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Topics - ectobius

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Anch'io Scrivo narrativa! / Favola sulla luna
« il: Ottobre 30, 2017, 10:14:05 »
Era la nonna che ogni sera lo portava a letto e gli raccontava una favola finché non si addormentasse.
La cameretta del bambino aveva una gran finestra e dal letto si vedeva il cielo stellato e la luna che, da un po’, vedeva crescere oltre il vetro della finestra. Il bambino cominciava a innamorarsene di quella luna come non mai prima. Era ancora una falce quando la nonna gli raccontò che quella falce era molto affilata, e che Selene, regina della luna, ogni anno la prestava a un mietitore di suo gradimento. E il mietitore da solo riusciva con questa falce a fare il lavoro di cento mietitori. 
Si addormentò presto il bambino colpito dall’immagine della falce, e nel sogno la vide luminosa tra le mani di un grande mietitore in un campo di grano alto e dorato che ondulava come un mare. Il mietitore la manovrava veloce; raccoglieva e legava grandi quantità di covoni, e quando vide il bambino, gli si avvicinò sorridente; staccò la più grassa spiga; la frantumò con le sue grosse dita e con una gran soffiata eliminò la pula, quindi gli riempì le mani a coppa di tanti chicchi di grano che erano di vero oro zecchino, brillanti al sole.
Cresceva la luna, di sera in sera, oltre il vetro della finestra, finché fu luna piena, sempre più bella, ferma e con il faccione di Marcoffio sorridente. Prima di cena al bambino venne voglia di uscire per guardare la luna da altra prospettiva e volle correre con lei cercando di raggiungerla; correva a perdifiato avvolto nel profumo delle cimici verdi calpestate senza intenzione (ce n’erano tante sulla strada sterrata), immerso in una nube di stelle e lucciole. La luna correva di lato e precedeva sempre il bambino: era irraggiungibile. Allora il bambino affannato rinunciò alla corsa e catturò alcune lucciole, e anche qualche stella, e se le strisciò in fronte e sulle guance. Raccolse anche una penna di gallina e se la fissò fra i capelli.   
Era un indiano; era cavallo pazzo, e  cavalcava una scopa:
“A noi, generale Custer!!”
Quando la nonna lo portò a letto, la luna era ferma di là, immobile, e la notte era limpida, ma la nonna non poté raccontargli nulla quella sera perché ansiosa alla ricerca delle chiavi perdute.
Si scusò col bambino:
“Non trovo più le mie chiavi… saranno finite sulla luna”.
“Perché?”
“ Perché tutto ciò che si perde qui e non si trova più, finisce lassù… anche il senno perduto dagli uomini se ne va sulla luna, e ogni giorno, di questi tempi, se ne va tanto”.
“Anche il mio grande cerchio di legno, quello che ho perduto è finito lassù?… e la macchinina di latta con la corda… e l’orsacchiotto di peluche?”.
“Sì, sono tutti la su!”.
Era stanco il bambino, e dopo poco tempo trascorso proteso a catturare scie luminose di stelle cadenti dal cielo, si addormentò.
 Non era passato molto tempo quando udì un rumore come di zoccoli oltre la soglia della cameretta, e la porta d’un tratto fu spalancata e vi entrò un radioso cavallo alato che gli disse:
“ Sono qui per farti raggiungere la luna, e me l’ha ordinato Selene in persona, la regina; apri la finestra e saltami in groppa”.
Il bambino ubbidì e il cavallo alato si lanciò oltre la finestra volando in alto oltre le stelle in uno strabiliante viaggio verso la luna.
La terra si allontanava e diveniva una palla multicolore, bellissima, almeno quanto la luna, ma poi non si poté più vederla quando il cavallo entrò nella nebulosa. Qui la nebbia era fitta, ma non umida di goccioline di vapore come sulla terra; era, invece, formata da microscopiche particelle luminose, erano polvere di stelle che si appiccicavano addosso e rendevano i viaggiatori luminosi, come fossero fosforescenti.
Usciti dalla nebulosa, entrarono nella Via Lattea, che non è una vera via, ma un lungo, largo, e tortuoso fiume di latte dove il cavallo si dissetò abbondantemente, e anche il bambino bevve un nettare di latte fresco, dolce come mai il bambino aveva assaporato.
E poi, dopo la Via Lattea, tantissime stelle pulsanti di ogni dimensione illuminarono discretamente il cammino dei due esseri fluorescenti.
E la luna fu raggiunta, e c’era Marcoffio ad accoglierli, sorridente. 
Il bambino accarezzò il faccione roseo e soffice di “Marcoffio” che doveva condurlo in visita alla luna.
Lungo vaste aree il bambino vide tutti gli oggetti perduti nella vita sulla terra e finite lassù: un enorme ammasso di oggetti, e anche mucchi impalpabili che Marcoffio descrisse: sono i sogni; la fama sognata; le preghiere inappagate; il tempo perduto; il senno rubato; un amore finito… e tutto proveniente dalla terra. Insomma era vero che tutto ciò che era perduto sulla terra finiva quassù.
E poi su una vasta radura vide i Seleniti di Münchausen; e l’esercito del re Endimione che combattevano guerre con armi di verzura: enormi carote come giavellotti e scudi fatti di teste di funghi.
 I guerrieri cavalcavano insetti giganteschi e ippogrifi, e c’erano gli “erbalati”, che cavalcavano uccelli grandissimi i quali, invece che di penne erano ricoperti di foglie con ali simili a foglie di lattuga; inoltre c’erano i guerrieri “Pulciarcieri”, che cavalcavano pulci grandi ciascuna quanto dodici elefanti; e i fantaccini “corriventi”, che volavano senza ali facendosi gonfiare dal vento le loro lunghe gonnelle.
 

