Scrittura creativa

Libri e Lettura => Scienza => Topic aperto da: Doxa - Novembre 12, 2012, 19:00:56

Titolo: Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Novembre 12, 2012, 19:00:56
Karl Raimund Popper (1902 –1994) fu un filosofo ed epistemologo  nato in Austria ma vissuto in Inghilterra. Nell’ambito scientifico è noto per  aver proposto la falsificabilità come criterio di demarcazione tra scienza e non scienza e per il rifiuto e la critica del metodo induttivo o induzione, dal latino “inductio” (verbo induco, presente di in-ducere) che significa  indurre o trarre a sé.

Il metodo induttivo è un procedimento che da singoli casi cerca di stabilire una legge universale. Questo metodo è contrapposto al metodo deduttivo, che, al contrario, procede dall'universale al particolare.

Karl Popper scrisse: “Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. Il vecchio ideale scientifico dell’episteme (della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile) si è rivelato un idolo, L’esigenza dell’oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente ed inquieta della verità”.

Il professor Dario Antiseri (filosofo ed epistemologo) dice che tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata,, si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli  al fine di vedere se esse sono false, cioè sbagliate. Si cerca di dimostrare l’eventuale falsità delle congetture per sostituirle, se possibile, con teorie migliori, più ricche di contenuto esplicativo, nella consapevolezza che non è possibile dimostrare assolutamente vera nessuna teoria.

Se ci confrontiamo con problemi difficili è facile sbagliare, perciò razionale non è l’individuo che vuol avere comunque ragione, ma quello che vuole imparare dai propri errori e da quelli altrui.

Ancora Popper: l’errore commesso, individuato ed eliminato permette di essere meno ignorante. E nello sviluppo della ricerca scientifica, ma non solo, consente di evitare sia il dogmatismo sia l’arbitrio soggettivo, che hanno provocato scontri e guerre in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive religiose, politiche e filosofiche.

E’ ovviamente sbagliato sostenere che tutte le etiche sono uguali. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è un principio diverso da “occhio per occhio, dente per dente” e da quello leninista: “la morale è soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato”.

Ci sono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche: non esistono spiegazioni etiche. Dalla scienza non si può estrarre la morale. I principi etici si fondano su scelte di coscienza e non sulla scienza. Il pluralismo di valori  induce alla scelta, alla libertà di scegliere e al relativismo, inteso come esito della non fondabilità razionale di qualsiasi principio etico. Invece la presunzione di essere in possesso di “fundamenta” del proprio sistema etico può generare fondamentalisti inquisitori che pretendono di imporre agli altri il “Vero” e il “Bene” platoniani, magari a costo di lacrime e sangue a chi ha idee ed ideali diversi.
Si dice che sia la ragione a far stabilire ciò che è Bene e ciò che è Male. Ma la ragione di chi ?

Scrisse Blaise Pascal: Nulla in base alla ragione è di per sé giusto, tutto muta col tempo”.  Con tale affermazione Pascal  deve essere considerato un “fideista” perché disprezza la ragione o un razionalista consapevole dei limiti della ragione ?

Per il cristiano solo Dio è assoluto e tutto ciò che è umano è storico, contestabile, perfettibile, non assoluto. E la ragione è come una lanterna, da tenere sempre accesa, necessaria per la correzione dei nostri errori, indispensabile nelle scelte  e per scrutare i limiti.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Novembre 13, 2012, 19:27:24
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ll relativismo nega l'esistenza di verità assolute. Se esistono, non sono conoscibili o relativamente conoscibili.

Il relativismo  fu sviluppato dall’antica filosofia sofistica greca dalla seconda metà del V secolo a.C.; in seguito posizioni relativiste furono espresse dallo scetticismo antico e moderno, dal criticismo, dall'empirismo e dal pragmatismo.

I seguaci della Sofistica,venivano denominati sofisti. Al centro del loro interesse c’era l’individuo,  considerato  all’interno di una comunità, caratterizzata da valori etici, religiosi, culturali, ecc..

Di solito i sofisti usavano il loro sapere per insegnare ai figli degli aristocratici e venivano retribuiti.

Fra i sofisti del V sec. a.C. emersero Protagora e Gorgia.

Protagora svolse la sua attività di insegnante girovagando per le città, soggiornando più volte ad Atene.

Come relativista Protagora dice che non esiste una verità oggettiva, perché la conoscenza è condizionata dal soggetto che percepisce e pensa, e non esistono criteri universali che consentano di discriminare la verità e la falsità delle conoscenze soggettive.

Anche la conoscenza è limitata: l’individuo può conoscere solo le cose che diventano oggetto della sua esperienza.

Un altro filosofo considerato fra i maggiori sofisti fu Gorgia (485 a.C. – 375 a. C). Pure per lui la verità non esiste. Tutte le possibilità si equivalgono, perché non sono conoscibili, e con l’arte oratoria si può dimostrare che “tutto è il contrario di tutto”. Ciò che conta è la capacità di argomentare, ma il linguaggio è distaccato dalla verità.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Novembre 15, 2012, 15:48:45
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Nell’antica Grecia la filosofia fu usata anche  per superare le spiegazioni mitologico-religiose del cosmo, slegandosi da quest'ultime e promuovendo per la prima volta un pensiero basato su un metodo razionale, poi in gran parte assimilato dalla teologia cristiana medioevale  attraverso la filosofia Patristica (che è la filosofia cristiana dei primi secoli elaborata dai cosiddetti “Padri della Chiesa” e dagli scrittori ecclesiastici), in seguito accolta nella filosofia Scolastica, che rappresenta la filosofia della religione cristiana dal IX secolo all’inizio del Rinascimento.
 
Il termine “scolastica” deriva dal latino "scholasticus" ed indicava il docente che insegnava.

Il carattere fondamentale della filosofia scolastica è l'uso della ragione al servizio della verità di fede, per difenderla dai tentativi di negarla da parte del relativismo e dello scetticismo.

Il termine scetticismo deriva dalla parola greca “sképsis”, che vuol dire "ricerca", "dubbio"; nel verbo sképtesthai  significa "esaminare".

Lo scetticismo filosofico venne elaborato e sviluppato in Grecia dal IV secolo a.C. al II secolo d.C..

Lo scettico nega la possibilità di conoscere la verità (=realtà), perché questa è contingente e mutevole, si basa sui sensi, che danno  percezioni ingannevoli.

Nell'alto medioevo il primo tentativo di sintesi fra ragione e fede fu quello di Agostino d’Ippona e le sue riflessioni  ebbero notevole influenza nell'Occidente cristianizzato, almeno fino al 13/esimo secolo, quando Tommaso d’Aquino giunse ad una più completa conciliazione tra fede e ragione.

Il filosofo e teologo Agostino (354 – 430) vescovo d’Ippona (Algeria),  asseriva che chi sostiene l’impossibilità di ogni certezza si contraddice perché ha la certezza che non vi sono certezze. Chi dice di dubitare di tutto si contraddice perché è certo che può dubitare, e quindi che vive e pensa. Il dubbio conduce l’individuo  sulla strada della verità, che consente di negare il relativismo, il “diritto d’errore”, che fu stigmatizzato da Agostino d’Ippona come la “peste dell’anima” e la “libertà di perdizione”.

La ricerca della verità è un anelito dell’essere umano, e cercarla suppone  un esercizio di autentica libertà, perciò in questo momento penso  al Vangelo di Giovanni (cap. 18, versi 37-38), quando Ponzio Pilato rientrò nel pretorio e fece chiamare Gesù per domandargli: “Dunque tu sei re ?” Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. […] Gli dice Pilato: “Che cos'è la verità ? “[…]

Ponzio Pilato ironizzò  sulla possibilità di poter conoscere la verità,  proclamando l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti.

"La fede consolida, integra ed illumina il patrimonio di verità che la ragione umana acquisisce”, disse il frate domenicano  Tommaso d'Aquino  (1225 – 1274) ed il relativismo è “un male morale, un vizio della volontà” che diventa progressivamente incapace di distinguere il vero dal falso e il giusto e dall'ingiusto.

Secondo Tommaso la filosofia consente di approdare ad alcune verità fondamentali, come la conoscenza razionale dell'esistenza di Dio.
 
Per tutto il periodo medioevale la filosofia venne sviluppata parallelamente con l’evoluzione del pensiero religioso, pur se alcuni autori, come Guglielmo di Ockham, evidenziarono l'esigenza di un'autonomia della filosofia dalla religione e chiesero la separazione della filosofia dalla teologia sottolineando l'impossibilità di comprendere con la ragione i misteri della fede.

Guglielmo di Ockham  (1288 – 1349), teologo e filosofo francescano inglese, poi scomunicato, mise in rilievo il problema già sollevato dal  filosofo Averroé che assegnava alla filosofia il riflettere e lo speculare e alla religione l'amore per Dio e l'agire di conseguenza, perché il ragionamento spesso non coincide con la fede.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Novembre 21, 2012, 18:48:47
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Il relativismo come concezione filosofica  non ammette verità assolute nella conoscenza o principi immutabili nell’etica.

Il relativismo non è una minaccia per la società, al contrario lo è il dogmatismo assolutista, fondamentalista e intollerante.

Nella filosofia moderna il relativismo assunse caratteristiche particolari.

Nell’ambito teologico-metafisico il relativismo venne fatto dipendere dall'insanabile contrasto tra la limitatezza della mente umana e l'infinitezza della verità divina.

Il filosofo e teologo tedesco Nikolaus Krebs von Kues, conosciuto da noi come Nicola Cusano (nome e cognome italianizzati) oppure Niccolò Cusano o Niccolò da Cusa (1401 – 1464), constatò la differenza  tra realtà divina e ratio naturalis e nel suo saggio titolato “De docta ignorantia” scrisse: "La verità non ha né gradi, né in più né in meno, e consiste in qualcosa di indivisibile. [...] Perciò l'intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all'infinito.” (1, 2-10)

In un altro suo elaborato titolato “De conjecturis”, egli affermò il carattere “congetturale” della conoscenza umana. Non potendo conoscere la realtà divina i e l’essenza delle cose possiamo solo formulare delle congetture, delle supposizioni.

Un secolo e mezzo dopo,  il filosofo ed ex frate domenicano Giordano Bruno (1548 – 1600)  aveva capito che  la novità concettuale dell’astronomia copernicana avrebbe coinvolto aree di riflessione apparentemente lontane dalla cosmologia, quali la teologia, 1'epistemologia, i valori morali. Per lui non c’era possibilità di convivenza tra fede e ragione. La strada della fede induce a rinunciare "a cogliere il frutto dell'albero della scienza."

Nella storiografia è interessante il relativismo espresso dallo storico e politico italiano Francesco Guicciardini  (1483 – 1540). Ne “I ricordi politici e civili” pubblicato nel 1530 e nella “Storia d’Italia”, pubblicata postuma nel 1561, rifiuta il tentativo di Niccolò Machiavelli  di sintetizzare la realtà tramite principi unici ed assoluti. Per Guicciardini è necessario considerare ogni singola situazione in funzione del contesto nel quale essa si determina. Perciò è necessario spostare l’attenzione dall’universale al cosiddetto “particolare”:  Nei “Ricordi” ha scritto:“È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione.”

Da un punto di vista psicologico il relativismo è considerato (Montaigne, Hume) una conseguenza della natura umana, incapace di andare oltre i propri limiti, le proprie inclinazioni e abitudini personali e sociali.

il filosofo e politico francese Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592), considerato il precursore del relativismo antropologico, nel suo saggio titolato “Dei cannibali” (motivato dalla visita, nel 1563, al re di Francia Carlo IX di tre indigeni delle Antille appartenenti ad una tribù cannibale), evidenzia la relatività del concetto  di “barbarie”, che è sempre in rapporto al proprio modo di vivere, considerato come parametro per giudizi .  Montaigne dice che “Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi: "sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo.” “Civiltà” e “barbarie” sono quindi concetti relativi, che possono essere facilmente capovolti l’uno nell’altro.

Il filosofo e storico scozzese David Hume (1711 – 1776) si chiede a cosa serve pensare se l'oggettività non esiste. Sostenere che "ogni cosa che è potrebbe anche non essere", può esser valido quando si fanno delle ipotesi o quando si criticano aspetti ritenuti negativi. Nel mondo, osservò Hume, niente è uniforme, perciò non prevedibile. Le proposizioni descrittive che parlano di fatti si possono logicamente dedurre soltanto altre proposizioni descrittive e non mai proposizioni normative,
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Novembre 29, 2012, 21:32:56
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Fra i fautori del moderno relativismo ci furono Friedrich Schiller, Ralp Waldo Emerson, Friedrich Nietzsche,  Oswald Spengler e Ludwig Wittgeinstein.
 
Il filosofo e scrittore tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805), meglio conosciuto in Italia come Friedrich Schiller,  nega ogni verità "assoluta" o "razionale": la verità è sempre relativa all'uomo, valida perché utile a lui.

Il filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882) propose un’etica individuale basata su una singolare combinazione di relativismo e perfezionismo (che lo avvicina alla tradizione stoica e alle radici puritane della cultura americana). L'asse portante del suo pensiero fu la definizione di "Superanima", descritta come una forza superiore che vigila e interviene sulla realtà e sull’intelletto degli individui.

E’ del filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900) la celebre frase relativista: "Non esistono fatti ma solo interpretazioni dei fatti” da parte degli individui.

Nietzsche con la sua affermazione  si allontana dalla verità di tipo trascendente, e non poteva essere diversamente per questo filosofo che diceva “Dio è morto”. Abolita la trascendenza e l’orizzonte della metafisica, per lui la verità diventa una costruzione dell’Uomo.

E’ tedesco anche il filosofo e storico Oswald Spengler (1880 – 1936), il quale scrisse il noto libro “Il tramonto dell’Occidente”, nel quale afferma la relatività dei valori in rapporto alle epoche storiche. “Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso.  E per quanto riguarda l’etica egli crede che non ci sia alcuna morale universale.

