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Comunicazioni alla e dalla redazione / problemini
« il: Aprile 01, 2011, 08:28:25 »
un mio amico voleva iscriversi a zam, ma non gli riesce. C'è qualche problemino tecnico? ahuh

227
Comunicazioni alla e dalla redazione / ma ma ma...
« il: Marzo 21, 2011, 12:11:13 »
mi pare che non si noti più "nuovo" in narrativa, o sono io che non ci vedo?   :dsew:

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Fantastico / La leggenda di Sepoy
« il: Marzo 20, 2011, 11:07:47 »
La leggenda di Sepoy

Una notte un uomo si svegliò in mezzo al deserto, senza sapere quanto aveva camminato né perché.
Era sdraiato sul dorso, con le gambe e le braccia allargate come se fosse in croce. Sentiva le labbra secche e gli pareva che persino la luna, l’immensa luna dei deserti, succhiasse ogni umore da quel corpo ormai quasi essiccato. Il freddo gli ridette qualche sprazzo di lucidità. Cercò di mettersi a sedere, gli girava la testa per la stanchezza, ma alla fine ci riuscì. Si guardò intorno cercando di capire com’era finito lì. Lo sguardo spazzò il buio orizzonte alla ricerca di una palma o qualcosa che indicasse un’oasi anche piccola piccola, ma che avesse un pozzo. Nulla: non c’era nulla.
Lentamente come in un lampo si ricordò gli ultimi avvenimenti.
Seduto sul suo scranno al centro della piazza del mercato, immerso nel pulviscolo dorato dell’aria, stava leggendo un libro a quanti si fermavano ad ascoltare. Ashmet era un raccontatore di professione e viveva delle elemosine degli ascoltatori.
Si accontentava di poco e a volte se era fortunato qualche anziano lo invitava a casa sua per mangiare insieme, bere il tè o recitare le preghiere della sera.
Gli piaceva il lavoro che si era scelto, faticava poco, gli piaceva leggere e soprattutto adorava lo sguardo delle ragazze che si fermavano sotto il tetto di paglia per ascoltarlo. I volti erano celati dal velo, ma proprio per questo lui poteva immaginare bellezze meravigliose solamente spiandone gli sguardi.
Il libro che stava leggendo, preferendolo agli altri tre che portava con sè da un paese all’altro, parlava di leggende. La sua voce s’inanellava, s’inerpicava, scendeva in veloci curve buie dando corpo alle immagini della storia. Gesti mai uguali rendevano vive le sue interpretazioni e se si accorgeva che il pubblico era senza fiato per il piacere dell’ascolto, accentuava la sua abilità narrativa per strappare maggiori applausi e soddisfazioni. Sembrava che con i gesti dipingesse l’aria.
Quel giorno aveva scelto di leggere  la storia dell’Uccello Sepoy, che a lui piaceva tanto.
Si narrava di un uccello magico, che donava il potere assoluto, ricchezze e felicità a chi fosse stato capace di catturare la sua ombra mentre volava alto nei cieli il primo giorno di primavera; quello era appunto il primo giorno di primavera.
Di Sepoy si diceva che avesse ali blu grandi come una nuvola e il collo lungo e aggraziato che si muoveva durante il volo come in una danza, ricoperto di un piumaggio d’oro, luminoso come sole a mezzodì.
Il corpo invece era rosso fuoco, simile alle rose di Bagdad nel giardino del Califfo. La leggenda raccontava che al suo passaggio i fiori stessi rimanessero attoniti a vedere tanta bellezza e a volte si mettessero a cantare.
A questo punto di solito Ashmet intonava una nenia dolcissima che incantava il pubblico e alla fine si scusava per avere osato imitare il canto del leggendario uccello, la sua modestia piaceva e attirava simpatie.
Quel giorno non cantò.
Improvviso alto nel cielo era apparso Sepoy.
Volava in cerchio lentamente e imponente come una passione folle, sfidando quegli uomini a catturare la sua ombra; sembrava persino che sorridesse con cattiveria perché sapeva di essere “la tentazione”, a cui forse sarebbe seguita la condanna.
Gli spettatori rimasero immobili come per magia, ma ad una persona sola era consentito raccogliere la sfida di Sepoy.
Ashmet era allibito, mai avrebbe pensato che la storia fosse vera, ma se quella era la sua unica possibilità di diventare potente come il Visir, non se la sarebbe lasciata scappare.
Improvvisamente si vide com’era: un poveraccio che appena sopravviveva alla fame. Vide la sua tunica di lana grezza  strappata, il suo letto vuoto d’affetti, la vecchiaia  che gli sorrideva seduta su una lapide e nessun figlio maschio che piangesse sulla sua tomba.
Desiderò ciò che non aveva mai desiderato: sete e broccati che scivolassero sul suo corpo reso morbido dagli unguenti, calici d’oro colmi di spezie esotiche, una donna bianca come un fiore di loto e flessuosa come un giunco al suo fianco, meglio due, profumate con olii preziosi.
Desiderò una vita diversa e tanti figli che tramandassero e onorassero il suo nome.
Gettò a terra il libro e si mise ad inseguire l’ombra.
Corse tutto il giorno,  attraversò dune di sabbia infuocata, scavalcò uadi secchi, calpestò impronte di serpenti, affondò gli occhi nel sole mentre  uno scorpione lo guardava stupito.
Ora era in mezzo al deserto, solo e immobile nel silenzio della notte, ombra nell’ombra, ancora vivo per il tempo di un sospiro, ma senza rimpianti: almeno una volta aveva osato sognare.
Contemplando l’infinito, capì che nessuna felicità o morte ha un nome vero.