Le guerre erano  incruente poiché i Seleniti sono esseri con senno e non hanno armi lesive; sono pacifici, anche se naturalmente lunatici, così  che quando le discussioni si fanno più accese vanno a scontrarsi dividendosi in due eserciti: l’uno comandato da  Endimione, che fu pastore di incomparabile bellezza sulla terra, e fu rapito da Selene, la regina, che lo portò sulla luna e lo nominò re; l’altro esercito era comandato dal barone di Münchausen, che sembra sia giunto sulla luna a cavallo di una palla di cannone.
Le battaglie si prolungano di solito fino a stanchezza, e i Seleniti, ritornano tranquilli e assennati nella loro città che è interamente costruita nel più grande cratere lunare, protetta dalle intemperie e sempre illuminata dal suolo di bianca luce lunare.
Ha naturalmente forma circolare, la città, ed è divisa in quattro spicchi da due lunghe strade che s’incrociano al centro. Ogni spicchio è governato da quattro sindaci diversi in gara fra loro per rendere la città sempre più bella e accogliente. Ed è compito degli uccelli  “erbalati” che portano giornalmente il senno in città recuperandolo e imbrattandosene sul monte del senno perduto. Quindi volano sulla città e vi scaricano polvere di senno a beneficio dei Seleniti, che sono esseri alti e magri, sempre sorridenti su una larga dentatura bianca di luna.
Il viaggio e la visita sono stati lunghi e il bambino comincia a vacillare per il sonno. Allora Marcoffio gli fa preparare un letto soffice e caldo sul quale il bambino sprofonda nel sonno più profondo.
Dormì profondo, e quando fu sveglio, era nella sua stanza e la finestra era spalancata.
Ai piedi del letto rivide il grande cerchio perduto, la macchinina di latta a corda, l’orsacchiotto spelacchiato della sua prima infanzia, e anche le chiavi della nonna., e sul comodino c’era un piccolo sacchetto colmo di chicchi di grano in oro zecchino.   








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Cassonetto differenziato / Luddismo
« il: Ottobre 27, 2017, 10:32:03 »
Avete notato come vivono tranquilli nelle loro società organizzate e serene da milioni di anni: api, formiche, termiti e tantissime altre specie viventi?
Probabilmente era così anche per l’uomo all’inizio.
La natura aveva organizzato anche noi uomini, e l’istinto ci teneva uniti “uno per tutti, tutti per uno”. E si andava avanti così!, tranquilli nel nostro habitat più idoneo. E sarebbe sopravvissuta la specie umana, magari felicemente, come sono sopravvissute tutte le altre specie che incominciano a sparire ora, e non per merito loro, ma a causa delle attività dell’uomo.
Ma che diavolo è successo alla specie umana nella notte dei tempi?
E’ successo che è arrivata l’intelligenza, e l’intelligenza ha sopraffatto gli istinti… questa la grande novità di cui ne andiamo fieri… eppure è stata la grande fregatura!
L’intelligenza ha mollato un calcio all’istinto e ha disgregato il vivere tranquillo e solidale della specie.
Deve essere andata proprio così!
Ve lo immaginate che cataclisma se un’ape operaia cominciasse a riflettere sulla sua non invidiabile posizione?… incomincerebbe a pensare al proprio culo, al proprio personale benessere, e addio vivere sociale; addio alveare; niente più miele.
E l’impollinazione poi?, una tragedia!
E alla fine magari le api si farebbero la guerra; si ammazzerebbero alla grande e acquisirebbero anche la consapevolezza della morte che certamente non favorisce lo slancio vitale, si metterebbero sulla strada della loro fine.
Ma noi siamo sopravvissuti… alla meglio da millenni… e questo è un fatto!
Qualcosa ci siamo inventati per sopravvivere, nonostante l’intelligenza, e qualsiasi cosa sia stata, la sopravvivenza ci è stata garantita.
Almeno finora.
Ma ora sembra abbia ripreso a prevalere, preoccupante, l’interesse per il proprio culo, mentre il senso del vuoto e dell’effimero è giunto a livelli di angoscia.
Comunque qualunque sia stato il rimedio escogitato a suo tempo, cominciamo ad accorgerci che è oramai obsoleto, prossimo alla fine. E mi sa che dovremmo far presto a inventarci qualcos’altro… diciamo nel giro di un millennio; magari decidendo di non più riprodursi fino all’esaurimento della specie… millenni, infatti; più probabilmente milioni di anni… Troppi!, un milione di anni di stenti e infelicità.
Suicidi di massa?
Ma no!
Solo una aggiornata forma di luddismo: la “BOMBA!”
La “BOMBA!”, a gran voce!
La “BOMBA” di fine mondo! Pronta per l’evenienza!
Un polverone… fin negli abissi… fino al centro del centro del buco del culo!
Sterilizzato il pianeta!
E poi milioni di millenni tranquilli a rigenerare il Pianeta.
In fine Ritorneremo!
Solo qualche milione di anni, ma ritorneremo!
Ripartiremo da zero e rifaremo tutto.
Uguale!

“La specie è in panna, infila, genera, stronca, squarta, si ferma mai da cinquecento milioni di anni… che ci sono uomini e che pensano… storto e di traverso, vai a capire, ma forza! copulano, popolano, e BRAOOUUMMM! Tutto esplode! E tutto ricomincia…”. (Céline)


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Cassonetto differenziato / si vedo un muro bianco...
« il: Ottobre 06, 2017, 18:24:20 »
“Si vedo un muro bianco, io jelo sfregno”.
Il verso del sonetto fu scritto in un’epoca nella quale imbrattare un muro non suscitava scandali; né emozioni, né riflessioni. Veniva considerato puro divertissement di poeta che, comunque e per parte sua, voleva certamente dire qualcosa, ma che all’epoca non poteva essere compresa. Non esistevano ancora le bombolette che oggi hanno permesso l’ingresso dello sfregio murario nell’era dell’imbratta tutto su larga scala. Nell’epoca dell’imbratta tutto non si salva più niente dalla furia dell’essere umano che, padroneggiando scienza e tecnica, si è procurato mezzi capaci di sfregiare e imbrattare fin l’immenso oceano pacifico e anche l’aria che respiriamo… e l’Artide e l’Antartide...
Ma, e vabbè!... lasciamo correre ché è troppo esteso l’elenco.
Ma i muri?
Per i muri, però, c’è da fare più approfondita riflessione: tanto per iniziare dobbiamo ammettere che si tratta di attività antichissima, risalente addirittura alla preistoria, e ne abbiamo cognizione certa nei graffiti su rupi e pareti di caverne; poi fu la volta delle pareti all’interno delle chiese e anche quelle esterne alle chiese… Sì, e molti diranno: “è vero, ma si trattava di opere d’arte che davano lustro  alla intelligenza e creatività dell’uomo, mentre questo imbrattare con le bombolette?, uno schifo, opera d’imbecilli!”. Chiedetelo a chiunque e prenderete atto della condanna generale, senza mezzi termini della vox populi che continua a elevarsi alta e nonostante che  tra gli “imbratta muri” militino anche veri artisti le cui opere, spesso colossali, offrono gratuitamente decoro allo squallore di certe muraglie, e abbelliscono squallidi angoli delle periferie di grandi città. Sono artisti “di strada” che non nutrono ambizioni, e, pur consci del loro valore, rifiutano elogi e anche proposte di premiazione... insomma sono grandi personaggi che, a loro modo, elegantemente esprimono una protesta al degrado dilagante.
Ma sì, anche questo è vero, ma ‘sti giovani senza arte né parte che con bombolette "sfregnano" muri peraltro ben tenuti… anzi più sono ben curati, più sono da imbrattare senza pretese d’arte?
Imbecilli!
Ma poi mi chiedo:
“Perché lo fanno?”.
E, costretto a riflettere, comincio anche a comprendere quello che già allora il poeta voleva dire e non poteva, così che sono portato a essere indulgente anche nei confronti dello “sfregio” da disordinate bombolette: sono, per me, l’urlo degli esclusi, degli emarginati, dei privati di identità e  dignità; degli esclusi dalla ricchezza di un meraviglioso Pianeta che sarebbe in grado di garantire condizioni di sobrio benessere a tutti.
Sì!, è così:
“Si vedo un muro bianco jelo sfregno”.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Paese fotogramma
« il: Settembre 26, 2017, 11:33:37 »
Quasi  all'improvviso un paese si svuota e fuoriesce dalle storie immobilizzandosi in fotogramma; il dramma che ancora coinvolge e blocca nell'esercizio doloroso di una coazione a ripetersi chi lo visse in tempi di vita.

