Post recenti

Pagine: [1] 2 3 ... 10
1
Anch'io Scrivo poesia! / Speranza come Fonte di ogni Vita
« Ultimo post da Regina D'Autunno il Oggi alle 10:58:25 »
Fonte di ogni vita
è la speranza,
che ti consola
nei momenti più bui,
e nei momenti belli
ti fa apprezzare
la vita così com'è.
Con i suoi pro
e i suoi contro,
ma sempre
con ottimismo e allegria.
 :fame:
2
Letteratura che passione / "Inviti superflui"
« Ultimo post da Doxa il Maggio 19, 2024, 16:14:18 »
“Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo  leggero, dicendo cose  insensate, stupide e care”.

Queste parole  forse evocano i “fidanzatini” che disegnava il vignettista francese  Raymond Peynet. Suscitano tenerezza. Furono scritte dall’indimenticato autore del “Deserto dei Tartari”, Dino Buzzati (1906 – 1972), giornalista e scrittore, ma nel tempo libero anche musicista e pittore.

La frase è nella narrazione titolata “Inviti superflui”, nella raccolta “Sessanta racconti”, pubblicata nel 1958.

Il protagonista chiede ad una donna che ama  di accompagnarlo  nella vita, ma poco a poco comprende che l’amata è diversa da lui e  continuerà da solo il cammino.

L’innamorato vede scorrere davanti a sé  liete stagioni, come in un sogno costantemente interrotto dalla coscienza.

Dino Buzzati: “Inviti superflui”. Questo è il testo:

“Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.

Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati.

Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra.

Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione.

Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care.
Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione.

Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna.
Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.

Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.

Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.

Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.

Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi.

Ed io sarei solo, è inutile.

Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita.
Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti.
Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia.
Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo.
Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.

Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare.
Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me.

Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre.
Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose”.


3
Anch'io Scrivo poesia! / Paradiso e Inferno
« Ultimo post da Regina D'Autunno il Maggio 15, 2024, 08:24:27 »
Il Paradiso è soprattutto
uno stato mentale,
in cui si crea la bellezza
nel nostro spirito libero.
L'Inferno è quando
siamo sopraffatti
da emozioni negative,
e si aspira al male.
La nostra coscienza
che sia Paradiso o Inferno,
deve scegliere
uno di questi mondi
e vivere secondo
il nostro libero arbitrio.
 :angdiv:
4
Pensieri, riflessioni, saggi / Preghiera dell'ateo
« Ultimo post da Doxa il Maggio 12, 2024, 11:31:19 »
“Ah, mio dio, Mio Dio,
perché non esisti?
Dio onnipotente, cerca (sfórzati) a furia di insistere
almeno di esistere”.


Queste frasi le scrisse il poeta livornese Giorgio Caproni (1912 – 1990): la  sua ricerca di Dio sembra una caccia alla preda che continuamente fugge, ma in realtà non esiste. Tuttavia la consapevolezza non determina la fine della caccia, ma tramite una preghiera teopoietica  produce la paradossale relazione di dipendenza dell’individuo nel Dio che gli manca.

Quella che Caproni chiama la sua “ateologia”  esprime interrogativi: il rammarico: “Ah, mio Dio, Mio Dio. Perché non esisti?”, la sarcastica esortazione: “Dio di volontà, Dio onnipotente, cerca (sforzati!) a furia d’insistere – almeno – d’esistere”.

La preghiera è un atto di comunicazione con il divino, un momento di riflessione e di connessione con il sacro.

Un altro “cercatore” di Dio che spiava eventuali segnali del dominus negato, fu il poeta francese Pierre Reverdy (1889 – 1960): “Ci sono atei  di un'asprezza feroce, che tutto sommato si interessano di Dio molto più di certi credenti frivoli e leggeri”. 

Infatti la linea di frontiera passa  non tra chi crede e chi nega, ma tra chi pensa e s’interroga e chi banalizza e si immerge nell’indifferenza o la superficialità.

Un altro “ideale fratello” di Caproni fu lo scrittore ateo russo Aleksandr Zinov’ev (1922 – 2006), in una sua pagina scrisse una preghiera che rappresenta bene quel momento segreto in cui un individuo si sente completamente solo, guarda il cielo e sa che non ha nessun abitatore. Eppure questa persona desidera che ci sia un testimone per le azioni dell’umanità, che ci sia uno che faccia veramente giustizia, che non sia corruttibile, che veda e registri tutta la sofferenza inflitta dagli altri.

La sua preghiera dice: "Ti supplico mio Dio, cerca di esistere almeno un poco, per me. Apri i tuoi occhi, ti supplico, non avrai altro da fare che questo: seguire ciò che succede, è ben poco ma, oh Signore, sforzati di vedere, te ne prego! Vivere senza testimoni, quale inferno! Per questo, forzando la mia voce, io grido, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango! Esisti, cerca di esistere".

