione delle “Dilette di Gesù”, suore insegnanti che osservavano i voti di castità, povertà ed obbedienza. Con l’aiuto dell’arciduchessa Marianna e delle sorelle Naudet:  Leopoldina e Luisa, venne fondato un istituto per l’istruzione femminile.

Ad Amiens, in Francia, alcuni religiosi della “Società della Fede di Gesù” ed alcune “Dilette di Gesù” dettero vita nel 1800 ad una nuova comunità, le “Bien-aimées”, diretta dalla religiosa francese Maddalena Sofia Barat (1779 – 1865), ma nel 1800 a causa di gravi accuse rivolte a Paccanari, denunciato al Santo Uffizio, motivarono la Barat a distaccarsi e a creare una congregazione femminile ispirata dagli insegnamenti di Ignazio di Loyola, fondatore della “Compagnia di Gesù”. 

Nel 1801 Maddalena con tre consorelle diede vita alla “Società del Sacro Cuore di Gesù”, istituto dedito alla formazione delle madri di famiglia A soli 23 anni venne eletta superiora generale, carica che mantenne per i successivi 63 anni: sotto il suo generalato la congregazione conobbe un'eccezionale diffusione, arrivando a contare 105 collegi in tutto il mondo. Particolarmente importante fu il suo incontro con Rose-Philippine Duchesne, già monaca dell'Ordine della Visitazione, che fondò le prime case dell'istituto negli Stati Uniti d’America.

Dopo la carcerazione di Paccanari , Leopoldina Naudet con alcune consorelle fu costretta a cercare prima a Padova, poi a Venezia ed infine a Verona, una diversa sistemazione.

Invitata dal canonico Luigi Pacifico Pacetti (1761 – 1819), predicatore e missionario, Leopoldina si trasferì nel 1807 con le sue compagne a Verona nell’ex monastero dei santi Giuseppe e Fidenzio per collaborare con  Maddalena di Canossa, da me citata in un precedente post, come fondatrice della congregazione “Figlie della Carità”, suore insegnanti per le ragazze povere. 

Dal 1808 al 1816 i due gruppi (“Dilette di Gesù” e “Figlie della Carità”) condivisero un comune ordinamento con la direzione della Naudet.  Ma dopo otto anni Maddalena di Canossa e Leopoldina Naudet, decisero di separare le proprie strade per fondare  due differenti comunità con due diverse vocazioni: quella di Leopoldina Naudet, denominata “Sorelle della Sacra Famiglia”,  di ispirazione ignaziana (da Ignazio di Loyola) preposta alla formazione delle maestre e all’educazione di ragazze appartenenti agli strati sociali medio-alti;  quella di Maddalena di Canossa , denominata “Figlie della Carità”, di marcata spiritualità vincenziana (da Vincenzo de’ Paoli), orientata verso le classi sociali povere, emarginate, con l’offerta dell’istruzione di base.

A Verona, nel 1816,  Leopoldina  per la sua scuola venne autorizzata ad utilizzare l’ex monastero delle Terese. L’istituto scolastico delle “Sorelle della Sacra Famiglia” era un convitto riservato alle ragazze di “buona famiglia” (nobili o ricche borghesi), ma le insegnanti si dedicavano anche alla formazione delle maestre ed istruivano le fanciulle per la prima comunione.

Il 1833 fu un anno importante per la congregazione delle “Sorelle della Sacra Famiglia”: nel mese di giugno giunse l’approvazione imperiale, il 21 dicembre il riconoscimento pontificio da parte di Gregorio XVI.
Dopo pochi mesi, il 17 agosto 1834, Leopoldina Naudet morì.

Nel 1866 dopo l'annessione del  Veneto al Regno d’Italia la congregazione da lei creata venne soppressa, ma sopravvisse dividendosi in piccole comunità dedite ad asili, scuole, orfanotrofi e oratori.
Nel 2007 papa Benedetto XVI  promulgò il decreto che attribuisce a Leopoldina Naudet il titolo di “venerabile”. Attualmente è in corso il processo per la sua beatificazione.

Invece Maddalena  dei marchesi di Canossa, fondatrice delle  Figlie e Figli della Carità, fu beatificata nel 1941 e proclamata santa nel 1988 dal pontefice Giovanni Paolo II.

Per quanto riguarda i Gesuiti, nel  1814 la “Compagnia di Gesù” fu ricostituita dal papa Pio VII e vi confluirono numerosi religiosi, compresi quelli della “Società della Fede di Gesù”, fondata nel 1797 da Niccolò Paccanari, che fece una tragica fine. Come suddetto, nel 1800 venne accusato di vari reati, condannato dal Sant’Uffizio a dieci anni di carcere e all’interdizione perpetua dal sacerdozio e dai sacri ministeri.

Nel frattempo, dopo la vittoria sull'Austria, Napoleone I Bonaparte decretò il 17 maggio 1809 l'annessione dello Stato Pontificio all'Impero francese.  Il 10 giugno Pio VII replicò scomunicando tutti i colpevoli del sopruso (senza mai nominare Napoleone). Dopo poche settimane il pontefice  Pio VII fu arrestato da militari francesi e portato prima in Francia e poi a Savona. Lo Stato Pontificio venne suddiviso in dipartimenti.

Durante l’occupazione francese di Roma Niccolò Paccanari scomparve dal carcere. Il suo cadavere decapitato venne ripescato nel Tevere nel 1811.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 09, 2017, 00:06:37
Leopoldina Naudet considerava non tollerabile l’ignoranza biblica da parte delle donne, perciò s’impegnò per l’elevazione culturale della gioventù femminile. Il programma di studi che proponeva nelle scuole da lei dirette era di chiara impronta gesuitica. Ella apprese dalle scuole gesuitiche il cosiddetto “metodo ignaziano”, dal nome del fondatore dei Gesuiti, Ignazio di Loyola. 

Il “metodo ignaziano” è la struttura pedagogico-didattica che caratterizza lo stile educativo delle scuole gesuitiche. Ha le radici  sia nel  cosiddetto “metodo parigino” sia nella “ratio studiorum”.

Il metodo parigino, sperimentato da Ignazio di Loyola durante i suoi studi alla Sorbona (1529-1532), era caratterizzato dall’attenzione che il docente poneva alle qualità personali e alle modalità di apprendimento dello studente. Per questa ragione Ignazio lo preferì al metodo praticato in Italia all’epoca, che si fondava soprattutto sul prestigio del docente e sulla sua eloquenza.

La ratio studiorum codifica i principi della pedagogia dei Gesuiti, applicati nelle scuole e collegi da loro fondati. La “Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu” fu elaborata  da una commissione tra il 1581 e il 1599, anno della sua pubblicazione. Questo manuale sul metodo educativo e l'ordinamento delle scuole, composto da 463 regole, codificava un metodo pedagogico imperniato sull'insegnamento del latino e dei classici, emulazione tra studenti e severa disciplina.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1d/Ratiostudiorum.jpg/220px-Ratiostudiorum.jpg)

Le caratteristiche che portarono al successo dei collegi gesuiti e imposero un nuovo stile di educazione furono la gratuità, l'apertura a studenti di tutte le classi sociali (almeno in linea di principio), l'insegnamento delle "umane lettere" unito a quello delle scienze, la divisioni in classi con insegnanti propri e la progressione da una classe all'altra in base a obiettivi curricolari predefiniti, l'adozione di un programma chiaro e coerente.

I collegi, diversamente dalla case professe, che non potevano possedere beni, erano dotati di rendite e benefattori: si specializzarono nell'educazione dei giovani di nascita aristocratica e alto borghese. I gesuiti si specializzarono anche nella formazione delle classi dirigenti.

La tradizione educativa ignaziana è stata ampiamente aggiornata in anni recenti  tenendo presenti le esperienze derivanti dalla psicodidattica dell’apprendimento, ed è stata strutturata in un metodo chiamato “Paradigma Pedagogico Ignaziano” che  sviluppa le capacità dell’alunno rendendolo attivo e protagonista dell’apprendimento.
Il predetto “paradigma” didattico  pone particolare attenzione:

al contesto, sia per l’insegnamento sia ai modi dell'alunno di acquisire le conoscenze. I docenti si debbono informare della biografia dei discenti per meglio comunicare la materia di studio.

All'esperienza, per suscitare la motivazione all’apprendimento significativo.

Alla riflessione da parte dell’alunno sull’importanza di ciò che impara.

All'azione, fase didattica della comprensione da parte dell’alunno delle abilità acquisite, del conseguimento di competenze.
 
Alla valutazione da parte del docente dell’apprendimento del discente. Anche l’alunno viene invitato all’autovalutazione del suo sapere per conseguire ulteriori obiettivi. 

Il “metodo ignaziano” è fondato sul principio “non multa, sed multum”: locuzione latina che significa “non molte (cose), ma molto (bene). (Quintiliano, Instit., X, I, 59) cioè, non è conveniente studiare molte cose, ma poche e bene.

I gesuiti oltre ad insegnare si dedicano alla catechesi, alla predicazione, all’amministrazione dei sacramenti, alla consolazione spirituale dopo l’ascolto delle confessioni.
 
La confessione libera la “coscienza” e svolge una funzione catartica.
 
Il sacramento della confessione fu istituito da Gesù Cristo, quando la sera della Pasqua ebraica disse ai suoi apostoli: “Ricevete lo spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).

“Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati” (Atti 2,38), disse l’apostolo Pietro nel suo discorso la mattina di pentecoste.

Giovanni Battista predicò nel deserto  e praticò il "battesimo di acqua" come segno di conversione e di preparazione per accettare colui che battezzerà "in "Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11)

Anche Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani (6, 1 – 4) invita i cristiani al battesimo come esperienza della Pasqua di Cristo.

Il sacramento della riconciliazione o confessione  nei secoli ha subìto varie modifiche. Per limitarci al periodo ignaziano c’è da dire che nel 1545 papa Paolo III concesse ampi privilegi alla Compagnia in materia di assoluzione. Nel 1552 il pontefice Giulio III  concesse ai gesuiti la facoltà di assolvere i penitenti addirittura dal peccato di eresia.

In connessione con l'aumento dello spazio riservato al sacramento della penitenza, i gesuiti affrontarono sempre più largamente lo studio dei casi di coscienza (casuistica): la casuistica nacque come riflessione su quello che, nelle varie circostanze concrete, poteva essere ritenuto l'orientamento morale più corretto. Per giudicare la colpevolezza di un atto, i gesuiti privilegiarono la teoria del "probabilismo": vi era una molteplicità di opinioni su quello che doveva essere il modo giusto di agire in una determinata situazione e il confessore poteva sceglierne una probabile (non necessariamente la più probabile) se questa era favorevole al penitente.

A questa morale, ritenuta "lassista", i giansenisti ne contrapponevano una estremamente rigorista, che arrivava a rifiutare l'assoluzione ai fedeli fino alla loro totale e irrevocabile conversione.

Il matematico e filosofo  francese Blaise Pascal (1623 – 1662) si inserì nella polemica tra gesuiti e giansenisti con le “Lettere a un provinciale”, meglio note come “Le provinciali”: sono 18 lettere scambiate tra due personaggi fittizi. Pascal  accusa  i gesuiti di tradire i principi della morale evangelica e  di compromettere la religione cristiana  adattandola disinvoltamente ai vizi del secolo.

Numerosi teologi gesuiti  diventarono confessori e direttori spirituali di nobili o di  ricchi borghesi, ma anche di sovrani: in Francia, François Annat e François d'Aix de la Chaise furono i confessori di  Luigi XIV. Lo zio di la Chaise, padre Pierrer Coton, fu confessore di Enrico IV.
 
Per quanto riguarda Ignazio di Loyola c’è anche da dire che nel 1543 per aiutare le prostitute desiderose di abbandonare il meretricio e reinserirsi nella società fondò a Roma la “Casa di Santa Marta” (lo stesso nome ha l’edificio in Vaticano dove risiede papa Francesco).

Nel 1546 a Roma creò il conservatorio delle Vergini Miserabili, presso la chiesa di Santa Caterina dei Funari, dove alle figlie delle prostitute veniva fornita un'educazione ed una dote. Istituzioni simili furono promosse dai gesuiti a Venezia (conservatorio delle Vergini Periclanti) e Firenze (istituto delle Fanciulle della Pietà).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 10, 2017, 00:16:28
“Femminismo”: questo sostantivo se lo consideriamo come concetto possiamo "vedere" la “lotta” per  la parità politica, sociale ed economica tra maschi e femmine, ritenendo che le donne siano state e siano tuttora discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate, nonostante le affermazioni che il sesso biologico non è un fattore che discrimina i diritti sociopolitici od economici della persona.