Il filosofo austriaco Ludwig Josef Johann Wittgenstein (1889 – 1951) sosteneva che la realtà  viene filtrata dalla percezione umana, limitata ed imperfetta, perciò ogni conoscenza è relativa.
Wittgenstein nel suo libro “Ricerche filosofiche” espone la sua tesi: ogni “universo linguistico”, quale è quello delle culture o delle civiltà, ha le proprie regole di costruzione, significazione e decisione. Il vero, il bello, il buono in una cultura sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella cultura.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: ciro - Novembre 30, 2012, 05:08:35
In questa tua rassegna, caro Dottor Stranamore,  non vedo Feuierbach che a mio parere, in questo contesto, tutti gli altri oscura. Chi ha reso relativo perfino dio merita ben altri altari!

Con stima

Ciro
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Dicembre 01, 2012, 18:57:11
Grazie Ciro per avermi segnalato il filosofo tedesco  Ludwig Andreas Feuerbach, che fu tra i più influenti critici della religione. Come tale l’ho inserito nel topic dedicato a scienza e conoscenza, nel 18/esimo post dedicato all’anima, perché nel 1830 pubblicò un libro titolato: “Pensieri sulla morte e l’immortalità”, in cui nega l’immortalità dell’anima. Ovviamente Feuerbach è molto conosciuto per il suo libro del 1841 “Essenza del cristianesimo”  e l’altro dedicato nel 1845 all’”Essenza della religione”, ma sul relativismo mi sembra che egli non abbia argomentato, perciò se  su questo tema puoi segnalarmi qualcosa di suo sarei contento.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Dicembre 07, 2012, 09:34:30
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Per la Chiesa cattolica il relativismo è inaccettabile, in particolare il relativismo etico.

Il Vaticano afferma di rispettare le fedi diverse dalla propria, ma vorrebbe imporre come unica verità teologica, la sua, seguendo le parole di Gesù  ai suoi apostoli riuniti nel cenacolo “Io sono la via, la verità, la vita.” (Vangelo: Gv 14,1-12). 

Secondo papa Ratzinger anche se le religioni sono diverse, la ragione umana è una ed identica per tutti gli individui che possono dialogare sulla base di un fondamento condiviso, facendo riferimento sulla nozione di verità e che cosa l'adesione ad essa in definitiva comporti. Ma la sua opinione viene respinta dall’Islam e nell’Occidente laicista.

Il teologo americano Paul Knitter dice che  il presupposto fondamentale per il pluralismo è quello di riconoscere che tutte le religioni sono o possono essere egualmente valide.

Il card. Camillo Ruini l’11 maggio 2007 a Torino in occasione della “Fiera internazionale del libro” descrisse la crisi della teologia cattolica, che disorienta i credenti: “La profonda disillusione prodotta nell’ambito delle teologie della liberazione dal crollo del muro di Berlino (1989) ha spinto vari loro esponenti verso il relativismo. Essi sono confluiti, insieme a non pochi altri teologi, in quell’orientamento che prende il nome di teologia delle religioni, secondo il quale non solo il cristianesimo ma anche le altre religioni del mondo, con i popoli e le culture che ad esse si riferiscono, costituirebbero, accanto al cristianesimo storico, autonome e legittime vie di salvezza. Viene così abbandonata la fondamentale verità della fede, secondo la quale Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo ed è vissuto nella storia, è l’unico Salvatore dell’intero genere umano, anzi di tutto l’universo”. In questo modo si accetta il messaggio di Gesù ma non Cristo come messaggero.

Il termine 'pluralismo'  esprime il concetto di molteplicità e si contrappone al monismo, all'unità. Ma la realtà, costituita da una pluralità di fenomeni, non può essere compresa partendo da un solo principio e non è riducibile ad una unità.

Il pluralismo politico e socioeconomico è il presupposto e  la condizione necessaria  della democrazia rappresentativa. Però nell’ambito religioso è inaccettabile. Il rifiuto dipende dalle varie gerarchie religiose, perché sottende il potere di controllo sulle masse, sugli annessi interessi economico-finanziari, sull'esistenza stessa delle religioni come organizzazioni.

Le posizioni del Vaticano contro il relativismo sono nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”, in alcune encicliche del pontefice Giovanni Paolo II, fra le quali “Fides et ratio” e “Veritatis  splendor”, in alcune note dottrinali della Congregazione per la dottrina della fede, in varie omelie e discorsi del papa Benedetto XVI, il quale  anche nella sua enciclica “Spe salvi” (30 novembre 2007) ribadisce che  la funzione della Chiesa, del magistero e del papa è quella di “rendere testimonianza alla ragione e alla sua capacità di conoscere la verità.

L’attuale Pontificato si caratterizza per la lotta contro il relativismo.
Il 18 aprile 2005, alla Messa “pro eligendo romano pontifice”, il card. Ratzinger disse: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, sbattuta da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale… Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Dicembre 08, 2012, 11:15:07
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L'altro giorno, 6 dicembre, vigilia della ricorrenza festiva dedicata a Sant’Ambrogio, patrono della città di Milano,  il cardinale Angelo Scola, ha letto il tradizionale discorso alla città, argomentando su vari temi.

Secondo l’arcivescovo di Milano la laicità dello Stato mette a rischio la libertà religiosa.

Il “modello francese di laicité che è parso ai più una risposta adeguata a garantire una piena libertà religiosa, specie per i gruppi minoritari”, ha detto Scola nella basilica di Sant’Ambrogio,  “si presenta a prima vista idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti.” Ma, sostiene il cardinale, la laicità “ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso.” E “la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l'idea di neutralità, il sostegno a una visione del mondo che poggia sull'idea secolare e senza Dio.”

Forse il cardinale Angelo Scola vorrebbe lo Stato italiano  non aconfessionale.  Il suo ideale è l’Islam ? In alcune nazioni del nord Africa, del Vicino e Medio Oriente la politica è ispirata e condizionata dalla religione coranica. 

Il Vaticano è consapevole della perdita d’influenza sugli individui e chiede la collaborazione del potere politico, come è sempre stato fin dai primi secoli. Anche l’Inquisizione si servì del “braccio armato” messo a disposizione della Chiesa dai sovrani.
 
L'arcivescovo ha aggiunto che ''Lo Stato cosiddetto 'neutrale',  lungi dall'essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identita', soprattutto quelle religiose, presenti nelle societa' civili tendendo ad emarginarle, se non espellendole dall'ambito pubblico''. Nel tempo, ''si sono andate assolutizzando in politica delle procedure decisionali che tendono ad autogiustificarsi in maniera incondizionata''.

L’allontanamento degli individui dalla religione  non è dello Stato aconfessionale.  Diversamente dal passato le persone hanno la possibilità di studiare, i vari rami della scienza hanno eliminato false credenze, superstizioni e miti religiosi. Ed anche la gerarchia cattolica si deve confrontare con la realtà, che la costringe alla perdita di potere e di influenza sulle masse. 
Il cristianesimo non è più considerato l’unico depositario della “verità” divina, ma una religione fra le altre, secondo i relativisti. 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Dicembre 20, 2012, 07:35:57
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La riforma protestante è la causa della secolarizzazione dell'Occidente ?

Brad Gregory, docente di storia all’Università di Notre Dame negli Stati Uniti, ha pubblicato un suo libro dal titolo: “The Unintended Reformation: How a Religious Revolution Secularized Society” (Harvard University Press 2012, 592 pagine), traducibile nel seguente modo: “La Riforma non compresa: come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società”.

Il professor Gregory è convinto che la Riforma Protestante sia stata la causa della secolarizzazione del mondo occidentale. Egli afferma che quando quei riformatori del Cinquecento decisero di abbandonare la cultura filosofica aristotelica e tomistica diedero il via al pluralismo religioso e confessionale che ebbe ripercussioni notevoli su tutta la società, in particolare su quella Europea.

La tesi  di Gregory è influenzata  dal pensiero di Ernst Troeltsch e di Max Weber.

Per Gregory  i problemi dottrinali irrisolti ed i conflitti religiosi e politici nati dalla Riforma protestante costrinsero a prendere una direzione di secolarizzazione e di separazione della religione dal resto della vita pubblica con conseguente “relativizzazione di ogni forma di fede”.

Le guerre di religione e la persecuzione delle minoranze religiose generò il desiderio di trovare un fondamento comune del vivere civile che non si basasse sulla religione né sulla costrizione agli individui di aderire ad una Chiesa. 

Nel nostro tempo molte persone  credono che nessuna religione sia depositaria della cosiddetta “verità” in senso teologico, e  la scelta religiosa sia una questione privata, soggetta alla preferenza  personale.

Io penso che sia eccessivo associare alcuni fenomeni sociali alla Riforma protestante, che  s’inserì in un processo storico di divisione all'interno della societas cristiana. La riforma protestante va ricondotta nell’ambito dei problemi religiosi interni al Cristianesimo; non credo che essa possa aver influito molto nell’ambito socioeconomico, ad eccezione del calvinismo.

Se è vero ciò che dice Max Weber, che capitalismo e individualismo sono due fattori che albeggiano all'interno delle società riformate, è altresì vero che le cause non si possono ricondurre completamente alla Riforma protestante, che fu l’effetto e non la causa  della secolarizzazione nel centro-nord Europa.

E l’Illuminismo ? Fu determinante per il rinnovamento della civiltà occidentale, per liberare gli individui dalle  cosiddette “verità”: la  religione cattolica si considera la depositaria dell'unica “verità”, quella cristiana. Superba certezza della sua verità  oggettiva !  Ma quali sono le modalità per l’acquisizione della verità ? Quelle insegnate dalla Chiesa o dalla scienza ?  La verità è relativa ? La scienza offre la conoscenza razionale, laica e antidogmatica;  per sua natura è relativista.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: piccolofi - Gennaio 05, 2013, 19:31:52
Caro Dottor Stranamore, che spesso da solo, con costanza ed impegno, popoli questo settore nelle sue varie sezioni, io dal mio piccolo sento il bisogno di ringraziarti per le interessanti lezioni impeccabilmente esposte.
Ai lontani tempi in cui studiavo, la filosofia non mi prendeva granche', ma se avessi avuto un docente come te penso che il mio approccio sarebbe stato diverso, arricchito di stimoli.
In fondo, forum non e' solo palleggio o dibattito, ma anche questo, ossia regalare agli altri ( quelli che hanno interesse ) le proprie conoscenze.
Ognuno da' in modo diverso.
Io in questo settore non posso che essere lettrice, ma mi va bene cosi'.
Grazie dunque e ciao, qualunque sia il tuo nome e di dovunque tu sia.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 06, 2013, 16:36:49
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Gentile interlocutrice, “piccolofi”,  il tuo nick è la forma abbreviata di piccolo fiore ?

Grazie per le tue cortesi parole d’incoraggiamento.

Mi chiamo Rudi e vivo a Roma.

Sono in età geriatrica ma la mente è rimasta nell’età pediatrica: un Peter Pan !

Mi piace argomentare su alcuni temi, comprenderli. Le diverse materie le ho nelle mie cartelle virtuali. Quando posso cerco di mettere ordine, di sintetizzare e pubblicare in questo forum come condivisione con voi.

Oggi ti voglio parlare del relativismo culturale.

Dal punto di vista gnoseologico od epistemologico la relazione tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto incontra dei limiti, perciò non si può parlare di verità  universalmente valida. Ed è ciò che afferma anche il relativismo. Ma quale relativismo ? Ci sono numerosi relativismi. Oltre quello scientifico, c’è quello culturale, quello etico ed altri. 

Relativismo culturale.

L’antropologo tedesco naturalizzato statunitense Franz Boas (1858-1942)  fu il primo ad elaborare il concetto di “relativismo culturale”. Per Boas ogni gruppo etnico  ha proprie tradizioni e modalità sociali.

Lo statunitense Jean Melville Herskovits (1895-1963) con il suo libro “L’uomo e le sue opere” contribuì a chiarire il concetto di relativismo culturale dal punto di vista antropologico.  Per Herskovits, la cultura è la risposta che  nel tempo i diversi gruppi umani si danno per la loro esistenza e le loro interazioni economico-sociali.
 
Un’altra antropologa, la statunitense Margaret Mead (1901 – 1978), studiò il ruolo dei fattori biopsicologici individuali e culturali nella strutturazione della personalità, e concluse che la variabilità naturale dei caratteri congeniti basilari è universalmente identica, ma  in ogni società vengono selezionate le modalità per vivere meglio nel proprio ambiente naturale.

Considerato il carattere universale della cultura, intesa in senso antropologico, e la specificità di un ambito culturale, si può affermare che ogni società è unica e diversa dalle altre. Da questa teoria sono derivate numerose tesi che raccomandano il rispetto delle diverse culture e dei valori in esse professati.

Fino al XIX secolo alcuni gruppi etnici diversi da quelli occidentali venivano considerati "primitivi" o "barbari".  L’etnocentrismo indusse molti intellettuali a presumere di essere gli unici in grado di proporre il proprio sapere ed il modo di agire  come termini di paragone per le altre culture.

"Etnocentrismo” è il termine usato dagli antropologi per indicare l'opinione secondo la quale il proprio modo di vita è quello giusto e naturale, il solo vero modo, quello di altri popoli è sbagliato. Si tratta di una forma di riduzionismo.

La tendenza ad interpretare o valutare le altre culture partendo dalla propria, divenne evidente presso gli europei dopo le grandi spedizioni geografiche, con la scoperta dell'America, delle isole del Pacifico e dell'estremo Oriente.

Per difendere la sopravvivenza delle culture "primitive" venne sviluppato all’inizio del '900 il cosiddetto "relativismo culturale". Gli assertori di tale teoria combattevano l’etnocentrismo, negando l'esistenza di un'unità di misura universale per la comprensione dei valori culturali, poiché ogni cultura era portatrice di istituzioni ed ideologie che non avevano validità al di fuori della cultura stessa. Emerse un nuovo punto di vista che facilitò la  comprensione e  l’apprezzamento
di una diversa cultura, la quale esprime il modo di vivere di una comunità, con  atteggiamenti o comportamenti appresi e tramandati nel tempo da una generazione all'altra durante il processo di socializzazione. 

