Autore Topic: Crepuscolo della vita  (Letto 1429 volte)

Doxa

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Crepuscolo della vita
« il: Agosto 02, 2016, 00:18:33 »
Il tramonto  del giorno  evoca il tempo che passa,  fa meditare gli anziani sulla loro vita che gocciola verso la fine, li fa riflettere sul declino connesso col decadimento fisico ed estetico.

Dopo il tramonto c’è il crepuscolo, caratterizzato dalla presenza dell’ultimo chiarore dovuto alla diffusione della luce del Sole da parte dell’atmosfera. Poi arriva la notte e la veduta delle stelle se il cielo è senza nubi.

Dante Alighieri nella “Commedia”, Canto VIII del Purgatorio, ambientato nell’antipurgatorio dice:
 
“Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dí c'han detto ai dolci amici addio; /  e che lo novo peregrin d'amore / punge, se ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more;” (1 – 6).

Il Sole tramonta e poi risorge, invece, quando giunge la fine del nostro breve soggiorno sulla Terra ci attende la notte infinita, il nulla per chi non crede in Dio; l’immortalità secondo il cristiano, il quale ha la certezza che il Signore gli ha dato la vita e lo riceverà nel suo regno dopo la morte. 

L’importante è saper essere pronti all’appuntamento con “sorella morte”: è una facoltà che implica fermezza, analisi, decisione. Saper essere pronti significa saper partire, saper finire, saper morire.

Per il cristiano partire, finire, morire non sono sospirati o deprecati approdi nel gorgo del nulla, ma un distacco per un nuovo e diverso inizio.
 
Il luogo e l'ora non sono importanti. “Nella mia fine c’è un nuovo inizio”: “In my end is my beginning”, ha scritto il poeta e drammaturgo statunitense, naturalizzato britannico, Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965),  nell'ultimo verso del secondo dei “Quattro Quartetti”. 
Eliot dice che quando si  varca la soglia della morte c’è un oltre che ci aspetta. 

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #1 il: Agosto 03, 2016, 05:43:15 »
La locuzione latina “cupio dissolvi” (= desiderio di essere dissolto) allude al “desidero morire”. Deriva da una frase scritta dall’apostolo Paolo nella sua prima Lettera ai Filippesi: “…desiderium habens dissolvi et cum Christo”…(1, 23 – 24), desiderio di annullamento in Cristo, ma col tempo il significato originario della frase fu ampliato per esprimere il rifiuto di vivere, la noia esistenziale, la volontà di autodistruzione.

La "cupio dissolvi" non dipende necessariamente dalla depressione. Specie nella terza e quarta età può essere causata dall’apatia, dall’indifferenza,  che induce al distacco dalla realtà, dall’anedonia, l’incapacità di provare gioia. Molti anziani sono “stanchi di vivere” e sopportano la quotidianità come continua ripetizione, come lunga sequenza di giornate che sembrano trascorrere tutte uguali.

Eugenio Montale nella sua poesia: “Spesso il male di vivere  ho incontrato” afferma di aver frequentemente sperimentato il dolore dell’esistenza ed esplicita l’atteggiamento di distacco e di liberazione dalle passioni, l’indifferenza, l’atarassia, l’imperturbabilità.
 
E lo scrittore Cesare Pavese ne “Il mestiere di vivere: diario 1935-1950”, annota la sua tentazione al suicidio (in seguito realizzato) come ultima forma di controllo per porre fine ad una vita senza significato. Il suo disagio esistenziale e la delusione amorosa avuta dall’attrice Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, lo indusse a concludere la sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera d’albergo a Torino.

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #2 il: Agosto 07, 2016, 12:55:34 »
Nel precedente post ho citato il poeta e scrittore Cesare Pavese che si suicidò nel mese di agosto di 66 anni fa.  Egli pensò spesso al suicidio per il continuo ed insoddisfatto bisogno di amore,  per l’infelicità affettiva, ma anche come gesto eroico, distruttivo.

Il sociologo Émile Durkheim (1858 – 1917) classificò quattro tipi di suicidio: egoistico, altruistico, fatalista ed anomico.
 
