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Topics - Faber

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Politica / La deriva politica della sinistra renziana
« il: Ottobre 21, 2014, 18:19:23 »
Osservando da comune cittadino la politica nazionale, attraverso gli interventi dei suoi rappresentanti nel corso delle diverse trasmissioni "dedicate", che si possono vedere quasi ogni sera nei canali free del digitale terrestre, mi sovviene un pensiero, o meglio una riflessione che scatena in me un senso di "smarrimento politico-ideologico". Mi spego meglio, e lo farò facendo riferimento al testo di una canzone, passata praticamente alla storia della musica italiana, del grande e compianto Giorgio Gaber, il quale da grande osservatore qual'era si chiedeva seraficamente "Ove fosse la sinistra" ma, allo stesso modo, "dov'era la destra" (ovviamente facendo riferimento alla politica nazionale di quegli anni (fine anni "70). Sono dell'idea che il Maestro Gaber vedesse ben al di là di quanto volesse far credere, ovvero lui già allora poteva intravedere uno "smarrimento" delle ideologie della sinistra italiana, verso una "deriva", non solo ideologica, dela partiti della sinistra storica, verso la zona "moderata" del centro destra nazionale. In definitiva, non capisco l'attuale politica del Presidente Renzi, come non comprendo la presa di posizione dei sindacati, non solo riguardo il tanto discusso e vituperato Art.18, ma anche riguardo la Legge di stabilità 2015, che nella attuale formulazione all'approvazione della Commissione europea prevede tagli trasversali pari a ben 35 mld. di Euro che, sostanzialmente, impoveriranno le regioni e, inesorabilmente, i comuni i quali non saranno più nelle condizioni di assicurare i servizi ai cittadini. Mi chiedo: verso dove si spinge la politica renziana? Esiste una condivisione dei sindacati? E se si, qual'è la posizione al riguardo dei partiti del centro destra? La deriva del PD verso il centro destra è in corso d'opera e, nel suo "vagare" alla ricerca di consensi da parte di parlamentari "incerti" o pronti a saltare sul carro del più forte, cambia forma e sostanza. Sino a causare gli scontri di piazza, avvenuti di recente nella Torino della Fiat, nella città del sindacato dei metalmeccanici della FIOM e della sinistra storica. Il Presidente Chiamparino, già sindaco della regal Torino, sembra una figura sempre più sbiadita, nel tentativo, mal riuscito, di difendere posizioni non difendibili e non più sostenibili, sopratutto con riferimento all'ideologia del suo partito di provenienza, il PCI. Non si possono servire due padroni o due ideologie, quando questi sono contrapposti nei fatti ma, soprattutto, dalla storia.

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Prove tecniche di modernità: finalmente arriva (poichè lungamente atteso) il c.d. tram leggero (che vorrebbe essere sinonimo di veloce) a Palermo. L'augurio è che possa servire anche ad alleggerire il traffico della Città, assediata da veicoli (di ogni genere, forma e dimensione) parcheggiati in ogni dove, senza alcun rispetto delle norme del codice della strada, oltre al traffico in entrata e uscita, visto che manca di una tangenziale, degna di essere così chiamata. I palermitani meritano, finalmente, maggiore attenzione da parte dei responsabili alle infrastrutture e alla viabilità, di vivere una Città fruibile e a misura d'uomo: purtroppo questo richiederebbe di cancellare, non solo sulla carta, tutti gli errori fatti negli anni del "cemento facile", tipico delle passate amministrazioni locali.Una così bella Città, meriterebbe un piano di rivisitazione generale che preveda, dal generale al particolare, innazitutto la soluzione delle problemtiche afferenti, appunto, la viabilità e, contestualmente, il recupero del centro storico (che stiamo perdendo inesorabilmente) e le periferie. Un piano di investimenti da attuarsi nel medio-lungo termine, che contribuirebbe, oltretutto, a ridare fiato ad un'economia già anemizzata dal sistema delle tangenti sugli appalti, insieme all'assenza quasi totale di piani di sviluppo per le iniziative imprenditoriali, legate ad esempio alla valorizzazione/sfruttamento del turismo. Insomma, Palermo vive suo malgrado gli stessi problemi annosi di tanti altri capoluoghi, non solo meridionali, che smettono di credere in se stessi e nelle capacità imprenditoriali di molti, tanti, che vorrebbero creare e costruire "opportunità" di crescita e sviluppo. Questo, ovviamente, succede in assenza della politica, nazionale e locale, che sperprera non solo il denaro nazionale, ma lascia che vadano perse anche le occasioni di investimento attraverso i programmi europei. Anche quest'anno, in ragione di una burocrazia ottusa, elefantiaca e priva di idee, abbiamo rinunciato, come sitema/Paese, a sfruttare molti miliardi di euro previsti in bilancio dalla Commissione europea e destinati al'Italia. Il Presidente RENZI, in occasione del discorso fatto a Strasburgo per l'inaugurazione del "semestre italiano", ha parlato della cultura italiana e di quella greca, che hanno fondato e dato vita all'Europa, così come la vediamo oggi; ha fatto riferimento infatti all'importanza di dare ai giovani le opportunità di crescita e di lavoro; ha parlato della "Generazione Telemaco", volendo con ciò far riferimento ai nostri figli, che devono ereditare (così come fu per Telemaco, figlio di Ulisse) le redini del nostro Paese, insieme a quelle dell'Europa, che non potrà crescere e svilupparsi senza il lavoro e gli investimenti nella ricerca. Appunto, lo sviluppo, gli investimenti e la ricerca, non la politica dei bilanci asettici che non tengono conto del benessere dei cittadini. Per concludere, ripartiamo dai qurtieri delle nostre città, per chiedere ai responsabili della politica, locale/nazionale ed europea, di mettere al primo posto l'uomo e non i capitoli di bilancio economico, poichè il denaro pubblico deve servire per restituire dignità all'umanità.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Lo Smartphone e la socializzazione
« il: Luglio 10, 2014, 11:59:32 »
Qualche ora in spiaggia o una scogliera (una qualsiasi, di qualunque località, nazionale e non) e ci s imbatte, oltre che nelle bellezze paesaggistiche del luogo tanto anelato, negli utenti che fanno cornice, unitamente agli immancabili smartphone. Ora, è bene chiarirlo subito, non sono contrario alla modernità ed alle applicazioni o apparecchiature che ci propone! Ci mancherebbe! Passerei per un pazzo, un idiota, un anticonformista (di quelli oramai obsoleti che la cultura dei c.d. dei "figli dei fiori" ci rammenta) un disadattato e via elencando: insomma, uno che non vive in questo mondo. Invece, altroché se non vivo in questo mondo: anzi vorrei poterlo vivere potendone godere ogni singolo momento che mi è consentito di stare su qyesta Terra! Ed é proprio questo il punto! Quante volte vi è capitato (ed è certamente successo!) di condividere un pezzo di spiaggia, un angolo di scogliera, o in qualche sperduto chalet di montagna, adibito a B&B, di dover sopportare il vicino che ti inquina l'esistenza con la sua presunta necessità di "restar connesso" con il resto del mondo, parlando, quasi sempre, a voce alta all'apparecchio (come se l'alzare il volume della voce aumentasse la capacità di rice/trasmissione!) ed imponendo in questo modo a tutti i presenti le questioni inerenti la sua vita con annesse (fastidiose) problematiche, che con tanta fatica hai cercato di lasciare a casa)?! Come se non bastasse, quella che io amo definire la generazione "Smartphone", diversamente dal Presidente Renzi che la chiama invece "Generazione Telemaco" attribuendole un valore storico/culturale, oltre che di valenza politica (riferendosi a Telemaco, notoriamente futuro erede del padre Ulisse, non solo nell'ereditare il fardello del potere politico sui suoi concittadini, ma anche nell'essere l'erede di cotanto casato), soffre a mio modesto parere di un male (certamente non di natura fisica o comunque legata alla salute fisica corporale) "concettuale": quello dell'esigenza (assoluta) di dover comunque e sempre restar connessa con il mondo circostante, ovvero con la "tribù". Esattamente come (instancabilmente) ci rammenta certa pubblicità, televisiva e non, che da alcuni anni ha contribuito a far nascere nelle menti dei nostri cari giovani, ovviamente per ragioni strettamente collegate al mercato e alle sue esigenze, i quali non possono che adattarsi "alla bisogna" o, in alternativa, rischiare di essere considerati, appunto, "fuori dal mondo". Il loro mondo, certamente, poichè è normalmente già così complicato comunicare con loro, figuriamoci poi se sono impegnati in qualche conversazione/chat, singola o di gruppo: le speranze si riducono drasticamente se cercherete un dialogo costruito su di un tema che preveda: oggetto, sviluppo, riflessione e conclusione!! Anch'io, come padre, ci ho provato e, come i più, sono stato bellamente rispedito nel "mio mondo", quello della conversazione, della riflessione e, perchè no, della scrittura. La "situazione" però che più mi turba e mi intristisce (per loro, più che per me) è vederli seduti ad un tavolo (normalmente in pizzeria e posti simili) tutti presi con i loro smartphone a chattare con qualcuno in qualche posto, chissà dove, non intavolando, però, qualsivoglia conversazione con i presenti...che tristezza! Stiamo "navigando" beatamente tutti insieme verso una società super informata, aggiornata, informatizzata, connessa e chi più ne ha più ne metta (anzi connetta!!), tuttavia, nonostante gli innegabili vantaggi che  questi strumenti possono garantire a chiunque, rimango fermo nell'opinione che l'uomo e non la macchina è soggetto o protagonista delle scelte! Nell'antica Roma, si sarebbe detto "Cum grano salis", da usare con sapienza, intendo così come ogni cosa, ogni strumento deve essere usato. Forse, i nostri antenati, nonostante gli scarsi mezzi, sapevano guardare molto lontano: ai nostri figli (ma anche a molti padri) oggi serve l'Applicativo Google Maps! Auguri.

