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Virgo lactans

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Doxa:
A Genova, nel Palazzo Ducale,  fino al prossimo 1 aprile c’è la mostra dedicata alla nota pittrice Artemisia Gentileschi (1593 – 1652).

Vi consiglio di leggere la biografia  di questa pittrice. Pure lei fu vittima di violenza da parte maschile.

Lei subì lo stupro, ma ebbe il coraggio di denunciarlo. Quel traumatico episodio  influenzò  la sue scelte nei temi pittorici, per esempio: “Giuditta e Abra con la testa di Oloferne”.

Nell’esposizione pittorica a Genova ci sono anche due suoi quadri che raffigurano la Madonna che allatta il Bambino. E’ una delle tipologie nelle varie posture mariane con il neonato.


Artemisia Gentileschi, Madonna col Bambino, olio su tela, 1610 – 1611, Galleria Spada, Roma

La Madonna è assisa sul suo mantello blu sopra la sedia. Sopra le tasta,  leggermente reclinata , c'è  l’aureola della santità. 
La donna è raffigurata  nel momento in cui la poppata ha avuto termine. E' leggermente assopita. La sua mano sinistra è “abbandonata” vicino al ginocchio della mano sinistra.

Il biondo Gesù Bambino guarda il viso della Madre e con la mano sinistra le carezza il collo, quasi a volerla svegliare.

In questo dipinto la Gentileschi illumina con una luce esterna le due figure nell’oscuro ambiente.

Bello il panneggio della veste color rosa che indossa la donna. Notare i suoi piedi scalzi.


Vi presento l’altro dipinto, attribuito ad Artemisia Gentileschi da alcuni storici dell’arte, ma non da altri.


dipinto ad olio su tela senza il nome dell’autore/trice. L’opera del 1618 circa è a Firenze, a Palazzo Pitti.

Come nel precedente dipinto, la Madre è assisa su una sedia ed è a piedi nudi.

E’ raffigurata nell’atto di allattare il biondo Bambino. Con la mano destra regge la mammella destra, parzialmente coperta dal velo che le scende dal capo aureolato.

Bello il panneggio color ciclamino dell’abito. Il braccio destro è coperto dalla manica della bianca camicia. Il mantello blu  le copre il braccio sinistro, e dalla spalla le scende dietro la schiena fino al fianco destro.
 
Il Bambino guarda il seno materno;  nella mano destra regge un rametto con due ciliegie: una simboleggia l’amore di Cristo, l'altra il suo sangue versato sulla croce. 

Doxa:
Nell’arte l’immagine della donna che allatta ha radici lontane, nella preistoria, con la rappresentazione scultorea della “Grande Madre”, divinità femminile  forse di epoca paleolitica, sicuramente neolitica, detta anche “Grande Dea” o “Dea Madre”. La sua figura steatopigia evoca il simbolismo materno della fertilità,  della nascita, perciò spesso rappresentata con il bimbo in braccio o poggiato sul grembo, mentre è dedita alla lattazione del neonato.
 
E’ presente in varie culture e civiltà. Esempi:  era conosciuta dai Fenici come “Ashtoreth”, in Mesopotamia come Ishtar, dai Semiti come Astarte, dagli Egizi come Au Set, dai Greci come Cibele.

Nel tempo alle personificazioni della Grande Madre vennero attribuite varie connotazioni e mansioni.


scultura antropomorfa in pietra calcarea rinvenuta senza testa.  Rappresenta la Dea madre Astarte, la Grande Madre fenicia e cananea,  mentre allatta il figlio.

Astarte, venerata come protettrice della fertilità del suolo e delle donne,  è presente  anche nell’ebraico biblico col nome di   ‘Ašteret, plurale ‘Aštērōt nel Libro dei Giudici (10, 6).

Dalla XVIII dinastia egizia  la dea fenicia entrò a far parte  anche del pantheon egizio, col nome di “Au Set”. I Greci che conquistarono l’Egitto la chiamarono Iside, la grande dea della  fertilità e della maternità.


Iside: la “Grande Madre” dell’antico Egitto. 



Iside  mentre allatta il figlio  Horus.

Questa immagine evoca quella di Maria con Il Bambino nel cristianesimo.

Doxa:
Oggi, 3 dicembre 2023, comincia il periodo dell’Avvento, che termina il 24 dicembre.

Il sostantivo "avvento" deriva dal latino adventus,  da advenire = arrivare.

”Adventus” traduce la parola greca “parousia” (= presenza), che nei culti pagani simboleggiava l’arrivo annuale della divinità nei templi a lei/lui dedicati; ma nell’antichità il termine “parusia” (senza la o)  era utilizzato  anche per indicare l’arrivo o la presenza di un sovrano in un luogo.

Nella religione cristiana è il tempo liturgico di preparazione al Natale: commemora  la prima venuta del Figlio di Dio sulla Terra,  ma è anche tempo di attesa  della seconda venuta del Cristo, la parusia alla fine dei tempi.

Nelle Chiese cattolica, luterana e anglicana il periodo dell’avvento dura quattro settimane, e comprende le quattro domeniche precedenti il Natale. Ad ogni domenica corrisponde un diverso inno e specifiche preghiere. I paramenti del sacerdote officiante cambiano: la prima e la seconda domenica sono di colore rosso, la terza domenica è possibile utilizzare paramenti di  colore rosa, mentre l’ultima domenica sono bianchi, in segno di purificazione e preparazione alla venuta di Cristo.

Nel rito ambrosiano l’Avvento contiene 6 domeniche e può durare 6 settimane. Inizia la prima domenica dopo il “giorno di San Martino”, l’11 novembre. Quando il 24 dicembre cade di domenica è prevista la celebrazione di una domenica prenatalizia. I paramenti del sacerdote officiante sono color morello, tranne nell’ultima domenica, nella quale si usa il bianco.