Il femminismo è un movimento politico, culturale e sociale complesso ed eterogeneo, che rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini. Nato nel XIX secolo, si è sviluppato con caratteristiche peculiari in ogni nazione ed epoca. E’ stato nel contempo elaborazione teorica e movimento politico che ha attraversato l’America e l’Europa con esiti differenziati: in Norvegia la capacità politica femminile connessa col diritto al voto attivo e passivo fu riconosciuta nel 1913, in Inghilterra nel 1918, in Spagna nel 1931, In Italia nel 1946.

Il XX secolo rappresenta la presa di coscienza da parte delle donne della propria dignità e della reale possibilità di accedere ai diritti civili e politici.

Le conferenze mondiali sulle donne si sono svolte a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980), Nairobi (1985), Pechino (1995), New York (2000) e Milano (2015).
Convocate dalle Nazioni Unite, queste conferenze sono al centro dell'agenda globale per l'uguaglianza tra uomo e donna, attraverso l'individuazione di obiettivi comuni e l'adozione di un piano d'azione per il progresso della condizione femminile. Alla fondazione dell'ONU, nel 1945, solo in 30 paesi (sui 51 fondatori) le donne godevano del diritto elettorato attivo e passivo. Lo Statuto delle Nazioni Unite ebbe il merito di riferirsi agli "uguali diritti di uomini e donne" nel momento in cui si sanciva la "fede (dell'Organizzazione) nei diritti umani fondamentali" e la "dignità e il valore della persona umana". Prima dello Statuto nessun documento aveva sostenuto con tale forza l'uguaglianza tra gli esseri umani e individuato esplicitamente il sesso come elemento discriminatorio. Nei primi decenni gli sforzi delle Nazioni Unite in difesa delle donne sono stati rivolti precipuamente alla codifica dei diritti civili e legali delle donne, e sulla raccolta dei dati relativi alla condizione delle donne nel mondo. La lotta per l'uguaglianza è entrata nella seconda fase con la convocazione delle conferenze mondiali da parte dell'ONU; l'obiettivo era quello di sviluppare una strategia globale per garantire i diritti alle donne.

Il principio di uguaglianza e i “diritti umani” furono vissuti dalla Chiesa cattolica come una minaccia. Fu costante la resistenza dei pontefici nell’accettare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1948, non ritenne importante menzionare la “Dichiarazione universale dei diritti umani”, promulgata alcuni giorni prima, il 10 dicembre dello stesso anno, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (O.N.U.).

Analogamente i papi che hanno governato la Chiesa fino al Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 1965) non hanno dimostrato significative aperture nei confronti delle richieste femminili del riconoscimento dei loro diritti e dei loro ruoli.  Chiusi nella strenua difesa di una visione tradizionale e patriarcale della famiglia, hanno esaltato il ruolo della donna nella famiglia come luogo della sua identità.

Il periodo che segna la storia delle donne cattoliche nel Novecento ha alcune date significative.

L’8 settembre 1907 papa Pio X fece pubblicare l’enciclica “Pascendi Dominici gregis” (“pascere il gregge del Signore”) per respingere il “modernismo”.  Con questa enciclica, preceduta dal decreto “Lamentabili sane exitu”, Pio X definì il modernismo “sintesi di tutte le eresie”. Ripudiò “le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome”.

La terziaria francescana, educatrice e scrittrice Antonietta Giacomelli (1857 – 1949), nel mese di maggio del 1908 partecipò a Milano al primo congresso di “Attività pratica femminile”, dove propose la sua relazione basata sul rapporto donna – famiglia, evidenziando la necessità di dare alle giovani anche un’educazione sessuale, criticando l’istruzione impartita nei collegi femminili, in quanto finalizzata al ruolo della donna sottomessa all’uomo. La gerarchia ecclesiastica polemizzò con la Giacomelli per le sue affermazioni e nel gennaio del 1912 fece mettere all’Indice alcune sue pubblicazioni.

Fu necessario attendere il  Concilio Vaticano II  per avere una svolta nell’atteggiamento di sospettosa chiusura o di condanna da parte del papato nei confronti della modernità. In questo concilio si permise ad alcune donne di partecipare come uditrici e si decise di aprire l’accesso femminile alle facoltà teologiche.

Nonostante il Concilio ecumenico Vaticano II, la Chiesa ancòra si presenta come un’istituzione monarchica, gerarchica, clericale e maschile.

Nella Costituzione pastorale “Gaudium et spes”  sulla Chiesa nel mondo contemporaneo  c’è la maggior parte delle aspettative del concilio: l'allontanamento della Chiesa  dall’epoca post-tridentina e barocca, dai timori  causati dall'Illuminismo e dai danni ricevuti dalla Rivoluzione francese. Quella era la Chiesa nel mondo ma anche Chiesa contro il mondo.

Il pontefice Paolo VI scrisse che la Chiesa deve dialogare con il mondo in cui si trova a vivere. E con tale affermazione mise fine  al triste capitolo della storia della Chiesa che va dal XVI secolo in poi, quando il papato e le gerarchie ecclesiastiche a chi reclamava autonomia per la scienza, la cultura, la politica, rispondeva con conflitti ed intransigenze senza discernimento.

Nella dichiarazione “Nostra aetate” (Nel nostro tempo), uno dei documenti del  Concilio Vaticano II, del 28 ottobre 1965, si parla fra l’altro della fratellanza universale e dell’amore, mentre un altro documento conciliare, la dichiarazione “Dignitatis Humanae” (dignità umana), tratta della libertà religiosa. 
 


Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 11, 2017, 00:10:14
In un precedente post ho citato la scrittrice francese Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze (1748 – 1794), la quale durante la Rivoluzione francese scrisse articoli e saggi  femministi e abolizionisti. Nel 1788 pubblicò le "Réflexions sur les hommes nègres" in cui contestava la schiavitù; successivamente, basandosi  sulla “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo”, del 1789, scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, pubblicata nel 1791, con la quale chiedeva l'uguaglianza politica e sociale tra  maschi e femmine.  Il 3 novembre 1793 fu ghigliottinata perché si era opposta all'esecuzione di Luigi XVI.

Anche nel Regno Unito  vennero pubblicati libri a sostegno della tesi dei diritti per le donne. Mary Wollstonecraft pubblicò nel 1792 “A Vindication of the Right of Women”, nel contempo venivano formati i primi circoli femminili. Tuttavia le richieste delle donne non ottennero risposte adeguate, sino a quando con la riforma del 1832 e con la legge comunale Corporations Act del 1835, alle donne venne concesso il diritto di voto, anche se era limitato alle elezioni locali, mentre per quelle nazionali non era possibile.

Nella metà del XIX secolo i movimenti femminili avevano come principale obiettivo l'uguaglianza delle donne di fronte alla legge,  la possibilità di votare alle elezioni politiche, il cambiamento del diritto familiare, l’ampliamento dell’istruzione alle ragazze, l’inserimento nel mondo del  lavoro. Ma le richieste dei movimenti femminili collidevano con l’ideologia cristiana cattolica, che voleva le donne relegate nell’ambito familiare in condizione subalterna all’uomo.
Le richieste delle donne, che tendevano a svincolarsi dalla tutela maschile per acquisire autonomia e riconoscimento di uguale dignità, incontrarono fortissime resistenze da parte delle gerarchie cattoliche, che in quelle richieste vedevano frantumarsi i valori riguardanti la famiglia, la società e la cattolicità.

Tra il 1820 e il 1840 oltreché in Francia anche in Inghilterra le rivendicazioni  femminili si concentrarono più che sulla questione del voto, sulle disuguaglianze e sul ruolo subordinato delle donne, soprattutto nell’ambito della famiglia e del matrimonio.

Nel 1848 un gruppo di donne statunitensi si riunì a Seneca Falls, nello Stato di New York, per elaborare un documento condiviso, la “Declaration of sentiments”, che si richiamava alla “Dichiarazione d’Indipendenza americana”, pubblicata nel 1776. Nel loro documento scrissero:  “Si delibera che è un dovere delle donne di questo paese assicurarsi il loro sacro diritto al voto”.

Nel 1864 papa Pio IX in occasione della festività religiosa dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, fece pubblicare il “Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores”  (=  “Elenco contenente i principali errori del nostro tempo”, comunemente noto come “Sillabo”):  è un elenco di ottanta proposizioni  che condannano il liberalismo, l’ateismo, il comunismo, il socialismo, l’indifferentismo, il matrimonio civile, ed altro. La volontà di pubblicare un elenco di errori da condannare era in nuce da vari anni. Fu proposto nel 1849 dal vescovo di Spoleto, che poi divenne il futuro papa Leone XIII. 

Il “Sillabo” venne pubblicato  come allegato all’enciclica “Quanta cura”, che condanna gli “errori moderni”, “le nefande macchinazioni di uomini iniqui che, schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo libertà mentre sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di demolire le fondamenta della Religione cattolica e della società civile, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e principalmente la gioventù impreparata, e di corromperla miseramente, di imprigionarla nei lacci degli errori e infine di strapparla dal seno della Chiesa cattolica”.

Nel 1869, negli Stati Uniti, furono creati due movimenti a sostegno del voto femminile, la “National Association for Woman Suffrage” e la “American Woman Suffrage Association” ,  che si fusero nel 1890 nella “National American Woman Suffrage Association” , che avviò una campagna di  mobilitazione nei singoli Stati della federazione. 
Nel 1869 anche in Inghilterra le attiviste femminili crearono il movimento nazionale delle “suffragette” che chiedevano il diritto di voto alle donne.

Alla fine dell’Ottocento ci fu un’accelerazione dell’azione suffragista. Oltre al voto chiedevano la lotta alla prostituzione e all’alcolismo,  l’autonomia della sfera riproduttiva e sessuale nell’ambito familiare. Il protagonismo femminile  trovò accoglienza nei mass media, nelle petizioni, nelle conferenze.

Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale il diritto di voto divenne l’elemento centrale della battaglia del movimento delle donne,  le suffragiste inglesi e americane furono le principali protagoniste delle campagne  per l’acquisizione dei diritti politici.

Nello stesso periodo  la Chiesa cattolica condannava la modernità e la secolarizzazione, considerata mortale minaccia per la cristianità. 
In Italia due delle figure storiche del suffragismo, Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff,  autrice della legge sul lavoro delle donne e dei bambini, del 1902, coniugarono in diverso modo femminismo e socialismo, anche se il rapporto tra partiti, movimenti politici e suffragismo, fu spesso difficile e costrinse spesso i movimenti delle donne di ridefinire obiettivi e tattiche.

Il papa Pio X, che pontificò dal 1903 al 1914, con il motu proprio “Inter pastoralis officii sollicitudines”, del 1903, riguardante la musica liturgica ed il canto gregoriano nelle chiese, vietò alle religiose di far parte dei cori parrocchiali per l’incapacità delle donne di esercitare uffici liturgici. L’anno successivo nel periodico mensile “Acta Sanctae Sedis” (= “Atti della Santa Sede”), del maggio 1904, contenente pubblici documenti del papa e della curia romana, c’è scritto: Non si conceda mai la parola alle signore. Benché rispettabili e pie”.

L’emancipazione femminile sembrava contribuire allo sfaldamento della società, perciò veniva osteggiata. Ma l’esigenza dei tempi convinse Pio X ad istituire nel 1909 l’Unione tra le donne cattoliche d’Italia, movimento moderato che avrebbe dovuto arginare le richieste del femminismo laico (che chiedeva diritto di voto, accesso agli studi universitari, ingresso nel mondo del lavoro) e tutelare il ruolo tradizionale della donna nell’ambito domestico. Alla principessa Cristina Giustiniani Bandini (1866 – 1959), cui diede l’incarico di organizzare il movimento cattolico, ne aveva chiarito la missione, essenzialmente caritativa e religiosa: “Esclusa la politica e l’esigenza dei diritti che sono in opposizione diretta coi doveri imposti alla donna dalla Provvidenza” (“Lettera a Cristina Giustiniani Bandini, 1908).

In Inghilterra il 6 febbraio 1918 le donne sopra i 30 anni ottennero il diritto di  voto grazie al "Representation of the People Act", ma soltanto nel 1928 avrebbero potuto votare alla stessa età degli uomini.

Il 26 agosto 1920 il 19/esimo emendamento - che dava diritto di voto a tutti gli americani adulti senza distinzione di sesso - diveniva parte della Costituzione degli Stati Uniti e 26 milioni di donne potevano da quel momento recarsi alle urne.