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E' uno strano il Paese, il nostro. Dove la politica, talvolta sostenuta da alcuni sindacati (per fortuna non tutti!) riesce a parlare di crescita dell'economia. Una crescita che, secondo le stime prudenziali dei bene informati, non sarà superiore, per la seconda parte dell'anno in corso e, se le cose non dovessero cambiare, anche per il primo semestre 2015, sostanzialmente dello 0,5 - 0,6%!! Mentre il resto dell'Eurozona "viaggia" tranquillamente su cifre che raddoppiano rispetto alle performance italiche. E, si badi bene, sono diventati virtuosi persino i cugini greci, portoghesi e irlandesi, che riusciranno a realizzare un meitato 1,6 - 1,8%. Eppure, le c.d. "cure" riguardanti il rapporto debito/PIL sono state applicate dappertutto, Italia compresa. Tuttavia, non occorrono le agenzie di rating per capire che la cura non funziona, che l'economia è con il fiato corto, che gli imprenditori trasferiscono altrove le loro fabbriche, insieme ai capitali, che non tornano. Insomma, occorre prendere atto che o siamo diventati, improvvisamente, una nazione di incapaci: di produrre, di ideare e di tutto ciò che ha reso l'Italia nel mondo un modello da imitare, Oppure (e la cosa purtroppo è assai più certa!) il sistema - paese è arrivato al "capolinea", intendendosi con ciò che la politica, il governo e l'amministrazione pubblica come minimo vivono su un'altro pianeta. Il distacco, il divario s'è fatto, disgraziatamente, così ampio che si legifera (ad esempio) senza veramente conoscere le problematiche che vorrebbero disciplinare. Non esiste, ancora, una giustizia amministrativa (cosa veramente) in grado di assicurare l'applicazione corretta dei contratti, intervenendo in tempi ragionevoli per applicare le sanzioni, laddove serva, restituendo a cittadini e imprese la "Certezza del Diritto". Se fossi, quindi, un imprenditore straniero, con molto denaro disponibile per investimenti, di certo, oggi non verrei a "rischiare" i miei capitali in una Nazione nella quale non v'è Giustizia amministrativa, figuriamoci poi quella penale! Da qui, la riflessione, se non altro per ragioni legate alle scadenze elettorali, si sposta alle oramai imminenti elezioni europee: ma quanti ne comprendono a fondo l'importanza, a cominciare dagli esponenti politici nazionali? E, ancora, siamo sicuri che i pretendenti allo scranno di commissario presso il Parlamento di Bruxelles conoscano il funzionamento del Parlamento, del Consiglio e della Commissione, che lo compongono?! Se così fosse, forse tra i candidati da presentare, al di là dei tatticismi di partito, si andrebbero a cercare coloro i quali hanno una certa conoscenza e, talvolta, esperienza del funzionamento della "Macchina" europea, oltre a conoscere la materia della quale dovrebbero decidere e amministrare. Giova, tuttavia, rammentare che dal 1° luglio al 31 dicembre di quest'anno, l'Italia assumerà la Presidenza della Commissione europea, composta dai 28 rappresentanti, uno per ciascuno dei Paesi membri. Una eccezionale possibilità di "indirizzare" la politica dell'Unione verso le esigenze, non più rinviabili, di una politica più attenta alle esigenze dei suoi cittadini, piuttosto che quelli di bilancio o, peggio, dei sistemi bancari, da qualche anno in affanno in relazione a politiche programmatiche e scelte finanziarie spesso "a rischio" o quanto meno discutibili. La Politica, scrivendolo con la lettera maiuscola, e i suoi adepti é avvisata. I venti "separatisti" come di estrema destra (dalla Francia a lla stessa Germania) sono tutti lì a ricordarci quanto sia fragile questa pretesa "Unione europea", questa creatura che cerca di sopravvivere, senza una conclamata struttura unitaria, dall'amministrazione centrale, ad un esercito, un corpo di polizia e un suo presidente, che la dovrebbero rappresentare. Insomma, gli Stati Uniti d'Europa non esistono ancora e continueranno a non esistere se i 28 Commissari europei, continueranno a parlare lingue diverse, e non solo per ragioni culturali, pervicacemente incollati agli interessi di parte da loro tutelati e rappresentati. Già oggi, è cosa oramai nota, è in discussione la stessa sopravvivenza dell'Euro, non solo perchè non compresa e subita dai più, ma soprattutto perchè non ha saputo realizzare quel benessere economico che legittimamente ogni cittadino dell'Unione si sarebbe atteso, all'indomani della sua entrata in vigore. Concludo, con l'auspicio che le prossime elezioni del Parlamento di Bruxelles sia un'occasione, per tutti, di rinnovamento e di pulizia. Diversamente, all'orizzonte i movimenti "antagonisti" e separatisti prenderanno il sopravvento e realizzeranno la frammentazione dell'Europa, quella stessa che con grande fatica è nata dalle ceneri della 1^ e 2^ Guerra mondiale. Il tutto poi precipitò, lo ricorderanno tutti coloro che hanno prestato un minimo di attenzione alla storia del vecchio continente, a cominciare dai fatti accaduti in Germania dal 1933: la nascita del partito delle Camice brune. La Storia, la nostra storia è madre dell'esperienza, dalla quale trarre insegnamento.

