Autore Topic: L'importanza dell'autorità  (Letto 708 volte)

Annabel

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L'importanza dell'autorità
« il: Luglio 26, 2016, 00:02:39 »
Il gravissimo errore della filosofia contemporanea dove predomina il relativismo è che  “flessibile” sembra un bella parola, mentre “rigido” una parolaccia. Ci sono casi in cui la flessibilità è l’opzione corretta e casi dove la rigidità è l’unica scelta o la migliore.
Ad esempio, in una sala operatoria le regole di asepsi devono essere rigidissime; le regole di sicurezza devono essere rigide.
Dove le regole sono rigide l’emotività di smorza e si evita l’emotività inutile.
Altro esempio:  Se un bambino sa che deve viaggiare sempre sul seggiolino dietro, non si sognerà nemmeno di chiedere di stare davanti. Se qualche volta il nonno o la zia trasgrediscono, ogni volta il bambino chiederà, ogni volta sarà una discussione, ogni volta una speranza, ogni volta un capriccio e magari l’incidente ci sarà proprio il giorno in cui il bambino è dove non dovrebbe.

Ora, qualcuno convinto dell'assoluta validità del relativismo capirà che in effetti ci sta portando alla rovina in tutti i campi proprio perché appiattisce ed inaridisce tutto. La società occidentale sta svoltando  verso l'abisso a causa del prevalente relativismo.

Doxa

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Re:L'importanza dell'autorità
« Risposta #1 il: Luglio 26, 2016, 11:47:35 »
Hai titolato il topic “L’importanza dell’autorità”, da cui scaturisce la differenza semantica tra autorità, autoritarismo  connessi con il relativismo. Fa da sfondo e da  filo conduttore a questi tre concetti le nozioni di verità e libertà.

Argomenti interessanti da sviluppare se c’è il coinvolgimento di numerosi partecipanti.

Doxa

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Re:L'importanza dell'autorità
« Risposta #2 il: Luglio 27, 2016, 10:16:46 »
Autorità: questo sostantivo deriva dal latino “auctoritàs”, da augeo (verbo augere), significa accrescere; nel nostro tempo per autorità  s’intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si assoggettano: l’autorità dello Stato, l’autorità della legge.

Nell’antica Roma il concetto di auctoritas è legato a Cesare Ottaviano Augusto, il quale nelle  “Res gestae divi Augusti”spiega che i poteri che gli vennero attribuiti dal senato li ottenne poiché fu riconosciuto, unanimemente,come il cittadino con la maggiore auctoritas rispetto agli altri in virtù delle sue gesta ed imprese militari.

Spesso il lemma “autorità” è usato come sinonimo di potere, ma i due termini afferiscono ad accezioni diverse. Il "potere" si riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere.

Le prime riflessioni sul concetto di autorità  si fanno risalire al filosofo greco Platone (427 a.C.-347 a.C.).

Gli antichi Romani distinguevano tra auctoritas, potestas ed imperium.

Nel diritto romano “auctoritas” significava “autorevolezza” ed era un attributo riconosciuto alle alte cariche dello Stato, oppure derivante dal potere carismatico.

Il cristianesimo fin dalle origini fece ricorso alla nozione di autorità per giustificare l'assetto gerarchico e istituzionale della Chiesa: Tertulliano (160-220) e Cipriano (220-258) fondano espressamente su di essa la preminenza dei vescovi rispetto ai semplici sacerdoti e ai laici. L'auctoritas dei vescovi deriva, per questi autori, dalla "successione apostolica", cioè dal loro rapporto diretto e ininterrotto con gli apostoli e con la missione, a questi comandata da Cristo, di custodire il depositum fidei.

Nel V secolo per l'auctoritas si accese lo scontro fra Chiesa e Impero.


Il lemma latino “potestas” significa “potere” o “facoltà”, come il potere di alcuni magistrati romani di promulgare editti o il potere dei  consoli o pretori nel ruolo di comandanti militari.
Il Senato romano aveva l’auctoritas mentre i magistrati avevano la potestas. Nella teoria politica romana, entrambi erano necessari per guidare la res publica e dovevano collaborare.

Nel Medioevo la dicotomia si affermò in relazione al dualismo tra il potere imperiale (potestas) e quello papale (auctoritas). L’Europa era teoricamente gestita dal papa  e dal sacro romano imperatore, come Carlo Magno (imperator Romanorum). Il primo aveva il potere spirituale, che era identificato con l'auctoritas, mentre il secondo aveva il potere temporale, identificato con la potestas.
Inizialmente, era il papa che incoronava l'Imperatore ed era l'Imperatore a scegliere il Papa, quindi si trovavano in una situazione equilibrata, ma dopo la lotta per le investiture il papa fu invece eletto dal Collegio cardinalizio.

Dopo la dissoluzione del sacro romano impero  le monarchie locali proclamarono la propria indipendenza: il re aveva nel proprio regno lo stesso potere dell'imperatore nell'impero, perciò il re assunse anche gli attributi della potestas.

La determinazione giuridica della potestas è la sovranità, presente in ogni formazione politica nel caso in cui si venga ad instaurare una gerarchia piramidale.

Un potere che veniva conferito dal senato romano ad alcuni magistrati era l’imperium. Chi lo riceveva aveva la facoltà di impartire ordini che dovevano essere eseguiti, per evitare punizioni o la morte. Simboli esteriori di questo potere erano i fasci littori. Chi deteneva l’imperium disponeva di un apparato personale destinato a divenire il simbolo stesso dell’autorità pubblica: sedeva sulla sella curule, era seguito dai littori e portava con sé i fasci, contenenti le verghe con in mezzo una scure, con cui si significava il potere sulla vita e la persona dei cittadini.

Dopo le prime grandi conquiste fuori dalla penisola italica (Sicilia e Sardegna), il senato  cominciò a prolungare il potere dei magistrati che erano stati impegnati nelle operazioni belliche come comandanti militari, per governare le popolazioni e i territori conquistati. Il loro imperium non si fondava sull'elezione popolare ma su un atto del senato romano. 

Un salto di alcuni secoli per giungere al filosofo inglese Thomas Hobbes (1588 – 1679) che teorizzò lo Stato moderno  senza evocare autorità trascendenti, perché il potere è un potere umano creato dall’uomo ed il concetto di Stato comprende la “sovranità”, la “summa potestas”, al di sopra del quale non c'è nessun altro potere. Nella tradizione medievale questo potere è quello di Dio, ma in una concezione secolarizzata, laica della società, questo potere al di sopra del quale non c'è nessun altro potere è quello dello Stato.

La sovranità dello Stato  è dicotomica: verso l’interno nei confronti dei cittadini, verso l’esterno nei confronti di altri Stati. Sovranità significa monopolio della forza legittima, solo lo Stato è detentore legittimato dell'uso della forza; nessun altro all'interno dello Stato può usare la forza, e, se usa la forza, quest'uso della forza è considerato illegittimo dallo Stato. E il contrappeso di questo monopolio della forza legittima, del potere legittimo, è il dovere di ubbidienza dei cittadini. Per esempio, l’articolo 54 della nostra Costituzione dice che tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica, e di osservarne la Costituzione e le leggi. Esiste uno Stato, quando esiste un potere al di sopra di tutti gli altri, a cui tutti coloro che partecipano di esso debbono ubbidire. L'obbligo è quello che nella teoria politica si chiama obbligo politico o obbligazione politica. Oltre agli obblighi giuridici, che derivano dalle leggi particolari, esiste questo obbligo politico, che deriva dal fatto che lo Stato esiste.