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Cassonetto differenziato / L'ultimo pisciaiuolo
« il: Settembre 16, 2017, 11:21:05 »
Gli argomenti non si scelgono, si presentano e semplicemente non li puoi rifiutare; così capita che ci sia un fatto di cronaca che non può lasciarti indifferente, che non puoi dimenticare; è l’ultimo pisciaiuolo che gira scalzo per le vie della città e parla “da per lü”; raccoglie le cicche di sigarette dai posacenere sui tavolini all’aperto di un bar, di un’osteria, negozi, sul selciato… Non ne ricava molto di tabacco, comunque sufficiente per qualche spinello potente a placare la disperazione “senza un lamento, un grido d’afflizione”.
Personaggio diverso, è vero… strano… embé?... più che far paura, dà fastidio, e non solo alla donna che lo vede passare sotto le sue finestre ogni giorno, e che “disperata” chiama i carabinieri:
“È qui in piazza… individuo strano, di colore… pericoloso… ha lanciato sassi contro i miei bambini”.
Dove ha potuto reperire dei sassi da lanciare contro il mondo?
La donna scende le scale del condominio urlando; raduna, via via, un folto gruppo di gente “disperata” come lei; prendono a correre a caccia dello strano; eccitati da un sentimento di linciaggio, piuttosto che di semplice cattura.
Il povero cristo intuisce; fugge verso un non lontano centro di prima accoglienza; nell’evitabile parapiglia, ci scappa una coltellata da mano femminile, sembra.
Giungono i carabinieri; arriva un’ambulanza; il poveraccio è trasportato in ospedale.

Le indagini penali?
Chi ne sa qualcosa?
 
Ho saputo del fatto di cronaca quasi per caso: il raccapricciante episodio riferito laconicamente tra le righe di un telegiornale; il giorno seguente sul mio quotidiano nessun accenno, e nemmeno nei giorni successivi, eppure si trattava di un fatto di cronaca di inspiegabile e grave intolleranza conclusosi con l’accoltellamento di un povero disperato immigrato innocente. Dopo quella minima informazione null’altro. Confusa tra inutili, fallaci e gonfiate notizie riguardanti la politica e la piaga dell’immigrazione di massa di tanti disperati, null’altro se non una intervista a una donna giovane durante il TG della notte. Probabilmente la stessa donna che aveva diretto l’assalto al  pisciaiuolo risorto dall’abisso di un altro sconosciuto mondo.

Questa giovane donna, vuole ben figurare in TV; certamente, in previsione dell’intervista, passa dal parrucchiere, e si presenta ben  pettinata all’ultima moda, con un ciuffo di capelli che le copre interamente un occhio, mentre con l’altro, libero, lancia verso la telecamera lampi di folle cattiveria.
Succintamente vestita, mostra estesi tatuaggi su entrambe le braccia, e anche riesce a trovare il modo di girarsi per mettere in mostra  un vasto tatuaggio floreale sulla schiena nuda da esagerato décolleté. Così ben impostata, dichiara che l’individuo aggredito era un pericoloso personaggio che aveva appena lanciato sassi contro i suoi bambini.
Non si può negare che la sua bella figura l’ha fatta!

Nei giorni successivi non riuscii a reperire  da nessuna parte notizie più aggiornate, e il fatto si precipitò inesorabilmente nella voragine di un profondo oblio.
Insomma, in fine, fu come il fattaccio non fosse mai accaduto!
L’ultimo pisciaiuolo non era mai esistito nelle strade; fuori dalla storia l’ultimo pisciaiuolo rinato fuori tempo. Scalzo, esangue, vaneggiante, era ricomparso, quasi come un sogno dopo quasi un secolo, icona sfumata e magica di un mondo tramontato, ingiusto anch’esso, ma ancora umano. Con la sua presenza aveva bucato per un attimo le tenebre del nuovo mondo; mondo ostile, cattivo; uno squarcio dal quale si intravvedeva il modo ugualmente dolente e disperato del nostro recente passato che nessuno vuole ricordare.
Ieri gli avrebbero solo gridato a sfottò, al raccoglitore di cicche: “pisciaiuooooo!”; in risposta i ragazzi sfottitori avrebbero ricevuto un “figli di puttana!”, e sarebbe finta lì, magari con una risata.
Ora.
Nei giorni emancipati del progresso, una piccola folla inferocita, incitata e guidata da una donna, parte al linciaggio di un misero pisciaiuolo che finisce  accoltellato da mano femminile… sembra.
Vivo o morto? ‘sto povero cristo che aveva represso tutto di sé, e coltivava un segreto impulso a distruggersi, un suo “cupio dissolvi” largamente sociale.