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Ciascuno ne tragga le ovvie conseguenze. Il taglio riguarderà 267 Presidi di Polizia e 300 strutture dell’Arma dei Carabinieri. Ancora, il governo Renzi sta pensando al blocco del turn-over sino al 2018, che tradotto in numeri significa la mancata assunzione di circa 50 mila unità per la Polizia di Stato e Carabinieri. Questo, senza contare la riduzione delle Stazioni carabinieri, oggi presenti su tutto il territorio nazionale (sono 4.632), per mancanza di personale dei vari ruoli (marescialli, brigadieri, appuntati e carabinieri). Probabilmente la "sicurezza" non è più (o non é mai stata) una priorità dei governi, se si considerano le criticità assai numerose che si evidenziano il lavoro diuturno degli operatori di polizia (a tutti i livelli), costretti a barcamenarsi per offrire comunque ai cittadini un servizio efficace, ancorché minimale. Tutto questo è destinato viepiù a peggiorare. Non é detto che il c.d. accorpamento delle FF.PP. (nazionali e locali) possa essere la giusta riposta per la soluzione dell'annoso problema relativo al taglio della spesa pubblica, anche in questo comparto. A mio avviso, occorreranno razionalizzazione delle forze disponibili, oculata destinazione dei fondi a disposizione, alleggerimento dell'attività burocratica che investe quotidianamente gli uffici, ed i reparti normalmente destinati all'attività operativa. Tanto per esser chiari: la magistratura invade di atti e attività c.d. delegate i reparti appartenenti alle diverse FF.PP., con aggravio delle procedure, dispersione delle risorse umane e materiali, talvolta per produrre atti inutili o ridondanti. Il Commisario COTTICELLI, bene si sarebbe regolato, a parere di chi scrive, se avesse puntato la sua attenzione verso la riduzione dell'attività burocratica dell'intera macchina statale, che rallenta e talvolta impedisce al sistema-paese di progredire, quando non semplicemente di amministrare quel tanto che basterebbe alla nazione per organizzarsi, lavorare e produrre: ricchezza, PIL e non solo carte su carte. Si consideri, ancora, che a causa delle inefficienze dei vari ministeri (quando non dello stesso governo) fondi destinati dalla UE per l'Italia non vengono spesi, poiché non giungono in tempo i progetti per la loro realizzazione. Anche questo è uno di quegli aspetti sul quale riflettere, sempre a proposito di revisione della spesa pubblica. Tuttavia, la storia continua e pare che non si impari nulla dal passato e, ancor meno, dai fatti che riguardano il presente o, peggio, dai numerosi segnali che arrivano anche dall’estero, in particolare dai 28 Paesi che compongono l’Ue. La grave crisi economica che ci ha investito sin dal 2008 e che non sembra voler passare né risolversi, nonostante le politiche di bilancio della Commissione europea, volte al contenimento della spesa pubblica sotto il 3% rispetto al Pil di ciascuna nazione, sta procurando notevoli grattacapi ai responsabili dei ministeri degli interni e dei responsabili ai massimi livelli dei corpi di polizia, in tutta l’area europea. I gravi fatti che hanno riguardato la Grecia, lo scorso anno, i movimenti di piazza in Francia, come nella vicina Spagna, i malumori che si avvertono in Portogallo come nella “ricca” Germania, stanno tutti lì ad indicare ai singoli governi che nel breve futuro, se la situazione economico-finanziaria dovesse peggiorare, ciascun Paese dovrà poter fare affidamento sulle proprie FF.PP., non solo per assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica, ma evidentemente per essere in grado di proteggere i cittadini da quel fenomeno c.d. della “piccola delinquenza” (scippi, furti nelle abitazioni) che danno la sensazione che la qualità della vita stia peggiorando. Per tornare al filone principale dell’argomento trattato, non si può pensare né tantomeno sperare di risolvere i problemi di bilancio (specie se finalizzati alla riduzione della spesa pubblica) puntando sulle “anemizzazioni” delle risorse messe in campo per gli operatori di polizia, impegnati sul territorio a fronteggiare una delinquenza sempre più agguerrita e spavalda, poiché consapevole di avere di fronte operatori di polizia sfiancati dalle annose problematiche che riguardano il loro settore (a cominciare dagli stipendi che non vengono aggiornati dal 2008 e che rimarranno bloccati sino al 2020, stando alle dichiarazioni fatte nel corso degli incontri avvenuti di recente tra i ministri competenti e le varie rappresentanze sindacali).

Tuttavia, il percorso indicato dal Commissario COTTARELLI propone alcuni elementi sui quali è opportuno ragionare, magari intorno ad un “tavolo tecnico”, al fine di individuare tutti gli elementi che costituiscono l’organizzazione amministrativa e quella operativa, laddove possono essere razionalizzate, per la realizzazione di un piano volto a risparmiare il più possibile, senza per questo creare nocumento all’attività operativa. Per questa ragione, si è tutti d’accordo quando si parla di accorpamento delle Centrali operative, specie quando presenti nei grandi centri urbani. Il che significa che, ad esempio, a Roma come a Milano o Torino, a Palermo come a Napoli o Bari, sono presenti ed operanti contemporaneamente le centrali della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e del locale Corpo di Polizia municipale: evidentemente con grave spreco di risorse umane e mezzi che, nel migliore dei casi, si sovrappongono nel controllo delle aree da controllare. La stessa cosa accade per il pattugliamento delle coste e dei laghi: imbarcazioni dei vari corpi di polizia (compresa ovviamente la Capitaneria di porto con i mezzi della Guardia costiera) che per corrono avanti e indietro lungo le coste dei nostri litorali. La situazione, ovviamente, non cambia se si parla del controllo dei cieli: elicotteri della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza (qualche volta anche del Corpo Forestale e così via elencando).

Qualcosa tuttavia si è mosso a livello comunitario e cioè la previsione del numero unico operativo il “112”. Un numero attraverso il quale, in qualunque dei Paesi che compongono l’Ue, i cittadini potranno comporlo per chiedere ogni tipo di assistenza. La sua istituzione, che è già operativa su quasi tutto il territorio nazionale, prelude all’accorpamento delle centrali operative. Un buon inizio, dunque che fa ben sperare. Comunque occorre non abbassare la guardia, poiché la politica, che spesso, purtroppo, decide senza conoscere a fondo le problematiche che vorrebbe gestire, potrebbe essere tentata a percorrere la facile via che porta anche all’unificazione di tutti i corpi di polizia, storicamente presenti e che fanno parte indiscutibilmente della storia d’Italia. Se ciò dovesse accadere, si sacrificherebbero sull’altare di una pretesa politica di contenimento del bilancio statale, le singole peculiarità e professionalità che contraddistinguono gli uomini e le donne che fanno parte delle FF.PP. nazionali e locali. Per questa ragione, solo poche settimane or sono il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Gen.C.d’A. Leonardo GALLITELLI, ha alzato la voce per difendere le oltre quattromila Stazioni carabinieri che a suo dire sono “un presidio che non appartiene all’Arma, ma agli italiani”. Anche su questo la politica in generale ed il governo in particolare, dovranno fermarsi per fare le opportune valutazioni e riflettere, ora e per il futuro prossimo, su quale destinazione si deve dare alle FF.PP., ai suoi operatori.  Ma soprattutto, quale livello di sicurezza garantire ai cittadini dell’Europa nel suo insieme.

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Perché ogni volta che c’è una crisi economica in Europa, si pensa che per risolverla è meglio dividersi piuttosto che mantenere l’unione dei Paesi che ne fanno parte?

Come mai in Italia si condivide lo stesso modo di pensare, da quando la crisi economica sta depauperando non solo i risparmi delle famiglie, ma anche le risorse delle imprese (grandi e piccole), posto che il sistema bancario nazionale, in  linea con le tendenze dei colossi bancari europei, ha smesso di concedere il credito, insomma a ha cessato di fare il suo lavoro: prestare denaro a chi ne ha bisogno, a fronte di un interesse ragionevole e accettando di partecipare al rischio di impresa.

Insomma, in tempo di crisi (vera e senza apparente via di sbocco in tempi ragionevoli) prima ancora di auspicare la salvezza dell’unione della Comunità europea o di quella nazionale, si è più propensi ad andare nella direzione della frammentazione.

Queste sono state le riflessioni che mi sono venute in mente poche sere fa, mentre seguendo uno dei tanti Tg serali la mia attenzione si soffermava su di uno special dedicato agli arresti effettuati dai carabinieri del Ros nei confronti di “presunti terroristi del nord-est”, bloccati prima che potessero porre in essere atti idonei a destabilizzare l’ordine e la pubblica sicurezza. In particolare, rimanevo interdetto nell’ascoltare un veneto pronunciare queste parole: “Noi non siamo italiani, siamo veneti e non vogliamo essere considerati italiani…siamo veneti!!”

La storia dell’Europa, del resto, ci insegna che lo spirito dei popoli che la compongono anche nel passato difficilmente hanno saputo coesistere sotto un’unica bandiera.