La tragedia delle due guerre mondiali, intervallate dall’affermazione dei regimi totalitari, mise in evidenza il ruolo fondamentale delle donne durante i conflitti bellici, ma confermò anche la loro strumentalizzazione in funzione ideologica per tutelare la cultura nazifascista.

Il 30 gennaio 1945, mentre l'Italia era ancora in guerra, il  Consiglio dei ministri dell'Italia Libera presieduto da  Bonomi, approvò il decreto legge che prevedeva il diritto di voto esteso a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti. Le donne votarono, per la prima volta, nelle elezioni amministrative della primavera del  1946, nonché nel successivo referendum del 2 giugno dello stesso anno per l'elezione dell’Assemblea costituente ed il referendum per la scelta tra monarchia e repubblica.
 
Pio XII accettando il voto alle donne sancito nel 1945 (ma in atto nel 1946) superò le resistenze all’ingresso femminile nella politica, indirizzando le donne cattoliche verso determinati partiti politici, in particolare la Democrazia Cristiana.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 12, 2017, 00:16:26
Il 25 gennaio 1959 papa Giovanni XXIII, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, annunciò la revisione del Codice di diritto canonico e il Concilio ecumenico Vaticano II, che venne svolto in quattro sessioni dal 1962 al 1965 per il  completamento della riflessione sulla Chiesa, sia nel rapporto con il mondo sia nella definizione della sua identità e natura, già avviata dal Concilio Vaticano I, interrotto nel 1870 a causa della “presa di Roma” da parte delle truppe di Vittorio Emanuele II.  Fu l’episodio conclusivo del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia.

La conquista della città il 20 settembre 1870 decretò la fine dello Stato Pontificio come entità storico-politica e il cambiamento nella gestione del potere temporale da parte dei papi. 

Lo Stato Pontificio, detto anche Stato della Chiesa o Stato Ecclesiastico, durò oltre mille anni, dal 752 al 1870 e condizionò in modo determinante la politica degli Stati europei.

Nonostante le mutazioni politico-sociali, i cambiamenti alla fine del XIX secolo coinvolsero solo marginalmente le donne.

Nei primi decenni del XX secolo la Chiesa  cattolica pensò di tutelare la peculiarità femminile ipostatizzando i ruoli culturali sin lì elaborati. Considerò pericoloso ed alienante l’accesso della donna al mondo del lavoro, la domanda di diritti civili, primo tra tutti il diritto di voto.
 
Nel 1963 con l’enciclica “Pacem in terris” papa Giovanni XXIII diede impulso al movimento delle donne, riconoscendo la loro emancipazione come un importante e positivo segno dei tempi: “diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica” (Pacem in terris, 22).

Il Concilio Vaticano II si occupò della struttura della Chiesa e dei suoi rapporti con il mondo, ma non della questione femminile, anche se ai lavori conciliari parteciparono  per volontà di Paolo VI 23 uditrici. Comunque da quella assemblea scaturì un messaggio alle donne: “l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”.

Nella costituzione apostolica conciliare “Gaudium et spes” (= la gioia e la speranza), promulgata da Paolo VI c’è scritto che ogni tipo di discriminazione, compresa quella in ragione del sesso, deve essere superata ed eliminata in quanto contraria al disegno di Dio (n. 29); si sottolinea che è dovere di tutti fare in modo che la partecipazione delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e facilitata (n. 60). Dipiù non c’è.

Il 25 luglio 1968 fu pubblicata l’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” perché la scienza stava cominciando a “mettere le mani” sui meccanismi della procreazione e nella sua lettera il pontefice  espone le riflessioni della Chiesa sul problema dello sviluppo demografico, delle mutate condizioni sociali, culturali ed economiche, del nuovo ruolo delle donne e dello sviluppo delle scienze nel campo del dominio dei processi naturali. A questa tendenza il papa oppone la visione cristiana: “Il problema della natalità, come ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato, al di là delle prospettive parziali - siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico - nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna”.

Nel 1971 l’assemblea del sinodo dei vescovi nel documento sulla giustizia nel mondo affermava:  “Vogliamo che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria della società e anche della Chiesa. Noi proponiamo che questo argomento venga sottoposto a profondo esame, con mezzi adeguati, per esempio ad opera di una commissione mista composta di uomini e donne, di religiosi e laici di diverse condizioni e competenze».
Paolo VI, accogliendo questa richiesta, costituì nel 1973 una Commissione di studio sulla donna nella società e nella Chiesa.

Il 1975 fu proclamato dall’ONU  “Anno internazionale della donna”, con un triplice scopo: promuovere l’uguaglianza dei diritti;
assicurare la piena integrazione delle donne nello sforzo globale di sviluppo a tutti i livelli e ambiti; riconoscere l’importanza del crescente contributo delle donne alla cooperazione tra i popoli e al consolidamento della pace.

Paolo VI in più occasioni manifestò attenzione alla promozione culturale delle donne: proclamò dottori della Chiesa Teresa d’Avila e Caterina da Siena; favorì lo studio della teologia da parte delle donne e consentì loro l’accesso alle facoltà di teologia.

Il 15 agosto 1988 il pontefice Giovanni Paolo II fece pubblicare la sua lettera apostolica “Mulieris dignitatem”  ("La dignità della donna"), nella quale affermava: “è giunta l’ora in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l'ora in cui la donna acquista nella società un'influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”.

Ma nella Chiesa, spesso, alle parole non seguono i fatti. La donna viene elogiata per il suo servizio sociale ma raramente viene considerata come promotrice di cambiamento culturale, perché in ambito ecclesiale si scontra con mentalità maschiliste ed autoritarie. Infatti la “Mulieris dignitatem” è insoddisfacente alla coscienza femminile evoluta, ma perlomeno cancella parzialmente due millenni di misoginia cristiana e si esprime verso le donne con toni concilianti, positivi. Comunque è un tentativo convinto ma non convincente da parte del Vaticano.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 14, 2017, 00:09:05
Giovanni Paolo II pontificò dal 1978 al 2005. Questo papa colse  i "segni dei tempi”  e dedicò particolare attenzione alle donne. 
Nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” (“Dignità della donna”),  del 15 agosto 1988, Giovanni Paolo II si sofferma sull’uguaglianza in dignità dell’uomo e della donna, la loro vocazione alla reciprocità, alla complementarietà ed alla collaborazione.  Questa lettera è il primo documento specifico del magistero della Chiesa sulla donna.
Il pontefice esamina anche la frase biblica: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen 3, 16). Questo dominio –dice il papa-  inficia l’uguglianza, che può dare ai reciproci rapporti un'autentica “communio personarum”. Ma  l’affermazione di Genesi 3, 16 fa riferimento alla reciproca relazione dell’uomo e della donna nel matrimonio. L’amore sponsale fa sì che il dono sincero di sé da parte della donna trovi risposta e completamento nell’analogo dono da parte del marito. Soltanto in base a questo principio tutt'e due, possono  costituire la vera unità.  La donna non può diventare oggetto di dominio e di possesso maschile.
La suddetta frase biblica indirettamente coinvolge la convivenza sociale, le situazioni in cui la donna è svantaggiata o discriminata solo perché femmina. Nella "Mulieris dignitatem" si afferma che  “Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque - come, del resto, anche l'uomo - deve intendere la sua ‘realizzazione’ come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità”.

Giovanni Paolo II con la citata lettera apostolica difese a parole la parità uomo-donna ma non la volle applicare  in ambito ecclesiale. Infatti con un’altra lettera apostolica, la “Ordinatio sacerdotalis”, del 22 maggio 1994, Wojtyla ribadì l’esclusione delle donne dal sacerdozio. La Chiesa cattolica sostiene l’inammissibilità perché Gesù  “scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini; la pratica costante della Chiesa, che ha imitato Cristo nello scegliere soltanto degli uomini; e il suo vivente magistero, che ha coerentemente stabilito che l'esclusione delle donne dal sacerdozio è in armonia con il piano di Dio per la sua Chiesa”. A questa decisione ci furono reazioni da parte delle donne, perfino in ambito religioso.

Il 2 ottobre 1994 nel sinodo dei vescovi  sulla “Vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo” un gruppo di suore, per voce di Klara Sietman, presidente dell’Unione internazionale delle superiori maggiori, chiedeva che le religiose fossero ammesse a ruoli decisionali  all’interno delle proprie congregazioni e che occupassero posizioni di responsabilità nella curia pontificia. Rivendicava anche stipendi adeguati; reclamava la presenza equa ed effettiva delle donne consacrate in ambito pastorale e nell’affidamento degli incarichi all’interno della Chiesa, anche con funzioni autorevoli.
Al dibattito sollevato dalle religiose si aggiunse qualche giorno dopo monsignor Ernest Kombo, vescovo gesuita nel Congo, che chiedeva per le donne la possibilità di diventare cardinali-laici, poiché il cardinalato non è di origine apostolica né è legato al ministero sacerdotale.  Ma tali richieste furono considerate risibili. Giovanni Paolo II confermò la sua decisione di allontanare le donne da qualunque ruolo di autorità all’interno dell’istituzione.

Il successore di Wojtyla, papa Benedetto XVI, pur manifestando la necessità di dare maggiore spazio alle donne, la cui esclusione al sacerdozio non avrebbe precluso il loro accesso ad altri ruoli, non sciolse i nodi della ministerialità e del governo della Chiesa, che limitano la piena partecipazione e responsabilità femminili.

E’ ancora presto per valutare il pontificato di papa Francesco. Il suo appello per una Chiesa povera ed aliena dal potere incontra forti opposizioni interne, pronte a lanciare l’anatema contro l’ideologia gender. Il pensiero femminista  con la teoria gender rappresenterebbe,  l’ultima eresia dei tempi moderni.

Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, pubblicata il 24 novembre 2013 alla chiusura dell’Anno della fede, Francesco ha scritto: “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché ‘il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo’ e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.

Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale ‘ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità” (103, 104).
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 17, 2017, 09:35:24
Lo scorso secolo ha visto il superamento della tradizionale concezione della donna relegata a ruoli subordinati e la rottura di antichi schemi sociali, con la “presa di coscienza” da parte delle donne della propria dignità da tutelare.

La sottrazione femminile  dal secolare stato di dipendenza, l’emancipazione, ha permesso il riconoscimento dell’uguaglianza tra uomini e donne e l’affermazione dei diritti fondamentali della persona: il diritto allo studio, il diritto di voto, parità di opportunità nell’accesso al lavoro,  la parità retributiva, la tutela delle lavoratrici madri, l’inserimento nella vita politica. Inoltre, i mutati contesti economici e politici, le innovazioni tecnologiche e sanitarie che hanno diminuito la mortalità materna ed infantile.

Il principio egualitario ha messo in discussione il rapporto maschio-femmina, specie nell’ambito familiare. Le conquiste tecnologiche  e gli elettrodomestici hanno sollevato le donne da numerose incombenze, le novità nei modi di  alimentarsi e di vestirsi, il tempo libero e i  comportamenti sessuali diversi, hanno contribuito a  contrapporre il principio egualitario a quello secolare gerarchico, che vedeva l’indiscusso primato maschile.

Come ha scritto Adriana Valerio nel suo citato libro “Donne e Chiesa. Una storia di genere”, numerosi sono stati i movimenti per il riconoscimento dei diritti della donna  nella convinzione della sua pari dignità con l’uomo, che hanno messo in discussione la tradizionale figura femminile relegata al suo compito di “custode del focolare domestico”:  “I movimenti  di matrice, liberale, socialista e cristiana(sia protestante che cattolica), il suffragismo, la rivoluzione industriale, la rivalutazione del sentimento, tutto questo ha concorso, nelle diverse fasi storiche che hanno accompagnato i processi di democratizzazione dell’Occidente,  a spingere verso il riconoscimento dei diritti della donna, inserendoli nella più ampia difesa dei diritti umani, sfociati nella Dichiarazione  universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948 e nella Convenzione  sui diritti politici delle donne del 1952”.

In Italia  il principio di uguaglianza è affermato nell’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. 
Quest'articolo esprime il principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire ovvio ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non era riconosciuto.
Nel predetto articolo c’è anche scritto: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. 

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, anche in questa istituzione la condizione della donna è molto cambiata in confronto al passato: c’è stata la necessità di un diverso riconoscimento della posizione femminile.

Papa Giovanni XXIII con l’enciclica  “Pacem in terris” dell’11 aprile  1963 dette slancio al movimento delle donne, riconoscendo la loro emancipazione come un importante  e positivo segno dei tempi. Riconoscendo la dignità di tutti gli  esseri umani così il Papa si esprimeva nei confronti della donna , in cui si faceva sempre più viva la consapevolezza della propria dignità: “diviene sempre più chiara e operante  la coscienza della propria dignità. Sa  di non poter permettere di essere considerata e trattata come uno strumento; esige  di essere considerata  come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”(§ 22).