Il suicidio egoistico è motivato, secondo Durkheim, dalla carenza di integrazione sociale. Pur sembrando in apparenza un atto soggettivo imputabile all’infelicità personale, ci sono anche fattori sociali che influenzano in modo determinante, come la solitudine.

Il suicidio altruistico, in questa tipologia l’individuo si uccide non perché si arroga il diritto di disporre della propria vita ma perché si è condizionati da un imperativo sociale o morale vigente nel contesto sociale, un esempio del passato è quello  della vedova indiana che accettava di essere adagiata viva sulla pira funeraria del defunto marito come atto di devozione verso il partner.

Il suicidio fatalistico avviene quando l’individuo pensa  che sia l’unica possibilità di fuga da una situazione vissuta come insopportabile, per esempio la schiavitù.
 
Il suicidio anomico è collegato con le crisi economiche. L’individuo, per esempio un imprenditore, non ha più lavoro ed è costretto a licenziare impiegati ed operai, per disperazione sceglie di suicidarsi.
Anomia è una parola d’origine greca, composta da “a-” (= senza) + “nomos” (= norma) e significa “assenza di norme”, le quali sono necessarie  e funzionali alla regolazione del comportamento sociale degli individui, delle organizzazioni e delle istituzioni.

La Chiesa cattolica  non accetta il suicidio razionale, comunque discerne sulle cause che possono motivare il tragico gesto. Nei suoi insegnamenti ribadisce la sacralità della vita e considera il suicidio un peccato grave che vanifica il progetto divino sull’uomo, perciò nel passato negava le esequie religiose ai suicidi per dissuadere dal compiere il tragico gesto. Nel nostro tempo, invece, il Vaticano per non rimanere emarginato ha disposto che la Chiesa nella sua funzione pastorale, celebri i funerali religiosi dei suicidi, tenendo conto delle complesse dinamiche psicologiche.

Il Codice di Diritto Canonico indica alcune circostanze in base alle quali un cattolico non può ricevere i funerali in Chiesa. Si tratta, in generale, di quei casi in cui il defunto aveva pubblicamente abbandonato la comunione ecclesiale e di credere in Dio. 

Il teologo Hans Küng sostiene che nessun principio e nessun sentire religiosi sono contrari al suicidio e nella Bibbia non c'è un testo  che condanni il suicidio.

Nell’Antico Testamento ci sono pagine  che evocano gli atti suicidi, per esempio quello del primo re d’Israele, Saul: “Allora Saul prese la spada e vi si gettò sopra” (1 Sam 31,4).

Nel Nuovo Testamento il vangelo di Matteo narra che Giuda Iscariota, uno dei 12 apostoli, tradì Gesù per 30 monete d’argento, poi, pentito si suicidò (26, 14 – 16; 27, 3 – 5).

Per il non credente la vita può essere giudicata solo da chi la vive, e  pretende la libertà di rifiutarla, anche se, come dice il filosofo e storico scozzese David Hume (1711 – 1716),  non ci sono ragioni obiettive. Nella  sua riflessione sul suicidio Hume dice di credere “che nessun uomo abbia mai fatto getto della vita, finché valeva la pena di conservarla. Perché è tale il nostro orrore naturale per la morte, che motivi troppo lievi non potranno mai riconciliarci con essa; e se anche le condizioni di salute o fortuna di un uomo non sembrano richiedere tale rimedio, possiamo essere certi che chi vi abbia fatto ricorso senza ragioni apparenti era affetto da un'incurabile depravazione o tristezza di carattere, che gli avvelenava ogni gioia e lo rendeva infelice come se avesse subito le più gravi disgrazie. Il suicidio non è proibito dalle leggi di natura”.

Il filosofo tedesco Karl Löwith (1896 – 1973) in un suo studio storico-critico del suicidio, scrisse che esiste un solo argomento contro il diritto all'autodistruzione, e questo argomento non è morale, bensì religioso.