Questo, dunque, è il relativismo culturale: ogni cultura ha pari dignità delle altre; non ci sono culture antropologiche “superiori” od “inferiori” ad altre, ma soltanto differenze.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 08, 2013, 17:07:34
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Il sociologo Gian Paolo Prandstraller nel suo saggio: “Relativismo e fondamentalismo” evidenzia l'avvento del relativismo come fenomeno di grande rilievo culturale che influenza la mentalità collettiva.

Dal punto di vista filosofico, il relativismo è quella corrente di pensiero secondo cui la conoscenza umana non può penetrare la realtà in sé, come assoluto, ma deve accontentarsi di afferrare della realtà solo aspetti parziali, particolari, contingenti.

Invece il fondamentalismo monoteistico dà una spiegazione unitaria ed esclusiva della realtà, perciò confligge con la visione pluralista e con le discipline che spiegano in modo diverso  la vita umana e l’universo.

Il relativismo nega l’Assoluto, cioè l’esistenza di entità-verità capaci d'intervenire nella realtà, esistenza che è invece alla base della religione cristiana.

Il fondamentalismo ormai viene percepito come dissonanza cognitiva dagli individui che non ricavano il proprio senso della vita da un principio trascendente.

Il relativismo contesta l’offerta unitaria di senso, del senso della vita, che offre, ad esempio, la Chiesa cattolica; non crede alla “salvezza” eterna  proposta dal cristianesimo come  scopo supremo di ogni individuo; non crede ad una realtà trascendente.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: piccolofi - Gennaio 08, 2013, 17:57:27
Grazie, ho letto con interesse.   Se la conclusione che tutte le culture hanno pari dignita' in quanto espressioni di altrettanti gruppi umani e contesti, che vanno rispettati e per i quali non si possono stilare ne' classifiche ne' giudizi di valore ( stante appunto il relativismo di tutto ), trovo pero' che, pur conservando il rispetto, non sia altrettanto naturale e opportuno il mescolarsi delle culture.
Cioe' un conto e' l'approccio mentale, di principio, e un conto e'l'opportunita' concreta di una indiscriminata convivenza di culture diverse.
Intendo dire che, laddove le culture non sono compatibli o si ispirano addirittura a principi opposti, l'ecumenismo a tutti i costi mi sembra poco opportuno quando non controproducente.
Dunque, fatto salvo il principio da te esposto del dover tener presente la non assolutezza  bensi' il " relativismo " della cultura, la concreta integrazione delle culture io credo sia un problema con molte facce e che non puo' ad ogni modo essere superficialmente propugnata o peggio ancora imposta, con  atteggiamento semplicistico, "fideistico", o semplicemente opportunistico, quale e' spesso quello dei politici.
Ti saluto ora, e si, il mio nick ( che non avevo mai chiesto a nessuno di svolgere, ma che altri hanno avuto il dubbio piacere di mettere in chiaro ) sta per quello che hai detto.
L'espressione, non mia, viene dal passato e percio' mi era sembrato giusto troncarla nel farne un nickname.
Per le altre tue considerazioni..., da che esisto a me delle persone interessa solo la sostanza, non il contorno e non l'eta' anagrafica.
Non c'e' bisogno di rincorrere quel che non si ha piu', tanto quello che conta e' quanto abbiamo dentro.
E per chi la pensa diversamente....c'e' solo l'imbarazzo della scelta, specie al giorno d'oggi.
Ti pare?
Ma non definirti un " Peter Pan ", non mi sembra una gran definizione.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 09, 2013, 15:14:10

Se la conclusione che tutte le culture hanno pari dignita' in quanto espressioni di altrettanti gruppi umani e contesti, che vanno rispettati e per i quali non si possono stilare ne' classifiche ne' giudizi di valore ( stante appunto il relativismo di tutto ), trovo pero' che, pur conservando il rispetto, non sia altrettanto naturale e opportuno il mescolarsi delle culture.
Cioe' un conto e' l'approccio mentale, di principio, e un conto è l'opportunita' concreta di una indiscriminata convivenza di culture diverse.
Intendo dire che, laddove le culture non sono compatibli o si ispirano addirittura a principi opposti, l'ecumenismo a tutti i costi mi sembra poco opportuno quando non controproducente.


Concordo con te. Dopo la scoperta dell’”America” le antiche popolazioni del Sud America furono quasi sterminate dagli spagnoli e dai portoghesi. I missionari cattolici, in primis i Francescani, imposero il  cristianesimo  a quelle etnie  che già avevano proprie culture e religiosità. Anche nel Nord America ed in Canada le cose non andarono meglio. Gli inglesi ed i francesi ridussero entro piccole riserve i cosiddetti indiani.

Dunque, fatto salvo il principio da te esposto del dover tener presente la non assolutezza  bensi' il " relativismo " della cultura, la concreta integrazione delle culture io credo sia un problema con molte facce e che non puo' ad ogni modo essere superficialmente propugnata o peggio ancora imposta, con  atteggiamento semplicistico, "fideistico", o semplicemente opportunistico, quale e' spesso quello dei politici.

La Chiesa accusa gli organi internazionali di diffondere tra le popolazioni una morale relativista e per questo si concentra sull'inculturazione, cercando di mediare la visione etica delle "verità" rivelate con le tradizioni locali.

Papa Ratzinger è contro il relativismo, specie religioso. Nel contempo con il suo costante invito  all’accoglienza di gente con culture diverse costringe noi europei alla mescolanza di fedi diverse. Mi sembra un controsenso. Per motivi politici  e di pace religiosa  egli incita all’accoglienza, ma nel contempo pretende dagli occidentali una salda fede religiosa cristiana.  Eppure lo sa che la moltitudine degli europei cristiani è culturalmente insufficiente nella conoscenza della propria religione, in particolare nella teologia. Il proprio sapere del cristianesimo e della liturgia è limitato a quanto appreso nelle lezioni di catechismo   durante l’infanzia. E le omelie durante la Messa  anziché istruire sono spesso noiose.

Anche alcuni partiti politici strombazzano l’accoglienza degli stranieri e la Caritas vuol sfamare poveri e finti poveri con i soldi dello Stato italiano e le offerte. Ci sono delle onlus che per giustificare la loro esistenza segretamente chiamano  gente dall’Africa e dall’Asia e speculano su quegli immigrati. Questi, quando arrivano in Italia, pensano di trovare casa, lavoro, diritto d’asilo, diritto di cittadinanza. Ci sono albergatori che  per mesi li ospitano a spese del contribuente. Quegli immigrati quando sono qui incontrano ostacoli, indifferenza. Molti danneggiano le stanze dove vivono. Vogliono fare i padroni in casa nostra. Molti altri anziché tornare nelle loro nazioni si aggregano a bande di delinquenti e cominciano a spacciare droga, a rubare ed a commettere tanti altri reati. La maggioranza dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri. Il nostro parlamento è incapace di fare leggi severe, di prevedere espulsioni, di far scontare la pena detentiva nelle prigioni dei loro luoghi di provenienza. L’Italia è il “corpo molle” dell’Europa per colpa dei nostri politici e della Chiesa cattolica.

Comunque non bisogna generalizzare. Ci sono tantissimi immigrati dell’est Europa e del nord Africa che si sono integrati, sono brave persone.  Mandano i figli nelle nostre scuole. Lavorano nel settore del commercio, dell’edilizia, l’assistenza familiare, ecc..


Ma non definirti un " Peter Pan ", non mi sembra una gran definizione. Considerala una mia battuta scherzosa non corrispondente al vero.  Tale è stato il mio intento.
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Ora faccio seguito al relativismo culturale, per ribadire che questa teoria e prassi non ammette verità assolute, per l’impossibilità di  raggiungere la natura oggettiva delle cose. E considera le diverse fedi sullo stesso piano, perché non esiste una verità riservata ad una sola religione, come pretende la Chiesa cattolica.

Per le Chiese cristiane il relativismo culturale è inaccettabile perché mette in dubbio le verità rivelate che sono oggetto della fede.  Accettare il relativismo significherebbe l'eclisse del cristianesimo.

La Chiesa  cattolica afferma di rispettare le culture diverse dalla propria ma le vuole evangelizzare, perché si ritiene detentrice dell’unica verità: il Gesù-Dio. Essa richiama in proposito le parole di Gesù: “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv. 14,6). 

Molti ignorano che il contrario del relativismo è l’assolutismo. Forse in Vaticano ci sono ancora molti fautori di tale potere ormai perduto.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 10, 2013, 16:03:03
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Il pontefice, Benedetto XVI,  il 6 giugno 2005 nel suo discorso  in occasione dell’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma dedicato alla “Famiglia e comunità cristiana” disse:  “Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, rendendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune. È chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio distruttivo nella società e nella cultura.”

La polemica ratzingeriana contro la “dittatura del relativismo” e il “relativismo come prigione” è motivata dalla concezione relativista dell’”Assoluto”,  secondo la quale non è Dio ma l’individuo l'artefice del proprio destino;  vive in un mondo in continua evoluzione, ed egli stesso è in perenne cambiamento, perché muta l’ambiente culturale in cui vive  ed adegua i suoi valori di riferimento, i suoi criteri di verità e di moralità alle diverse circostanze storiche. In modo autonomo vuole dare un senso alla propria vita e rispetta le “verità” altrui, che possono essere contrarie alle sue, comunque sono verità soggettive e non oggettive. La verità è filia temporis (figlia del tempo).

Le ricerche di antropologia culturale evidenziano che  nel tempo le diverse tradizioni religiose o le norme morali hanno una propria validità temporale.

Nella visione storicista, nessuna cultura, nessuna morale e nessuna religione può arrogarsi il diritto di credersi migliore delle altre o ad esse superiore, oppure credersi l’unica  vera. 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 22, 2013, 10:27:04
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Per il relativismo nulla è trascendentale tutto è immanente. Non esiste il Dio creatore dell’universo e dell’Uomo,  non esiste un al di là divino ma soltanto la realtà che conosciamo. Ed è l’individuo che determina il bene ed il male, perché condizionato dall’ambiente socioeconomico in cui vive, dalla sua personalità,  dall’etica e dalla morale.

Etica e morale sono spesso usate come sinonimi, invece i due lemmi sono concettualmente diversi.

L'etica è la teoria della morale, studia la sua natura, i suoi obiettivi.

Il lemma etica deriva dal latino “ethica”; questa parola a sua volta  scaturisce  dai termini d’origine greca “etiké” (che fa riferimento al comportamento dell’individuo) ed “ethos”, che significa abitudine, consuetudine di atti in una comunità. 

L’etica pur essendo  valutativa,  diventa descrittiva del fenomeno morale, perché questo è osservabile nella sua continuità sincronico-temporale e diacronico-geografica.

L'etica non valuta per poi prescrivere le sue valutazioni, non si prefigge giudizi morali, ma  si limita a rilevare il dato di fatto esistente ed a descriverlo per come esso è, non cerca ciò che dovrebbe essere o l'ideale verso cui tendere.

L'etica descrittiva rivolge la sua attenzione soprattutto alla dimensione socio-culturale del fenomeno morale, per  evidenziare l’omogeneità o la difformità dei singoli comportamenti nei confronti dell'ethos collettivo vigente. Infatti non è possibile fare riferimento a norme valide sempre, ciò non significa che sia accettabile il relativismo etico secondo il quale ogni valore è riconducibile alla sua origine storico-sociale e quindi sostituibile con altri. Ci sono valori immutabili, come il “non uccidere”.

La morale invece non è descrittiva ma  prescrittiva: definisce l’insieme delle norme riguardanti il corretto agire degli individui, ossia il bene da fare ed il male da evitare, la giustizia e l’ingiustizia, ecc..

Il termine morale deriva dal latino “mores” e si riferisce  al modo di agire degli individui, al loro comportamento, all’èthos nella lingua greca ed  alla “moralitas”  di Marco Tullio Cicerone.  Come sostantivo deriva  invece dal latino “moràlia” ed ha il significato simile ad etica.

Qui uso il concetto di morale come moralità, cioè come assieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico o di un individuo.

Secondo lo psicologo e pedagogista Jean Piaget, "l'essere umano  nasce con l'attitudine, la potenzialità  di acquisire la morale; la potenzialità  serve anche per  imparare un codice linguistico. 

Emil Durkheim, uno dei fondatori della sociologia e della sociologia della religione, scrisse che la morale origina dalla natura sociale dell’umanità e comincia con la vita in gruppo.

L’etica è un ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, oppure distinguerli in buoni, giusti o socialmente leciti, rispetto ai comportamenti considerati inaccettabili dalla comunità di riferimento.

Nel lessico filosofico il termine "etica" deriva da Aristotele, il quale scrisse  l'Etica Nicomachea e l’Etica Eudemea.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Gennaio 24, 2013, 04:27:45
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L'agire morale esige coerenza: non si può optare a seconda del proprio tornaconto, altrimenti è relativismo morale.
Intatti è per questo che i relativisti vogliono eliminare il termine "morale". Il termine "morale" ha un significato più interiore, di valori interiorizzati, assimilati e conformi al proprio agire. "Etica" invece ha una connotazione più esteriore, di  comportamento formale  che, appunto, può  cambiare secondo l'opportunità.

 MA  CHE  CE  NE  FREGA  DEL RELAIVISMO  CHE  HA  DISTRUTTO  LA  NOSTRA SOCIETÀ !!! ???

Ormai sta per cominciare il declino del relativismo (e sarebbe ora): non c'è più nulla da distruggere, è stato già distrutto tutto. Non se ne può proprio più !!!
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 25, 2013, 10:45:36
MA  CHE  CE  NE  FREGA  DEL RELATIVISMO  CHE  HA  DISTRUTTO  LA  NOSTRA SOCIETÀ !!! ???

Ormai sta per cominciare il declino del relativismo (e sarebbe ora): non c'è più nulla da distruggere, è stato già distrutto tutto. Non se ne può proprio più !!!