Tra le donne di fede spicca Teresa Merlo (1894 – 1964), cofondatrice con il presbitero Giacomo Alberione (1884 – 1971), della “Pia Società Figlie di San Paolo”, formato da un gruppo di ragazze. Nel 1928, emisero i voti religiosi e la Merlo  – che prese il nome di Maestra Tecla – venne eletta superiora generale dell’istituto. Influenzata da don Alberione, accolse e trasmise con fede ed entusiasmo i vari strumenti comunicativi – stampa, cinema, radio,  televisione e il complesso mondo mediale.

Il presbitero Giacomo Alberione  (1884 – 1971),convinto assertore dell’uso dei mass media per la diffusione della fede cristiana, considerava l’apostolo  Paolo di Tarso il primo comunicatore sociale che usò le lettere come strumento mediatico del tempo. L'intera predicazione di san Paolo è raccolta in epistole e, prendendole ad esempio, Alberione formulò il suo motto: “portare Cristo oggi con i mezzi di oggi”, ovvero diffondere la parola di Dio tramite ogni mezzo che la tecnologia mette a disposizione.
Fu il fondatore delle  “Edizioni San Paolo”, meglio conosciute come “Edizioni Paoline”, delle riviste “Famiglia Cristiana” e “Jesus”, le “Edizioni Musicali Paoline” e la “San Paolo Film”.

Le “Figlie di San Paolo” non limitarono all’Italia l’azione missionaria tramite mass media. Le loro iniziative si propagarono all’estero. Con altri istituti femminili diedero ed ancora offrono un contributo considerevole alle missioni anche se ognuno in diversi ambiti di intervento. Le Salesiane in missione all’estero dal 1908, le Maestre Pie Venerini dal 1909, le Maestre Pie Filippini dal 1910, per citarne alcune, così come le Figlie di San Paolo nel 1936 rivoluzionarono il modello claustrale post-tridentino che le separava dalla società civile. La libertà di movimento delle religiose ruppe i divieti relativi alla mobilità spaziale loro impedita. Incrinarono il “cerchio di protezione”, acquisirono autonomia. La mediazione culturale tra comunità etnica, gerarchia cattolica e società di accoglienza (americana, asiatica, africana) favorì l’assunzione di responsabilità, la conquista di autonomia, la capacità gestionale e la possibilità di ridefinire ruoli e comportamenti tramite l’assimilazione e l’adattamento.
In tal modo, la donna religiosa fu sollecitata a ripensare se stessa, tramite inedite possibilità che le si offrivano con l’istruzione, il lavoro, l’impegno missionario, e fu sempre più attenta alla mediazione tra l’annuncio del vangelo e le esigenze di un mondo complesso. “Ricorrere alle penitenze di digiuni e di cilici consuma la vita, ma consumare la vita per l’apostolato e molto più meritorio”, disse nel 1960 suor Tecla alle Figlie di San Paolo.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 20, 2017, 16:47:59
Il papa Pio X pontificò dal 1903 al 1914, anno della sua morte. Era ossessionato dal “modernismo”, l’orientamento politico, religioso, artistico e letterario che voleva rinnovare le ideologie le strutture, i metodi,  per renderli aderenti alle esigenze del mondo moderno.

Il modernismo cattolico nacque nei primi anni del Novecento con l'intento di interpretare la dottrina e la tradizione cristiana alla luce delle esigenze razionalistiche della cultura contemporanea. Fu patrocinato da una minoranza del clero e del laicato cattolico, ma avversato da Pio X.

Il  3 luglio 1907 la “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio”  emanò il decreto “Lamentabili sane exitu” nel quale  sono elencate 65 proposizioni “che stravolgono la dottrina cattolica pur presentandosi come derivate e fondate sulla stessa dottrina”. Tale decreto fu un anticipo di ciò che Pio X espose l’8 settembre 1907 nella lettera enciclica “Pascendi Dominici gregis”.

Per dare incisività ai due suddetti provvedimenti,  monsignor Umberto Benigni, professore di storia della Chiesa, organizzò nel 1909 una rete segreta di censori che avevano l’incarico di segnalargli i teologi, laici o religiosi (compresi i cardinali), sospettati di diffondere il modernismo. Monsignor Benigni aveva il compito di denunciarli al Sant’Uffizio. Secondo la testimonianza del cardinale Pietro Gasparri, Pio X approvò questa organizzazione denominata “Sodalitium pianum”, nota anche come “La Sapinière”, e la sostenne finanziariamente, incoraggiando personalmente i collaboratori.

Originariamente il Sodalitium Pianum dipendeva dalla  Segreteria di Stato della cosiddetta “Santa Sede”, dove monsignor Benigni aveva l'incarico di sottosegretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari.
L'influenza di questa rete di controllo  declinò dal  1914 con l'elezione de pontefice Benedetto XV che la smantellò, però fu ripristinata nel 1915 e definitivamente abolita il 25 novembre 1921. Secondo la testimonianza del teologo domenicano e cardinale Yves Congar, l'organizzazione proseguì la sua attività fino al 1946.

Altre reazioni vaticane in risposta al modernismo teologico, fu la messa all’indice di numerosi libri considerati modernisti  e l’instaurazione del  cosiddetto “giuramento della fede”  o “giuramento anti-modernista”, introdotto da papa Pio X con il motu proprio “Sacrorum antistitum”, emanato l’1 settembre 1910.
Tale giuramento, redatto in lingua latina, fu imposto al clero  ed era obbligatorio per i laureandi nelle università pontificie e  all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il giuramento obbligava i modernisti a riconoscere “l’errore e convertirsi, o almeno, di gettare la maschera e scoprirsi (…) riconducendoli ad una sincera adesione e ad una professione schietta delle dottrine di fede”.

Il pontefice Pio XI esonerò professori ed alunni delle predette università dall’obbligo del giuramento, ma fu ripristinato da Pio XII, poi abolito definitivamente nel 1966 da papa Paolo VI, dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, ma già qualche anno prima l'Università Cattolica aveva sostituito il giuramento antimodernista con la recita del “Credo”.

L’anti-modernismo di Pio X coinvolse anche le donne, molte delle quali seppero porre elementi nuovi di crescita culturale rispetto al passato. Diverse di loro furono legate al presbitero e teologo Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946), uno dei principali esponenti del modernismo italiano. Come tale fu scomunicato dalla Chiesa e gli fu vietato di indossare l’abito talare. Fu anche esonerato dalle attività didattiche, in base ai  Patti Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi, nel 1931,fu privato della cattedra universitaria  di Storia del cristianesimo per essersi rifiutato, con pochi altri docenti , di giurare fedeltà al regime fascista. 

Una delle donne “moderniste”  fu la scrittrice italiana di origine svizzera Dorette Marie Melegari, indicata generalmente come Dora Melegari (1849 – 1924) vagheggiò una spiritualità aperta al confronto con la “modernità”, sosteneva in politica la separazione delle Chiese dallo Stato.
Attenta alle questioni religiose e sociali, nel 1894 fondò a Roma con Giulio Salvadori e Antonietta Giacomelli l’associazione interconfessionale  “Unione per il bene”, per favorire incontri culturali e filantropici aperta ad entrambi i sessi ed anche al clero, praticando la carità. Nel 1900 pubblicò Âmes dormantes (tradotta in italiano come Il sonno delle anime o Il destarsi delle anime), nella quale coltivava un confronto fra le culture diverse (latina, anglosassone e slava), per tentare forme di sincretismo religioso.
Dora Melegari fu tra le più appassionate cultrici della ricerca della donna  nuova, moderna, tollerante ed ecumenica.

La sua collega, la giornalista trevigiana Antonietta Giacomelli (1857 – 1949), terziaria dell’Ordine francescano e  per parte di madre cugina del filosofo  Antonio Rosmini, nel suo salotto riceveva  noti personaggi: per esempio, lo scrittore Antonio Fogazzaro, il sacerdote barnabita  Giovanni  Semeria (noto per i suoi impegni prioritari riguardanti la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, il dissidio tra Scienza e Fede, il rinnovamento del pensiero cristiano e l’aiuto ai poveri nelle aree depresse del meridione d’Italia),  il chimico francese Paul Sabatier (premio Nobel per la chimica insieme a Victor Grignard), Romolo Murri, presbitero e politico italiano, tra i fondatori del cristianesimo sociale; subì la sospensione a divinis e la scomunica nel 1909, revocata nel 1943. La Giacomelli riceveva anche vescovi di ispirazione rosminiana, come Geremia Bonomelli e Giovanni Battista Scalabrini, favorevoli alla riconciliazione tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Nel 1912 alcuni scritti della Giacomelli furono messi all’Indice e lei stessa fu dichiarata scomunicata.

Anche suor Valeria Paola Pignetti (1875 – 1961), conosciuta come “Sorella Maria”, fondatrice dell’eremo di Campello, fu a lungo osteggiata dalla Chiesa per le sue amicizie con non cattolici come Gandhi ed Albert Schweitzer, sia con “preti inquieti” come Ernesto Buonaiuti, don Primo Mazzolari e Michele Do. Per tali rapporti e la presenza nella sua comunità di donne non appartenenti alla Chiesa cattolica, le fu vietato per quasi trent’anni la partecipazione all’eucarestia, ma lei continuò nella sua esperienza di comunione universale con i tanti che le si avvicinarono, come  Aldo Capitini, Giovanni Vannucci, padre David Maria Turoldo, don Orione, Ambrogio Tonini. In un periodo di censure ed ostracismi da parte della Chiesa cattolica, durante il quale i cattolici non potevano dialogare con i protestanti  e gli scomunicati come Buonaiuti, sorella Maria non rinnegò le sue frequentazioni né venne meno alla sua fede, avendo l’esigenza di affermare la libertà di coscienza in una comunità ecumenica.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Febbraio 25, 2017, 00:06:48
Un'altra donna vicina ad esponenti del  “modernismo” fu la terziaria francescana, giornalista e scrittrice Elisa Salerno (1873 – 1957), che può essere considerata la prima femminista cattolica italiana. Impegnata in campo politico ed ecclesiale cristiana la scrittrice vicentina dedicò la vita a lottare contro ciò che ostacolava la dignità femminile in diversi ambiti:  familiare, lavorativo, sociale ed ecclesiale. Nel contempo ritenne necessario smascherare la falsità dei presupposti esegetici e filosofici che legittimavano la discriminazione delle donne nella società italiana e nella Chiesa cattolica dell’epoca.

Nel 1909 fondò il giornale titolato “La donna e il lavoro”, dedicata alle donne che lavoravano fuori dall’ambiente domestico.

Nel 1915 dopo aver letto la “Summa theologica” di Tommaso d’Aquino rimase sconvolta. Sulla base del messaggio evangelico ella  credeva fosse compito della Chiesa affermare e difendere la dignità della donna, invece negli scritti tommasiani  lesse affermazioni che la denigravano. Per reazione a questa lettura, Elisa nel 1916 scrisse il saggio “Per la riabilitazione della donna” sotto forma di un esposto-lettera indirizzato a papa Benedetto XV.  in questo scritto analizzava e contestava le affermazioni dell'aquinate, traendone le conseguenze su quelli che avrebbero dovuto essere i rapporti tra l'uomo e la donna cristiani e le indicazioni della Chiesa. La pubblicazione nel 1917 di questo opuscolo suscitò la violenta reazione da parte degli ambienti cattolici ed ecclesiastici. il vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi,  dichiarò che il giornale “La donna e il Lavoro” non apparteneva più alla stampa cattolica. La Salerno ritenne che la sconfessione fosse stata ispirata dal papa, a sua volta istigato dagli ambienti conservatori del Vaticano.

Nonostante la sua prima reazione a questo atto autoritario fosse di dolore e di sdegno, poco dopo essa presentò al vescovo "un regolare e completo atto di sottomissione". Tenuto conto dell'estremo rispetto che la Salerno nutriva per la Chiesa e per la sua autorità, la ritrattazione fu probabilmente un atto di obbedienza; nello stesso tempo essa non smentiva le proprie idee nella sostanza, tanto che le ripropose tutte negli anni successivi sulle pagine del nuovo periodico “Problemi femminili”, che nacque alla fine del 1918 in sostituzione del precedente “La donna e il Lavoro”.

Il fine del nuovo giornale - il cui sottotitolo era "Periodico nazionale delle operaie, impiegate, professioniste" -  era la promozione della donna: "Noi tratteremo il problema femminile in tutte le sue parti, onde contribuire a rialzare le sorti della dignità della donna e rivendicare tutti i suoi legittimi diritti di donna e di cristiana, di madre e di cittadina" era scritto nel programma.