Sin dalla caduta dell’Impero romano d’occidente (476 d.c.) sotto la spinta delle invasioni barbariche provenienti da oriente, l’Europa nei secoli successivi ha conosciuto un lunghissimo e sanguinoso periodo di divisioni e lotte tra i popoli confinanti tra loro. La politica, le religioni e le stesse culture stavano lì tutte per dividere, piuttosto che unire. Tedeschi, francesi, austriaci, spagnoli e inglesi hanno provato più volte ad unire sotto un unico vessillo le terre che furono proprie dell’impero romano, ma senza mai riuscirvi. Anche le religioni non state d’aiuto: Ebrei, Cristiani, Musulmani e Protestanti hanno lottato tra loro, piuttosto che indirizzare la coscienza dei popoli verso una pace duratura, capace di elevare il livello di civilizzazione dei popoli. Persino il protestantesimo del nord Europa, da Calvino alla nascita della Chiesa anglicana, sono stati causa di aspre battaglie politiche, sfociate quasi sempre in dolorose e sanguinose guerre fratricide.

Ora, mi chiedo: i popoli europei hanno mai avuto il desiderio di unirsi? C’è mai stato il sogno di un’Europa unita?

Gli europei, a differenza del popolo nord americano che inseguiva il “mito dell’ovest”, non hanno mai sentito profondamente l’esigenza di trovare le ragioni della sua unità, posto che, come indicato precedentemente, dalla politica, alla cultura e, persino, le religioni non aiutavano di certo in questo senso.

Per venire al Bel Paese, che ovviamente non si differenzia dall’aria che si respira nel resto dell’Ue, sta riscoprendo, in tempi di disagio economico, la sua tendenza a frammentarsi politicamente, tendendo ad una politica che spinge verso la scissione di alcune regioni del nord (dell’est come dell’ovest) dal resto d’Italia.

Del resto, pensare che le cose potessero andare in maniera diversa, nel senso di una maggiore aspirazione a conseguire un maggiore spirito nazionalistico, è francamente poco realistico, tenuto conto del nostro passato politico e culturale. A cominciare dalla unificazione dello “Stivale”,  avvenuto in maniera rocambolesca e fortunosa, nel senso che il Buon Garibaldi, oggi da tutti (o quasi) considerato come l’Eroe nazionale per antonomasia (quando non dei “Due Mondi”), all’epoca era stato giudicato poco più che un terrorista o un bandito da tenere sotto controllo. Per proseguire nell’excursus storico, si arriva al periodo post fascista, quando durante i lavori parlamentari per la formulazione della nascente Legge Costituzionale, alcuni movimenti separatisti, questa volta meridionali, aspiravano a separare la Sicilia e la Sardegna per unire il destino di quei popoli agli Stati Uniti, piuttosto che al resto delle nazioni  europee, in quel tempo in fase di rinascita, successivamente alle devastazioni del secondo conflitto mondiale.

Non ci si deve stupire, quindi, se nel presente dell’Europa dei 28 Paesi, della moneta unica e del progetto per la costituzione di un esercito europeo, di fronte ai problemi incalzanti riguardanti le difficoltà economiche e finanziarie, i cittadini tendano a scappare, più che a rimanere.

L’Europa è percepita più come un soggetto politico asservito alla volontà ed alle esigenze delle banche, piuttosto che a quelle dei suoi cittadini.

La politica nazionale, così come quella della Commissione europea, dovrebbe porre molta più attenzione verso i movimenti separatisti, di destra e orientati verso governi cosiddetti forti e autoritari, che si stanno moltiplicando un po’ in tutti i Paesi dell’unione. Il ritorno a sentimenti, oltreché separatisti, verso lo spirito xenofobo ovvero di chiusura nei confronti di altre culture, religioni e razze, rischia di proiettare la nostra civiltà indietro nel tempo della storia del “Vecchio Continente”.

Per concludere, l’attuale momento è decisivo per il futuro dei popoli europei, poiché è nelle loro mani il destino dell’attuale compagine politico-amministrativa. La politica, nazionale ed europea, dovrà fare uno sforzo maggiore per recuperare il terreno perso sino ad oggi, conquistato da coloro i quali auspicano un ritorno alla frammentazione,  in definitiva al ritorno ai singoli stati, arroccati nel loro particolarismo, che sino a ieri sarebbe apparso anacronistico e contro ogni forma di evoluzione storico-culturale.

Non v’è dubbio, a parere di chi scrive, che una maggiore democrazia del governo europeo, passa anche attraverso la legiferazione di leggi e regolamenti volti a limitare i danni che possano provenire dagli errori provocati dalle cattive, quando non azzardate, decisioni dei banchieri (con riferimento alla crisi economica del sistema bancario americano, che come in un effetto domino, ha determinato il default di tutte le banche americane e, successivamente, di quelle europee, con grave ripercussione sull’equilibrio dei bilanci degli stati europei). Non è più pensabile che gli errori dei consigli d’amministrazione, vengano pagati attraverso le tasse applicate ai cittadini.  Questa politica, che sino ad oggi ha subito i diktat delle banche, organizzate in veri e propri sistemi determinati ad assoggettare le politiche di bilancio dei singoli paesi dell’Ue, ha avuto come diretto riscontro l’avversione dei cittadini verso la moneta unitaria (l’Euro) e tutto ciò che ha comportato sino ad ora il suo corso, in ambito nazionale e internazionale.

I sacrifici richiesti ai cittadini, a fronte di una politica sempre più restrittiva in ordine all’esigenza degli equilibri di bilancio nei confronti del debito nazionale, non hanno dato i risultati auspicati, nella maggior parte dei casi, posto che quasi tutti i Paesi dell’area mediterranea hanno subito negli ultimi anni processi di recessione, se non di deflazione economica.

E’ pur vero che non si deve per forza identificare il Governo europeo, quindi la sua unione politica, con l’Euro. Ne sono da esempio l’Inghilterra  e la Danimarca, che coesistono tranquillamente nell’Ue, senza per questo aver accettato la sostituzione delle loro divise storiche.

Tuttavia, i segnali sin qui descritti stanno tutti ad indicare l’affaticamento dell’Ue nel proseguire lungo il cammino tratteggiato sin dalla fine della 2^ Guerra mondiale, quando i popoli del vecchio continente, vincitori e vinti, si riunirono per discutere del loro futuro. Per parlare di pace e di civiltà, coniugate ad una nuova politica che, in prospettiva, potesse allontanarsi per sempre da quei particolarismi che avevano diviso, sino a quel momento, i popoli dell’Europa.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Il cammino della speranza
« il: Aprile 13, 2014, 20:03:32 »
Guardo la tua mano, mentre posa quel fiore bianco. Guardo l'espressione del tuo viso, mentre osservi il verde e i fiori che ti circondano, in quel luogo silenzioso e foriero di pace. Io, da qui, non posso parlarti per rassicurarti, altrimenti ti direi di un universo armonioso, sicuro e pieno di luce. Una luce diversa da quella che tutti conoscono, quella del mondo che anch'io abitai. Non temere, siamo destinati a transitare per questo mondo; siamo destinati a transitare per molte altre vite ed esistenze. Questo è il mistero della vita, di cui ti parlerei se potessi. Se potessi parlarti, se potessi toccarti, se potessi abbracciarti ancora una volta...se potessi. Ma ora, che non sono più, posso tuttavia starti vicino, certamente non come prima ch'io lasciassi questa dimensione, ma pur tuttavia attenderò il momento, il momento del transito. Allora sarò lì ad attenderti per accompagnarti e rassicurarti durante il breve cammino che ci condurrà, insieme, in un'altra dimensione. Questo è il cammino della speranza, che io ho percorso anche per te.