C’era stato un tempo, qui da noi, che solo gli uomini, tutti gli uomini, fumavano tabacco: pipe, sigari, sigarette, spinelli; poi presero a fumare anche altri, e anche esageratamente: femmine e minorenni compresi, tanto che, al culmine, infine, erano ormai tutti bronchitici cronici scatarranti, tanto che fu deciso di vietare il fumo almeno nei locali pubblici e nei mezzi di trasporto.
All’epoca dei soli uomini fumatori era permesso fumare ovunque, e ogni locale pubblico aveva tanto fumo da poterlo tagliare con un coltello: bar, ufficio postale, circoli ricreativi, treni… e nelle abitazioni private erano soprattutto i cessi a esserne saturi, ché era convinzione consolidata che il fumo agevolasse e facilitasse evacuazioni intestinali di soddisfazione.
Insomma il fumo di tabacco era considerato salutare (favoriva anche l’espettorazione), e oltretutto soffiare fumo era considerata abitudine molto virile, tale da conferire anche prestigio, e un uomo che non fumasse era considerato un mezzo uomo.
La sala del cinema era perennemente immersa in una nebbia densa, e lo schermo, da bianco che era in origine, aveva incorporato il color seppia della nicotina e rimandava, invece del bianco-nero della pellicola, emozionanti immagini come da vecchie foto di antenati.
E dove non c’era fumo, c’era l’odore del fumo… Anche sulla pubblica via, esalato dai vestiti pregni, o fuoriuscito dai bar con le porte aperte in estate; specialmente dal bar di Tamburriello, anche detto saloon del Texas, frequentato da clientela dalla rissa facile.
In chiesa non era permesso fumare tabacco, ma il fumo non poteva non esserci dacché storicamente esso aveva sempre avuto un carattere sacro, già dal tempo degli sciamani che aspiravano fumo da erbe le più starne e lo soffiavano al vento; andavano fuori di testa, gli scaimani, e riuscivano a mettersi in contatto con le divinità.
In chiesa però il fumo non era di tabacco, veniva bruciato solo incenso, che oltre a essere molto più gradevole all’olfatto, era anche molto coreografico emesso da turiboli d’argento elegantemente agitati e benedicenti. Le pizzoche benedette andavano in estasi.
Beh, all’epoca, fumo dappertutto, insomma!
Ed il fumo era permesso anche al tempo del fascismo nonostante la sua elevata propensione alle proibizioni, tanto che in ogni luogo pubblico erano esposti cartelli e manifesti a proibire questo e quello:  ce n’era uno esposto dappertutto che proibiva sputi e bestemmie in caratteri cubitali:       

“LA PERSONA CIVILE NON SPUTA IN TERRA E NON BESTEMMIA”

E anche il fascismo non proibì mai il fumo del tabacco, probabilmente perché considerato virile, tanto che divenne quasi obbligatorio per uomini degni di stima: pipe, sigari, sigarette e spinelli a gogò!
Gli spinelli erano di produzione autarchica, arrotolati con il tabacco dei mozziconi raccolti da pisciaiuoli espertissimi nel confezionamento (e non era ancora di moda la marijuana).
Col tabacco ricavato dalle cicche, riuscivano a fumare anche i meno abbienti, quelli dalle limitatissime possibilità economiche da non potere acquistare nemmeno i pacchetti di sigarette in confezione ridotta da dieci; sigarette popolari di trinciato forte.
Insomma, in qualche maniera, il fumo di tabacco era economicamente alla portata di tutti; un tabacco qualsiasi e tutti veri uomini italici.
Ed era anche possibile acquistare una sola sigaretta per volta quando si presentasse una qualche particolarissima grande occasione. Comunque per moltissimi non v’era nemmeno questa possibilità, e il vizio poteva essere soddisfatto esclusivamente ricorrendo agli spinelli di tabacco da mozziconi raccolti in strada, o al massimo ricorrendo al trinciato forte che potevi trovare a prezzo stracciato presso ogni sale & tabacchi con annesse cartine.
Di pisciaiuoli se ne incontravano parecchi (non ho mai conosciuto l’origine del termine, e cosa avesse a che fare col pesce), e spesso erano oggetto di scherno da parte dei ragazzacci quando venivano colti sul fatto:
“PISCIAIUOOoooooo!!!”
E in risposta si beccavano un bel “FIGLI DI PUTTANA!!!”.
E tutto finiva lì, anche perché essere definito “figlio di puttana”, spesso era considerato un complimento, e faceva riferimento a individuo intelligente furbo allegro determinato, e anche con una piccola dose di cinismo.
Comunque c’era anche il pisciaiuolo provetto che cercava di non farsi cogliere nell’umiliante posizione a schiena curva per la raccolta. 
Per evitare la gogna questo signore aveva studiato un ingegnoso metodo che eseguiva con studiata dignità: vestito con curata decenza; ritto, cappello e bastone; e al bastone aveva applicato, in punta, uno spillo col quale centrava, senza sbagliare un colpo, la cicca; quindi sollevava la mano col bastone come a risistemarsi il cappello e portava così il mozzicone infilzato a livello dall’altra mano libera che sfilava il mozzicone ben fisso sullo spillo.
Il declino della nobile arte del pisciaiuolo iniziò con l’arrivo dei soldati americani: i vittoriosi liberatori si divertivano a lanciare su una folla di pezzenti, dall’alto di un autoblindo, sigarette sfuse che solo pochi riuscivano a catturare a volo; la maggior parte delle sigarette finiva schiacciata sul terreno sterrato e non era nemmeno più possibile salvare un grammo di tabacco… e come si divertivano e ridevano sulla dentatura bianchissima questi eroi della liberazione!
Durarono ancora per poco tempo i pisciaiuoli dopo la partenza dei liberatori, e ci pensarono poi l’emigrazione di massa, e il piano Marshall a farli scomparire: tutti potevano permettersi almeno  l’acquisto di trinciato forte  con annesse cartine… e anche, a volte, qualche sigaretta “alfa” sfusa, che, in quanto a odore, aveva nulla da invidiare al fumo degli spinelli da tabacco di mozziconi.
Quest’ultimo pisciaiuolo, sorto dalle polveri della Storia, non poté  sopravvivere che lo spazio di un mattino nell’agonia del mondo: esangue disperato vaneggiante ammutolito lucido, dopo due secoli, dopo migliaia d’anni, balbettando aveva squarciato le tenebre, e non gli si poteva perdonare che riconducesse inconsapevolmente alla memoria, in questa nuova epoca del lusso, un passato che nessuno più voleva ricordare.