La domanda rivela nell’autore il suo bisogno di un Dio onnipotente, onnisciente e onnipresente.
5
Anch'io Scrivo poesia! / Profumo e Veleno
« Ultimo post da Regina D'Autunno il Maggio 10, 2024, 09:18:31 »
Fare del bene,
è come regalare un fiore
di noi stessi agli altri
per poi dimenticarsene,
perchè si vuole espandere
il proprio profumo altrove.
Fare del male,
è come dare veleno
ad una tenera pianta
che sta crescendo bene,
e dopo non si ritorna più indietro
e rimane la consapevolezza
di aver sbagliato tutto.
 :fame:
6
Anch'io Scrivo poesia! / Aprile
« Ultimo post da ninag il Maggio 09, 2024, 20:13:14 »
Pioggia leggera.
di smeraldo vestita,
 adorna trapunte
 profumate di viola rugiada.

 Fughe improvvise di luce,
corrono dietro le nubi,
inseguono i grigi
e raccontano l’azzurro.

Nuove fronde s’intrecciano,
accennano frutti tra i tralci,
risveglio tra i fili pallidi
 leggere ali annunciano il nettare.


7
Anch'io Scrivo poesia! / Re:Vulcani di Modi di Essere
« Ultimo post da Regina D'Autunno il Maggio 08, 2024, 16:57:19 »
 :redd:
8
Anch'io Scrivo poesia! / Re:Vulcani di Modi di Essere
« Ultimo post da ninag il Maggio 07, 2024, 19:58:51 »
 :rose:
9
Arte / Re:Angel of grief
« Ultimo post da Doxa il Maggio 06, 2024, 21:39:50 »
Il 19 gennaio dello scorso anno  in questa sezione ho collocato un topic titolato “Tenersi per mano”. In questo topic desidero riproporre quel primo  post.



Nella relazione di coppia tenersi per mano o prendersi per mano allude al passaggio dall’io autoreferenziale al noi, alla dimensione unitaria.

Amarsi e tenersi per mano. Il tedesco Hermann Hesse (1877 – 1962), premio Nobel per la letteratura nel 1946, scrisse la bella poesia titolata: “Tienimi per mano”.

"Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…

Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…

Tienimi per mano
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere…

Tienimi per mano
nei giorni in cui mi sento disorientata,
cantami la canzone delle stelle, dolce cantilena di voci respirate…

Tienimi la mano
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te.

Tienimi per mano e non lasciarmi andare…mai”
.

Cliccare sul link

https://youtu.be/tWVmi8l-vuY
10
Arte / Re:Angel of grief
« Ultimo post da Doxa il Maggio 05, 2024, 12:43:50 »
Nel  precedente post ho evidenziato la postura dell’angelo ed ho scritto:

“il braccio sinistro invece è proteso in avanti e la mano lascia cadere dei fiori alla base dell’altare. La curvatura delle dita conferisce la sensazione di abbandono”.


Quella mano mi fa pensare ad una poesia di Louis Aragon, titolata: “Le mani di Elsa”.

“Dammi le tue mani per la mia inquietudine, / mani che ho sognato nella mia solitudine. / Dammi le tue mani perché io venga salvato…/ Taccia il mondo per un attimo perché la mia anima vi si addormenti per l’eternità”.


Queste frasi le ho desunte dalla poesia di  Aragon.

Il tepore delle mani di una persona che ti ama è il rifugio sereno dell’anima, per chi crede nella sua esistenza.

Il poeta evoca anche la frontiera ultima della vita. E’ ben diverso quell’atto estremo e solitario nell’isolamento totale di un ospedale, e avere invece una mano amata che prende la tua anima per ché “vi si addormenti per l’eternità”.

Questo è l'intero testo.

“Le mani di Elsa”

Dammi le tue mani per l’inquietudine
Dammi le tue mani di cui tanto ho sognato
Di cui tanto ho sognato nella mia solitudine
Dammi le tue mani perch’io venga salvato.

Quando le prendo nella mia povera stretta
Di palmo e di paura di turbamento e fretta
Quando le prendo come neve disfatta
Che mi sfugge dappertutto attraverso le dita.

Potrai mai sapere ciò che mi trapassa
Ciò che mi sconvolge e che m’invade
Potrai mai sapere ciò che mi trafigge
E che ho tradito col mio trasalire.

Ciò che in tal modo dice il linguaggio profondo
Questo muto parlare dei sensi animali
Senza bocca e senz’occhi specchio senza immagine
Questo fremito d’amore che non dice parole.

Potrai mai sapere ciò che le dita pensano
D’una preda tra esse per un istante tenuta
Potrai mai sapere ciò che il loro silenzio
Un lampo avrà d’insaputo saputo.

Dammi le tue mani ché il mio cuore vi si conformi
Taccia il mondo per un attimo almeno
Dammi le tue mani ché la mia anima vi s’addormenti
Ché la mia anima vi s’addormenti per l’eternità.

(Louis Aragon)

Questa poesia fu ispirata dall’amore per sua moglie, la poetessa russa Elsa Triolet, sorella di Lilia Brik, musa ispiratrice dello scrittore russo Vladimir Majakovskij.
Pagine: [1] 2 3 ... 10