Tra il 1920 e il 1927 la Salerno diede alle stampe vari scritti, che generalmente in precedenza erano già stati pubblicati a puntate sul periodico. La maggior parte di essi ribadiva e ampliava i temi già esposti  e attaccava l'antifemminismo cattolico, mettendo anche in dubbio l'autorità dei vescovi e del papa, quando prendevano posizioni antifemministe.

Una delle polemiche più pesanti della Salerno riguardò il catechismo, scritto e pubblicato dal vescovo di Vicenza. Così nel marzo 1925 Rodolfi proibì con apposito decreto la stampa, la lettura e la vendita del periodico diretto da questa giornalista.
A differenza di quanto era avvenuto nel 1917, questa volta la Salerno rifiutò di sottoscrivere l'atto di sottomissione e accettò, seppure con grande sofferenza ma coerente con la propria coscienza, la conseguente condanna ad essere privata dei sacramenti.
Da questo momento la battaglia giornalistica di Elisa Salerno sui problemi del lavoro femminile e sulla promozione della donna divenne sempre più difficile. Al divieto ecclesiastico relativo alla pubblicazione del giornale, ribadito nel 1926, si aggiunsero la sempre più pesante azione censoria dell'autorità di polizia fascista e i problemi economici. Così il periodico “Problemi femminili” cessò di essere pubblicato nel marzo 1927. Insieme con la chiusura del giornale cessò la sua attività giornalistica, anche perché le restrizioni alla libertà di stampa da parte del fascismo non le permise più di pubblicare i suoi lavori. Continuò comunque la sua attività di scrittrice. Affrontò l’analisi testuale della Bibbia per evidenziare la reale figura biblica della donna, “deturpata dalla cattiva e malevola interpretazione degli uomini di Chiesa” (cfr. “Commenti critici alle note bibliche antifemministe”, 1926; “La donna in san Paolo apostolo”, 1952; “Porrò inimicizia tra te e la donna”, 1954).

Lei, “fedele in tutto alla religione cattolica, eccetto che all’antifemminismo”, aveva individuato nell’errata interpretazione della Sacra Scrittura i fondamenti dell’esclusione femminile. Nel Nuovo Testamento, la Salerno seppe cogliere quegli elementi di novità rappresentati dalla presenza delle donne nella storia della “salvezza” e dal messaggio di Gesù che le aveva liberate dalla marginalità riconsegnando loro un’autentica dignità.

Il suo fu impegno sociale e politico per la creazione di una forte solidarietà tra le donne, per coniugare fede e quotidianità, spiritualità e difesa dei diritti umani. Con questa impostazione culturale avvicinò due termini che nella Chiesa di quegli anni erano inconciliabili: femminismo e cattolicesimo.

Elisa Salerno morì emarginata e povera.

Di lei restano due romanzi, diversi saggi e  molti articoli  orientati a combattere l'errata concezione di inferiorità della donna, derivante dalla mentalità del tempo, diffusa anche negli ambienti cattolici e nelle gerarchie ecclesiastiche.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Annabel - Febbraio 25, 2017, 17:30:41
Che il problema della donna sia la religione monoteista?

Ahahahah... mi fa morire  :happy:
Il divertente (ma triste se si pensa il perché) è che questi individui difendono ingenuamente l'islamismo!  :D
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 03, 2017, 09:12:09
L’organizzazione cattolica femminile “St. Joan's International Alliance”, dal nome di santa Giovanna d’Arco, fu creata l’8 dicembre 1910 in Inghilterra da Gabrielle Jeffery (1866 – 1940) e May Kendall (1861 – 1943) al fine di ottenere i diritti civili e politici per le donne.

Nel 1931 un’altra cattolica, Marie Lanoel, in occasione dell’apertura della sezione francese dell’Alleanza Giovanna d’Arco, disse che era giunto il momento di dimostrare che si poteva essere femministe ed anche cattoliche.

Successivamente, negli anni ’50 dello scorso secolo,  questa organizzazione, presente in 24 nazioni, tra le quali l’Italia, focalizzò l’attenzione verso la condizione femminile nell’ambito della Chiesa.

L’appello che il pontefice Giovanni XXIII rivolse ai laici affinché esprimessero le loro richieste in vista del Concilio ecumenico Vaticano II, sembrò un’opportunità da non perdere e l’Alleanza Giovanna d’Arco formulò le prime petizioni, fra le quali quella riguardante la partecipazione delle donne al ministero sacerdotale (sacerdozio femminile) e la richiesta del diaconato per i laici aperto anche alle donne.
 
In quell’anelito di rinnovamento ci fu anche l’italiana Silvia Lubich (1920 – 2008), detta Chiara, che nel 1943 fondò il “Movimento dei Focolari”, organizzazione  che ha come obiettivo l'unità fra i popoli, la fraternità universale.

Durante quel Concilio parteciparono numerose donne come uditrici. La loro presenza influì sull’elaborazione di due Costituzioni: la “Lumen gentium” (in cui c’è il rifiuto della discriminazione sessuale) e la  “Gaudium et spes” (nel quale emerge la visione unitaria dell’uomo-donna come persona umana e la loro uguaglianza).

Fu rilevante anche il superamento della tradizionale concezione contrattualistica e giuridica dell’istituto familiare, che deve essere basato sull’amore coniugale e non più come “rimedio alla concupiscenza”. L'espressione “remedium concupiscentiae” indicava fino al 1983  uno dei fini secondari del matrimonio. Nella pratica sembrava suggerire che il matrimonio desse uno sbocco legale alla concupiscenza sessuale (o libidine), e pertanto i coniugati potevano indulgervi dal momento che tale concupiscenza veniva "legittimata". Ma la condizione morale era lo scopo procreativo del rapporto sessuale.

Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 07, 2017, 00:14:46
Nel gennaio 1965, durante il Concilio ecumenico Vaticano II, la filosofa e teologa cattolica statunitense Mary Daly (1928 – 2010), convinta della chiusura paternalistica della Chiesa cattolica nei confronti delle donne, iniziò a lavorare alla stesura del libro “The Church and the second sex” (La Chiesa e il secondo sesso), rivisitazione in chiave cattolica del noto libro “Il secondo sesso” (“La deuxième sexe”) scritto dalla filosofa francese  di Simone de Beauvoir (1908 – 1986), pubblicato nel 1949. In questo libro la de Beauvoir esamina i ruoli attribuiti dal pensiero maschile alla donna, ed affronta il tema della sessualità, il lesbismo, la prostituzione, l'educazione religiosa e la maternità, indicando alle donne la via per l'indipendenza e l'emancipazione. .

Mary Daly, nell’autunno del 1965 si recò a Roma per assistere ad alcune sedute del Concilio Vaticano II. Nella basilica di San Pietro era nel settore riservato alla stampa e poteva osservare cardinali e vescovi, “uomini anziani in vesti color cremisi”.

In un altro settore c’erano gli uditori, tra cui “alcune donne cattoliche, per lo più suore con lunghe vesti nere e il capo velato. Il contrasto tra il portamento arrogante e l'abbigliamento vistoso di quei ‘principi della chiesa’ e l'atteggiamento umile, dimesso e le vesti scure di quelle pochissime donne suscitava sgomento”.

Solo discorsi di uomini, “voci senili, lagnose”: le poche donne “sedevano docilmente, ascoltando la lettura in latino di documenti che né loro né i lettori sembravano comprendere”. Il messaggio di quella scena “s'impresse profondamente nella mia coscienza a caratteri di fuoco. Nessun film di  Fellini avrebbe potuto superare quell'involontaria autoparodia del cattolicesimo”.

Nel 1967, negli Stati Uniti, alla Daly le fu offerto di insegnare al “Boston College”, un istituto amministrato dai Gesuiti, e nel 1968  lei pubblicò il sopra citato saggio “The Church and the second sex” con la conseguenza che la direzione del college le mutò il rapporto di lavoro in un contratto a termine e poi la licenziò per il contenuto del suo libro, suscitando proteste da parte degli studenti e l’attenzione dei mass media.  I Gesuiti dovettero fare “buon viso a cattivo gioco” e le offrirono un nuovo contratto a tempo indeterminato.
La Daly trasse un insegnamento dalla vicenda: “i giudici del mio libro non avevano mai scritto un libro né capito il mio. Sedendo in giudizio per condannare il mio insegnamento, avevano però paura degli studenti che non sapevano che farsene del loro insegnamento [...] mi apparivano sempre più chiari gli stretti legami tra le strutture oppressive di una società patriarcale e la dinamica distruttiva che esse generano nelle loro vittime”.

Nel suo libro successivo, pubblicato nel 1973 col titolo “Beyond God the Father. Toward a Philosophy of Women's Liberation”, sostiene che la Chiesa ha contribuito a mantenere l’oppressione delle donne. Il testo rappresenta la fondazione di una teologia femminista che interpreta l'androcentrismo dell'ebraismo e del cristianesimo. Mary Daly sostiene la tesi che la visione sessista della Chiesa sia connaturata alle sue premesse teologiche fondamentali: “Se Dio è maschio, allora il maschio è Dio".

Nel dibattito post conciliare altre donne dettero il loro contributo ideologico. Nelle comunità di base, in sintonia con la teologia della liberazione sudamericana,portarono avanti  le riflessioni sull’essere donne credenti, legate più all’esperienza di una fede liberante che all’appartenenza ad una Chiesa considerata lontana.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 10, 2017, 08:58:14
Papa Francesco auspica una “teologia del femminile” non una “teologia femminile”, né una “teologia femminista”. E le teologhe cattoliche s’interrogano sull’ordine gerarchico e sugli stereotipi sessuali nella Chiesa; sulla natura, il destino, la vocazione delle donne; sulle affermazioni della tradizione della Chiesa; ripensano in modo critico i linguaggi, i modelli, le immagini e le rappresentazioni della tradizione cristiana interamente determinata dagli uomini.

Le teologhe considerano Gesù un liberatore ed un profeta più che il “Figlio di Dio”; Dio, come signore potente e impassibile viene criticato e cede il posto a un Dio materno, vicino, comprensivo e misericordioso.

Dopo gli anni ’70 dello scorso secolo i movimenti femministi furono sospettati di essere causa dei mutamenti nelle società occidentali, invece ne erano un’espressione.

Nella tradizione cristiana, sessualità e impurità sono state associate alle donne, perciò guardate con sospetto. L’idea di impurità rituale (durante le mestruazioni, dopo le relazioni sessuali e dopo i parti) impediva alle donne (e agli uomini che stavano con loro) di avvicinarsi all’altare.

L’associazione tra Eva, la disubbidienza a Dio, il corpo e il sospetto nei confronti delle donne, la troviamo in 1 Tim 2,12-15: “Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza”. È l’unico versetto biblico che afferma la salvezza attraverso la maternità, contraddicendo così la salvezza ad opera di Cristo! La congiunzione Eva-Maria manifesta i limiti imposti dalla tradizione occidentale alle donne: un corpo ridotto alla funzione riproduttiva e il legame tra sesso femminile e seduzione.

Il sospetto nei confronti delle donne non fu l’unico ostacolo a impedire un vero partenariato. La reazione più insidiosa fu l’idealizzazione e la venerazione del femminile, visto attraverso il modello di Maria, la madre di Gesù, la cui fede e virtù hanno valso, a contrario, ad Eva di essere la figura della donna debole, seduttrice e peccatrice. Eva e Maria furono associate fin dal II secolo.

Era necessario che le donne si riconciliassero con il loro corpo e con la loro testa, poiché erano state private della facoltà di pensare razionalmente, ma anche della fierezza del loro corpo. La strada passò anche attraverso la liberazione sessuale, il diritto alla contraccezione e per alcune l’esigenza del diritto all’aborto. Le donne erano in prima linea nelle reazioni delle Chiese contro ciò che esse interpretavano non come una liberazione ma come lussuria e incitazione a comportamenti ambigui.

Le Chiese temevano la perdita di ogni morale in materia di sessualità, mentre le donne volevano innanzi tutto che la loro integrità fosse rispettata.
 
La filosofa e scrittrice francese Simone de Beauvoir cercò i motivi della sottomissione delle donne, dal momento che la differenza dei sessi non deve necessariamente implicare subordinazione dell’uno all’altro. E scrisse: “Non si nasce donna, lo si diventa. Nessun destino biologico, psicologico, economico, definisce la figura che la femmina umana riveste in seno alla società; è l’insieme della civiltà che elabora questo prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che viene qualificato come femminile”.