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In ospedale:

“Vuole mostrarmi qualcosa?”
“Si, le ho portato una stecca di sigarette e un paio di scarpe”
“Sigarette? Ma  non sa che provocano il cancro, ed è anche scritto su ogni pacchetto…”.
“Interessante teoria, ma lei è un fumatore!... fumatore del peggior tabacco da cancro”
“Non è vero! Il tabacco delle cicche non dà il cancro: quello lo hanno già dato le sigarette, e nella cicca di cancro non ce n’è più! E poi lo sa che si muore prima del cancro e dell’infarto? Si muore prima, mentre si avanza nel deserto cadendo all’aria aperta come insetti; si muore sventrati dalle mine; si muore piombando su se stessi e scomparendo nell’universo delle promesse mancate… e neanche di scarpe ho bisogno”
Dopo una pausa, riprende a discorrere:
“Può perdere del tempo?”
“Certo!”
“Guardi i miei piedi allora, e giudichi se hanno bisogno di scarpe”
I suoi piedi sono suolati!
“Eppure ero partito per il lungo viaggio con scarpe robuste, che però mi abbandonarono quasi dall’inizio; da allora ho camminato, per mesi e mesi, scalzo nel deserto di sabbia e pietre, così che ora le scarpe le ho come incorporate…”.
Fa una pausa:
“Le chiedo ancora se ha tempo da perdere con questo disgraziato”.
“Certo! Tutto il tempo!”.
“… partimmo in centinaia e invademmo pianure e paesaggi; scendemmo con le trireme lungo un fiume; risalimmo fino alla costa; eravamo rimasti qualche decina e ci inoltrammo sul mare con una trireme che colò a picco; un galeone ci attese, e un bastimento…”.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 “Sono Fuggiti dal passato, dagli amici, dalla città, dal lavoro
Sono fuggiti nel futuro, nell’equivoco.
Hanno rinunciato alle parole?
No, parlavano a lungo, inutilmente.
Poi i primi cadaveri passarono nelle pupille dei superstiti.
I morti sono più dei vivi, la bocca piena di terra
Cadono in un acquitrino rosseggiante
Avanzano tra le urla
Gridano senza voce
È l’ora del destino
Poi sassi, poi muoiono, poi…
Scompaiono in un attimo mille mondi
Corpi finalmente senz’anima né dolore
Sbarcano sulle coste, salutano
Non vedono nessuno
Sul molo
Ai piedi di un grattacielo
In strada ombre paurose…”.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Magro da far paura
Quasi creatura dell’aria
Destinato a svolazzare
Sopra dei tetti delle case
Svanire nella nebbia
L’ultimo pisciaiuolo!


6
Cassonetto differenziato / 2020 inizio era Unti
« il: Agosto 16, 2017, 17:29:27 »
2020 - XLIX ERA UNTI Anno
Sotto il  governo di Unto III.

È l’anno 2060: il Paese gode di un periodo di stabilità politica e crescita economica mai conosciuti per così lungo tempo. Anche molti problemi sociali sono stati avviati a soluzione: l’immigrazione clandestina di massa è ormai un ricordo lontano e sepolto solo nella memoria di pochissimi e vecchissimi sopravvissuti, e non esistono più carceri, né manicomi, tutti smantellati già da molto tempo e mai più riaperti nonostante la strenua opposizione da larghi strati di benpensanti.
Come è potuto accadere tutto questo in così poco tempo ed in un Paese ritenuto incorreggibile?
Quando nel 2020, Sil B Un assunse il potere assoluto, all’età di oltre ottant’ anni, la situazione era grave: l’immigrazione era fuori controllo; il movimento mafioso era ancora considerato attività criminale, e tanti ancora coltivavano sogni di solidarietà e socialismo fino al punto che alcuni addirittura osavano ancora nominarsi comunisti, e molti altri, inconsciamente influenzati dai millenari insegnamenti gesuitici, arrivavano a solidarizzare con miserabili vagabondi e delinquenti coltivando sogni di solidarietà ad oltranza fino a opporsi ancora con accanitamente alla pena di morte.
Il lavoro da fare era tanto e occorreva stabilità politica, oltre che saper attingere con fiducia ai progressi della scienza che aveva già fatto progressi tali da prospettare concrete e valide soluzioni.
Sil B Un, infatti, quando prese il potere, aveva già bello e pronto il suo clone: era riuscito a farselo fare clandestinamente grazie alle sue illimitate possibilità finanziarie, e da subito fece approvare la legge che permetteva alla stirpe Un  di farsi clonare.
All’età di novant’anni Sil B Un si ritirò dalla vita politica attiva e fu sostituito senza traumi dal suo clone trentacinquenne, Sil B Un Du, grazie ad una legge che assicurava la guida politica del Paese alla stirpe dei cloni.
I cloni Un avrebbero governato fino al raggiungimento dell’età di sessantacinque anni e sarebbero stati sostituiti dal clone trentacinquenne.
La prima geniale intuizione di Sil B Un fu che criminalità ed immigrazione erano un tutt’uno, e pertanto risolvere il problema dell’immigrazione clandestina  equivaleva a risolvere il problema criminalità.
I confini furono blindati elettronicamente: nemmeno un moscerino avrebbe potuto passare la barriera senza l’intreccio complesso di password incrociate E chi avesse tentato di forzarli, i confini, vi sarebbe rimasto disintegrato da un raggio mortale partito da un satellite.
Ogni anno veniva stabilito il fabbisogno di manodopera ed una commissione si recava nei paesi fornitori (Paesi ridotti a fogne a cielo aperto) e selezionava gli individui ancora sani da importare: a tutti veniva fornito un tetto (un po’ fuori mano, in verità), ma con servizi di trasporto gestiti da caporali, e cibo sufficiente; salario  minimo per i bisogni essenziali che, bontà loro, erano considerati garantiti.
La mafia non fu – giustamente - più considerata attività criminale ma una risorsa, e poté gestire liberamente ogni genere di traffici in un regime bancario plutocratico liberista, senza i lacci e laccioli di uno stato di diritto. In sovrappiù poi la mafia teneva sotto controllo la piaga della microcriminalità ben coadiuvata in questo compito dalla riammissione della pena di morte, anche privata sotto l’etichetta della legittima difesa.
Ogni ribellione, pur civile e pacifica, risultò da allora assolutamente intollerabile da parte di un popolo impasticcato di automobili e cancro, e cellulari...  cervelli in malora… partite di calcio… luna park… carne e mucca pazza… sesso facile e AIDS…  eccetera… eccetera… e fu così che le masse non ritennero più conveniente contestare o ribellarsi. Peraltro erano proibiti i sogni e  le domande imbarazzanti, tipo:
“Che ci faccio qui?”
Le cliniche di normalizzazione avevano ormai del tutto sostituito le obsolete istituzioni di controllo e il disagio veniva trattato con tutti i più formidabili strumenti forniti dalla scienza medica: dalla psicoanalisi, all’uso della chimica e della genetica, fino a trattamenti neurochirurgici sofisticatissimi.
Chi resistesse ai trattamenti veniva considerato irrecuperabile criminale, e per questi c’era il lettino per una morte dolce con boia laureato in medicina ed  altamente specializzato.
E così il popolo si è adagiato; ha imparato a strisciare. La posizione del verme, infatti, è quella più adeguata al leccare, e succhiare i succulenti umori.
Famiglie, scuola, televisione collaborano con successo al lavaggio del cervello e alla  fine ogni sogno si placa, ogni domanda abortisce prima di affacciarsi alle labbra. Ci si gode il proprio piccolo mondo e quello che accade appena fuori della porta di casa non ci tocca; nemmeno se ne discute più.
Chi si ostinasse a camminare sulle proprie gambe finisce nella clinica della normalizzazione, magari anche per scelta volontaria… più spesso coatta.