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #3 il: Agosto 10, 2016, 09:25:33 »
Lo storico e critico della letteratura italiana Francesco Saverio De Sanctis (1817 – 1883) riguardo al suicidio scrisse: “Quanto il cristianesimo abbia modificato la scienza e la morale e quindi l'arte antica, si può inferire da questo solo: il suicidio antico è virtù, il suicidio moderno è colpa: il suicida pagano è un eroe, il suicida cristiano è un codardo”.

Nell’antica Grecia il suicidio era considerato espressione di libera ed estrema scelta dell’uomo saggio, come Socrate, Demostene ed altri.

Dall’antica Roma abbiamo esempi di famosi personaggi che si uccisero per evitare l’onta della sconfitta militare, per sottrarsi ad una indegna condanna a morte per motivi politici od altro. Solitamente usavano il pugnale oppure la spada ma sorretta da uno schiavo. Esempi, Bruto e Cassio, i cesaricidi, scelsero di morire aiutati dai propri schiavi, dopo essere stati sconfitti nella battaglia di Filippi del 42 a.C. da Augusto e Marco Antonio; lo stesso Marco Antonio si tolse la vita nel 30 a.C., dopo essere stato sconfitto da Augusto nella battaglia di Azio del 31 a.C.; seguito poi dalla regina Cleopatra, che per evitare la prigionia scelse il suicidio rituale facendosi mordere dall’aspide. Da ricordare è anche il filosofo stoico Seneca,  maestro di Nerone: costretto dallo stesso imperatore al suicidio nel 65 d.C. decise di tagliarsi le vene dei polsi, delle gambe e delle ginocchia e per aiutare il deflusso del sangue fece anche un bagno caldo; lo stesso imperatore Nerone fu costretto al suicidio nel 68 d.C.: dopo essere stato dichiarato nemico di Roma dal Senato fuggì dalla città e si rifugiò nella villa di Faonte sulla via Nomentana, dove fu aiutato a tagliarsi la gola dal suo schiavo Epafrodito, pronunciando la celebre frase "Qualis artifex pereo!" (Quale artista muore con me!).

Con l'avvento del cristianesimo l'atto suicida iniziò a essere valutato negativamente, come un peccato da perseguire. In particolare Agostino e Tommaso d'Aquino lo condannarono perché contrario alla volontà divina e tale pensiero divenne dominante nella teologia cattolica.

Gli illuministi affermarono di nuovo il diritto di disporre della propria vita come scelta razionale: la punibilità del suicidio fu rimessa in discussione da filosofi e giuristi e, dalla fine del 18/esimo secolo, non fu più contemplata nella maggior parte delle legislazioni europee.
 
F. Nietzsche, in Così parlò Zarathustra (1883-85), fece addirittura un'apologia del suicidio, ritenuto la forma migliore di morte perché soggetta alla volontà.

Il suicidio  progettato, tentato od eseguito occupa un posto di primo piano nelle difficoltà esistenziali dell'adolescenza e degli anziani.

Negli adolescenti si registra un maggior numero di tentativi di suicidio (rispetto alle altre fasce di età). In loro è più evidente l’ambivalenza: vogliono morire, ma anche vogliono vivere. Oltre alla sofferenza psichica hanno  la sensazione che non ci sia altro da fare se non togliersi la vita.

Per gli anziani i fattori concorrenti a determinare una situazione a rischio sono correlabili a deprivazione ed abbandono, ma raccordabili pure ad eventi traumatici accaduti nell'infanzia o nell'adolescenza. Altri fattori predisponenti al suicidio nell 'anziano sono la presenza nella famiglia di una o più persone con handicap fisici o psichici, una grave malattia organica, la solitudine, la noia di vivere. 

La problematica del suicidio come scelta libera e razionale appare ora di grande attualità, in quanto collegata al dibattito sul suicidio assistito nonché sull'eutanasia attiva, sulla quale argomenterò nel prossimo post.

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #4 il: Agosto 12, 2016, 14:53:05 »
Ci sono anziani che si chiedono se la vita che resta loro da vivere sia degna di essere vissuta o meno. Fanno una sorta di bilancio “costi-benefici” riguardo al proprio futuro per decidere se restare in vita nel caso le aspettative siano ragionevolmente positive oppure suicidarsi se sono negative, con prevedibile eccesso di dolori ed infelicità. 