Attraverso l’educazione, vengono inculcati alle donne i modelli dei ruoli e i compiti inerenti a tali modelli, mentre si potrebbe vivere un vero rapporto di partenariato egualitario.
Il lavoro delle donne e l’accesso agli studi ha mostrato che le capacità non si riducono agli stereotipi del femminile e del maschile, ma sono ripartite negli individui.

Il problema quindi non sta nella differenza tra uomini e donne ma nella gerarchizzazione.

Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 10, 2017, 09:34:17
Il testo ebraico di Genesi afferma  che Dio creo l’umano, non uomo e donna, ma maschio e femmina”.  La qualità di uomo e di donna è quindi un  divenire, è un incontro di parole e riconoscimento da parte dell’altro, come mostra Adamo che parla solo quando definisce la donna come colei che è “osso delle sue ossa e carne della sua carne”.

L’apostolo Paolo di Tarso (o dei redattori  delle lettere paoline che si rifanno a lui) insiste sulla necessaria sottomissione della donna all’uomo essendo l’uomo capo della donna (nel duplice significato greco di testa e di leader) come Cristo è capo della Chiesa (Ef 5,21-24, Col 3,18-19, 1 Cor 11,1-16). Paolo non voleva fissare un’etica del matrimonio; al contrario, ha trovato nella relazione coniugale un’immagine ideale per rappresentare l’unione tra Cristo e la Chiesa, come i profeti facevano per la relazione tra Dio e il popolo. Così ha conferito a una realtà conosciuta anche dai pagani un significato cristiano ideale, dato che si tratta di amore dell’uomo per la donna la cui sottomissione, in risposta, è  “come al Signore”, quindi nel dono di sé.

Ma tutte queste evoluzioni nella comprensione dei ruoli degli uomini e delle donne conducevano a una complessità tale che non si riusciva più a definire le caratteristiche biologiche.
 
Gesù si rivolgeva alle donne come agli uomini, le considerava interlocutrici e le accoglieva come seguaci. Ma la tradizione cristiana non ha valorizzato le donne discepole che seguivano Gesù, e neppure le prime convertite che aprivano le loro case, come Marta e Maria oppure Lidia. Certo non facevano parte dei dodici apostoli, ma il vangelo di Luca precisa che c’erano anche delle donne che lo seguivano (Lc 8,1-3). Se Gesù avesse scelto delle donne fra i dodici, la società maschilista dell’epoca le avrebbe ridicolizzate o respinte.
Ma la tradizione deve esser sempre rinchiusa negli stessi modelli?
Non deve forse servire da matrice per nuove generazioni, partendo dall’affermazione che in Cristo tutti i battezzati sono una cosa sola e che non c’è più «né uomo né donna» (Ga 3,28) ?

La Chiesa cattolica teme che le donne  prendano il potere entrando a far parte del clero come donne sacerdote (diverso è il caso delle Chiese protestanti in cui il potere si trova comunque già a essere largamente in mano ai laici). Si temono scismi. Il timore è fondato, anche se nessuna Chiesa è stata divisa a causa dell’ordinazione delle donne. Le Chiese luterane oggi sostengono addirittura che il ministero pastorale delle donne è un “dono”. E’ importante considerare l’individuo e le sue competenze, non il sesso; è fondamentale non chiudere le persone in categorie fisse per l’eternità;  non negare le differenze biologiche, ma comprendere come esse, pur essendo solo una delle differenze che costituiscono l’essere umano, siano state anche costruite socialmente e culturalmente e rappresentino dei fattori di ineguaglianza.

In questi anni le teologhe hanno offerto elementi per ripensare la questione femminile con nuovi criteri interpretativi. L’indagine di queste studiose parte dal presupposto che l’essere umano non è più pensabile solo al maschile e che alcuni temi devono essere approfonditi, come l’uso del concetto filosofico di “natura”, che ha significato relegare la donna in categorie statiche di emarginazione e subalternità: per natura è “debole”, è “incapace”, è “inferiore”.
Al concetto di natura è legata la visione antropologica e la Chiesa ha prevalentemente utilizzato un’antropologia androcentrica e gerarchica di stampo aristotelico-tomista.
Il concetto di natura e la visione antropologica sono stati fatti risalire a Dio tramite l’interpretazione della Bibbia che ha legittimato la struttura patriarcale della società e della Chiesa. Bibbia e tradizione orientano, non definiscono la fede.

La struttura della Chiesa, monarchica e gerarcocentrica, è immodificabile ? Nel cattolicesimo si è affermata un’istituzionalizzazione androcentrica attraverso un lungo processo di assimilazione e di adattamento con le culture e istituzioni patriarcali che ha incontrato (giudaismo, filosofia greca, diritto romano, istituzioni barbariche, Stati assoluti, ecc.). La domanda è se quella che si è storicamente imposta sia l’unica organizzazione ecclesiale possibile o se, piuttosto, sia un modello fra altri, e come tale, perfettibile e soggetto a mutamenti.

Se l’essere Chiesa assume nuove dimensioni strutturali non legate alle dinamiche del potere, quali possono essere i ruoli ministeriali delle donne senza escluderne alcuno ?

Venendo meno i criteri dell’inferiorità, si possono applicare anche per le donne i principi di corresponsabilità apostolica, comprese le questioni della presenza femminile in tutti gli organi di governo della Chiesa ?

Svincolandosi dai codici di comportamento maschile, quale contributo può offrire il soggetto femminile nel cambiare i modelli violenti e dominanti di sviluppo per trasformarli in criteri di sostenibilità e di cura ?

Come intervenire nella bioetica, nella morale sessuale, nella geopolitica, nell’ecologia, per cambiare l’intero sistema valoriale ?

Superando il linguaggio androcentrico e maschile, come muta l’immagine di Dio ?

Se non c’è incompatibilità tra divinità e femminilità, come cambia la narrazione di Dio ?

Sono domande che attendono risposte !
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 12, 2017, 00:07:37
Il “femminismo”, fenomeno sociale “laico”, iniziò alla fine del XIX secolo con la richiesta delle donne di poter partecipare alla vita politica e di avere diritto di voto.

(https://ilricciocornoschiattoso.files.wordpress.com/2017/02/suffragette.jpg?w=640&h=384)
suffragette che chiedevano il diritto di voto

Non bisogna sottovalutare, rispetto alla genesi delle rivendicazioni femminili, quanto è accaduto anche nei movimenti cristiani riguardo al ruolo dei fedeli  nella vita ecclesiale. Ma la Chiesa cattolica è androcentrica e non riesce a liberarsi dalle catene ideologiche della cosiddetta “Tradizione”. Infatti la teologia cristiana, pensata, elaborata ed espressa da un punto di osservazione maschile, ha eliminato tutte le domande che riguardano i vissuti delle donne; perciò è emersa l’esigenza di formulare nuove domande che portino alla liberazione da tutto ciò che umilia l’essere umano, che lo discrimina e lo fa soffrire a causa delle differenze; che lo annulla perché non risponde alle rappresentazioni della figura femminile individuate da una sola parte dell’umanità.

La teologia femminista evidenzia che i testi biblici e la produzione teologica sono stati prodotti nell’ambito di una cultura e di una storia patriarcali ed androcentriche . Non solo il punto di vista maschile è prevalente ma esso rispecchia e legittima gli interessi ed i pregiudizi propri della società patriarcale. Società nella quale s’intrecciano diverse forme di discriminazione ed oppressione (in base al genere, alla razza, al ceto sociale, alle condizioni economiche, ecc.) e che viene da alcuni definita “kiriarcale”,  dalla parola greca “kurios”,  = padrone o signore.

I testi biblici non sono "rivelazione ispirata", né la proclamazione di principi dottrinali, ma formulazioni che si sono prodotte all’interno del contesto storico e culturale di una determinata comunità religiosa. Essi hanno come punto di partenza un’esperienza parziale e limitata alla quale non può essere attribuita validità universale. Eppure questa considerazione apparentemente ovvia e comprensibile per chiunque, è stata a lungo ignorata dalla cultura e dalla teologia androcentrica che ha scambiato l’esperienza maschile per la totalità dell’esperienza umana e l’ha elevata a norma universale diventando così un modello di riferimento per indicare che cosa significa essere veramente “persona”.

Nell’ambito della “European Society of Women in Theological Research" (ESWTR), associazione europea interreligiosa fondata in Svizzera nel 1986 alla quale si sono collegate le associazioni nazionali delle teologhe, è nato un progetto internazionale, interconfessionale e interreligioso, titolato: “La Bibbia e le donne. Esegesi, storia e cultura”, che si avvale di specialisti cattolici, protestanti ed ebrei che mettono a confronto l’approccio esegetico con quello storico per colmare le lacune esistenti nella storiografia biblica, tramite l’esposizione sistematica delle più importanti questioni relative al rapporto donna-Bibbia.

Le donne sono le prime ad essere oppresse dal fondamentalismo religioso. Ancora oggi per molti uomini di Chiesa la nuova eresia sembra sia rappresentata dalle questioni legate al genere: le donne.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 14, 2017, 00:04:57
Il cardinale e teologo francese Yves Congar (1904 – 1995) insieme al cardinale e teologo francese Jean Daniélou (1905 – 1974)  ed al teologo francese Henri de Lubac (1896 – 1991), fu uno dei precursori della nuova teologia. Questi tre studiosi posero al centro della loro riflessione il problema dell’immutabilità e della storicità della “verità”[esiste in assoluto (= Dio) e non può essere falsa], il rapporto tra Natura e Grazia divina. Questi temi fecero  anche parte della discussione teologica  del Concilio  ecumenico Vaticano II e del post concilio.

Durante i lavori conciliari il domenicano Congar voleva inserire nel documento dell’apostolato dei laici un’espressione che paragona le donne alla delicatezza dei fiori, ma l’uditrice australiana  Rosemary Goldie intervenne con fermezza  dicendogli: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone”.

Sono ormai passati oltre 50 anni dal Concilio Vaticano II che ha segnato nella Chiesa cattolica l’inizio  per riflessioni, studi, ricerche e proposte  da parte delle donne. Fra i risultati ottenuti c’è l’aumento delle donne teologhe, non solo laiche ma anche monache e suore. 

Per interrogarsi sul cammino percorso finora, quest’anno, il 5 e 6 maggio ci sarà a Roma il convegno internazionale dedicato a “La Bibbia e le donne a partire dalla riforma conciliare”. Un convegno del genere era impensabile all’inizio del secolo scorso. Infatti nel 1904 il cardinale Rafael Merry del Val (1865-1930), per perpetrare il monito di Paolo di Tarso sul silenzio delle donne nell’assemblea liturgica, disse: “Non si dia mai la parola alle signore benché rispettabili e pie. Se alcuna volta i vescovi crederanno opportuno di permettere un’adunanza di sole signore, queste parleranno sotto la presidenza e la sorveglianza di gravi persone ecclesiastiche”.

Queste parole del cardinale del Val sono nella circolare con la quale veniva sciolta l’Opera dei congressi, il cui filone democratico cristiano rendeva visibile la domanda esplicita di organizzazione femminile. Quanto detto dal predetto cardinale evidenzia anche l’opposizione alle istanze dei movimenti femministi da parte della Chiesa cattolica: un universo religioso teocentrico, come pretendeva il pensiero premoderno.

Ormai la concezione antropocentrica dell’universo religioso, postulata e tenacemente difesa, deve essere cambiata, l’anthropos non è più pensabile solo al maschile. Il femminismo, più che a un rinnovamento, mira all’elaborazione di una prospettiva teoretica nuova,  non ha postulato un passaggio di potere, ma ha costretto a ripensare totalmente l’universo religioso con i suoi simboli e i suoi linguaggi, i suoi contenuti e le sue norme, le sue promesse e i suoi riti.

La teologa Marinella Perroni, che insegna il “Nuovo Testamento” nel Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, a Roma, dice: “Il rischio è che il nostro modello resti per sempre Maria, madre, vergine e obbediente. Mentre là fuori, in cerca di pace e di Dio, ci sono tante donne non madri, non vergini e con nessuna voglia di obbedire” .
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 17, 2017, 12:02:50
Le origini del cristianesimo vanno individuate nella predicazione itinerante e negli atti di Gesù, considerato dai suoi discepoli il Cristo, l’esecutore delle aspettative messianiche, presenti nella tradizione e degli scritti sacri della civiltà ebraica.

Il gruppo nascente di seguaci di Gesù si considerava nell'alveo dell'ebraismo. Negli adepti la coscienza collettiva di essere diversi maturò lentamente ma in modo progressivo, con la definizione delle caratteristiche che distinguevano il cristianesimo dall’ebraismo. La loro ereticità cominciò ad essere evidente nel corso del primo decennio di vita del movimento cristiano, in concomitanza con la persecuzione a Gerusalemme e la fondazione della nuova comunità  cristiana di Antiochia di Siria. Fu, probabilmente, proprio la violenta reazione farisaica e sacerdotale che motivò i credenti cristiani a dare inizio a comunità proprie e distinte.