Cosa debbo fare io ora che ne scrivo segretamente in termini critici?
Questa notte ho sognato il Pianeta senza l’uomo… era meraviglioso!

“Nulla di nascosto, si sa chi appartiene alcartello della droga, chi dirige la bande rivoluzionarie,ti siedi al ristorante, passa un gruppo di amici e ti presentano il tale come il boss del contrabbando d’armi, tutto bello, rasato e profumato, con quel tipo di camicia bianca inamidata che scende fuori  dai calzoni, i camerieri lo riveriscono señor di qui e señor di là, e il Comandante della guardia Civil  va a  omaggiarlo. Sono paesi senza misteri, tutto avviene alla luce del sole, la polizia pretende di essere corrotta per regolamento, governo e malavita coincidono per dettato costituzionale, le banche campano sul riciclo del danaro sporco e guai se non porti altri soldi di dubbia provenienza, ti tolgono il permesso di soggiorno, si ammazzano ma solo l’uno con l’altro. In pace i turisti... I giornali raccontano balle, m,a tutti lo sanno e si divertono”.

(Da “Numero zero” di Umberto Eco) 


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Cassonetto differenziato / Imbrattamento
« il: Luglio 23, 2017, 09:04:06 »
“Si vedo un muro bianco, je lo sfregno”.
Il verso del sonetto fu scritto in un’epoca nella quale imbrattare un muro non suscitava scandali, né emozioni, né riflessioni; veniva considerato puro divertissement di poeta che, per parte sua, voleva certamente dire qualcosa, ma all’epoca non poteva essere compreso. Non esistevano ancora le bombolette che oggi hanno permesso l’ingresso dello sfregio murario su larga scala nell’era dell’imbratta tutto che non salva più niente. L’essere umano padroneggia scienza e tecnica e si è procurato mezzi capaci di sfregiare e imbrattare fin l’immenso oceano pacifico e l’aria che respiriamo, e l’Artide e l’Antartide...
Ma, e vabbè!, lasciamo correre ché è troppo esteso l’elenco…
Ma i muri?
Attività antichissima risalente fin dalla preistoria: rupi e pareti di caverne; e poi le pareti all’interno delle chiese e anche quelle esterne alle chiese… Sì, è vero, ma si trattava di opere d’arte che davano lustro  alla intelligenza e creatività dell’uomo, mentre questo imbrattare con le bombolette…
Uno schifo, opera d’imbecilli! Chiedetelo a chiunque e prenderete atto della condanna generale, senza mezzi termini… Vox populi che continua a elevarsi alta nonostante  tra gli “imbratta muri” militino anche veri artisti le cui opere, spesso colossali, portano decoro allo squallore di certe muraglie, e abbelliscono squallidi angoli delle periferie di grandi città. Artisti “di strada” che non nutrono ambizioni, e, pur consci del loro valore, rifiutano elogi e anche proposte di premiazione... insomma sono grandi personaggi che, a loro modo, elegantemente esprimono una protesta al degrado dilagante.
Ma sì, anche questo è vero, ma ‘sti giovani senza arte né parte che con bombolette "sfregnano" muri peraltro ben tenuti… anzi più sono ben curati, più sono da imbrattare.
Imbecilli!
Ma poi mi chiedo:
“Perché lo fanno?”.
E sono costretto a riflettere; e comincio anche a comprendere quello che già allora il poeta voleva dire. E mi sembra anche di comprendere lo “sfregio” delle bombolette che, per me, è l’urlo degli esclusi, degli emarginati, dei privati della identità e  dignità; degli esclusi dalla ricchezza di un meraviglioso Pianeta che sarebbe in grado di garantire condizioni di sobrio benessere a tutti.
Sì!, e così:
“Si vedo un muro bianco je lo sfregno”.

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Politica / Sempre un salva qualcosa
« il: Luglio 22, 2016, 10:58:29 »

Ci sono tanti salva qualcosa, e tutti hanno vita precaria… non possono durare!
Qualche esempio?
Prendi il salvadanaio:  prima o poi è saturo, e allora basta una martellata; e poi il salvaslip che presto è putrido e puzzolente tanto da doverlo allontanare il più lontano possibile; e il pannolone?, che non ci impiega molto a gocciolare  e apparire oltre il pantalone… 
Comunque ogni regola ha la sua eccezione: ed eccola!, il salvaexcavaliere!  Ex ultraresistente, inossidabile che mai sarà allontanato nonostante puzzi ad un miglio. Però ormai ha stufato e fa piangere vedere che in parlamento si perda ancora tempo a discutere di olgettine... con tutto quello che ci succede attorno.
Ma che vadano in malora!

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Altro / Via-andante in moto
« il: Luglio 04, 2016, 10:47:15 »
Il racconto è lungo. Lo posterò a brani per non stancare, pertanto mi aspetto che qualcuno voglia leggerlo in leggerezza.

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Ho acquistato una moto!… mica una qualsiasi! Ricca di cromature e molto accessoriata… vistosa, insomma! Uno zaino comodo che contenesse l’occorrente; una meravigliosa tuta di pelle nera in due pezzi: pantaloni con pettorina e bretelle, un giubbotto, sempre di pelle nera, con tante splendenti cerniere; casco integrale, nero, da astronauta; una lunga sciarpa bianca di seta da far svolazzare al vento... il pezzo forte!
E così?
“Hai voluto la bici? Ora pedala!”.