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Anch'io Scrivo narrativa! / SPOSTATO: Il chiodo
« il: Marzo 20, 2011, 11:01:01 »
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230
Anch'io Scrivo narrativa! / SPOSTATO: Ottantaquattro uova
« il: Marzo 18, 2011, 18:23:48 »
Questa discussione è stata spostata in Altro.

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231
Anch'io Scrivo narrativa! / SPOSTATO: I remember
« il: Marzo 18, 2011, 18:22:58 »
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232
Anch'io Scrivo narrativa! / SPOSTATO: La dieta
« il: Marzo 18, 2011, 18:22:14 »
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Altro / La dieta
« il: Marzo 14, 2011, 08:22:48 »
La dieta





Pasquale inzuppò nel caffè i famosi quattro frollini, li gustò con silenziosa religione, poi dette il via alle sua solite elucubrazioni contro la dietista.
“ Ma si può mai chiedere ad un uomo di fare una colazione così misera? Manco al campo di concentramento!”
Lui era abituato a iniziare la giornata con 2 maritozzi e a volte pure un krafen.
A pranzo godeva di cupolette di pastasciutta il più delle volte  ornata di abbondate frane di neve di parmigiano. Insomma era un cultore della buona tavola, non per necessità caloriche, ma per scelta di vita . Poi erano venuti i primi dolori al petto ed il dottore aveva detto:”Caro Pasquale, qui se non ti metti a dieta, rischi l’infarto, sei un colesterolo deambulante, dacci un taglio alle tue lasagne ed abbacchio e torte varie.”
Da una settimana quindi il tipo combatteva con la fame, era diventato irascibile, scontento, incazzato fisso. Litigava con tutti, pativa la fame e non dimagriva.
I suoi pranzi erano di circa 300 calorie, tutto rigorosamente pesato sulla nuova bilancina elettronica.
Si alzava la mattina con un unico pensiero, andare a guardare la pagina della dieta per vedere cosa gli toccava quel giorno. Una sottile e costante lama di fame era diventata la  colonna sonora di quel suo personalissimo problema.
“Accidenti a me e vaffanc…alla dietista, quella pretende che oltre a morire di fame faccia anche sport, la bicicletta dice.
Io la bicicletta non ce l’ho e fare finta di pedalare seduto su uno sgabello mi pare proprio ridicolo. Andare in bicicletta dove poi, sulla tangenziale? Così il primo tir che passa mi stira come gatto silvestro! Accidenti a lei, accidenti al dottore !”
 Chiacchierava da solo sfogando le proprie tensioni, sbatacchiando gli oggetti qua è là .
Quasi quasi piangeva, da uomo di 100 chili e passa, famoso camionista della riviera, si era trovato in pensione a inseguire quel pensiero fisso, a guardare l’orologio per vedere se era ora di pranzo: a guardare l’orologio per vedere se era ora di cena. A merenda gli toccava una mela e mentre in due morsi la divorava, ricordava le sue belle fette di pane e mortadella a cui a volte aggiungeva anche formaggio e pomodorini, con un filo di olio del contadino, ora proibito.
Le sue giornate venivano scandite da 150 grammi di minestra, che comperava surgelata, e 200 grammi di verdura lessa, escluse le patate e i fagioli. Una volta alla settimana era concessa una fettina di pesce magro.
Vino, solo mezzo bicchiere, e pensare che aveva la cantina piena di botticelle di vino “bono”.
Per distrarsi si consolava con la TV, che vigliaccamente era piena di programmi di cucina, dove in primo piano si vedevano fritturine, tagliatelline, arrostini, funghini e saporini.
Pasquale era sempre più arrabbiato e sconsolato, anche perché tanti sacrifici per ora non avevano dato alcuni risultati, ma la terribile carogna della dietista aveva parlato di mesi di sofferenze prima di dimagrire.
Ma, giurava, non avrebbe desistito, non dopo che quella sperversa di cognata aveva sentenziato che non avrebbe fatto la dieta per  più di 15 giorni. Parlava bene, lei che sembrava una lisca di pesce con addosso tre squame.
Le vie del Signore sono infinite ma Pasquale non poteva saperlo.
Accese la TV e cercò un film, sperando che si trattasse di un western.  Il titolo non gli diceva nulla  ma gli piaceva: “Il pranzo di Babette”.
 Un film in costume, niente di pericoloso per la sua dieta.
Lo trovarono così, morto da tre giorni, sulla poltrona con ancora la TV  accesa.