Il movimento cristiano  oltre che con l’ebraismo fu in contatto con l’ellenismo e la filosofia greca, con la romanità e il diritto romano, ma fino alla metà del I sec. d.C.  i Romani non erano in grado di distinguere la religiosità dei cristiani da quella degli ebrei, perciò  ritennero il cristianesimo una setta estremista giudaica. In seguito i Romani si resero conto che il cristianesimo era una religione diversa da quella ebraica, considerata religio licita, ed il 30 aprile 311 a Serdica (oggi corrisponde alla città di Sofia in Bulgaria) il “primus augustus” Galerio, a nome del collegio tetrarchico che governava l’impero romano, promulgò l’editto che concedeva anche al cristianesimo lo status di “religio licita”, cioè di culto ammesso. Fu il primo editto di tolleranza della religione cristiana.

Nel  febbraio del 313 a Milano i due augusti dell’impero romano Costantino I (per l’Occidente) e Licinio (per l’Oriente) per favorire  una politica religiosa comune alle due parti dell’impero  firmarono un rescritto di tolleranza per concedere a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità.

A distanza di secoli ci si chiede se la soluzione istituzionale creata nel tempo di tipo gerarchica e monarchica della Chiesa cattolica può ancora oggi essere considerato un modello assoluto, credibile ed accettabile.

I tentativi di democratizzazione della Chiesa spingono verso modalità differenziate di inculturazione dei testi sacri e di ricerca di soluzioni più attinenti all’uguaglianza tra uomini e donne. Ma la “Chiesa non è una democrazia” affermano numerosi cardinali: la Chiesa non è il luogo per rivendicare diritti.

Adriana Valerio nel saggio  “Quale cristianesimo per le donne ?” ha scritto che la tradizione cristiana per secoli ha legittimato un'asimmetrica visione antropologica: ha affermato l'uguaglianza tra uomini e donne solo davanti a Dio e non nei loro compiti familiari e sociali, perché ha considerato i due sessi sottoposti alle differenze della "natura" (biologiche e psicologiche). Tutto ciò ha comportato, da una parte, la difesa delle differenze e delle contrapposte identità tra uomo e donna, da un'altra, la gerarchizzazione della società e la subordinazione della donna, relegata, per "natura", a ruoli privati e condannata a invisibilità istituzionale e politica. Per natura le donne sono state ritenute inferiori in tre aspetti: inferiorità fisica: il corpo delle donne è stato considerato imperfetto ed impuro, inadeguato a rappresentare Dio, del quale è immagine riflessa; inferiorità morale: la donna è stata giudicata incapace di operare scelte eticamente autonome; inferiorità giuridica: la donna è stata posta sotto la tutela maschile: del padre, del marito, del confessore.
Queste tre inferiorità non hanno consentito alle donne né di svolgere all'interno del cristianesimo ruoli autorevoli, né di vivere a pieno nella società e nella Chiesa quello che oggi si definisce "cittadinanza".

Oggi, alla luce delle riflessioni portate avanti dalle donne, cristiane e laiche, ci si interroga su cosa s'intenda per natura?  Un concetto astorico, immutabile, che gode di uno status ontologico o, piuttosto, un criterio etico che guida il comportamento del singolo? Si intende la fissità biologica nella quale sono iscritte le identità del maschile e del femminile e, dunque, i loro rispettivi ruoli, o, piuttosto, una costruzione storica, sociale, culturale? E ancora: uguaglianza e differenze sono principi inconciliabili e incompatibili?
La differenza non può escludere i diritti dovuti all'uguaglianza. L'uguaglianza è un principio, non una descrizione fattuale: non dice che uomini e donne siano uguali, ma che, pur nella loro diversità, essi godono di uguale dignità umana e di uguali diritti. Inoltre,  il riconoscimento di tale differenza comporta anche la visibilità sociale.

Anche se il cristianesimo si è innestato in culture patriarcali e androcentriche, caratterizzate dai ruoli bio-sociali differenti, nel nostro tempo non si può più accettare che esista incompatibilità tra donne - diritti umani - e Chiese.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 23, 2017, 00:30:11
La Chiesa cattolica come istituzione non può essere paragonata ad una democrazia politica, ma neanche può  continuare come monarchia assoluta, a gerarchia maschile, che chiede l’obbedienza dei sudditi. Questa configurazione non è aderente al messaggio evangelico, come tante volte è stato rilevato nei secoli. Infatti Gesù proponeva una fede che libera dall’emarginazione, che vuole l’uguaglianza tra maschi e femmine, che non discrimina in base all’identità sessuale o l’appartenenza etnica. Diversamente dalla religione ebraica del suo tempo, che distingueva tra sacerdoti e popolo, tra degni ed indegni, puri e impuri, giusti e peccatori, maschi e femmine, Gesù contrappose una fede basata sull’amore e la condivisione, non sull’emarginazione della donna considerata “impura”.
 
Nella religione ebraica il Ṭoharoth  (= "Purezze", Purificazioni) è il sesto Ordine della Mishnah (e anche della Tosefta e del Talmud). Questo Ordine esamina la distinzione tra puro e impuro e tratta della purezza familiare.

Niddah è il termine ebraico che allude alla donna nel periodo del ciclo mestruale o alla donna che ha avuto le mestruazioni ma non ha ancora svolto i rituali di purificazione nella mikveh (bagno rituale). 

Niddah significa scostata (cioè, separata) e generalmente si riferisce alla separazione per motivi di impurità (in ebraico "tumah").
La parola niddah è correlata al termine menadechem, che in ebraico significa “coloro che ti scacciano”.  Le donne in questo stato non potevano essere accolte all'interno del  tempio di Gerusalemme.

Nella Torah, il Levitico proibisce i rapporti sessuali con una niddah e tale proibizione è stata mantenuta dalla Legge ebraica tradizionale. Le regole della niddah vengono anche citate come taharath hamishpacha (= purezza familiare).

Tumah e taharah sono termini ebraici che si riferiscono alle "impurità e purità" rituali secondo la Legge ebraica (Halakhah).

Il sostantivo ebraico tum'ah  ("impurità") descrive uno stato di impurità rituale. Una persona o oggetto che contrae tumah si dice diventi tamei ("ritualmente impuro"), e pertanto non idoneo a determinate  attività sacre: per acquisire la purezza deve eseguire degli atti purificatori e far decorrere un periodo di tempo specificato.

Il sostantivo ebraico opposto, taharah descrive uno stato di purità rituale che qualifica il tahor (persona o oggetto ritualmente puri). Il metodo più comune per ottenere taharah è l’immersione in un mikveh (bagno/vasca rituale).

La purità rituale è un’antica pratica prevista in numerose culture religiose, fra le quali ebraismo, cristianesimo ed Islam: determinati atti religiosi sono validi soltanto se compiuti in stato di "purità rituale" o "cerimoniale", che dipende dalla precedente “purificazione” del corpo e  simbolicamente dello spirito del devoto nei confronti della divinità.

La purità si consegue  con l'acqua o altre sostanze di solito liquide.
Nel Paganesimo, nell'Ebraismo, nell'Islam e, in misura residuale, anche nel Cristianesimo, la modalità principale per recuperare la purità necessaria per adempiere ad alcuni riti è l'abluzione con l’acqua. Nella religione cristiana l’acqua battesimale e la cosiddetta “acqua santa” nei contenitori all’entrata delle chiese sono anche reminiscenze della purificazione del corpo con lavacri di acqua, simbolo di purificazione.
 
Il sostantivo "battesimo" deriva dal latino “baptismu(m)”, e questo dal greco  “baptismòs” (= immersione): nel cristianesimo è il primo dei sacramenti con cui si entra a far parte della Chiesa.

Il battesimo può essere effettuato per “immersione” (totale, come avveniva nell’antichità, o parziale, come nel rito ambrosiano), per infusione (versando l’acqua sul  capo del battezzando) e per aspersione (il ministro di culto con l’aspersorio asperge, spruzza alcune gocce di acqua lustrale benedetta sulla testa del battezzando).

Anche Gesù si fece battezzare da Giovanni Battista: nel vangelo di Matteo si narra che all'uscita di Gesù dall'acqua del fiume Giordano si aprirono i cieli, ed egli "vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui" (Mt 3, 16).

Per quanto riguarda l’acquasantiera collocata all’ingresso della chiesa, ebbe probabilmente origine dal kantharos”, vasca collocata al centro del quadriportico delle domus romane e, successivamente, delle basiliche paleocristiane, dove veniva usata per le abluzioni dei fedeli.

La stessa usanza viene rispettata ancora oggi  dai musulmani all’ingresso delle moschee.

Le prime acquasantiere erano realizzate in marmo o pietra, a forma conca o di vasca quasi piatta; sorretta da un supporto verticale a pilastro o colonna, oppure incassata a mensola sul muro.

In età gotica alle acquasantiere dettero forme più articolate.

Nel Rinascimento si affermarono sostanzialmente due tipi di acquasantiere: a pilastrino o a mensola.

Nel XVII e XVIII secolo, con l'affermazione del barocco e del rococò le acquasantiere furono ornate con sculture.

Non sono state mai stabilite regole circa misura, forma e modello delle acquasantiere, perciò sono di diverse tipologie.
 
Le norme diocesane emanate per Milano da san Carlo Borromeo (1538-1584) influenzarono notevolmente gli usi successivi. Egli scriveva: “L’utensile concepito per l’acqua santa… dovrà essere di marmo o pietra solida, né porosa né con crepe. Verrà collocato su un pilastro adeguatamente ornato il quale non sarà fuori dalla chiesa ma all’interno e, nei limiti del possibile, alla destra di coloro che entrano. Ve ne sarà uno a fianco della porta da cui entrano gli uomini e uno per la porta delle donne. Non dovranno essere fissati al muro ma separati da esso secondo la convenienza. Li supporterà una colonna o un piedistallo, che non dovrà avere rappresentato nulla di profano.”

L’attuale usanza di bagnarsi la punta delle dita della mano nell’acquasantiera prima di farsi il segno della croce nell’ingresso in chiesa è di origine più tarda.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 24, 2017, 08:04:24
La tradizione giudaico-cristiana vuole l’essere umano creato “a immagine di Dio”. Questo assunto significa accettazione come dato di fatto della dualità maschile e femminile. Ma nell’Occidente monoteista fino al recente passato è il maschile a definire l’umanità, con la conseguente strutturazione della società (e delle comunità religiose) nella modalità patriarcale e piramidale, dalla quale scaturì l’idea dell’esistenza di un dio unico creatore. 

Non fu Dio a creare Adam, ma fu l’uomo ad immaginare l’esistenza di “Dio”. Le qualità che l’individuo gli  conferisce sono gli attributi dell’uomo fatti soggetto, convertiti in una potenza estranea, adorata come una forza che domina, giudica, protegge.  E’ la rappresentazione di un Dio unico e monarca, utilizzando categorie del maschile escludenti e discriminanti.
L’uomo ha bisogno di Dio per la sua incomprensione dell’infinito, perché c’è la morte, il dolore ed ha bisogno di speranza nell’aldilà. Ma non gli basta aver creato dio, deve anche “parlargli”, ecco allora nascere la preghiera e la religione con gli intermediari fra il comune mortale e Dio. 

L’incompatibilità tra divinità e femminilità e il ritenere il maschile come immagine esclusiva (“Imago Dei invenitur in viro non in muliere” = l’immagine di Dio è nell’uomo non nella donna, scrisse il fondatore del diritto canonico, il giurista Graziano (1°75 circa – 1145 circa) hanno caratterizzato per secoli la teologia della Scolastica, che afferma la gerarchia creazionale tra i sessi e la donna incapace di ricevere il ministero sacerdotale per la debolezza della sua natura: “impedimentum sexus”.
La donna a causa della sua “imperfezione e minorità” era destinata a mansioni ausiliarie e subalterne. La sua inferiorità era fisiologica (il corpo femminile considerato imperfetto ed impuro), morale (la donna ritenuta incapace di scelte eticamente autonome), giuridica (doveva essere sottoposta a tutela).