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La bellezza dell'infanzia, lo sguardo di bambino che si perdeva tra mille immagini e sogni. Così rincorrevo con la fantasia quelle nuvole in alto nel cielo di Milano, stropicciate dal vento di primavera che puntuale scendeva dalle Alpi, che fanno da corona alla città da nord. Guardavo in alto in cielo e credevo di inseguire ora un cavallo ora una farfalla poi, all'improvviso, un'altra folata di vento scarmigliava, insieme ai miei capelli color nero corvino, quelle nuvole che, subito, assumevano un'altra essenza. Così Milano alla fine degli anni 60', appariva ai miei occhi di bambino, quegli stessi occhi che non hanno mai smesso di immaginare e sognare, sperando di rivivere, da qualche parte, quello stesso vento che stropicciava le nuvole della mia infanzia.

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Sul tema dei tagli credo si sia tutti d'accordo: è necessario ridurre la spesa pubblica. Fin qui tutto bene, e ci mancherebbe altro! Dobbiamo pur mandare segnali rassicuranti ai commissari dell'UE, circa la nostra risolutezza a mantenere, per l'anno corrente e per il prossimo, il rapporto defecit/Pil stabile tra il 2,6 ed il 3%. Sin qui i bei discorsi o, meglio, i proclami dell'attuale presidente del consiglio, ma anche di quello precedente che, a dire il vero, aveva fatto della stabilità un valore assoluto nella sua azione di governo. Al punto sa essere quasi immobile, nel teatro della politica nazionale. Ma questa è, speriamo, oramai la storia più recente del Bel Paese. Quindi, ora i riflettori si accendono, si fa per dire, sul Commissario Cottarelli, fortemente voluto dal presidente Letta, al quale sono state scaricate le responsabilità circa i tagli ai bilanci dei vari ministeri. Una ricerca minuziosa, fatta con la lente d'ingraddimento, al fine di razionalizzare (quante volte abbiamo sentito pronunciare questo verbo) le risorse umane, materiali e finanziarie. Il duro lavoro di ricerca (come se fosse stato lui per primo a doverlo fare) è cominciato sul finire (mi si perdoni il gioco di parole) dello scorso anno, e così l'imperterrito commissario ha cominciato a spulciare i conti (ma quali?) e a rivedere i piani di investimento, ristrutturazione e di ammodernamento programmati per gli anni finanziari di là da venire (come ad esempio la questione,oramai annosa degli aerei da caccia F35), giungendo alla conclusione che sì è possibile, tagliando qua e là, ridurre la spesa pubblica. E occorreva una commissario straordinario per scoprire ciò che tutti sapevano già? Non era già noto ai revisori dei conti, la reale situazione in cui naviga il nostro Paese? E comunque, nulla è davvero certo, sino a quando l'attuale esecutivo non licenzierà il Def, entro il mese di maggio (cioè in coincidenza delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo). Molto bene: se non fosse che dalle nostre parti, ogni questione (dalla gestione del'immondizia, allo stato della sanità pubblica, dalla scuola al lavoro) tutto viene gestito sempre e comunque in uno stato di "emergenza". Niente o quasi può entrare a far parte della normale gestione della "res pubblica", a cura dei nostri arcipagati (ma non altrettanto capaci) pubblici amministratori. L'attuale piano di revisione della spesa pubblica, presenta alcuni nodi ancora tutti da chiarire (ma l'immarcescibile commissario straordinario ha già rimandato tutto alla promulgazioe del DEF e cioè, dopo l'approvazione del Consiglio dei Ministri) come ad esempio l'annunciata riduzione del pubblico impiego e la riduzione degli operatori delle Forze di polizia e delle Forze Armate. Benissimo, tutto bene potranno essere risparmiati molti soldini, sempre che vengano mantenuti gli attuali parametri di sicurezza (già peraltro assai criticabili) e che si trovi una soluzione per gli impiegati che si vorrebbero "defenestrare" dagli attuali uffici e poi per farne cosa? Mandarli in pensione? Bene, così si aumenta il carico sul già disastrato bilancio dell'INPS! In ogni caso, e ben che vada (ma non lo dice nessuno), a rimetterci saranno sempre i cittadini che vedranno peggiorare la qualità dei servizi resi da parte della pubblica amministrazione (peraltro già nell'occhio del mirino per le sue performance) o, ancora, e qui il tasto è ancora più dolente, per il livello di sicurezza che necessariamente diminuirà, a causa della paventata riduzione degli organici degli operatori di polizia. Al riguardo, è bene ricordare che la riduzione in argomento è già in atto da alcuni anni e ciò ha comportato l'innalzamento dell'età media degli agenti, onde per cui si notano sulle strade agenti che hanno, quando va bene, oltre 45 anni d'età, con tutto quel che ne consegue. Il piano di riduzione prevede un'ulteriore diminuzione di almeno 45.000 unità, sotratte alle tre forze di polizia nazionali e, ovviamente, con procedura a parte anche per quelle locali. Certamente, siamo tutti coscienti del fatto che una revisione organica per quanto attiene il miglior impiego di risorse (umane e non) é diventata una questione non rinviabile, posto che il denaro a disposizione è davvero lesinato. Ma quello che, a parere di molti, francamente preoccupa è il metodo con cui si studieranno le soluzioni per garantire la sicurezza in un Paese, il nostro, che davvero può rinunciare a tutto ma che di sicuro non può permettersi di abbassare la guardia di fronte alla deliquenza, organizzata e non, e al malaffare. Il governo, per finire, fa bene nel ricercare il migliore dei modi per attuare la tanto spesso annunciata riduzione dei costi (anche attraverso i tagli presso la presidenza della repubblica o del consiglio:vds. la questione delle auto "blu") mettendo in conto un "tesoretto" di ben 5 mld. di Euro. Perfetto, purchè questo sacrificio consenta al govrno, in tempi ragionevolmente brevi, il rilancio di un organico piano economico - finanziario per ridare ossigeno alle imprese (soprattutto piccole e medie) che sono l'assatura portante della nostra economia. Tutto questo, dovrà comunque muoversi in un qadro politico che veda, finalmente, al centro l'Italia e la sua economia, non più succube delle politiche in favore dei sistemi bancari europei che hanno imposto negli ultimi anni (almeno dal 2008) le politiche governative in loro soccorso.