Ma non ho una meta… andrò da viandante… sì, viandante. 
Nietzche in proposito:
“… viandante che sale su pei monti [...], un peregrinare[…] infine non si vive  se non con se stessi”.
E così, elegante sulla moto, non so dove andare.
Guido piano lungo le vie affollate del centro e attiro gli sguardi : sono giovane; e con quella moto; quella tuta da sballo… beh, credo bene che susciti, quanto meno, curiosità… magari simpatia… invidia?
Il foulard di seta bianco, poi: svolazzante alla brezza.
Vado fuori città senza direzione, come mosca catturata cui hanno tagliato le ali e fugge cercando invano di riprendere il volo.
Avete già capito che non parto nella migliore disposizione d’animo: sì, provo da qualche tempo un disagio imprecisato e ho solo voglia di fuggire.
Da cosa poi?
Precisamente non so!
Il cielo è uniformemente grigio; a tratti scende una pioggerella leggera, che è piuttosto una nebbia umida e unta.
Vado a caso, lento, vaneggiando; in marcia alla cieca.
Una pianura d’argilla stracolma di cartacce e “mondizia”… poltrone sfondate... cuscini sventrati e piume bianche d’oca... e di gabbiani, e nere di corvo.
È sorvolata da uccelli la discarica!
Gabbiani striduli e famelici; grandi candidi dalle grandi ali e zampe palmate per nuotare nella “mondizia”. Questi gabbiani maestosi si stagliano in brevi voli contro il cielo denso e scuro… baccagliano… scendono affamati… Calma! Ce n’è per tutti!… Spataplamm!… una nuova carrettata!
Ce n’è per tutti! Garantito! E a questi gli sta bene anche il pesce marcio garantito, anche se il pesce fresco è altra cosa… lo ammettono!... ma ce n’era mica più tanto e costava fatica catturarlo... questo è garantito senza sforzo!
E al mare hanno girato le spalle i gabbiani… anche loro!
È lontano chilometri il mare, e chilometri, e non lasceranno mai più l’immondizia!
Cristo!… Chi è stato il primo? Lo stronzo d’un gabbiano che stridò:
“Ragazzi c’è da mangiare per tutti… senza sforzo!”.
E tutti qui!... che poi ingrassano e si ammalano e non avranno più il coraggio di volare liberi sul mare… e io che ancora mi illudo di poter fuggire dalla “mondizia”, e senza ali per volare alto sul mare.


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Cassonetto differenziato / Deserto
« il: Giugno 24, 2016, 10:02:39 »
Ma cosa succede a questo sito? Non è più frequentato, se non da Stranamore, che, oltretutto, ho l'impressione sia poco letto. E' scomparsa perfino "Presenza"... e "Nihil" che fine ha fatto?

11
Politica / pannella
« il: Maggio 20, 2016, 06:13:20 »
E' morto pannella... embè?

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Cassonetto differenziato / Vivere
« il: Maggio 15, 2016, 16:11:54 »
Ah, poter vivere in un mondo ove l’unica emozione della giornata sia un commovente spettacolo di suoni e luci; un temporale estivo in avvicinamento con rombo benevolo; una farfalla variopinta su un fiore blu; un uscire dal proprio corpo e galleggiare nell’aria sospeso sugli oggetti e osservare noi medesimi nell’estasi su una notte stellata e una falce di luna.
Ecco la vita!
Costruita come opera d’arte, e darle un senso.
Io non sono stato artista di me stesso: nessuna leggenda, solo un peto di fiato!; gesti incompiuti, tanti!, per mancanza di coraggio;  principi, troppi, e rigidi da non consentire generosità.
Ah, sorridere di più al prossimo e ricambiare sorrisi
Ah, poter vivere
Ah, saper vivere
Precedenza all’amore, ai sogni, allo spirito
Precedenza a tutte le banalità
Ore oziose e spensierate.
E in fine non avere da pentirsi, tanto pgni pentimento sarà sempre tardi e inutile in vecchiaia
In fine non avere l’impressione di aver perduto la vita vivendo
L’anima sempre pronta a volarsene via.
Stanchezza di vita!
Foglia secca che scende lenta nell’abisso senza un fondo delle verità e del senso.   

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Cassonetto differenziato / Che bello rotolarsi...
« il: Aprile 15, 2016, 07:43:11 »
Non c'è nemmeno limite dì età per dedicarsi allo sport.
IL SI' sarebbe stravincente se si raggiungesse il quorum: e allora eccoli gli sportivi del "tutti al mare!". Evviva la democrazia!
Ma non si vergogna alla sua età?

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Cassonetto differenziato / Controproduttività
« il: Aprile 08, 2016, 16:10:53 »
Da tempo ormai sono indebolite le speranze (che già Prometeo aveva definite cieche) e la fiducia nei progressi della tecnica.
Con sempre maggior frequenza si affacciano domande anche inquietanti circa i danni prodotti al pianeta terra che sono sentiti sempre meno marginali o anche definitivi e irreparabili E a queste domande non si danno risposte convincenti. Anzi, si ha l’impressione che esse siano dettate più da particolari convenienze, piuttosto che dal desiderio di una presa di coscienza in vista della fondazione di un’etica della responsabilità.
E’ netta e diffusa un’impressione d’impotenza, mentre la tecnica prosegue inarrestabile per la sua strada, incurante, nonostante sia evidente il superamento di livelli critici al di là dei quali il progresso diviene controproducente fin al punto da delinearsi quale minaccia non solo per la salute del pianeta e degli esseri viventi, ma anche per la dignità degli individui.
E cade anche l’illusione che la stessa tecnica possa in un avvenire porre rimedio ai danni accumulati.

Le domande sono pressanti, ma coinvolgono problematiche tanto ampie e complesse da non rendere possibile un’esauriente presa di coscienza, non dico a livello di massa, ma anche tra chi nel campo scientifico ci lavora.
Noi stessi limitiamo la nostra attenzione al solo campo della medicina, e siamo coscienti di non poter avanzare pretese a conclusioni certe. Noi stessi siamo solo in grado di interpretare fenomeni frammentari nello sforzo non di raggiungere delle verità, ma solo un livello più elevato di conoscenza attraverso quel metodo ermeneutico che resta il solo valido nella nostra era della “morte di Dio”.