La concezione per la quale “la donna non può ricevere l’ordine sacro perché per natura è situata in condizione di servitù” (Decretum Graziani), dovuta alla contingente visione antropologica e culturale, è oggi superata e non ci sono fondate obiezioni teologiche per escludere le donne dall’ammissione al sacerdozio.
E’ cambiata la concezione antropologica, liberata dalle ideologie  che legittimavano le gerarchie sociali. L’ethos di uguaglianza induce al sacerdozio femminile anche nella Chiesa cattolica, sollecitata dalla presenza di donne ai vertici delle Chiese riformate: vescove nelle Chiese luterana, anglicana, pastore e moderatrici a capo della Tavola valdese e delle Chiese battiste.
I ruoli ministeriali aprono alla questione della gestione del governo della Chiesa e della rappresentanza femminile.

Riconoscere dignità e autorevolezza della persona significa consentirle la partecipazione ai processi decisionali. Non accettare nella donna capacità di governo  significa relegarla nella “non visibilità”, in una condizione minoritaria che richiede per esistere la mediazione maschile che controlla, approva, giudica, dirige. Accetterebbero i maschi di vedersi rappresentati da un Concilio o da un sinodo di sole donne che decidono anche per gli uomini ? Le ridicolizzerebbero, ne riderebbero e insorgerebbero.
Per questi motivi nella Chiesa cattolica occorrono riforme: l’episcopato dovrà affrontare il problema della condivisione del governo della Chiesa e della necessaria riorganizzazione della comunità cristiana. Per non perdere “clienti” le religioni si devono adeguare ai tempi.

Le ostilità e le opposizioni tra i vescovi sono ancora oggi molto elevate, perché il loro ruolo pastorale viene esercitato come un potere e non come un servizio. Le donne sono elogiate quando si mettono “a servizio degli altri” ma non sono ammesse al sacerdozio.
Inoltre,  fra gli ecclesiastici facenti parte della gerarchia ci sono interventi contro la “questione di genere”, considerata “eresia”, non considerano che ormai è opportuna un’antropologia dove il maschile e il femminile possano interagire senza il predominio dell’uomo sulla donna o viceversa. L’antropologia della corresponsabilità e della reciprocità accetta la differenza di genere nella condivisione e nella responsabilità: donne e uomini possono svolgere non ruoli diversi, ma gli stessi ruoli in modo diverso.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Marzo 30, 2017, 10:56:22
Papa Francesco ha più volte ribadito che “la Chiesa non può essere se stessa senza la donna ed il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. […] E’ necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva”.

Il ruolo delle donne da promuovere nella Chiesa cattolica, vanno inserite nei cambiamenti  che questo pontefice auspica nell’ambito di una Chiesa povera e aliena dal potere. Potere e potestà sacramentale possono confliggere.
 
Papa Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in Terris”, promulgata, l’11 aprile 1963,  annoverava tra i segni dei tempi la partecipazione della donna nella vita pubblica. Oltre cinquant’anni dopo  negli organismi centrali della Chiesa  le “quote rosa” sono ancora simboliche e la  loro "valorizzazione"  è intesa come gentile  “concessione”.

Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, promulgata il 24 novembre 2013, papa Francesco afferma:  “C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa […] nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (104).

Solo il superamento dell’egemonia clericale può offrire spazi per la diversa presenza femminile nell’ambito ecclesiale, che deve studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti ma partecipi.

Papa Francesco il 7 febbraio 2015 ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema: “Le culture femminili. Uguaglianza e differenza” ha detto: !"Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi  alle donne nella vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. E’ auspicabile, pertanto, una presenza femminile più capillare ed incisiva nelle comunità, così che possiamo vedere molte donne coinvolte nelle responsabilità pastorali, nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione teologica”.
 
Nei seminari il clero va formato ed educato in modo adeguato  e non come nel passato. I seminaristi non devono avere paura della femmina, non devono vedere  in lei “Eva tentatrice” che li fa allontanare dal celibato ecclesiastico.

Nella Chiesa  dei primi secoli l’ordinazione  sacerdotale di uomini sposati era frequente ed il significato primario del celibato consisteva  solo nella continenza sessuale. I candidati sposati potevano accedere agli ordini sacri e rinunciare all’uso del matrimonio solamente col consenso della moglie.

Le prime leggi scritte sul celibato sacerdotale  proibiscono l’ulteriore generazione di figli nel matrimonio già contratto. Il divieto di sposarsi era all’inizio di importanza secondaria ed emerse solamente quando la Chiesa preferì, e poi impose, i celibi come candidati agli ordini sacri. Inoltre, Il clero venne abituato ad esaltare le virtù della donna,  però confinandola nell’ambito domestico, come voleva la società patriarcale. 

Ci sono teologi che da alcuni anni tentano di elaborare una “teologia della donna”, ma questa denominazione limitativa si giustifica con la divina “salvezza”  che coinvolge maschi e femmine ? 
Dal punto di vista psicologico vi sono differenze tra  l'uomo e la donna, ma la teologia, che ha Dio come oggetto, deve forse  riservare alla donna una considerazione particolare ? Essa non ha bisogno della rivelazione cristiana per apparire nel suo significato essenziale. 

Il clero dovrebbe essere educato ad ascoltare le donne,  alla religiosità femminile, non considerando monache e suore soltanto strumenti al servizio delle comunità  religiose maschili. Oltre ad offrire servizi caritatevoli esse possono anche svolgere l’attività pastorale come le donne nelle Chiese protestanti.

Nelle parole di papa Francesco riecheggia tante volte l’antica tradizione della spiritualità femminile:  la Chiesa come “pastora” che ha “cura”, che “si fa carico” delle persone, che è “prossimità”, che “accompagna con  misericordia”, Dio che s’incontra “nel cammino, nel dubbio, nell’esperienza”.  In questa sua modalità di rapportarsi agli altri, Francesco integra  il maschile e il femminile in una Chiesa da rinnovare.
Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Aprile 04, 2017, 11:42:35
Molti clerici e fedeli interpretano e fanno dire alla Bibbia tutto ed il contrario di tutto: contro la democrazia e per la democrazia, contro le donne e a favore delle donne, ecc..

Ispirazione divina ? E’ ancora possibile affermare che in questi testi Dio ha voluto esprimere questa o quell’altra cosa ? Generazioni di cristiani hanno attribuito all’autorità divina espressioni dipendenti da circostanze e contesti solamente umani.

La Bibbia è come una biblioteca, una raccolta di testi  basati sulla tradizione culturale e religiosa ebraica e cristiana. Testi raccolti in “canone” dagli ebrei tra il II ed il VII sec. d.C., dai cristiani tra il III ed il XVI secolo. Si distinguono in Bibbia ebraica e Bibbia cristiana, comunemente note come Antico e Nuovo Testamento.

I Salmi vengono considerati “parola di Dio” che devono ispirare l’umana parola rivolta a Dio nella preghiera. In realtà sono preghiere umane rivolte a Dio per lodarlo, invocarne l’aiuto ed altro. Ed è parola umana ogni altro testo che compone la Bibbia, nata dal bisogno di un dio onnipotente, onnisciente ed onnipresente, che tutto trascende.

In molte pagine bibliche sono presenti, e teologicamente giustificate, disposizioni che autorizzano lo sterminio dei nemici, la vendita degli schiavi e la violenza sulle donne. Le cosiddette “sacre scritture” giustificano subalternità e gerarchie proprie delle culture patriarcali nelle quali quei testi  sono stati redatti.   

I testi giuridici della Torah e le leggi citate nelle Lettere deutero-paoline (Col 3; Ef 5) descrivono, ad esempio, il ruolo delle donne nella famiglia di tipo patriarcale, che vide coincidere la condizione femminile con gli interessi dei capifamiglia maschi. La dipendenza della donna era normale. Non veniva valutata la sua incolumità fisica e psichica, tanto meno la sua sessualità, gestita dall’uomo.

La tradizione cristiana per secoli ha legittimato un'asimmetrica visione antropologica: infatti, ha affermato l'uguaglianza tra uomini e donne solo davanti a Dio e non nei loro compiti familiari e sociali, perché ha considerato i due sessi sottoposti alle differenze della "natura" (biologiche e psicologiche). Tutto ciò ha comportato, da una parte, la difesa delle differenze e dunque delle contrapposte identità tra uomo e donna, da un'altra, la gerarchizzazione della società e la subordinazione della donna, relegata, per "natura", a ruoli privati e condannata a invisibilità istituzionale e politica. Per natura le donne sono state ritenute inferiori in tre aspetti: inferiorità fisica: il corpo delle donne è stato considerato imperfetto ed impuro, inadeguato a rappresentare Dio, del quale è immagine riflessa; inferiorità morale: la donna è stata giudicata incapace di operare scelte eticamente autonome; inferiorità giuridica: la donna è stata posta sotto la tutela maschile: del padre, del marito, del confessore. Queste tre inferiorità non hanno consentito alle donne né di svolgere all'interno del cristianesimo ruoli autorevoli, né di vivere a pieno nella società e nella Chiesa quello che oggi si definisce  diritto di "cittadinanza". I  cosiddetti “diritti delle donne” sono maturati in una costante conflittualità tra norma e violazione di essa.  E fino alla “Riforma del diritto di famiglia” del 1975 il modello familiare italiano ha continuato ad essere di tipo patriarcale e gerarchico.

Molti esponenti della Chiesa cattolica italiana osteggiarono quella legge, perché ritenuta in contrasto con i dettami della Bibbia e con il concetto di famiglia presenti nelle Lettere paoline. Quegli esponenti cattolici facendo riferimento ai testi biblici volevano dare valore normativo a ciò che invece era legato al contesto culturale dell’antichità.  In mala fede o per incultura specifica usano la Bibbia per giustificare tutto.


Titolo: Re:La Chiesa cattolica e le donne
Inserito da: Doxa - Aprile 14, 2017, 08:18:03
I principi di uguaglianza e di universalità del diritto, il problema dell’inclusione attiva delle donne: sono due temi che attualmente coinvolgono le religioni, le costringono a ridefinire se stesse, a prendere atto delle proprie contraddizioni.

La questione femminile tocca tutte le religioni che si sono affermate in contesti culturali fondati  su valori asimmetrici. Oggi la sensibilità per la pari dignità della donna e dell’uomo costringe ogni fede a ridiscutere i presupposti teorici contrari a quei principi.

In ambito cristiano il paradigma della corresponsabilità (partnership)  della donna è maggiormente presente nell’area protestante, dove le donne sono inserite in ogni attività sociale. Invece in area cattolica ancora prevale il paradigma della complementarietà della donna nella società, con mansioni di tutela della famiglia.

Le nazioni che aderirono alla Riforma protestante hanno raggiunto con anticipo rispetto a quelle cattoliche la parità in ambito politico e l’autonomia di coscienza. Per esempio, la Chiesa cattolica ancora vieta i metodi contraccettivi e non consente di dissociare la sessualità dalla procreazione. 

La Chiesa insegna che l'unione sessuale ha il proposito di esprimere il significato pieno dell'amore, unisce la coppia nella “procreazione”. Sopprimere la fertilità usando anticoncezionali significa, secondo la Chiesa, negare parte del significato inerente la sessualità matrimoniale. Perciò i due aspetti inerenti l’atto coniugale, quello unitivo e quello procreativo, non possono mai essere lecitamente separati. Chi lo fa contraddice la volontà di Dio sull’amore umano e commette “peccato”.
 
Troppo spesso la religione ha fatto ricorso all’inesistente Dio per giustificare le asimmetrie sociali ed economiche, per legittimare disuguaglianze, dando valore normativo a ciò che era legato al contingente contesto culturale.

La locuzione “Ecclesia semper reformanda” per adeguarsi ai  “segni dei tempi” e sopravvivere, fa anche comprendere che la “revisione” va calibrata tenendo sempre presenti le parole di Gesù di Nazaret, alieno da ogni forma di dominio (Lc 22, 25-26).

L’esclusione delle donne da alcuni ambiti e la loro invisibilità istituzionale è dovuta solo ad una questione di potere maschile. Se non lo fosse, non ci sarebbe alcun ostacolo a condividere e distribuire servizi e mansioni nella comunità ecclesiale.
Se la Chiesa si apre alla condivisione può cambiare anche l’immagine di Dio, non più punitivo e dominatore di sudditi timorosi, ma Padre “materno” e compassionevole, che tutti accoglie.

Ciò detto, non mi resta che ringraziare i pazienti lettori di questo topic giunto alla conclusione.

“io gitto con grazia il cappello,
poscia comodamente, pian pianino,
mi libero del mio vasto mantello
che mi attabarra, e lo spadon sguaìno”
.
(dal  "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand)

(http://uploads0.wikipaintings.org/images/jean-leon-gerome/reception-of-le-grand-cond-at-versailles.jpg)
Jean-Léon Gérôme: “Reception of “Le Grand Condé at Versailles”, 1878