Cara Nuvoletta, emula di Giovanna d’Arco, o forse di “Don Chisciotte” ?

Da circa tre mesi nelle librerie  c’è un nuovo testo del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti: “Cristianesimo. La religione del cielo vuoto”, nel quale dice che il cristianesimo ha esaurito la sua spinta propulsiva  e che il cattolicesimo ormai svolge le funzioni di “agenzia etica”.

Il teologo  cattolico Vito Mancuso  fa ovviamente notare che chi prega ogni giorno “Padre nostro che sei nei cieli” non accetta di vedere qualificata la propria fede come “la religione dal cielo vuoto”.

Per Galimberti  il cristianesimo ha eliminato dal concetto di Dio la pienezza della vita che comprende il bene ed il male, la giustizia e l’ingiustizia, mentre il Dio cristiano è solo bene e solo giustizia, è amore secondo papa Ratzinger, perciò strutturalmente incapace di rispecchiare la realtà.

Liberando Dio dalla responsabilità del male, il cristianesimo l'ha impoverito rendendolo incapace di abbracciare il tutto, così che, a differenza degli Dei greci e dell'Islam, il cristianesimo è rimasto privo della dimensione del sacro. Privo di sacralità, ridotto ad etica, il cristianesimo non è più in grado di riempire il “cielo” dantesco o della tomistica medievale.   

E’ certamente fondata la tesi di Galimberti, secondo cui “il cristianesimo ha desacralizzato il sacro, sopprimendo la sua ambivalenza e assegnando tutto il bene a Dio e tutto il male al suo avversario”, cioè a Satana.  L'immagine di Dio portata da Gesù rende impossibile un Dio dell'ira e della vendetta. Questa visione galimbertiana è influenzata dalla critica teologica di Friedrich Wilhelm Nietzsche  al cristianesimo, basata  sulla teologia greca. Per il filosofo  tedesco si ha bisogno del dio buono e di quello cattivo, altrimenti non interessa  un dio che non conosce l’ira, la vendetta, l’invidia od altro. Per Nietzsche  che significato avrebbe  un dio del solo amore, bene e giustizia ?

Nuvoletta sei proprio sicura che il relativismo è in declino ? Il Concilio Vaticano II ha accettato la libertà religiosa e quindi il primato della coscienza.

L’unica cosa sacra è la vita libera degli esseri umani.

Il cristianesimo grazie alla secolarizzazione sta iniziando a confrontarsi con le diversità del mondo e con il Dio del teismo e dell'onnipotenza di alcune pagine bibliche. Oggi a risultare sacra per la coscienza è la lealtà della relazione, l'armonia che va costantemente ricercata e costruita, il volto umano di ogni razza o colore, con la profonda trasformazione del concetto di religione che questo porta con sé. Purtroppo gli uomini di Chiesa in grado di cogliere questa dinamica  sono pochi, mentre i più, e in questo Galimberti ha ragione, si occupano di argomenti “che ogni società civile può affrontare e risolvere da sé”.

La secolarizzazione ha permesso la tolleranza tra le fedi perché ha frammentato i grandi sistemi di rappresentazione del mondo.

La tua difesa ad oltranza del cristianesimo è forse un disperato tentativo  per riguadagnare una visione del mondo unitaria di fronte ad una realtà complessa ?  Nuvoletta, non puoi proporre una visione semplicistica e manichea del mondo. Il bene ed il giusto non sta solo nel cristianesimo.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Gennaio 25, 2013, 14:30:18
E chi è Galimberti? Chi lo conosce? Pussa via ! Ahahahah ! Non è un personaggio degno di molta considerazione. Dottorstranamore ma perché ti riferirci ogni volta al cristianesimo? Io non l'ho nominato proprio. Inoltre perché ti rivolgi a me come se io fossi una fervente cattolica? Non lo sono! Non sono più neppure tanto credente. Che c'entra il cristianesimo? Io avrei una visione semplicistica, manichea, della vita? Ma  sei tu piuttosto a credere che le persone siano o relativisti o cristiani. Lasciamo stare la religione, delle religioni si può dire di tutto e il contrario di tutto. A me non piace il relativismo perché dà una visione della vita sconcludente, troppo superficiale ed è dissacrante non solo nei confronti delle religioni ma verso tutti gli aspetti dell'esistenza umana. Comunque, ad onor del vero, il cristianesimo non ha perso la sua spinta propulsiva e Mancuso non credo si possa più definire "cattolico" dato che si discosta spesso dal cattolicesimo. Che l'idea del Dio cristiano sia solo di Bene, di Amore e di Giustizia ciò coincide con l'ultimo ed eterno desiderio di ogni uomo e che possa dare davvero senso alla propria vita. In ultima istanza, togliendo l'amore, cosa può soddisfare e dar senso alla vita di un uomo? Inoltre, se si aspira al senso più alto dell'amore, ogni altro bene ed anche la stessa giustizia perderebbero senso in quanto in esso inclusi spontaneamente.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 27, 2013, 18:36:04
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Il filosofo ed epistemologo d’origine austriaca Karl Raimund Popper (1902 – 1994) considerava il marxismo ed il materialismo i responsabili dell’attuale relativismo: ogni verità è relativa all'epoca storica che la produce. Le norme, le regole, i giudizi di valore sono collegati a specifici bisogni di una comunità, perciò non sono assoluti.

Altri popperiani, tra cui il docente di filosofia della scienza Marcello Pera,  obiettano che le libertà civili e politiche, lungi dall'essere fondate sulla relatività delle nostre conoscenze, debbano ricondursi alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità o non verità delle idee e delle convinzioni di ciascuno e che assicura a tutti il diritto di far valere tali idee e convinzioni in ambito sociale e politico.

Nel libro “Senza radici”, scritto con la collaborazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, il professor Pera  dice: “L’idea secondo cui non vi sarebbero buone ragioni per giudicare culture o civiltà è notoriamente l’idea del relativismo. Essa oggi prende vari nomi: ‘pensiero postilluministico’, ‘pensiero postmoderno’, ‘pensiero debole’, ‘pensiero senza fondamenti’’, ‘pensiero senza verità’, ‘decostruttivismo’, eccetera. Il marketing è vario, ma il target è sempre lo stesso: si tratta di far proseliti all’idea che non esistono fondamenti ai nostri valori e che non si possono addurre prove od argomenti solidi per stabilire che qualcosa è migliore  o vale più di qualcos’altro.”

Si lamenta del proselitismo da parte dei relativisti e tace su quello dei cattolici, contestato anche dalla gerarchia  dei cristiani ortodossi russi.

Pera prosegue dicendo: “Il relativismo parte da un dato incontestabile: la pluralità dei valori, e da una posizione anch’essa difficilmente contestabile: la non compossibilità di tutti i valori, nel senso che esiste sempre una circostanza  in cui perseguire un valore  (poniamo, l’amicizia), è incompatibile con il perseguirne un altro (poniamo, la giustizia. Si pensi al caso da manuale in cui un amici abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l’amicizia e denunciarlo o mantenere l’amicizia ed essere complici ?). Ma da tali premesse il relativismo fa discendere conseguenze sbagliate e disastrose, in particolare una: che gli insiemi dei valori, come le culture e le civiltà, non possono essere giudicati l’uno a fronte dell’altro.” […] “In sostanza, l’argomento di fondo a favore di questa tesi è che i contenuti non possono essere separati dai criteri con cui li si giudica. Il vero, il bello, il buono in una comunità sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella comunità. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali. Né esistono meta criteri che possano fissare il vero in sé, il bello per tutti, il buono universale. Tutti i criteri, si dice, sono contestuali.” 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Gennaio 27, 2013, 20:33:05
Si pensi al caso da manuale in cui un amici abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l’amicizia e denunciarlo o mantenere l’amicizia ed essere complici ?).
Ma suvvia, non siamo mica bimbi delle elementari, Dottorstranamore, ma come si fa !!??


 Il vero, il bello, il buono in una comunità sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella comunità. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali. Né esistono meta criteri che possano fissare il vero in sé, il bello per tutti, il buono universale. Tutti i criteri, si dice, sono contestuali.”
Ah Sì? E allora prendi una donna brutta e racchia, falle fare il giro del mondo e poi vieni a dirci per quale popolazione è stata invece considerata bella e desiderabile …. Ahahaha !!!!

Dottorstanamore, io distruggo sempre le tue tesi in favore del relativismo !
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 27, 2013, 20:48:36
Nuvoletta, piccolo nembo, artistico cirro, le proposizioni che mi attribuisci sono state scritte da Marcello Pera. Guarda il virgolettato. :top:


Ed ora per punizione leggiti quest'altro post.  :mah: :rose:

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La norma morale  indica una regola, un criterio  da osservare. Si distingue dalla legge, perché può essere priva della coercizione, ma può divenire legge se viene resa coattiva da una pubblica sanzione.

Per l’etica religiosa cristiana è Dio l’erogatore della norma morale, perciò legittima ed efficace. Ma in tal caso la norma è giusta perché è stabilita da Dio, o Dio stabilisce la norma perché è giusta ?

Il filosofo greco Platone (circa 428 a.C. – 348 a.C. circa) nel dialogo “Eutifrone”  sostiene che il criterio di giustezza  di una norma non dipende dalla volontà divina, ma dalla natura della cosa in sé.

Per Platone il demiurgo (il dio artefice dell’universo, principio dell’ordine cosmico) è buono, perciò comanda soltanto cose buone. Però, dal punto di vista gnoseologico  chi ci dice che Dio è buono ?  Una religione ?

Secondo  Socrate l'individuo deve agire secondo ragione (ratio), senza pretendere di stabilire una volta per tutte quale sia il bene concreto.
Uccidere per difendersi da un assassino può essere moralmente lecito dal punto di vista del relativismo morale, accusato dalla gerarchia cattolica  di negare la validità assoluta delle norme religiose o naturali, come il comandamento biblico “non uccidere”.

Ogni valore morale  è relativo, perché creato ed imposto  in un determinato periodo storico.

Le prime norme o regole morali le insegnano i genitori ai figli durante l’infanzia. I familiari spiegano  la differenza tra il bene ed il male, secondo le proprie convinzioni religiose o sociali.  Poi intervengono altre agenzie educative: la scuola, la Chiesa, il gruppo dei pari.

La relazione e lo scambio emotivo con il caregiver (la persona che accudisce l’infante) sono in grado di promuovere l'interiorizzazione da parte del bambino di strutture e codici che sottostanno alle competenze morali. Inizialmente queste norme sono collegate alle attività fisiologiche di base come il ritmo sonno-veglia e l'alimentazione, successivamente si riferiscono alla regolazione dei processi interattivi.

Spesso l’inadeguatezza dello sviluppo morale  in un infante o adolescente dipende dai maltrattamenti o dagli abusi ricevuti.
Ci sono ricerche che evidenziano il legame tra maltrattamenti infantili e comportamenti  devianti nell’età adulta. deviazioni dalle norme sociali ed etico-religiose. Le psicopatologie si presentano durante l’adolescenza e persistono nel tempo. Si manifestano con disturbi della personalità, con tendenze delinquenziali od antisociali. Molti criminali violenti sono stati abusati durante l'infanzia.

Il  maltrattamento incide sullo sviluppo delle competenze relazionali e sociali del bambino, distorcendo alcuni aspetti legati all'acquisizione di competenze morali che regolano il rapporto con gli altri.

La psicologa canadese  Mary Dinsmore Salter Ainsworth (1913 – 1999), allieva di John Bowlby ed esperta in psicologia dello sviluppo, con  le sue ricerche ha dato importanti informazioni sulle tipologie d'attaccamento e l'esistenza del passaggio trans generazionale dei valori e delle norme.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Gennaio 27, 2013, 23:15:47
Certo che ho notato il virgolettato, ma chi ce li sta propinando i "virgolettati"?  ;D
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Gennaio 28, 2013, 00:05:22
Papa Ratzinger è contro il relativismo, specie religioso. Nel contempo con il suo costante invito  all’accoglienza di gente con culture diverse costringe noi europei alla mescolanza di fedi diverse. Mi sembra un controsenso. Per motivi politici  e di pace religiosa  egli incita all’accoglienza, ma nel contempo pretende dagli occidentali una salda fede religiosa cristiana.  Eppure lo sa che la moltitudine degli europei cristiani è culturalmente insufficiente nella conoscenza della propria religione, in particolare nella teologia. Il proprio sapere del cristianesimo e della liturgia è limitato a quanto appreso nelle lezioni di catechismo   durante l’infanzia. E le omelie durante la Messa  anziché istruire sono spesso noiose.

Anche alcuni partiti politici strombazzano l’accoglienza degli stranieri e la Caritas vuol sfamare poveri e finti poveri con i soldi dello Stato italiano e le offerte. Ci sono delle onlus che per giustificare la loro esistenza segretamente chiamano  gente dall’Africa e dall’Asia e speculano su quegli immigrati. Questi, quando arrivano in Italia, pensano di trovare casa, lavoro, diritto d’asilo, diritto di cittadinanza. Ci sono albergatori che  per mesi li ospitano a spese del contribuente. Quegli immigrati quando sono qui incontrano ostacoli, indifferenza. Molti danneggiano le stanze dove vivono. Vogliono fare i padroni in casa nostra. Molti altri anziché tornare nelle loro nazioni si aggregano a bande di delinquenti e cominciano a spacciare droga, a rubare ed a commettere tanti altri reati. La maggioranza dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri. Il nostro parlamento è incapace di fare leggi severe, di prevedere espulsioni, di far scontare la pena detentiva nelle prigioni dei loro luoghi di provenienza. L’Italia è il “corpo molle” dell’Europa per colpa dei nostri politici e della Chiesa cattolica.
Ecco tutto questo  che hai scritto mi è piaciuto molto, Dottorstranamore, qui ti meriti un  bel Summa cum laude !