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15 minuti per creare / Un incontro...al caffè dell'ateneo.
« il: Marzo 15, 2014, 12:13:03 »
La guardavo mentre prendeva il suo caffè. Era entrata poco prima nel bar e si era seduta, rapida e sicura. Il locale era pieno di giovani che, in attesa che cominciassero le lezioni all'Università, abitualmente sostavano in quel bar, non solo per abitudine, ma più che altro per adempiere ad un rito di gruppo, una necessità di ritrovarsi e per rinnovare i vincoli che li univano. C'era confusione, tanta, eppure il cameriere volava veloce e professionale tra i tavoli: ora prendendo "la comanda" ora servendo i clienti in attesa che venissero esauditi i loro desideri. Un buon caffè, una cioccolata calda, potevano cambiare una mattina cominciata male, quella volta anche per me, che non ero riuscito a sentire mio figlio al cellulare, sempre perso com'è tra mille cose e mille sms. Con gli amici, il suo branco, e la ragazzina, ma mai con papà. Ero solo un poco ansioso, perciò, non geloso della sua vita e dei suoi amici, che inevitabilmente da qualche anno, si erano sostituiti a papà e mamma.
L'avevo già notata, in altre occasioni, sempre elegante e fiera. Ti accorgi subito quando in un locale o per strada ti passa davanti una di quelle donne che vanno fiere per le strade del mondo. Quasi incuranti dell'umanità che passa loro accanto. Di solito, son molto ben vestite e truccate, portano indifferentemente pantaloni o gonne, tanto sono sicure di sè, il loro è uno sguardo che ti sfiora, solo per un momento, quasi una concessione, non un un invito.
Sedette accanto al mio tavolino e, fugacemente, mi colse il suo sguardo mentre incuriosito la osservavo tirar fuori dalla sua borsa tutto il suo universo. Tra i tanti oggetti, che erano lì sparsi sul tavolino, scelse una penna ed una agenda, nè grande nè piccola, tuttavia capace abbastanza per degli appunti o indirizzi da trascrivere sul momento. Curioso pensai, mentre per un senso di imbarazzo mi allontanavo con gli occhi da quel momento che io consideravo di "privacy" necessaria, anche se tutto stava accadendo in uno spazio pubblico. L'agenda e la penna, devo confessarlo, più di ogni altra cosa o situazione mi avevano attratto ed incuriosito, semplicemente perchè certe scene, al giorno d'oggi, sono diventate obsolete, inusuali, poco pratiche: cose d'altri tempi! Eppure, stava accadendo, proprio dinanzi ai miei occhi, lei stava scrivendo, apparentemente a caso, su di un foglio di quella agenda con mano veloce e sicura...così com'era sempre stata, e non solo in quella particolare circostanza. Altre volte l'avevo incontrata in quel bar, c'erano stati sguardi, gesti di gentilezza reciproca, come cedere il passo o porgere un oggetto caduto...sempre con il massimo garbo e discrezione, senza mai insistere a lungo con lo sguardo...mai. Lei non era molto più giovane di me, eppure era ancora molto bella e, soprattutto affascinante, e non solo per come si muoveva o si vestiva, o per il profumo che la caratterizzava, poichè non era comune e tuttavia conosciuto, come se dalla sua persona ci si potesse aspettare solo quel tipo e non altri: qualcosa che ti ricordava il mare e i suoi sentori, una freschezza quasi da brezza marina, un'anticipazione dell'estate con la sua luce ed il suo calore. La meraviglia di una ritrovata giovinezza, fisica e mentale. Tutto questo era lei, o meglio, la personalità che da lei traspariva. Una lunga teoria di persone, in quel momento stava attraversando la strada che da lì conduce all'università, quel luogo che mi aveva visto per ben vent'anni, insegnare ai miei allievi, ora grandi e  ben avviati per le strade del mondo. Io guardai per un solo istante quelle persone che compostamente si avviavano alla grande scalinata che conduce all'interno dell'ateneo, mentre immaginavo ciò che di li a poco anch'io avrei fatto, esattamente come ogni giorno, da sempre, da vent'anni a questa parte. Ma quella mattina stava accadendo qualcosa di diverso, qualcosa che non avrei potuto prevedere, forse sognare o sperare. Lei alzò lo sguardo mentre il cameriere le stava servendo un caffè con un cioccolatino, prese il suo caffè e gusto il cioccolatino, un gianduiotto torinese, poi con mosse sapienti e ben studiate piegò un foglietto. Quello stesso foglietto che aveva staccato dall'agenda per trascrivere qualcosa. Si volse verso di me, mi guardò dritto negli occhi e sorridendo me lo porse:"E' per te. E' il mio numero, fanne buon uso. Oggi è il mio compleanno e sono sola con i miei pensieri, le mie ansie e le mie paure. In questi mesi, ho avuto modo di osservare i tuoi modi garbati e premurosi, verso di me, seppure non mi conoscessi ancora. Sono sicura che da qui potrà iniziare qualcosa di bello per entrambi, qualcosa che desideriamo". Allora capii che, da quella mattina, da quel momento per me molte cose della mia vita, a cominciare dalle vecchie e stanche abitudini, sarebbero cambiate, forse per sempre. Non dissi nulla, non ce n'era bisogno poichè i miei occhi parlavano per me. Le porsi un braccio, l'aiutai ad alzarsi ed insieme ci incamminammo verso la strada e la scalinata dell'ateneo, dove entrambi lavoravamo da più di vent'anni. Quella era diventata per noi la strada della vita.

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QUalche volta, ripensando alla mia infanzia, mi tornano in mente immagini di me bambino mentre tornando da scuola, a piedi percorro una strada che costeggia un campo, molto grande, coltivato a grano e, quando si avvicinava l'estate, spuntavano i papaveri rossi che lo punteggiavano di quel colore rosso vivo, che é proprio dei papaveri rossi. Così trascorreva, serena, la mia infanzia nella "Bassa Padana" sul finire degli anni 60'. Sono immagini, quasi fotografie della mente, di un tempo e di quei luoghi che, anche volendo ritrovarli per riviverli in qualche modo, oggi non ritroverei più. Questo pensiero ho voluto condividere, soprattutto per coloro che abitano oggi i paesi della "Bassa Padana" e che forse possono comprendere il sentimento di nostalgia che mi prende, alle volte, quando mi ritrovo, seppur rapito ed incantato, a guardare il mare e il suo immenso ed interminabile movimento...Mi chiedo, se i giovani hanno mai avuto riflessioni simili, presi come sono ad incorniciare la loro vita dai messaggi che viaggiano veloci ed inconsistenti attraverso i vari blog e social network, vivi, ma solo nella realtà virtuale...privi tuttavia di suoni e odori e di tutto ciò che la terra, come il mare possono donare ancora oggi, a coloro che sanno (e vogliono) fermarsi e spegnere tutto. Per uno sguardo che si perde, errante là dove l'orizzonte finisce e comincia la fantasia.

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Sono trascorse, velocemente o lentamente, a seconda di come si vivono i riti obbligati ai quali la società ci obbliga e ci vede, comunque, partecipi e alla fine di tutto il bailamme di luci, colori, vetrine addobbate, cenoni e pranzi che si rincorrono (una gara, quasi, a chi più prepara e mangia) come se non ci fosse più tempo, dopo, per ritrovarsi. Un affannarsi in appuntamenti in orari e spazi ritagliati, quasi strappando (il tempo) a se stessi oltre che agli altri, perché é il tempo dei festeggiamenti e a questi non ci si può sottrarre, se no che festa è? Ma tutto questo ha poi un senso? E cosa ci dovrebbe portare, se non all'affannosa ricerca della felicità che ci aspettiamo dai festeggiamenti, che se non si realizzano nella maniera tanto attesa ci lasciano delusi, scontenti e senza energie (poichè molta la si é spesa, appunto, per festeggiare). Concentriamo, dico io, molte o forse troppe aspettative in alcuni momenti topici dell'anno, non considerando, invece, che questi (momenti) potrebbero essere ricercati (da soli o con altri) durante l'anno, come e quando più si desidera ( o se ne avverte il bisogno). La corsa agli acquisti, coniugata all'esigenza del regalo fatto, quasi sempre, perchè si usa e si deve fare,, svilisce il valore dell'atto stesso, nel momento in cui lo pensiamo (non spontaneamente) e lo realizziamo (con fatica e affanno, il più delle volte). Ci stringiamo intorno a noi stessi e, quando va bene, accogliamo qualche raro sporadico amico all'interno della "tribù", alla quale sappiamo di appartenere, non sempre per scelta, quasi sempre per comodità e abitudine. Ci auguriamo, alla fine dell'anno, le migliori cose e fortune e, all'indomani, torniamo ad essere quello che tutti noi sappiamo essere il vero volto della società che ci siamo dati: un'orda di soggetti, pronti a scannarsi per un "vantaggio" o un "posto al sole" e, comunque, per il proprio tornaconto. Le cronache quotidiane, del resto, testimoniano la crudezza e la poca umanità del nostro vivere quotidiano. Auguriamoci un cambiamento, una evoluzione del pensiero umano e maggiore disponibilità verso il prossimo (non solo verso gli amici e conoscenti), consapevoli che attraverso la crescita dello spirito degli uomini (quello che ci distinguerebbe dagli animali), in senso laico o religioso, contribuirà a rendere la vita su questa Terra accettabile e piena di risorse, per tutti naturalmente. Buon Anno, a tutti.