Avanzando negli anni, tendenzialmente sono minori le probabilità di ottenere attimi di gioia e  maggiori quelle di ottenere sofferenze fisiche e psichiche.

Se si ha la fortuna di giungere alla terza o quarta età è ragionevole pensare al proprio futuro con la salute precaria, forse dolorosa, nel caso di una o più malattie croniche inguaribili, lenibili con palliativi, e poi decidere cosa fare della propria vita. Un ateo razionalista  deve poter decidere come morire serenamente, deve avere la possibilità di non sopportare la sofferenza fine a se stessa per problemi di salute e di poter scegliere l’eutanasia. 

Penso sia sbagliato voler prolungare la vita con  l’accanimento terapeutico che serve solo a prolungare l'eventuale agonia.

Scegliere il suicidio o l’eutanasia non è facile, anche perché non correggibili o rimediabili. Penso che chiunque vi ricorra inevitabilmente lo faccia dopo lunghe riflessioni.

L’eutanasia viene praticata quando le terapie non danno risultati, il corpo non reagisce ed anche la mente decide il "the end".

Il valore della vita non é in contraddizione con la morte ma con la non-vita o vita vegetativa. In determinate circostanze la si abbrevia per evitare inutili sofferenze. E non vedo differenze sostanziali, eticamente rilevanti fra eutanasia passiva lasciando morire lentamente tra sofferenze, versus eutanasia attiva ed omissione di soccorso. Non c’è differenza tra il “chiudere la vita” per pietas e per altruismo a chi lo richiede liberamente nel pieno possesso delle sue facoltà mentali per evitare inutili sofferenze e il “chiudere la vita” crudelmente e contro la volontà di che ne è vittima. La morte è ineliminabile, fa parte del ciclo vitale.

Ovviamente chi ha fede religiosa non accetta l’eutanasia, anche se motivata dalla disperazione,  creata dal panico per la sofferenza.

Le religioni monoteiste abramitiche offrono ai credenti consolazioni, speranze nell’aldilà con la risurrezione, con  la congiunzione spirituale con un'entità superiore.  L’idea cristiana dell’oltrevita propone una ri-creazione dell’intero essere corporeo e spirituale in coordinate non più spazio-temporali, e quindi permanenti e infinite. E’ quella che è definita come “risurrezione”.

Significativo che quasi tutte le religioni e  numerose concezioni filosofiche (si pensi a Platone) immaginano il nostro approdo terminale non nel gorgo oscuro del nulla o della polvere, ma in un ritorno dal creatore, il “Padre comune di tutta l’umanità”. Una nuova e perfetta vita per i credenti in lui.

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #5 il: Agosto 14, 2016, 08:38:54 »
Quasi tutte le religioni e  numerose concezioni filosofiche (si pensi a Platone) immaginano il nostro approdo terminale non nel gorgo oscuro del nulla o della polvere, ma in un ritorno dal creatore, il “Padre comune di tutta l’umanità”. Una nuova e perfetta vita.

La visione cristiana dell’oltrevita propone una “ri-creazione” dell’intero nostro essere corporeo e spirituale in coordinate non più spazio-temporali ma permanenti e infinite. E’ quella che è definita come “risurrezione”.

Ma cosa c’è nell’aldilà ? Al di là di cosa ? Al di là della vita ! Nessuno lo sa. Però si sa cosa non c’è al di là della vita.  Non c’è  l’ego, la memoria, la volontà, l’intelletto degli individui. Tali elementi sono connessi alla struttura cerebrale e si dissolvono con la morte.

Allora è meglio togliere al  "dopo-morte" il carattere immaginario e magico ? Non si può ! L’umanità ha bisogno di sperare nell’esistenza dell’aldilà, e la speranza, come si suol dire, è l’ultima a morire. Chi non accetta il nulla dopo la morte preferisce illudersi. 
L'umanità  aborrisce la propria fine e preferisce un aldilà dove  la vita individuale risorge e si eternizza. Ma aldilà o al di là ? Al di là presuppone un confine, che può essere inteso anche come confine tra la vita e la morte. In ambito religioso si usa la parola “transito”, quasi ad indicare una continuità tra il percorso aldiquà e quello di là da venire.

LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE
Nel fresco giorno ha calcato
sì poca terra il tuo piede scalzo!
Hai fatto questi due passi
fra l’orlo del mare e la piana
soglia iridata di salso
della tua casa a terreno.

Eri sul lembo del suolo
che il grande azzurro frantuma.
Da questa ruga di spuma
vacillavi già in braccio al sereno
come sull’uscio del mondo.

Oh, sulla nostra marina
il tuo soggiorno fu mite
e sottovoce, fanciulla
ammainata come una vela
nel bianco dei tuoi pensieri.
Ora canti sull’altra tua riva.
Noi tristi che non ti vedremo
più cucire le bionde reti,
riempir di guizzo i panieri,
i suoi occhi di calmo celeste.
Ora tuo padre ha dipinto
le sue barche di un filo di lutto,
gli tremi viva nel flutto
battuto dal lacrimante remo.

(Angelo Barile)

In questi versi c’è la visione del transito fugace della vita. Sembra di vedere la figura femminile su una soglia “sul lembo del suolo” verso l’immensa porta sull’altrove che è il mare, e  la ragazza appare “ammainata come una vela”.

Se considerato come  “transito” dalla vita alla morte e conseguente risurrezione, la locuzione aldilà, o al di là, derivante dal francese “au-delà” (la forma tradizionale italiana è “di là da”, es. di là da venire), si può scrivere sia con la grafia con univerbazione sia con la grafia separata. Non c’è una norma che regola la scelta.  Nell’uso, però, “al di là” con grafia separata ha valore di locuzione avverbiale o “preposizionale”, che non significa niente se non si precisa in riferimento a cosa,  es. al di là del confine”; invece aldilà con grafia univerbata ha la funzione di sostantivo ed allude alla illusoria vita dopo la morte.

L’univerbazione conduce alla fusione  anche grafica di due parole originariamente autonome, es. palco scenico – palcoscenico, in vece – invece. Sono lemmi che frequentemente sono in sequenza e tendono ad essere percepiti come parole uniche, con conseguenze nella resa grafica.

Doxa

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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #6 il: Agosto 16, 2016, 15:16:15 »
Perché si ha paura di morire ? Cos’e' che spaventa ? Pensare che dopo la morte c’è il nulla? Ma il nulla è coerente con la convinzione del non credente, invece chi crede nell’esistenza del regno di Dio e prega questo immaginario essere, dopo la morte va a stare meglio del vivere sulla Terra, perciò perché temere ?

Vivere per un periodo nello spazio tempo e poi lasciare gli affetti, le relazioni, le cose amate. La morte è contraddizione della vita.   

L'istinto di sopravvivenza invita il corpo a resistere, ma per malattia o per altri motivi la mente può dire no, esorta ad abbandonare la voglia di vivere. E' l'ultimo atto contraddittorio tra la fisicità del corpo e la coscienza, oppure l'anima, per chi la chiama in tal modo.
 
Se la sofferenza fisica o psichica  sono insopportabili  il legame con la vita si allenta, l’anelito a vivere si affievolisce,  e la morte  appare come una "porta d'uscita" dal dolore.

E' l'Io che vuole durare in eterno, non il corpo. E' la lotta tra psiche e soma nell'unicità della persona.

L’Io è deputato ai rapporti con la realtà, sia interna al corpo che esterna ad esso. Ed è  l’Io che organizza e gestisce tutte le attività psichiche verso sé stesso e verso l'ambiente esterno.
L'Io è inscritto nel Sé ed entrambi interagiscono in modo integrativo e complementare come sotto sistemi della personalità. Ma l’Io esiste finché esistono i suoi ricordi, poi sprofonda per sempre nell’oblio.



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Re:Crepuscolo della vita
« Risposta #7 il: Agosto 17, 2016, 10:57:45 »
Sull’eutanasia ho scritto dei post lo scorso anno nel topic titolato “Escatologia” (due pagine nel forum Zam)

Questo è il link:

https://www.zam.it/forum/index.php?topic=4885.0