Ma nel seguito non sono d'accordo. Non è detto che bisogna scegliere o relativismo o assolutismo: mi fanno ribrezzo entrambi.  La Chiesa cattolica vuole evangelizzare ma non imporre mandando a morte chi la rifiuta, come avviene in altre religioni di esaltati.  Non penso che gli immigrati dell'Est siano integrati alla nostra cultura ma sfruttano soltanto la nostra amabile ma ingenua affabilità. Vedo più capaci e sinceri i sudafricani, a dir il vero. Ma non possiamo certo accoglierli tutti; e non siamo noi a deciderlo bensì L'Europa. Noi, dopo la seconda guerra mondiale non contiamo più di un fico secco anche perché non abbiamo uomini politici  coraggiosi con capacità morali, intellettuali, culturali e politiche tali da affrontare seriamente e con dignità questo problema. Ci stava pensando Maroni ma l'hanno zittito subito dalla Francia e da altre parti.

Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 28, 2013, 17:03:42
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La religione cristiana non accetta la spiegazione pluralista della realtà mentre il relativismo nega l'Assoluto, cioè l'esistenza di entità-verità capaci di risolvere in sé tutta la realtà. E nega che ci siano leggi, norme e valori morali validi sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Afferma, invece, che le norme morali, i valori etici non hanno carattere di assolutezza e di immutabilità, ma sono relativi all'evoluzione delle idee e delle culture: cioè, possono cambiare nel tempo e anche perdere ogni validità.

I critici del relativismo sostengono che se nessuna rappresentazione umana è oggettiva,  allora neanche il relativismo può  pretendere di essere nel vero. Se per i sostenitori del relativismo etico  vale il principio di equivalenza di ogni prescrizione morale, ciò può  avere effetti esiziali sulla società; se infatti non esiste una Verità assoluta di riferimento in base a cui poter distinguere il bene dal male, allora tutto è lecito.

Agostino d’Ippona diceva: chi sostiene l'impossibilità di ogni certezza si contraddice,  perché dà  per scontata la certezza che non vi sono certezze. Per quanti tentativi uno faccia, non si può mai negare del tutto l'esistenza di una verità assoluta, verità che si manifesta proprio nella scoperta della relatività del mondo delle apparenze.

Chiunque può dire di avere ragione: ma il relativismo culturale afferma che nessuno può arrogarsi il diritto di imporre le proprie opinioni, specie se per sostenere le proprie argomentazioni fanno riferimento a Dio, al Verbo Rivelato, alla Verità Assoluta.
 
Esistono valori morali oggettivi in grado di unire l’umanità ? Quali sono? Come riconoscerli? Come attuarli nella vita delle persone e delle comunità ? Questi  sono interrogativi riguardanti il bene ed il male, che hanno ormai una dimensione internazionale. C’è la consapevolezza della globale solidarietà  verso l’equilibrio ecologico, la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima: temi che interessano tutta l’umanità e la cui soluzione va oltre gli ambiti nazionali. 

La ricerca  di valori condivisi riguarda tutta l’umanità. Ci sono tentativi per definire un’etica universale. Dopo la seconda guerra mondiale fu firmato a Parigi un documento sui diritti individuali, la cui redazione fu promossa dall’ONU perché avesse applicazione in tutti gli Stati facenti parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tale documento fu firmato il 10 dicembre 1948 ed è conosciuto come “Dichiarazione universale dei diritti umani”.  Sono diritti inalienabili dell’individuo che trascendono le leggi degli Stati ed inducono ad elaborare un’etica mondiale. 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Gennaio 30, 2013, 21:18:54
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Per "legge naturale” s’intende la “legge morale naturale”, anche se l’aggettivo “morale”  di solito non viene scritto.

Questa legge è detta naturale perché è propria della natura umana: tramite la ratio l’individuo può capire cosa è il bene e cos’è il male.

La legge  naturale [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 89] indica agli individui  la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il proprio fine. I suoi precetti sono compresi nel “Decalogo” (i dieci comandamenti).

Sant'Agostino nel “De Trinitate” (14, 15, 21: PL 42, 1052) dice che  “La legge naturale altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione”

Nella”Summa Theologiae”  Tommaso d’Aquino  afferma che la legge naturale impone agli individui di fare il bene e di evitare il male per costruire comunità basate sulla giustizia.
Ogni comandamento o precetto contiene una parte positiva (i “comandi” che si devono eseguire) per realizzare il bene, e una parte negativa (i “divieti” che si devono osservare) per evitare il male.
Secondo l’aquinate gli individui hanno innata  la Ragione naturale, capace d’intendere i principi morali, la sindèresi (dal greco syntërësis = osservazione, giudizio della coscienza). Nella filosofia Scolastica indica la capacità naturale della coscienza umana di conoscere immediatamente i principî morali universali,  e distinguere quindi il bene dal male.

Nell’antica Grecia i filosofi sofisti distinguevano  le leggi che hanno origine da una scelta governativa o sovrana  e quelle che sono valide “per natura”. Le prime non sono  eterne né valide  erga omnes, le seconde obbligano tutti, sempre e dovunque. Alcuni sofisti ricorrevano a questa distinzione per contestare la legittimità delle leggi istituite dalle città.

Platone e Aristotele non opponevano diritto naturale e leggi positive delle città-Stato.  Erano convinti che le leggi per governare sono generalmente buone e costituiscono l’attuazione, più o meno riuscita, di un diritto naturale conforme alla natura delle cose.

Per Platone il diritto naturale è un diritto ideale, una norma per i legislatori e per i cittadini, una regola che consente di fondare e di valutare le leggi positive.

Per Aristotele questa norma suprema della moralità corrisponde alla realizzazione della forma essenziale della natura. È morale ciò che è naturale. Il diritto naturale è immutabile; il diritto positivo cambia secondo i popoli e le diverse epoche. Ma il diritto naturale non si colloca al di là del diritto positivo. Esso si incarna nel diritto positivo, che è l’applicazione dell’idea generale della giustizia alla vita sociale nella sua varietà.

Nello stoicismo la legge naturale diviene il concetto chiave di un’etica universalista. È buono e dev’essere compiuto ciò che corrisponde alla natura. Questo imperativo presuppone che esista una legge eterna, un Logos divino, il quale è presente sia nel cosmo, che essa impregna di razionalità, sia nella ragione umana. Così, per Cicerone la legge è “la ragione suprema inserita nella natura che ci comanda ciò che bisogna fare e ci proibisce il contrario”.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 01, 2013, 09:13:05
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Nel medioevo la teologia cristiana volle coniugare la fede con la ratio filosofica. E quella filosofia fu detta “Scolastica” , perché veniva insegnata nelle scuole, di solito ubicate in plessi religiosi, ma anche laici, come la famosa “schola palatina” voluta da Carlo Magno.

Le scuole altomedievali insegnavano il mestiere (l'arte) agli “uomini liberi”, perciò dette  scuole di “arti liberali”. L’accesso all'istruzione superiore era possibile solo per i  figli delle famiglie economicamente benestanti.

Il docente (denominato “scholasticus”) insegnava una o più materie del “trivio” (grammatica, logica o dialettica, e retorica) o del “quadrivio” (geometria, aritmetica, astronomia e musica).

In seguito si chiamò scholasticus anche il docente di filosofia o di teologia, il cui titolo ufficiale era magister: magister artium o magister in theologia.

Fra i magister ci fu il  monaco filosofo e teologo Anselmo d'Aosta (1033 circa – 1109), considerato tra i massimi esponenti del pensiero medievale. Egli riteneva non in contrasto ragione e fede perché entrambe le presumeva concesse da Dio.

Anche  per Tommaso d’Aquino (1226 – 1274) non c’era contrasto tra ragione e fede, e considerava la morale originata da Dio. 
 
Invece altri studiosi, come l’inglese Guglielmo d'Ockham (1288 – 1349), teologo e filosofo francescano, evidenziarono l'esigenza dell'autonomia del pensiero filosofico dalla religione, per l'impossibilità di comprendere con la ragione i misteri della fede.

Nel basso medioevo ci fu la diffusione delle università, e la teologia  fu  prima costretta a confrontarsi con altre discipline, poi, progressivamente, subì  la separazione dalla filosofia, annullando il pensiero patristico  che aveva concepito ed attuato l’unità tra i due saperi.

Nel XVI secolo il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria (1483 circa – 1546), considerato uno dei fondatori del diritto internazionale, dette un importante contributo alla riflessione teologica sulla “guerra giusta”, tema già affrontato in precedenza da altri, come Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino.
Francisco de Vitoria fu anche il primo teologo ad affrontare la questione della conquista spagnola delle terre americane da poco scoperte ed il problema del rispetto dei diritti degli indios, cioè dei nativi di quelle regioni. Invocò la legge naturale per contestare l’ideologia imperialista di alcuni Stati cristiani d’Europa e per difendere i diritti dei popoli non cristiani d’America. Infatti tali diritti sono inerenti alla natura umana e non dipendono dalla situazione concreta nei confronti della fede.

Con riferimento anche  alla legge naturale scrisse nel 1888 il pontefice Leone XIII  nell’enciclica “Libertas  praestantissimum”: “La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere in mano del proprio arbitrio e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina.”

La legge naturale è presente nell’enciclica “Pacem in terris”  di Giovanni XXIII: I diritti naturali  sono indissolubilmente congiunti nella stessa persona che ne è il soggetto, con altrettanti rispettivi doveri, ed hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile. (I. 14).

Pure nelle questioni relative alla morale coniugale nell’enciclica di Pio XI “Casti connubii”  e nell’enciclica “Humanae vitae”  di Paolo VI c'è sullo sfondo la legge naturale.

Il pontefice Giovanni Paolo II si soffermò sulla legge naturale nella lettera enciclica “Veritatis splendor”, indirizzata ai vescovi  per ribadire l’insegnamento morale della Chiesa cattolica: “… si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per ‘esortare le coscienze’ e per ‘proporre i valori’, ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.” […] “È anche diffusa l'opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l'appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell'ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali.”

Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 03, 2013, 08:12:14
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Alcuni comportamenti degli individui sono considerati nella maggior parte delle culture come espressioni meritevoli di plauso: atti di coraggio, pazienza nelle prove e nelle difficoltà della vita, compassione per i deboli, moderazione nell’uso dei beni materiali, atteggiamento responsabile nei confronti dell’ambiente, dedizione al bene comune.... Altri comportamenti sono  invece universalmente rifiutati, per esempio l’omicidio, la violenza, il furto, il sopruso.

Fin dall’infanzia l'individuo accede progressivamente all’esperienza morale  attraverso la propria famiglia e  la rete di relazioni interpersonali che gli consentono gradualmente di  capire l’agire sociale e di diventare un soggetto consapevole di sé.

L’ambiente socioculturale in cui si vive ha un ruolo determinante nell’educazione ai valori morali, perché orienta la persona a riconoscere i modi di comportarsi, i valori positivi e negativi, le leggi da osservare,  gli esempi da imitare. L’individuo  si scopre capace di percepire e di esprimere il bene ed il male.

L’individuo ha bisogno degli altri per superare i propri limiti individuali. Ciò implica il riconoscimento della pari dignità di ogni persona, al di là delle differenze di razza e di cultura. “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Questa regola è  presente nella morale della reciprocità.

L’applicazione concreta dei precetti della legge naturale può assumere forme differenti nelle diverse culture, od anche in epoche diverse all’interno di una stessa cultura. È sufficiente ricordare l’evoluzione della riflessione  morale su questioni come la schiavitù, il prestito a interesse, il duello o la pena di morte. Anche l’evoluzione della politica o  dell’economia conducono ad una nuova valutazione di norme particolari precedentemente stabilite. Infatti la morale si occupa di realtà contingenti che si evolvono nel tempo.

La morale non si limita a produrre norme, favorisce anche la formazione degli individui  affinché siano in grado di adattare i precetti universali della legge naturale alle condizioni concrete dell’esistenza nei diversi contesti culturali. Tale capacità è assicurata dalle virtù morali, in particolare dalla prudenza nell’agire.   

La legge naturale non è un insieme di regole che si impongono a priori all’individuo,  ma è una fonte di ispirazione oggettiva per l’evoluzione morale soggettiva.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 04, 2013, 10:15:54
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L’acquisizione spontanea dei valori etici fondamentali, che si esprimono nei precetti della legge morale naturale, costituisce l’inizio del processo che conduce l’individuo al giudizio della sua coscienza nelle scelte.

La legge naturale è collegata alla nozione di natura, però questa non è univoca. In filosofia corrisponde all’antico pensiero greco della physis.

Furono i  presocratici a creare il concetto filosofico di phýsis, perciò Aristotele  li definì  "fisici" o "fisiologi", cioè studiosi della natura o "naturalisti". Per essi la phýsis è il principio vitale, la forza della natura e la divinità ordinatrice del kosmos.

Con gli eleati la phýsis subì una determinazione di tipo ontologico e dal cristianesimo venne integrata in una visione più ampia: il Dio della rivelazione cristiana è anche il Tutto della natura,  il creatore dell’universo.

La dottrina della legge naturale implica la convinzione che esista un’armonia fra Dio, l’umanità e la natura. In tale prospettiva, il mondo è percepito come un tutto intelligibile, unificato dal comune riferimento degli esseri che lo compongono a un principio divino fondatore, ad un Logos.

Però il filosofo tedesco  Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) ne “La filosofia della natura”  si oppone alle tendenze volte a divinizzare la natura o a considerarla come manifestazione privilegiata dello spirito, distinto in soggettivo, oggettivo ed assoluto. E ne “La filosofia dello spirito”  dice che  la libera volontà dell’individuo si realizza oggettivandosi nelle istituzioni storiche attraverso   un processo triadico che comprende: il diritto, la moralità e l'eticità. Lo spirito si pone dapprima come forma individuale che difende la propria libertà. Il diritto sorge per regolare la reciproca condotta dei singoli, facendosi percepire come una volontà generale in grado di farsi valere sui particolari. La libertà si interiorizza e l'individuo si muta in soggetto. Nasce così la moralità, che è l'affermazione della legge universale nell'interiorità. Lo spirito libero identifica la  propria volontà con quella universale, prende coscienza della fondamentale identità dei fini individuali e quelli universali.