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Politica / Le quattro giornate di Genova: alla fine pace fu.
« il: Novembre 23, 2013, 11:50:39 »
E il quinto giorno fu la pace. Dopo un’intera notte, trascorsa a ragionare di soldi (come recuperare 8 mln di euro), di piani per ricapitalizzare l’AMT di Genova, o come far fronte alle difficoltà dell’Azienda che deve, in qualche modo, salvare capra e cavoli e cioè assicurare alle banche il rientro nei parametri di bilancio, senza poter contare sui finanziamenti statali e, d’altro canto, come salvaguardare le legittime richieste dei dipendenti, i quali non vogliono saperne di sacrifici (ulteriori).
Genova, che storicamente vive le battaglie della classe operaia del triangolo industriale del nord-ovest. Genova, che nella tradizione dei lavoratori del porto, i “Camalli” (un tempo gli scaricatori di porto), ha una cultura sindacale tra le più vive e combattive del nostro Paese. Genova, che nel luglio del 2001 si è prestata ad ospitare il “G8”, riportandone ferite importanti, ancora oggi ben presenti nei ricordi dei suoi cittadini. Genova, candidata a diventare il porto più importante dell’area mediterranea, a detta della politica nostrana, ma con la consapevolezza che ciò non avverrà più, in ragione dei soliti ritardi della politica nel prendere decisioni e avanzare piani programmatici per lo sviluppo del Paese.
Tutto questo è Genova, città dagli antichi sapori marinareschi ma con un occhio sempre attento a tutto ciò che si muove nell’Europa e nella vicina Val Padana.
Questa volta, però, la lotta è stata dura e a pagarne le conseguenze è l’intera cittadinanza, fatta di lavoratori e studenti, cittadini e operai. Per quattro giorni nessun mezzo ha potuto circolare, nessuna fascia protetta è stata rispettata, come vorrebbe la legge. Tant’è che dalla Questura genovese è partita, come atto dovuto, un’informativa diretta alla Procura della Repubblica per “Interruzione di pubblico servizio”, la quale ha già aperto un fascicolo. Insomma qualcuno, comunque, dovrà rispondere per questa forma di “interruzione” che ha piegato il capoluogo ligure per quasi un’intera settimana. I particolari e le ragioni della protesta son ben noti a tutti: l’azienda AMT, deputata a garantire il servizio pubblico del trasporto nella città e nella provincia, stava rischiando la chiusura totale e il licenziamento di alcune migliaia di dipendenti, se non si fossero adottate misure, anche estreme, per pagare gli 8 mln di euro di debiti. Debiti che nessuno voleva pagare: né la Regione, né la Provincia né, tantomeno, il Governo. Quindi, la soluzione proposta dagli amministratori, attraverso i rappresentanti sindacali, era quella di chiedere ulteriori sacrifici ai lavoratori in termini di soldi e ore di lavoro. Da qui la protesta e la decisione di andare avanti ad oltranza. La reazione dei cittadini genovesi è stata ammirevole, poiché si sono stretti ai dipendenti dell’azienda, avendone compreso appieno le ragioni.
Quando, al termine del terzo giorno dello sciopero dei lavoratori dell’AMT, con la città praticamente paralizzata, sono arrivati da Roma alcuni delegati dell’ATAC capitolina (lavoratori del trasporto pubblico di Roma) per testimoniare la loro vicinanza con un invito a spostare lo sciopero nella capitale, qualcuno sia del sindacato come dell’amministrazione comunale ha compreso che, questa volta, la protesta avrebbe avuto uno strascico devastante e, forse, non così vantaggioso per gli amministratori pubblici del capoluogo ligure, come per la politica.
In sostanza, pace fu nella notte tra il quarto e quinto giorno della lotta dei lavoratori dell’AMT, che ora avevano (finalmente) un patto siglato, il quale prevedeva che la Regione Liguria, il Comune di Genova e l’Azienda avrebbero messo in campo tutte le risorse necessarie (inteso anche come politiche programmatiche per il rilancio dell’Azienda) affinché l’AMT di Genova possa continuare a svolgere il proprio servizio.
Tra i vari momenti che devono essere ricordati, oltre a quello appena descritto, segnalo l’intervento del M5S che è sempre rimasto al fianco degli scioperanti, fino alla partecipazione di Beppe Grillo ad uno dei tanti cortei, che si sono svolti nella Città della Lanterna, per richiamare l’attenzione del sindaco Marco Doria. Beppe Grillo, nel rilasciare un suo commento ha affermato: “Sto con i lavoratori hanno ragione a protestare. Il welfare deve essere difeso, il trasporto pubblico deve essere finanziato. Bisogna cambiare la mentalità come fa tutto il mondo disincentivando il trasporto privato a favore del pubblico”. E ancora: “In Italia abbiamo buttato tante occasioni riguardo al trasporto. Siamo stati i primi a produrre auto elettriche, auto ibride e auto a idrogeno. Venivano persino dalla California a vedere le auto prodotte da Ansaldo”. A dirla tutta, Grillo torto non ce l’ha se è vero, come è vero, che ad esempio in Giappone, i cittadini di Tokio possiedono un’automobile a patto che abbiano un posto dove parcheggiarla e, ancora, per un’auto acquistata a Singapore si paga più per la tassa di immatricolazione che per il valore stesso dell’auto. Bisogna, evidentemente, ripensare tutto il sistema dei trasporti, pubblici e privati, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello della sostenibilità ambientale. Questo il pensiero, interpretato nelle poche battute fatte durante il corteo di Genova, del leader del M5S. Tuttavia, Grillo non perde occasione per attaccare la politica italiana e senza far sconti a nessuno, accusa il sindacato di essere “vecchio e superato”, il Premier Letta di “Svendere tutto” e, ancora, anticipando quel che, a suo avviso, sarà la prossima stagione di duro confronto tra i Grillini e i partiti che sostengono il governo, ribadisce la sua volontà di continuare la lotta che “Sarà all’ultimo sangue” e “Si parte da qui e devono seguire tutte le città italiane”.
Il riferimento al piano di stabilità per il 2014 del Primo Ministro, volto ad una  parziale dismissione di alcune tra le società che vedono la partecipazione dello Stato, vendendo parte dell’azionariato il quale servirebbe a finanziare per il 50% la Cassa Depositi e Prestiti e per la restante metà al risanamento del debito pubblico. Il leader dei 5stelle evidentemente non ci sta e Letta è avvertito.
Genova, nel corso della giornata odierna, vedrà tornare alla normalità i trasporti e i suoi cittadini indaffarati come sempre torneranno alla vita di sempre. La sua cittadinanza, anche questa volta, ha saputo sostenere le istanze di chi lavora per una vita dignitosa e per la crescita della società, ed è per queste ragioni che continua a guardare avanti, fiduciosa, consolandosi al ricordo delle mai dimenticate canzoni dei suoi cantautori liguri, da Lauzi a De André, che hanno saputo ben interpretare lo spirito delle genti liguri.
Ancora un a volta i genovesi si affideranno alla luce della sua “Lanterna”, che indica la via del ritorno alle genti di mare.

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Politica / Emergenza Italia: il governo naviga a vista.
« il: Novembre 22, 2013, 18:17:42 »