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Cassonetto differenziato / questo lo mato!
« il: Marzo 03, 2011, 09:54:08 »
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godetevi lo spettacolo!

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Sentimentale / I remember
« il: Febbraio 27, 2011, 10:59:51 »
I remember



Ci sono ricordi che non hanno nessun significato nell’economia della vita corrente, non si sa perché siano stati registrati o ignorati. Per esempio non ricordo assolutamente perché arrivai a casa con un tostapane, quel giorno che ero uscita per acquistare un armadio.
 Ricordo benissimo però cosa disse mia madre quando le annunciai che ero incinta: “Oh, non è il momento.”
E la cosa finì lì.
Ovvio che la frase di mia madre sia più unica che rara e per questo memorabile e imperdonabile.
In realtà credo che grande parte dei ricordi sia il risultato di azioni e pensieri che abbiamo vissuto esercitando la nostra indole, così da essere la proiezione nel futuro di ciò che siamo stati nel passato.
Sgrunt, mi sono incartata?
Spiego: non potrei mai avere ricordi da palombaro, non lo sono e non lo sarò mai, ma ho ricordi da imbecille, lo sono stata spesso.
Spiegatta mi sono?
Più che un imbecille, un’illusa. Forse è la sensazione che hanno le persone anziane quando si guardano alle spalle, ma ogni illusione ha i suoi fascini ed ogni ricordo ci dona l’età e la pelle che avevamo allora.
Avevo 21 anni nel 1967: mi affacciavo alla vita in un bellissimo periodo. Tutto sembrava possibile, la giornata era un affacciarsi ad un futuro dove dominava l’amicizia, la solidarietà, la generosità e la voglia di fare qualcosa di nuovo. Erano crollate le barriere del perbenismo e le ridicole consuetudini; si stendeva la mano certi di trovare chi l’avrebbe stretta senza secondi fini.
La sensazione imperante era che si potesse avere fiducia nel prossimo.
Erano arrivati i figli dei fiori ed i fiori venivano messi nei vostri cannoni.
Oggi tutto è diverso, molti sono i figli di puttana ed i fiori li mettiamo sulle croci di guerra.
Era di moda l’autostop, ora defunto splendidamente tra le righe della cronaca nera. La sigaretta era una boccata ciascuno, alla faccia dei microbi. Una coca-cola era una sorsata a turno, alla faccia dell’herpes labiale. Se uno del gruppo non aveva soldi per il cine, al cine non andava nessuno. Si stava insieme e basta, per il gusto squisito dell’amicizia, seduti sul muretto a parlare di nulla o a cantare canzoni di Fabri.
Fu proprio nel 1967 che partii per la mia grande avventura umanitaria, quella che mi ha radicato nell’anima l’illusione del famoso “ mondo migliore” e che illusione è rimasta.
Avevo trovato volantini dell’associazione Emmaus ( poi confluita in Mani Tese); si trattava di battere la città, nel senso di scarpinare,  per raccogliere avanzi della vita altrui.
Il  mitico francese Abbè Pierre organizzava campi di lavoro ogni anno in una nazione diversa, quella volta era toccato all’Italia.
L’Abbè era un facinoroso della solidarietà e della generosità, appiccicava manifesti sulle porte dei palazzi sfitti con le parole “Diritto alla vita” o “ Diritto alla casa” e ci faceva entrare i poveracci: combatteva con la polizia, con i sindaci, con i ricchi e urlava nelle piazze le richieste dei miseri.
Otteneva.
Il campo era a Bologna. Ci andai munita di scarpacce, jeans e maglione e niente meno che 10.000 lire per le emergenze.
Eravamo alloggiati in un cantiere abbandonato che contemplava molti capannoni e dormivamo su brande ritrovate chissà dove. Ricordo docce di acqua gelata, nessun tipo di riscaldamento, ma solo la voglia di dare e di fare: di vivere qualcosa che ne valesse la pena.
In uno stanzone c’era la mensa, in cucina pentoloni da caserma, nei pentoloni minestre di origine sconosciute e che era meglio rimanessero tali.