Per Hegel la moralità dell’individuo fa parte della volontà soggettiva che aspira al benessere.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 06, 2013, 11:30:12
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L’individuo è un essere sociale per natura non per scelta, perciò ha bisogno della comunicazione interpersonale, che si svolge entro ideali cerchi concentrici: la famiglia, l’ambiente in cui vive, quello scolastico e poi quello lavorativo,  le amicizie, ecc..  L’individuo prende entro ogni cerchio comunicativo gli elementi necessari alla propria evoluzione.

Poiché gli esseri umani hanno la vocazione a vivere in società con altri, hanno in comune un insieme di beni da perseguire e di valori da difendere. Tali elementi vengono denominati  “bene comune”,  inteso nei suoi aspetti esteriori: economia, sicurezza, giustizia sociale, educazione, accesso al lavoro, ricerca spirituale ed altri. E un “Bene” di tutti e di ciascuno: esprime la dimensione comunitaria.

La società organizzata  per il bene comune dei suoi cittadini  risponde ad un’esigenza della natura sociale dell’individuo. La legge naturale appare allora come l’orizzonte normativo, perché definisce l’insieme dei valori per una società.

Quando ci si colloca nell’ambito sociale e politico, i valori non possono essere più di natura privata, ideologica o confessionale, ma riguardano tutti i cittadini,  si fondano sulle loro  esigenze.

Tale ordine naturale della società al servizio della persona è connotato da quattro valori che disegnano i contorni del bene comune che la società deve perseguire, cioè: la libertà, la verità, la giustizia e la solidarietà . Questi quattro valori corrispondono alle esigenze di un ordine etico conforme alla legge naturale. Se una di queste viene a mancare,  si tende al potere del più forte.

La libertà è la prima condizione di un ordine politico accettabile: la libertà di seguire la propria coscienza, di esprimere le proprie opinioni e di perseguire i propri progetti.

Senza la ricerca ed il rispetto della verità, non c’è società ma la dittatura del più forte. La verità, che non è proprietà di nessuno, è in grado di far convergere gli esseri umani verso obiettivi comuni. Se la verità non si impone da sé, il più abile impone la sua verità ed anxhe questa diventa relativa. 

Senza giustizia c’è il sopruso, la violenza. La giustizia suppone che si cerchi sempre ciò che è giusto, e che il diritto sia applicato con l’attenzione al caso particolare, poiché l’equità è il massimo della giustizia.

Infine, è necessario che la società sia regolata in modo solidale, assicurando il reciproco aiuto e la responsabilità per la sorte degli altri e facendo in modo che i beni di cui la società dispone possano rispondere ai bisogni di tutti.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 07, 2013, 15:09:47
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La legge  morale naturale  è il fondamento per l’etica universale ed è alla base dell’ordine sociale e politico, perciò esige un’adesione non di fede ma di ragione, spesso oscurata da interessi contraddittori o da pregiudizi.

Il concetto di legge naturale è filosofico e non una lista di precetti immutabili,  come tale consente il dialogo nel rispetto delle convinzioni religiose di ciascuno.

La legge naturale viene espressa nel diritto naturale quando si considerano le relazioni di giustizia tra gli individui, tra questi ed il potere costituito o nei diritti soggettivi della persona, esempi: il rispetto e l’integrità della vita, la libertà religiosa e di opinione, il diritto di fondare una famiglia e di educare i figli secondo le proprie convinzioni, il diritto di associarsi con altri, di partecipare alla vita della comunità, ecc..

Il diritto può essere definito come il complesso delle norme di legge e consuetudini che ordinano la vita di una società in un determinato momento storico.

Il diritto naturale, o meglio la teoria del diritto naturale postula l’esistenza di princìpi eterni ed immutabili nella natura umana. La traduzione di tali princìpi in norme giuridiche o leggi forma il diritto positivo,  che è il diritto effettivamente vigente  in uno Stato.
 
Non sempre c’è l’accordo sui princìpi universali ispiratori delle norme giuridiche: le religioni monoteiste, assertrici del diritto naturale, tendono ad identificarlo con i princìpi dettati dai loro testi sacri (Antico Testamento, Vangeli, Corano); gli studiosi laici si basano anche su altri princìpi, come la giustizia, l’equità, ecc.. 

Il  “positivismo giuridico” si contrappone al  trascendente diritto naturale ed asserisce che il diritto è soltanto quello positivo, che s’identifica con le norme che regolano la vita sociale per la pacifica convivenza.

I positivisti spostano Il diritto (e i princìpi che ne stanno alla base)  dal trascendente all'immanente, dal dominio della natura a quello della cultura.

Il metodo adottato dai giuspositivisti è induttivo: non esistendo princìpi universali ed eterni, i princìpi su cui si basa il diritto vengono ricavati per induzione (cioè per astrazione) dalle norme giuridiche particolari e contingenti. Invece i giusnaturalisti usano il metodo deduttivo per avere norme particolari da princìpi universali.

I fautori del positivismo giuridico  hanno qualcosa in comune con quelli del  naturalismo giuridico: essi rientrano tutti nella categoria filosofica dei "realisti", ossia di coloro che pensano alla realtà (ed anche al diritto) come ad un "dato" oggettivo, esterno, e come tale indipendente dall'osservatore.

Le tesi "realiste" sono  però contestate dai filosofi relativisti, i quali pensano che un'osservazione "oggettiva" e "distaccata" della realtà non sia possibile, e che l'osservatore, interpretando la realtà, la influenzi necessariamente, perciò ogni analisi è "soggettiva": l’osservatore non si limita ad "osservare" ma mentalmente  "(ri)crea" la  sua realtà.

Una concezione teorica più moderna, che vuole superare le contraddizioni citate, è  offerta dal costruttivismo , che si è imposto alla fine del XX secolo, soprattutto tra i teorici anglosassoni. Secondo il costruttivismo gli individui  mentre osservano la realtà la modificano nella propria mente. Lo stesso meccanismo psicologico  influenza il giurista o  il giudice, seppur ancorati  entrambi alle norme esistenti, vengono influenzati dalla loro personalità nell’interpretazione ed applicazione al caso concreto. 

Per i relativisti  le leggi  non interpretano la legge naturale, ma sono espressioni della la volontà del potere legislativo, detenuto sia da una singola persona, come avviene nei regimi assoluti, sia da più persone, come avviene nei regimi democratici, in cui il popolo delega alcune persone a legiferare secondo la propria volontà, tenendo conto della conformità delle leggi non ai princìpi morali, ma alla volontà  dei cittadini,  o, nei casi di diversità di opinioni, della maggioranza.
 

Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 12, 2013, 11:53:43
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Il pontefice Benedetto XVI si è dimesso. E mi dispiace.

Voglio rendergli omaggio in questo post trascrivendo  ciò che disse l’allora cardinale  Joseph Ratzinger contro la “dittatura del relativismo” il 18 aprile 2005 nella basilica di San Pietro  in occasione della “Missa pro eligendo romano pontifice”. 

“…Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.”

Non sono d’accordo con lui nel considerare il relativismo “il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina” e comprendo il suo “sogno” irrealizzabile di avere l’umanità dipendente dal magistero della Chiesa cattolica. Infatti Ratzinger prosegue dicendo: “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).

Ed ancora: "Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore."

Nulla da eccepire sulla sua fede e dottrina teologica. Nella sua mitezza c’è la fermezza della sua fede. Perciò lo ammiro. Ma essere un’autorità morale e dotto teologo non basta nel mondo contemporaneo globalizzato, non solo economicamente.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 13, 2013, 11:13:30
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Nell’epoca della scienza e della tecnica ha ancora senso parlare di creazione divina dell’universo ?

Il 12 febbraio 2007 ci fu un congresso internazionale sulla legge morale naturale, organizzato dalla Pontificia Università Lateranense. In tale occasione il pontefice Benedetto XVI disse  ai partecipanti che “viviamo un momento di straordinario sviluppo nella capacità umana di decifrare le regole e le strutture della materia e nel conseguente dominio dell’uomo sulla natura. Tutti vediamo i grandi vantaggi di questo progresso e vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione della natura per la forza del nostro fare. C’è un altro pericolo meno visibile, ma non meno inquietante: il metodo che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice.” (il papa si riferisce a Dio, ovviamente il Dio dei cristiani, Gesù Cristo)

Il papa ha poi argomentato sulla “lex naturalis” (la legge morale naturale), che ha come  principio “fare il bene ed evitare il male”. “E’, questa, una verità la cui evidenza si impone immediatamente a ciascuno. Da essa scaturiscono gli altri principi più particolari, che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. Tale è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio. Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona. Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis”, dalla quale “ scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare.

Nell’attuale etica e filosofia del diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. E’ questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità.”

"Non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito. La tecnica, quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente alla tecnica come all’unica garante di progresso, senza offrire nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare violenza alla natura umana con conseguenze devastanti per tutti. L'apporto degli uomini di scienza è d’importanza primaria. Insieme col progredire delle nostre capacità di dominio sulla natura, gli scienziati devono anche contribuire ad aiutarci a capire in profondità la nostra responsabilità per l’uomo e per la natura a lui affidata. Su questa base è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti; tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale.”

Condivido l’argomentazione di Benedetto XVI sul valore inalienabile della “lex naturalis”  e la sua importanza per l’ordine sociale. Invece mi allontano  da lui quando discetta su temi religiosi, come nell’udienza generale dello scorso 6 febbraio.

So bene che alle udienze di quel genere partecipano persone di ogni strato sociale e culturale e so bene che la Chiesa esprime il suo magistero a strati, uno dei quali è destinato alle persone che hanno bisogno di credere nell’incredibile, di sperare nell’al di là. Allora il tema del’insegnamento papale cambia, come mercoledì della scorsa settimana.

Benedetto XVI ha ricordato che nel primo versetto della Bibbia c’è scritto che  “In principio Dio creò il cielo e la terra”, e tale convinzione è anche nel Credo, ma molti individui non accettano la dipendenza da Dio, anzi la subiscono “come un peso da cui liberarsi”. Ovviamente gli evoluzionisti non accettano il creazionismo divino.

Citando ancora la Genesi, il Pontefice ha voluto evidenziare un altro insegnamento offerto dal libro dei racconti della creazione, quello del peccato originale. Il primo peccato dell’uomo fu quello di scegliere  se stesso contro il volere di Dio. Nella prima parte di questo libro, ha detto Ratzinger, viene descritto il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male ed il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). “Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio. Il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?” (Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità.”

Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 14, 2013, 09:08:56
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Il filosofo Umberto Galimberti nel suo ultimo libro (che ho già citato in un precedente post in questo topic)  “Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto”  riprende alcune parti  di un suo precedente testo  (“Orme del sacro”) e definisce la sua opinione sul cristianesimo, a cui riconosce di aver dato un’anima all’Occidente.

Nel capitolo dedicato a “Dio e la sua inconciliabilità con la morale” ha scritto che  per emanciparsi  dal “timor di Dio”  gli individui “hanno inventato la Ragione, che è un sistema di regole che consente di distinguere il vero dal falso e, con la Ragione, la morale che consente di discernere il bene dal male.”

Ne è un esempio la biblica disobbedienza di Adamo ed Eva verso Dio. I due, tentati dal serpente, nel giardino dell’Eden presero il “frutto proibito” dall’albero della conoscenza del bene e del male (menzionato nella Genesi assieme all’albero della vita), ma quell’infrazione del divieto causò il peccato originale.   

Secondo Galimberti la proibizione divina impediva ad Adamo ed Eva di conoscere la differenza tra il bene e il male.

Quel Dio è lo stesso Dio  che si colloca al di là del comandamento morale, perché chiese ad Abramo di uccidere il figlio Isacco come prova della sua fedeltà. Questo “mito” evidenzia la sospensione teleologica dell’etica. Il comando divino confligge con la legge morale e l’affetto paterno.

Ma si può omologare il giudizio di Dio al giudizio che gli individui danno delle loro azioni ed esprimono nella distinzione tra bene e male ?  Dio è al di là della morale, perché è al di là di ciò che gli uomini giudicano vero o falso, bene o male, essendo queste distinzioni frutto della ragione umana che procede per differenze, mentre il Dio biblico è indifferenziato.

Non ci sarebbe bisogno di Dio se il suo giudizio fosse sovrapponibile  a quello previsto dalle leggi umane che calcolano colpe e pene. Non si può omologare il giudizio di Dio al giudizio degli individui, altrimenti i suoi criteri morali sarebbero uguali a quelli degli uomini.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 15, 2013, 12:02:16
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Ne “L’origine dell’uomo” (1871) Charles Darwin propose una spiegazione dei comportamenti morali umani. Per lui derivano da istinti sociali innati che si sviluppano  nella prole insieme alle facoltà intellettuali durante la prima infanzia, periodo in cui si comincia ad apprendere le regole della convivenza con le altre persone. 

Per  molti anni la sua ipotesi rimase sterile, poi i progressi delle neuroscienze , della biologia evolutiva, della genetica, della paleoantropologia e dell’etologia cognitiva hanno dimostrato la validità della teoria darwiniana. 

Gli studi e le ricerche sullo sviluppo morale, che comprendono sia il giudizio morale sia il comportamento morale, hanno avuto nell’ultimo trentennio una notevole estensione, assumendo il carattere di un campo specifico di indagine e teorizzazione.

I primi studi sistematici furono dello psicologo, biologo e pedagogista svizzero Jean Piaget (1896 – 1980) che su questo tema nel 1932 pubblicò  il libro “Il giudizio morale del bambino”, riferito alla capacità dell’infante di valutare se un’azione è  moralmente lecita. Egli era convinto che alla base della moralità vi sia la nozione di regola, la quale indica il comportamento corretto nelle varie situazioni.

Un settore dove è possibile osservare se le regole vengano rispettate dai bambini è il gioco, che Piaget definisce “gioco di regole”. I bambini più grandi le seguono con più rigore e sono più consapevoli dei motivi per cui esse vanno osservate.
 