Ci risiamo: l’Italia vive l’emergenza “alluvione Sardegna”, l’anno scorso era quella della Toscana e della Liguria e così via via che si scorre indietro nel tempo le cronache racconterebbero di medesimi disastri ambientali, accompagnati da perdite umane insieme a paesi e territori che vengono cancellati dalle cartine geografiche. Un Paese, il nostro, che ha fatto dell’emergenza la politica del quotidiano, incapace cioè di programmare interventi non solo riparatori ma anche di ristabilimento degli equilibri ambientali.
Così si scopre che la Regione Sardegna non aveva un piano di coordinamento per far fronte alle emergenze che richiedono l’intervento delle risorse della Protezione civile dislocate nelle diverse province e men che meno erano mai state organizzati i piani per il trasferimento o evacuazione delle popolazioni interessate dal cataclisma.
Ma il Paese, vive nella continua emergenza: nella politica, nella sanità, nella scuola, nei trasporti echi più ne ha più ne metta. Non si capisce perché ogni problematica che riguardi una determinata materia debba essere puntualmente affrontata nell’emergenza, quando invece un Paese industrializzato e moderno, come il nostro, dovrebbe poter programmare le politiche di intervento, avendole previste a suo tempo.
L’Italia è l’ottava potenza mondiale, eppure vive nell’emergenza anche per quanto riguarda la politica: non si può andare al voto per eleggere un nuovo esecutivo, altrimenti correremmo il pericolo di un default politico-economico, di dimensioni tali che si rischierebbe, appunto, il commissariamento da parte della Commissione europea.
Anche i rifiuti, in Italia, vengono gestiti a tutti i livelli amministrativi (comuni, province e regioni) come delle emergenze; laddove potrebbero diventare un’occasione di guadagno, una risorsa, come accade in altri Paesi più virtuosi e lungimiranti. Nelle pieghe dell’emergenza rifiuti, invece, in Italia ha proliferato il malaffare e lo sperpero di denaro pubblico.
A proposito di denaro pubblico: persino i voli aerei, o meglio, la gestione della Compagnia di Bandiera, l’Alitalia, un tempo fiore all’occhiello e ambasciatrice dell’industria italiana nel mondo, oggi sarebbe un miracolo se venisse acquistata da Air France, poiché il suo valore di mercato è sceso praticamente a zero. Anche qui, per insipienza e incapacità programmatica da parte del management che l’ha ridotta a ciò che è oggi: un peso, un fastidio, milioni di Euro di debiti e diverse migliaia di lavoratori da “scaricare” a qualcuno.
Il premier Letta, sempre a proposito di emergenza, ha annunciato che il governo ha varato il “piano stabilità” per l’anno 2014: partono (finalmente) le privatizzazioni che dovranno garantire alle casse dell’Italia risorse aggiuntive tra i 10 e i 12 miliardi di Euro, di cui metà per la riduzione del debito pubblico e metà per la ricapitalizzazione della Cassa Depositi e Prestiti. Tutto qui? Già, non si è saputo (o voluto) fare di meglio, visto che è sicuramente un errore pensare di ridurre il debito pubblico destinando solo una parte di risorse al risanamento, preferendo, invece, ridare ossigeno ad una Cassa Depositi e Prestiti che, nei piani degli attuali occupanti di Palazzo Chigi, dovrà assumersi l’onere (un costo che andrà anche questo sulle spalle della collettività) di sostenere un’operazione definita tecnicamente di “buyback”, che riguarda l’Eni. In pratica, la Cdp acquisterà il 3% di Eni, il che significa in soldoni che ciò che butto via dalla porta principale (la finta privatizzazione di una parte dell’Eni) rientra poi dalla finestra (l’acquisizione da parte di Cdp). Alla faccia della tanto sbandierata politica degli investimenti produttivi e del piano di dismissione del governo, per far cassa. Così non può funzionare: le plusvalenze e ciò che si ricava dalle dismissioni di quella parte di vecchi “carrozzoni governativi” (leggi ex IRI) devono andare interamente alla diminuzione del debito pubblico, oggi oramai attestato a quota 127% rispetto al Pil.
Per questa ragione, tanto per cambiare, Letta ha nominato solo qualche settimana fa, un Commissario “ad hoc” per studiare rimedi volti alla riduzione della spesa pubblica e per il buon funzionamento della macchina statale, considerata lenta, farraginosa e improduttiva. Perché occorreva nominare un Commissario per capire cosa occorrerebbe fare per tagliare la spesa, tenuto conto che nel corso degli ultimi due esecutivi erano già stati individuati, per legge, le soluzioni e nuovi regolamenti interni per dare una “raddrizzata” alla cd macchina statale. Comunque sia, il Commissario Cottarelli, nel corso di una intervista recente ha affermato che ci sono molte, troppe “auto bleu” (ma va?!) e che gli sprechi ci sono e dovranno rientrare, secondo un piano che dovrà riorganizzare l’intero apparato statale, entro due al massimo tre anni, che dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di mobilitare i dipendenti dei ministeri e l’accorpamento di alcune amministrazioni centrali. Tra queste, è allo studio l’ipotesi di unificare le Forze di Polizia, riunendole sotto un unico Ministero ed una Direzione Centrale dei servizi, attraverso la rivisitazione della Legge n.121 del 1981.
Tutto questo dibattito, tuttavia, a ben guardare non si svolge nell’alveo del normale iter legislativo, il quale vedrebbe a confronto maggioranza e opposizione, bensì attraverso un unico Commissario, il quale, invece, dovrà rispondere al Presidente del Consiglio. In regime di emergenza, come sempre.

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L’annuncio un po’ a sorpresa, a detta dei più, è stato dato dal Presidente della Bce Mario Draghi il 7 novembre u.s., durante la consueta conferenza del giovedì: il costo del denaro si abbassa di ben 25 punti base, portando il tasso allo 0,25, nuovo minimo storico.

Il precedente, in ordine di tempo, risaliva al 2 maggio del 2013, quando il tasso di riferimento era stato ridotto allo 0,50, altro record storico per Eurotower. Tradotto in termini comuni, significa che il rifinanziamento delle operazioni marginali scenderà (a decorrere dal 13 novembre prossimo) dall’attuale 1% allo 0,75%, il che consentirà di comprare il denaro ad un costo inferiore di un quarto di punto.

Il Presidente Draghi ha spiegato le ragioni di questa politica portata avanti dalla Bce, nel corso dell’ultimo anno, facendo rilevare che l’abbassamento dei tassi ha come effetto immediato la svalutazione dell’Euro, da una parte, e l’innesco di un fenomeno inflattivo (a basso impatto) dall’altra. Il che ha ben due effetti positivi: l’aumento delle esportazioni ed una velocizzazione della circolazione del danaro nell’Eurozona, che favorirà la ripresa economica nel breve periodo.

Inoltre, il Presidente Draghi ha fatto rilevare che attualmente i cittadini dell’Ue stanno usufruendo di un minore costo dell’energia, che di fatto sta aiutando l’economia generale avviandola nella direzione sperata, quella di una ripresa dei consumi. Il Vero pericolo, tuttavia, a parere degli analisti della Bce, rimane paradossalmente quello della deflazione, ovvero la caduta generalizzata dei prezzi, che avrebbe un effetto devastante sui piani di ripresa della produzione e la crescita degli investimenti, quindi la caduta del Pil in tutta Europa.

Il Presidente Draghi, nel corso del suo intervento, ha anche “bacchettato” i governi dell’Ue stigmatizzando la scarsa, quando non insufficiente, programmazione politica-economica relativa alle riforme strutturali che deve essere, necessariamente, più coraggiosa e, talvolta, radicale se si vuole uscire velocemente dal pantano della crisi generale. I segnali di ripresa ci sono, ma non sono uguali per tutti, con riferimento particolare a quelli con un debito primario ancora troppo elevato, per il quale devono versare annualmente tassi di interesse che vanificano le risorse dell’economia nazionale. Una ragione per la quale, quei Paesi più deboli da questo punto di vista, acquistano il danaro dalla Bce a tassi più elevati (come l’Italia o la Grecia).

Ecco spiegata la ragione per la quale il finanziamento e, quindi, il rilancio economico in Germania costa meno ed più veloce. Tuttavia, si registra, anche per quest’anno, un avanzo primario nell’intera Eurozona, che fa ben sperare in un’azione ben combinata tra “bassa inflazione” e svalutazione dell’euro sotto la soglia del 1,3 contro dollaro.

Il Presidente Enrico Letta, commentando da Dublino l’operazione della Bce, ha detto: “È una grande notizia: una dimostrazione che la Bce ha a cuore la crescita e la competitività in Europa. Una scelta importante e positiva, che ci incoraggia e consentirà di continuare sulla strada della crescita”.

Sin qui tutto bene ma, tuttavia, al momento per coloro che hanno un mutuo a tasso fisso non cambia nulla. Invece, per tutti coloro che ne hanno acceso uno a tasso variabile, possono consolarsi con la diminuzione della rata mensile di 10 o 20 Euro, un risparmio globale di 120 – 240 Euro per il prossimo anno. Non molto, certamente, ma pur sempre un segnale che la politica della Bce, al contrario di quella prodotta dall’immobilismo del nostro premier, comunque realizza qualcosa di positivo.

E’ strano dover constatare che la politica dei 28 Paesi che fanno parte dell’Ue non riesca funzionare in maniera coordinata, produttiva e secondo programmi a medio-lungo termine preventivamente concordati, come, invece, sembra riesca a fare la Bce. Al momento, l’unica espressione dell’apparato dell’Ue che funziona e riesce a parlare una sola lingua, comprensibile a tutti.

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