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« il: Settembre 18, 2012, 16:36:29 »
E le mie parole lasciano spazio alla voce di altri. Non dico mai molto di me, non lo ritengo importante. Io sola posso davvero cogliere e percepire il mio mondo, la mia vita. Condividere è distruttivo. Mi assalgono poi dei dubbi, mi scuote una mancanza di rispetto. Di me non c’è molto da dire. Ma di me nel rapporto con gli altri sì. A volte parlo con alcuni dei problemi tra i miei genitori. Il solo scrivere qui della loro esistenza mi fa’ stare male, non per il semplice fatto che ne soffra, quanto piuttosto perché sono cose private, che la gente non riuscirebbe a capire non vivendo appieno la mia esistenza. Potrebbero essere giudicati male e non è questo che voglio. Eppure il desiderio di sfogo è grande. In questo caso come in molti altri. È uno sfracellamento interiore che mi distrugge possente. È tanto facile essere giudicati per un solo atto erroneo compiuto. La gente non guarda al tutto di una persona, si ciba della brevità, del momento, si scaglia contro l’istante in cui essa ha agito “male”e tramuta in Male la persona. Molti hanno iniziato così, da un errore, e lentamente, quasi impercettibilmente si sono mostrati agli altri come essi si attendevano da loro, un gigante, insuperabile errore.
Vorrei dire di non essere così, vorrei potermi discostare da questo modo di cogliere l’altrui esistenza. Eppure spesso mi ritrovo a giudicare, a schernire il prossimo per colpe del passato. Colpe … questa parola mi manda in paranoia. Mi sento colpevole da quando sono nata, non mi sono mai sentita libera di parlare se non ai fogli a quadretti dei quali molto spesso mi nutro. Solo loro possono cibarsi di me, comprendere a fondo la mia permanenza in questo mondo. Rido, rido pensando a questo, attribuisco un’anima alle cose, non volendomi finalmente rendere conto che esse sono solo il riflesso della mia anima, un inestirpabile desiderio di non sentirmi sola.
Vivo nella paura. In un momento della mia vita nel quale non m’ importava molto di me stessa non temevo la morte. Ne parlavo tranquillamente come un fatto semplice e naturale, cercando d’analizzarla. Avevo paura della morte di altri, non della mia. Quanto egoismo. L’adolescenza è stata pervasa da questo. Ora non posso nemmeno pronunciare nella mente la parola “morte” che subito cerco di ritrarla negli anfratti più sconosciuti del mio corpo. Non riesco proprio ad affrontarla. L’idea che essa mi disfi di me stessa, il fatto che quando accadrà non potrò più cogliere alberi d’autunno, sorridere in una passeggiata tra i monti, vedere chi amo, ma soprattutto discorrere con il mio Io più intimo mi getta in un’ansia senza possibilità di scampo. È così assurdo, quando ho scoperto di amarmi, di poter dare amore, ho perso tutto il coraggio.