Basandosi sull'osservazione delle regole dei giochi e su interviste riguardanti azioni come rubare o mentire, questo psicologo scoprì che anche la moralità può considerarsi un processo evolutivo.

La prima morale del bambino è quella dell'obbedienza, e il primo criterio del bene è, per i più piccoli, la volontà dei genitori. Questo spiega perché la morale della prima infanzia venga denominata eteronoma.

Il bambino considera le norme immodificabili e sa che le regole non possono essere trasgredite, altrimenti viene punito, perciò sviluppa la sua morale aderendo alle regole, che applica nei comportamenti quotidiani: in famiglia, a scuola, con i coetanei e con gli estranei. 

Gli studi di Piaget e quelli del filosofo e pedagogista americano John Dewey sulla morale,  furono sviluppati successivamente dallo psicologo statunitense Lawrence Kohlberg (1927 – 1987), che nel 1957 pubblicò le sue ricerche nel libro titolato: “Lo sviluppo dei modi del pensiero morale e delle possibilità di scelta tra i 10 ed i 16 anni”.

Per Kohlberg la capacità di un individuo di ragionare sulle questioni morali si sviluppa in una sequenza a 6 fasi, ed è fondamentale il parallelismo tra gli stadi dello sviluppo intellettivo e quelli dello sviluppo del pensiero morale. Egli ritiene che tale sviluppo derivi dal progressivo ampliamento della comprensione delle caratteristiche delle azioni sociali proprie e degli altri.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Febbraio 24, 2013, 09:26:31
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Lo scambio emotivo ed affettivo del bambino con la madre o con la persona addetta al suo accudimento (caregiver) gli  favoriscono l'interiorizzazione delle competenze morali, che inizialmente sono collegate alle attività fisiologiche, come il ritmo sonno-veglia e l'alimentazione, successivamente si riferiscono alla regolazione dei processi interattivi.

In seguito i genitori comunicano ai figli le prime regole morali e sociali, spiegano loro cosa possono o non possono fare. Successivamente intervengono nella sua educazione altre agenzie educative:  l’asilo, la scuola, la Chiesa, ma anche  il gruppo dei pari.

L’’interiorizzazione delle norme, delle regole e dei valori  influiscono sul modo di agire, sul comportamento sociale, sui giudizi morali. 

Nell’individuo il criterio di giudizio deriva dalla “legge morale naturale” e dalla sua “coscienza”, detta “coscienza morale” nella Costituzione pastorale “Gaudium et  spes”: nel 16/esimo paragrafo c’è scritto che “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. […]
“Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità.”

Jean Piaget distinse due fasi principali nel del giudizio morale:

la prima fase, indicata come “moralità eteronoma” (fino ai 6-7 anni), è  caratterizzata dall’applicazione delle regole imposte al bambino dai genitori, da altri familiari e dalla scuola;
 
la seconda fase è quella della “moralità autonoma”, fondata sull’adesione del bambino alle norme, alle regole ed ai valori dell’ambiente sociale in cui vive.

L’individuo impara le norme di comportamento morale attraverso l’osservazione e l’imitazione,  le esperienze positive e negative. 

Sigmund Freud era convinto che la formazione della coscienza morale dipendesse dalla costituzione del Super-Io, se questo è troppo rigido, l’Io ha difficoltà a strutturarsi e si creano nell’individuo le disposizioni per un orientamento nevrotico della personalità; in caso contrario, l’Io, incapace di sopportare discipline,assume atteggiamenti antisociali.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 01, 2013, 10:49:34
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Il distacco della morale dalla religione iniziò con il filosofo e giurista olandese Hugo Grotius (1583 – 1645), conosciuto in Italia come Ugo Grozio, considerato il fondatore del diritto internazionale basato sul diritto naturale, che prevede l'esistenza di un diritto universalmente valido fondato su una peculiare idea di Natura.

Grozio nel 1625 pubblicò un suo saggio titolato “De iure ac pacis”  nel quale scrisse che i princìpi universali  che derivano  dalla natura razionale dell’umanità costituiscono il diritto naturale, da lui considerato “una norma della retta ragione la quale ci fa conoscere che una determinata azione, secondo che sia o no conforme alla natura razionale, è moralmente necessaria oppure immorale, a prescindere da Dio autore della Natura. 

Nel ‘600 la morale era  ancora connessa con la volontà di Dio creatore, da cui venivano fatte derivare le regole di comportamento. Invece per la teoria groziana le norme dettate dalla ragione sono valide  a prescindere da Dio.  Attraverso tale approccio egli laicizzò il diritto sottraendolo alla tutela della teologia.

Il passaggio da una morale fondata sulla religione ad una morale fondata sulla natura ha l'elaborazione più compiuta con Immanuel Kant, il quale non elimina Dio, ma anche per lui non è il presupposto della morale.

La legge naturale si manifesta al credente o  al non credente, mediante l’attività raziocinante, che induce l’individuo a distinguere il bene dal male. 

Ogni sistema morale è basato sul concetto di bene e male, ma è difficile trovare nelle diverse culture due sistemi morali che concordino esattamente su questo concetto. Segno della estrema difficoltà a trovare un consenso universale. Bene e male sono relativi al tempo, all'ambiente, alle persone: ieri era un male quello che oggi è diventato un bene, e viceversa.

C’è la relatività storica nel praticare il bene e nell'evitare il male, ma  è indubbio che esiste per l'individuo di ogni tempo ed ogni cultura ciò che è "bene"  e ciò che è "male". Però l’etica laica, a differenza di quella religiosa, riconosce la varietà e la relatività culturale e storica delle affermazioni morali e di promuovere l’universalità di alcune regole.  Non ha criteri basati su testi cosiddetti “sacri”, non ha tradizioni da venerare o rappresentanti terreni della divinità che impongono la propria verità anche a chi non la condivide.

Il filosofo Karl Marx sosteneva che in ogni società la morale in vigore è quella delle classi dominanti. La classe borghese, detentrice dei mezzi di produzione materiale, detiene anche l'ideologia che giustifica questo possesso.  Per conseguenza il disordine morale non è collegato alle scelte individuali difformi dall'ordine sociale, ma è già dentro l'ordine sociale stesso.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 05, 2013, 10:13:50
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Il senso morale o coscienza è il più nobile di tutti gli attributi
dell’uomo e lo spinge senza la minima esitazione a rischiare la
propria vita per quella del suo simile, o spinto dal profondo senso
del diritto o della giustizia, a sacrificarla per qualche grande causa.

(Charles Darwin)

Nell'ambito della morale esistono due correnti fondamentali: quella laica e quella religiosa.

La morale laica è  formata da un insieme di valori che permettono la coesione di una società, senza il condizionamento religioso  e con un ruolo “al di sopra delle parti” accettabile da tutti. Essa deriva dal “secolarismo”, fenomeno  sociale che in Occidente ha allontanato l'individuo dal sacro e dal tradizionale sistema di valori di riferimento, basati sulla morale religiosa, rivolta a tutto l’agire dell’individuo.

La morale religiosa viene indagata dalla teologia morale e dalla filosofia etica.

La teologia morale ha la sua origine ed il suo fine nell’esperienza di fede, vuol rendere comprensibile la fede alla ragione,  esamina il significato, i valori e le norme dell’agire umano; aiuta il credente ad acquisire la consapevolezza delle proprie esigenze morali, lo aiuta a capire cosa deve fare per corrispondere al volere divino.     

Prima del Concilio Vaticano II la morale cattolica era di tipo precettistico e dipendente dalla prassi penitenziale.  Poi ci fu la crisi socioculturale della morale cattolica.

Tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70 dello scorso secolo  il modello etico tradizionale cattolico fu contestato dalle giovani generazioni e dal femminismo, perché ancorato a valori tradizionali considerati immutabili, al principio di autorità, cui spetta stabilire ciò che è bene e ciò che è male.

Negli anni '70 dalla concezione etica di bene e di male si passò a quella politica di giusto ed ingiusto. Negli anni '80  si passò alla soggettività, alla valorizzazione dell’identità e della dignità personale, alla rivalutazione della sessualità, al rispetto delle differenze dell’altro, alla religiosità non solo formale ma sostanziale, vissuta con impegno.
 
Ma i limiti della soggettività sono l'individualismo e il relativismo morale.

Il relativismo sostiene che i nostri giudizi morali dipendono dal contesto in cui sono espressi. Ciò significa che un’azione  può essere considerata giusta in relazione ad una determinata cultura, ed ingiusta rispetto ad un’altra.

Esistono numerose morali che impediscono l’adozione di una morale universale ed  un solo sistema normativo.

La lettera enciclica  del pontefice Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” (6 agosto 1993) esprime la posizione della Chiesa cattolica sulla condizione dell’individuo davanti al bene ed al male e sul ruolo della Chiesa nell’insegnamento morale. Risponde alle questioni di teologia morale riguardanti la capacità dell'individuo di discernere il bene, l'esistenza del male, il ruolo della libertà umana e della coscienza, del  peccato, l'autorità del magistero della Chiesa cattolica come guida.

L’enciclica contesta il relativismo morale e riafferma  la preesistenza di una verità morale, od ordine morale oggettivo, a cui l'individuo deve, con atteggiamento di obbedienza e subordinazione, rifarsi sempre nella formulazione dei giudizi morali. (? eeek)
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 07, 2013, 14:51:15
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Etica

In questo topic nel 13/esimo post ho detto  che morale ed etica sono due lemmi concettualmente diversi, anche se spesso vengono  considerati sinonimi.

Il concetto di “morale” inteso come moralità, comprende regole di vita e di comportamento  che si basano su norme sociali  e valori condivisi in un determinato periodo storico.

Per  il filosofo  e storico scozzese David Hume (1711 – 1776) il criterio di distinzione tra bene e male non può essere deciso prima dell’azione, ma deve essere giudicato soltanto in funzione delle conseguenze che l’azione ha. L’utilità sociale è il metro di giudizio.

Invece nel concetto di etica c’è un contenuto filosofico, perché studia e valuta la morale, le norme condivise in una società,  esamina i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di dare uno status deontologico ai comportamenti degli individui.
 
Il lemma etica deriva dal latino “ethica”; questa parola a sua volta  scaturisce  dai termini d’origine greca “etiké” (che fa riferimento al comportamento dell’individuo) ed “ethos”, che significa abitudine, consuetudini in una comunità.

L'etica può essere:

valutativa:
1) questa azione è giusta o sbagliata?
2) azioni di questa categoria sono giuste o sbagliate?
3) quali sono gli atteggiamenti o disposizioni buone (virtù)?

Descrittiva: se descrive i valori e le norme che governano la vita degli individui,  oppure l’omogeneità o la difformità dei singoli comportamenti nei confronti dell’ethos vigente in una comunità  in un determinato periodo storico

normativa (o prescrittiva): se stabilisce princìpi generali per l’agire moralmente corretto. Un atto è  moralmente corretto se non danneggia altri. 

L'etica normativa o applicata è quello della bioetica, nata come disciplina autonoma dopo che si è affermata la tendenza a dotare ospedali e istituti di ricerca biomedica di "comitati etici" variamente composti.
 
Le strutture fondamentali dell’etica normativa sono:

teleologiche (il lemma teleologia  è di origine greca ed è composto da due parole: “télos”, che significa fine, scopo, e “lógos”, =  ragionamento, discorso; è la dottrina filosofica del finalismo, che concepisce l’esistenza di una finalità non solo nella comune attività volontaria dell’individuo indirizzata alla realizzazione di uno scopo, ma anche nelle sue  azioni involontarie ed inconsapevoli che realizzano un fine.

Le strutture teleologiche dell’etica normativa hanno origine dall’”Etica nicomachea” di Aristotele.  Sono le etiche del bene o del valore (il bene è ciò che ha valore) od anche etiche del fine (perché il bene o valore scelto rappresenta il fine cui deve essere orientata la condotta umana).

Sono dette anche “consequenzialistiche” perché un’azione non è giusta in sé o per le intenzioni, ma diventa giusta in base alle conseguenze concrete che produce.

Le etiche teleologiche non sono delle guide dell’agire, ma funzionano come criterio di giudizio a posteriori, perciò  costringono a mirare al risultato migliore possibile, attenendosi alle regole socialmente condivise.

deontologiche ( dal lemma “deontologia”, che deriva dal greco "deon", significa "dovere"). Per deontologia s’intende l’insieme delle teorie etiche che si contrappongono al consequenzialismo, il quale determina la bontà delle azioni dai loro scopi; invece la deontologia afferma che fini e mezzi sono interdipendenti, perciò un fine giusto  dipende dall’utilizzo di giusti mezzi.   
Esistono azioni intrinsecamente giuste o sbagliate, indipendentemente dalle intenzioni o conseguenze. Il giudizio è espresso sull’azione compiuta e sul fatto che essa sia conforme o meno a norme e doveri.

Riguardo alla questione se sia prioritario il bene o il giusto, vi sono diverse teorie:

il liberalismo preferisce  l’autonomia del giusto rispetto al bene, per cui un’azione  è doverosa se  è conforme ad una norma giusta e se scelta in base ai princìpi di giustizia.

Per il comunitarismo la giustizia non è una questione di regole e procedure, ma qualcosa che concerne il comportamento delle persone rispetto ai propri simili, la giustizia è una virtù della persona.

Comunque penso sia illusorio immaginare che il giusto possa prescindere dal riferimento al bene.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Nuvolone - Marzo 07, 2013, 19:59:35
Abbiamo capito, Stranamore ! Se sei tanto convinto che il relativisto è entrato così intensamente in tutte le menti e in tutti i cuori, e che non tramonterà mai, perché ti affanni tanto a parlarne? Perché tanta propaganda?  :mah: ... 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 08, 2013, 08:26:55
Non propagando, metto in ordine i miei appunti virtuali e li scrivo come post nel forum per chi vuol leggerli. Sono consapevole di essere nozionistico, pertanto noioso, ma tale modalità di scrittura mi soddisfa perché a volte posso esprimere le mie opinioni.