All’inizio del post ho scritto che il periodo dell’Avvento termina il 24 dicembre. E cominciano le funzioni religiose per celebrare la nascita di Gesù, che ha nell’arte l’ideale cassa di risonanza.

Ne è esempio Il tema artistico cristiano-cattolico della Madonna del latte (in latino Virgo Lactans, o Maria lactans), presente anche in ambito ortodosso con la definizione di “Panaghia Galaktotrophousa”: in lingua greca,  Panaghia (=  Santissima o tutta santa),  Galaktotrophousa (= colei che nutre  con il latte). 

La Vergine è di solito  rappresentata  con un  seno  fuori dal vestito mentre allatta il Figlio o è  in procinto di farlo oppure mentre un singolo getto di latte o delle gocce  di latte scendono dal suo seno direttamente nella bocca di Gesù.


Icona della Panaghia Galaktotrophousa: Madre e Figlio guardano verso l'osservatore.

Questa immagine è custodita  a Betlemme nella cosiddetta “grotta del latte”, in arabo "Magharet Sitti Mariam", la” grotta della Signora Maria”, nell’eremo di Sant’Alberico.

Doxa:
Stamane vi offro come colazione un virtuale bicchiere di latte: la lettura di un articolo titolato: “Il latte ed il suo valore simbolico nella Bibbia”. Lo scrisse il cardinale Gianfranco Ravasi, biblista, per la rivista “Jesus”, pubblicata nel gennaio 2007, che ho conservato tra i miei documenti virtuali.

Il testo è lungo e lo divido in tre parti per non renderlo indigesto.

Antico Testamento.

Nella lingua ebraica il latte si dice “halab” (in arabo “leben” = bianco), ed è presente in numerose pagine dell’Antico Testamento come simbolo di fecondità e di purezza.

Alcuni esempi.

Come segno di ospitalità il patriarca Abramo offre una tazza di latte fresco agli ospiti che entrano nella sua tenda sotto le querce di Mamre (Genesi 18, 8.

Terra promessa: è la “terra dove scorre latte e miele”, questa frase è presente nell’Antico Testamento circa 20 volte.

Il capo tribù Giuda, secondo le parole della benedizione del patriarca Giacobbe, ha “i denti bianchi come latte” (Genesi 49, 12).

Nel “Cantico dei Cantici” l’uomo amato ha i “denti bagnati nel latte” (5, 12).

Ancora nel Cantico, il latte evoca la dolcezza: le parole e i baci della donna che ha “miele e latte sotto la sua bocca” (4, 11) e il suo amato baciandola dice di “suggerne il latte” (5, 1).

La carnagione dei giovani di Gerusalemme è “più candida del latte” (libro delle“Lamentazioni” 4, 7), e questa caratteristica è un indizio di bellezza.

Gerusalemme viene immaginata personificata come città-madre che ha il seno turgido e generoso: “Voi succhierete al suo petto, succhierete deliziandovi all’abbondanza del suo seno” (Isaia 66, 11).

Il latte è anche simbolo dell’era messianica quando l’umanità sarà invitata ad accorrere e a dissetarsi con acqua, vino e latte “senza spesa” (Isaia 55, 1).

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Doxa:
Nel Nuovo Testamento il latte (in greco “gàla) è citato con varie metafore e simboleggia il nutrimento spirituale.

Dal Vangelo di Luca: “Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui sei stato allattato !” (11, 27). E’ l’ammirazione di una donna nei confronti di Gesù per le parole da lui dette.

L’evangelista Luca per indicare il latte non usa il termine greco “gàla” ma il verbo femminile “ethélasas”, da “thelàzein” (= allattare), che è generato da “thèlys” (= donna, femmina).
Tale verbo è presente altre quattro volte nel Nuovo Testamento: nell’acclamazione della Domenica delle Palme, allorché (sulla base di una citazione del Salmo 8, 3) Gesù accoglie gli “osanna” dei fanciulli, ricordando che “dalla bocca dei bambini e dei lattanti (thelazònton)” Dio riceve la lode più cara (Mt 21, 16).

Le altre tre presenze del vocabolo sono parallele e identiche nei tre evangelisti sinottici: nel giorno del giudizio finale “guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno (thelazoùsais) in quei giorni !” (Mt 24, 19; Mc 13, 17; Lc 21, 23).

Paolo di Tarso nella prima Lettera ai Corinzi (9, 7) si domanda in modo retorico: “Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge ?”. Il latte diventa il cibo degli immaturi, di coloro che sono ancora “carnali”, incapaci di un alimento migliore, proprio come accade ai Corinzi “neonati” nella fede ed imperfetti nella loro vita spirituale: “Vi ho dato da bere latte”, dice l’apostolo tarsita, “non un nutrimento solido perché non ne eravate capaci” (1 Corinzi 3, 1 – 2).

Analoga è l’applicazione nell’omelia o trattato teologico che è la Lettera di Paolo agli Ebrei: l’autore si rivolge ai suoi interlocutori con queste parole esplicite: “Siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido: chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è per gli uomini maturi” (t5, 12 – 14). Siamo in presenza di un’inversione di tendenza, destinata a trasformare questo cibo vitale in un’immagine di limite, di imperfezione, di “infantilismo”.

Sulla stessa base simbolica l’apostolo Pietro nella sua prima Lettera ribalta il significato. Introduce il tema della nascita battesimale come evento nell’esistenza cristiana, invita i neo battezzati “come bambini appena nati, a bramare il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza” (2, 2).

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