Appunto: la medicina?

Possiamo considerarla un’isola felice? o non si trova, forse, anch’essa compromessa, e fino al punto da aver già raggiunto quel livello critico di sviluppo al di là del quale, almeno nei settori più tecnologicamente avanzati, diviene causa di sofferenze contraddicendo i suoi scopi?
Incominciamo con il prendere atto che oggi si cura sempre di più senza portare a guarigione e sempre più spesso a costo di sofferenze e danni inabilitanti tali da minare significativamente la qualità di vita… a volte fino a livelli intollerabili.
Istintivamente pensiamo alle pratiche della rianimazione e della terapia intensiva. Poi ci accorgiamo che occorre coinvolgere anche la oncologia, la chemioterapia La chirurgia altamente demolitiva… Fino ad arrivare alla stessa medicina generica, ove i danni da abuso di farmaci e pratiche diagnostiche forse non appaiono così evidenti, ma solo perché non ancora  opportunamente valutati.
E potremmo arrivare al punto di intravvedere lo spettro di vere epidemie iatrogene.

Non possiamo, infatti, ritenere possibile che la sola medicina sfugga all’ormai accertato fenomeno della contro produttività legata allo sviluppo.
Certamente no!
Peraltro la contro produttività legata allo specifico campo della medicina sembra assumere aspetti originali e ancora più pericolosi per la presenza di un pubblico passivo, teleguidato e propenso ad affidarsi,, ciecamente fiducioso, alle sorti magnifiche e progressive della tecnica. Un pubblico incapace di percepire il rovescio dei benefici così massicciamente propagandati e che invece spesso sono solo ipotetici se li guardiamo dal punto di vista del miglioramento delle condizioni di vita.

La contro produttività paradossale della medicina sembra, dunque, aver raggiunto il livello di una minaccia per la salute analoga a quella per la mobilità dovuta al volume ed alla intensità del traffico; a quella rappresentata dai media per la cultura, l’informazione, e  l’approfondimento delle problematiche complesse; analoga alla minaccia rappresentata da una istruzione che addestra sempre più a livelli di competenza tecnica e a forme specializzate di incompetenza generale.
Anche la medicina si pone, dunque, a pieno titolo tra i fenomeni della diseconomia imprigionata nel sistema che la produce, e, se così fosse (e si ha l’impressione che lo sia), allora il sistema per la tutela della salute è già cresciuto al di là dei limiti critici, ed è divenuto patogeno e deleterio per la salute intesa come benessere fisico  e mentale, ed in sovrappiù ha espropriato l’individuo della libertà di decidere in relazione alle condizioni di vita per sé accettabili. E, per dirla con Nietzsche, di “Morire con fierezza, quando non è più possibile vivere con finezza”.

Per concludere:,
a fronte delle pur molte evidenze di contro produttività generale, non si ha l’impressione che vadano maturando un problema politico e un’etica della responsabilità che possano stabilire un limite al progredire della tecnica. Anzi! si ha la sensazione di una totale impotenza di fronte ad un potere astratto e pervadente che si è posto definitivamente al di là di ogni possibilità di controllo e che soggioga ai suoi interessi, astratti e incomprensibili, l’intero assetto delle società.
Un potere, peraltro, che non correrà mai il rischio di un tramonto, in analogia con il destino delle ideologie.
L’ideologia, infatti, nasce con la pretesa di una costruzione perfetta ed ogni errore nell’applicazione pratica non è perdonato, ne mina la credibilità e ne decreta il tramonto.
La scienza invece è intramontabile poiché si nutre dell’errore che è pratica centrale del metodo sperimentale che le è proprio.

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Altro / L'amicizia inossidabile
« il: Marzo 29, 2016, 11:21:16 »
Già... perché?
Perché Rocco e Ettore, emigrati, ritornarono? Per rivedersi!  E dopo tanti anni nel sospetto di non riconoscersi; o anche per cancellare la nostalgia;  chiudere una volta per tutte col paese e con l’infanzia; per non ritornarci mai più!... Più?
Amici per la pelle erano stati!... dalla nascita nella stessa stretta in due case a facc’ front’; sempre insieme; i giochi nella stretta e poi nell’orto… cosìddetto, ma che orto non era; era terreno incolto, utile, oltre che per i giochi, anche per una “strazzata” all’aperto, in compagnia.
Roccuccio e Ettr’: per tutti il simbolo di un’amicizia eterna.
Erano migrati in due città lontane: Colleferro e Torino.
E si rivedevano qui, sulla luna, dopo anni. Sembravano anni mai è passati... tutto come un tempo… sì, come il tempo non fosse passato.
Agosto, la festa di santo Rocco, il patrono!
Amici come prima; sempre insieme in quei giorni della festa, anche se non era più la festa di una volta; senza la cassa armonica e senza la banda di Lanciano; ora un palco con tante luci e una musica gridata da una cantante in sofferenza.
Rocco di Colleferro non approvava! Era critico!
Ettore da Torino, invece, è più moderno e apprezza!
E le larghe scale acciottolate verso la cittadella? Ora sono asfaltate e ci vanno le macchine sulla cittadella; Rocco si intristisce... Ettore, che si è fatto la seicento, approva!
E nella stretta non ci sono più li criatur’ e nemmeno le galline: sfrecciano  auto e parcheggiano; occupano e deturpano l’intero spazio della stretta e della chiazzetta… Ma Ettore approva!
Quanti piccoli strappi!
Insignificanti?
Comunque strappi, ma l’amicizia inossidabile resiste; e arrivò apparentemente intatta fino all’ultimo giorno in paese.
Erano seduti su un muretto e ammiravano un rosso tramonto; la tristezza di un tramonto con il sole che cedeva il cielo ad una luna opaca; tutto sbiadiva e scontornava; il paese da lontano appariva ancora come un presepe... e l’ amicizia aveva ormai fatto la ruggine!
I frutti dell’incontro non avevano risposto alle attese: la terra disseccata, Lacerata!; un’epoca era tramontata, irrimediabilmente!
Infine anche l’ottimismo di Ettore cedette al disincanto.
Lacerazione!
Era il destino!, e su un pretesto banale Rocc’ e Ett’r’ misero in scena il tramonto dell’amicizia eterna.
Sulla luna!
E arrivarono alle mani, e si facevano trattenere per non farsi ancora più male.

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