Mia attenta lettrice oggi è la festa della donna perciò dono la mimosa a te ed alle altre signore del forum

(http://www.ilviziodelbarone.net/public/ilviziodelbarone/festa_della_donna.gif)
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 12, 2013, 17:55:39
Bioetica

Bioetica: è una parola composta di origine greca, formata da “ethos” (= comportamento, consuetudine) e “bios”  (= vita, organismo vivente con ciclo vitale che prevede la riproduzione della specie e la fine della vita).

Il lemma bioetica con l’attuale significato fu usato per la prima volta dall'oncologo statunitense Van Rensselaer Potter (1911-2001), Lo utilizzò nel 1970 in un articolo pubblicato sulla rivista dell'Università del Wisconsin "Perspectives in Biology and Medicine" con il titolo “Bioetica: la scienza della sopravvivenza”. Questo studioso scrisse l’articolo per  promuovere la riflessione  etica collegata alle problematiche dello sviluppo tecnologico e scientifico.

Successivamente alla bioetica venne assegnata l'indagine delle questioni suscitate dal progredire dalla ricerca biologica e medica, esaminate dal punto di vista dei valori e delle norme vigenti in una società. 

Attualmente la bioetica è la scienza interdisciplinare che studia gli aspetti etici e morali della vita e della salute;  coinvolge filosofia, filosofia della scienza, medicina, biologia, genetica, embriologia, religione, diritto ed altri rami del sapere.

Tematiche tipiche della bioetica riguardano l’aborto, l’accanimento terapeutico, l’utilizzo delle cellule staminali, la clonazione, la contraccezione, l’eutanasia, l’ingegneria genetica, la procreazione assistita, la sperimentazione clinica dei farmaci, la sterilizzazione, i trapianti d’organo, il suicidio.

Per alcune religioni, compreso il cristianesimo, la morte non rappresenta la fine della vita, ma un cambiamento, che avviene con modalità e significati diversi  a seconda della dottrina specifica.

I cristiani condividono la convinzione che la nostra vita, il creato dipendano da Dio, per  conseguenza ci sono problemi che coinvolgono la bioetica. Quella cattolica (contenuta nei documenti del magistero della Chiesa e negli studi della comunità scientifica che ad essa fa riferimento) ha come paradigma la sacralità ed indisponibilità della vita: ogni essere umano ha il diritto/dovere alla vita dal momento del suo concepimento a quello della sua morte naturale: l’individuo non è proprietario della sua vita perché gli è stata data da Dio, perciò sacra. L’indisponibilità della vita è connessa con la proibizione dell’aborto, l’illeceità del suicidio ed il rifiuto dell’eutanasia.

Invece la bioetica laica non considera  di origine divina la vita umana e consente agli individui di decidere sul proprio corpo. La visione laica, a differenza di quella cattolica,  non vuole imporsi a coloro che aderiscono a valori diversi. La libertà della ricerca, l'autonomia delle persone, l'equità, sono per i laici dei valori irrinunciabili.

Il professor Umberto Veronesi, oncologo, ha una visione critica della bioetica religiosa;  egli crede che questa impedisca di ragionare, perché la religione è integralista. “Scienza e fede non possono andare insieme –ha affermato l’oncologo- perché la fede presuppone di credere ciecamente in qualcosa di rivelato nel passato, una specie di leggenda che ancora adesso persiste, senza criticarla, senza il diritto di mettere in dubbio i misteri e dogmi che vanno accettati o meglio subìti.”   
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 14, 2013, 11:12:32
Bioetica/2

Nel 2009  l’Agenzia   italiana  del farmaco” (Aifa)  diede il parere favorevole all’utilizzo   della pillola  abortiva “Ru 486” (che  era già  commercializzata  in altre nazioni),  purché  in aderenza alla legge 194  che riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza.  La decisione causò molte polemiche tra  politici,  ambiente scientifico  e quello  della Chiesa cattolica.

Dal Vaticano ci furono  molte proteste. Monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della “Pontificia Accademia per la Vita”, disse: “Per chi pratica l’aborto con la RU 486 e per chi lo prescrive c’è la scomunica, come per chi pratica l’aborto chirurgico”, perché  giuridicamente è un delitto  e moralmente è peccato.


Monsignor  Rino Fisichella, all’epoca presidente effettivo  della Pontificia Accademia della Vita, disse che la Chiesa non può assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società. E quello che sta avvenendo è la banalizzazione della vita. L’introduzione del farmaco abortista non tiene conto degli aspetti etici, del messaggio distorto sul valore della vita che si dà alle nuove generazioni.  La pillola “Ru 486”  è una tecnica abortiva che sopprime una vita ed ha conseguenze canoniche per i credenti.

Il timor di Dio, le leggi, le norme e le regole sociali condizionano l’agire umano per paura delle sanzioni e la punizione dei comportamenti illeciti. 

Anche il centro di ateneo di bioetica dell'Università Cattolica,  scrisse in una nota che tra le cause del ricorso all’aborto la più rilevante non è quella economica, ma quella culturale, che ha portato al disimpegno della società, alla scomparsa della figura e della corresponsabilità paterna, che ha accettato una linea di indifferenza che di fatto conduce alla solitudine esistenziale delle madri che decidono di abortire.

Invece l’onorevole Livia Turco, che era capogruppo del partito democratico nella commissione “Affari sociali” della Camera dei deputati  disse:  "Spero che adesso finisca la crociata contro un farmaco che in realtà era una crociata contro le donne e i medici. Il timore di privatizzare e banalizzare l'interruzione di gravidanza e di lasciare le donne sole nasconde la sfiducia nei confronti delle stesse donne e dei medici. Ora è necessario garantire che questa metodica abortiva sia utilizzata nel modo più appropriato e nell'ambito della legge 194." 

Nella diatriba intervenne pure il poeta e filosofo Guido Ceronetti, il quale in “Insetti senza frontiere” scrisse: "Una coscienza che riflette non può che astenersi dal propagare la specie. Chi ha vera coscienza non può tollerare l'eccesso, lo straripare di dolore in un mondo dominato dalla dismisura umana, e frenare, limitare le nascite è innanzitutto un puro atto di compassione. I molti figli sono il frutto dell'ignoranza, dell'insensibilità morale e della bigotteria. L'incremento demografico provatevi a predicarlo nei reparti oncologici. Dare soldi perché si facciano figli è lo stesso che trafficare bambini.”

La popolazione mondiale ha superato i sei miliardi e mezzo di individui: una crescita inarrestabile che provoca povertà, mortalità infantile, peggioramento delle condizioni ambientali.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 15, 2013, 14:36:46
Bioetica/3

Eutanasia: parola composta di origine greca:  significa “buona morte”, che può essere provocata con farmaci tossici (eutanasia attiva diretta) oppure con farmaci utilizzati per alleviare la sofferenza ed hanno come effetto secondario il decesso (eutanasia attiva indiretta). 

L'eutanasia è  detta passiva quando  è provocata dall'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo; è volontaria se eseguita su richiesta del soggetto in grado di intendere e di volere, oppure  mediante “testamento biologico”; non volontaria nei casi in cui non sia il soggetto ad esprimere tale volontà ma un terzo indicato.

Non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente ed inevitabile, è legittimato (in Italia sia dalla legislazione che dal proprio codice deontologico) ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi. Il secondo comma dell’art. 32 della nostra Costituzione afferma che: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In base a tale principio l’individuo capace di intendere e di volere non può essere costretto ad un trattamento sanitario seppure indispensabile alla sopravvivenza. Anche da un punto di vista etico la rinuncia ad un intervento necessario alla sopravvivenza si configura come suicidio e non come eutanasia.

Nel suicidio assistito l’individuo sceglie di togliersi la vita somministrandosi  da solo le sostanze in modo autonomo e volontario, secondo indicazione medica. 

L’eutanasia è tema di vivace dibattito internazionale e di controversie per motivi etici e religiosi, scientifici e legislativi.

Fu il filosofo inglese Francis Bacon  a creare il neologismo "eutanasia", usato nel saggio  “Progresso della conoscenza”, pubblicato nel 1605. In tale libro Bacon invita i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile fino alla morte, che comunque doveva avvenire in modo naturale e non provocata.

Nel nostro tempo l’eutanasia volontaria è considerata da molti un fondamentale principio democratico: l’individuo deve essere padrone del suo corpo; se una grave malattia lo fa soffrire molto, nonostante la terapia contro il dolore, deve essere libero di decidere il proprio decesso.  Per un soggetto può essere insostenibile anche la sofferenza psichica conseguente alla perdita della propria indipendenza: se non ha la possibilità di vivere in modo dignitoso, se non vuole la sua vita soltanto “vegetativa” e non vuole dipendere dall’aiuto altrui per lungo tempo.

La Chiesa cattolica è contro l'eutanasia,  la considera  equivalente all'omicidio od al suicidio.

Nella Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, emanata dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1965, viene citata l’eutanasia nell’ambito dei diritti ed i valori inerenti la persona.

Il 5 maggio del 1980 la “Sacra Congregazione per la dottrina della fede”  ha pubblicato la “Dichiarazione sull’eutanasia”, in cui riafferma la sacralità della vita umana e dice che nessuna autorità può imporre l’eutanasia, perché si vìola  la legge divina. Ma se un malato è non credente perché deve accettare l’imposizione religiosa ? Perché la gerarchia vaticana deve condizionare lo Stato italiano a non emanare una legge specifica come in altri Stati e indirettamente costringe al suicidio violento tante persone che non vogliono soffrire ?

Nell’anno 2000 la Pontificia Accademia della Vita  tornò sull’argomento dicendo:”Nell'immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita" (cfr Dich. su Eutanasia, parte IV), poiché vi è grande differenza etica tra "procurare la morte" e "permettere la morte": il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa.”

Il filosofo inglese David Hume nella raccolta di scritti morali (pubblicati anonimi nel 1777 dopo la morte dell’autore), contesta la morale religiosa e la sua pretesa di limitare la libertà individuale inculcando il timore dell’inferno, la speranza della vita eterna nel paradiso 
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 18, 2013, 09:33:03
Etica mondiale

I principi fondamentali  dell’etica non necessitano di religiosità, perciò  nel  1990 il  teologo svizzero Hans Küng  fece pubblicare il suo saggio titolato “Progetto per un’etica mondiale” , col quale prospetta un orientamento etico globale,  con regole accettabili da tutti, sia da chi segue una fede sia dall’infedele.

L’ ethos mondiale  è collegato alla  cosiddetta “regola aurea” espressa da Confucio  circa cinquecento anni prima di Cristo: “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.

Il progetto kunghiano per un etica mondiale è sostenuto dalla “Fondazione per un Etica Mondiale”, creata dal conte Karl Konrad von der Groeben per il rispetto dei diritti umani, previsti nell’apposita “Dichiarazione universale…” firmata a Parigi il 10 dicembre 1948.

Il consenso per i valori dell’etica mondiale fu manifestato nel 1993 a Chicago dai rappresentanti delle religioni in occasione della riunione del “Parlamento delle religioni mondiali”.

Le convinzioni etiche condivise permettono la cooperazione, mentre le religioni possono promuovere la pace fra i popoli, la difesa degli emarginati, la non violenza, il rispetto di ogni vita,   la solidarietà e  lo sviluppo economico equo, la tolleranza, l’equiparazione dei diritti e delle pari opportunità tra uomo e donna.

Le convinzioni teologiche differenziano le religioni, ma queste sono accomunate da  numerosi valori etici, necessari per la convivenza  e la collaborazione.

Alla base dei rapporti umani ci sono il bene e la virtù come regole da seguire.

Il tratto caratteriale della virtù fa tendere un individuo al bene, che  da molti è  considerato relativo, perché gli si dà significati diversi a seconda dei contesti e delle situazioni socioeconomiche. Invece dal punto di vista religioso il bene non è un concetto relativo ma  un valore assoluto, immutabile nel tempo.
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 19, 2013, 06:59:46
Etica religiosa

La religione non è etica di per sé, è il fondamento di un’etica, con precetti che s’ispirano ad un culto. 

L’etica cristiana è basata sulla Bibbia ed ogni imperativo morale è considerato espressione della volontà divina. Per esempio nel “decalogo”  ci sono doveri e proibizioni ai quali attenersi per comportarsi in modo lecito.

L’etica cristiana è fondata  sugli insegnamenti di Gesù Cristo, perciò immutabile nel tempo. Caposaldo  è l’amore verso Dio e verso il prossimo, è amore che perdona e riconcilia. “Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.” (Mt 18, 21 - 22). Anche con la preghiera  “Padre nostro”,  Gesù insegna a chiedere al Padre: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

Per l'etica cattolica si deve aggiungere  all’etica cristiana la Tradizione apostolica ed il magistero della Chiesa.

Il termine tradizione  deriva dal latino “tràdere” e significa consegnare, in questo caso significa comunicare nel tempo la fede in Cristo, affidata dagli apostoli al magistero della Chiesa, che interpreta la parola di Dio e propone verità contenute nella rivelazione divina.In merito c’è la Costituzione apostolica “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II, alcune encicliche papali, come “Fides e Ratio” e “Veritatis Splendor” del pontefice Giovanni Paolo II..
Titolo: Re:Scienza e relativismo
Inserito da: Doxa - Marzo 21, 2013, 06:49:21
Etica laica

L'etica religiosa  dà norme di comportamento che vorrebbe valide per tutti, invece  l'etica laica, o meglio, l’approccio laico al problema etico non mira ad imporre valori  erga omnes.

Legare l’etica a un Dio  comporta che essa sia limitata  ai credenti,  ma tale confine è inaccettabile per la Chiesa cattolica.

Col nuovo Concordato del 1984 il cattolicesimo non è più religione di Stato in Italia, però le gerarchie ecclesiastiche continuano a condizionare alcune leggi, come quelle riguardanti la bioetica ed il fine vita.

L’etica  laica ha le radici nei sentimenti  umani, non scaturisce dal volere divino né dalla tradizione religiosa. Cerca di comporre differenti culture e valori in un ethos comune. Giudica se un’azione è giusta od illecita non in base alle intenzioni della persona che la compie ma alle conseguenze dell’azione stessa.