I ragazzi erano di tutte le nazionalità, una splendida Torre di Babele; si parlava in francese, tedesco e inglese, misto a segnalazioni manuali e frasi in latino.
Prima di mangiare una preghiera in italiano: Signore dai pane a chi ha fame e fame a chi a pane. Splendide parole.
Si cantava molto, prevalentemente canzoni di J. Baez.
Alla mattina si partiva con scassatissime auto e cammion e si girava di strada in strada, di porta in porta per cercare oggetti da riciclare. Si accettava di tutto, vestiti, pentole, elettrodomestici anche rotti, biciclette, mobili; insomma tutto ciò che poteva essere riciclato e aggiustato e rivenduto. Eravamo cienciaioli professionisti e accreditati da un preventivo volantinaggio.
Fu proprio a Bologna che imparai a fare le balle di vestiti da spedire a Prato, con i pancali ed il filo di ferro. Gli abiti erano talmente tanti che arrivavano al soffitto del capannone.
Quelli  buoni venivano venduti, insieme agli oggetti aggiustati, il sabato e la domenica nel gran piazzale del cantiere.
Lavoravamo sette giorni su sette, la stanchezza non aveva mai fine, ma la nostra forza era il sapere di fare qualcosa per qualcuno. Eravamo la squadra in missione per conto di Dio, come poi avrebbero detto anche i Blues Brothers.
Mai più ho provato la sensazione di fare parte di un tutto; negli anni sono stata sempre da sola nel punto preciso dove il destino mi ha appoggiato, ma sempre consapevole che se si vuole “si può”.
A Bologna imparai a conoscere le persone da vicino e mi spiace dirlo, non tutti erano al servizio di Dio, cosa che nella mia illusione davo per scontata. Molte furono le porte sbattute in faccia, molti ci scambiavano per accattoni, molti dicevano che non gliene importava nulla dei poveri del mondo.
Ricordo che mi sembravano delle aberrazioni, non capivo che magari arrivavamo in un momento inopportuno, che forse invasati come eravamo nella nostra missione eravamo noi gli intolleranti. Una signora rispose che aveva gente a cena e non poteva interessarsi a noi, al che le dissi aspramente che anche i poveri avevano fame. Spesso ho ripensato a quella battuta, detta sull’onda della mia emozione, ma in fin dei conti che ne sapevo io di quella donna e dei suoi problemi?
Difficile trovare nella gioventù un punto di pacato equilibrio
Preciso che tutto ciò si svolgeva a novembre, i primi freddi iniziavano a far gelare le dita, le prime nebbie intristivano gli animi, i tortellini fumavano nei ristoranti: a noi fumava solo l’alito per il freddo.
Una mattina mentre giravamo con i nostri camioncini nelle strade di periferia, dalla nebbia spuntò sul marciapiede una sedia di legno nero, del tipo da osteria. Era proprio buffa, sembrava appoggiata su una nuvola, tanto bassa e densa era la nebbia.
Su questa sedia spiccava come uno stemma nobiliare, una caffettiera fumante e un sacchetto di semplici panini.
Una giovane donna, una semplice donna, una grande donna, quasi scusandosi per la sua povertà, disse: “ Non ho nulla da darvi , mi dispiace, ma un caffè ve lo offro volentieri.”
In quel preciso momento mi sentii un eroe che avesse guadagnato una medaglia sul campo e quella donna non saprà mai che a distanza di anni, io ancora penso a lei.
Quella sconosciuta rappresenta per me proprio il clima in cui si vivevano i favolosi anni 60; nessuno si domandava “ chissà chi si fregherà” tutto questo, si credeva che ciò che veniva asserito, sarebbe effettivamente accaduto. Il ricavo di quei campi sarebbe stato diviso tra i bisognosi di Bologna e quelli d’Italia, gestito dall’Abbè Pierre direttamente, non certamente dal Bertolaso di turno.
In particolare ricordo una persona, uno studente iraniano che a Bologna studiava ingegneria nucleare; veniva al cantiere solo quando aveva tempo per prestare la sua opera e solo allora si permetteva di mangiare con noi, altrimenti studiava e non mangiava. Era estremamente orgoglioso e  corretto.
Mi raccontò che era in Italia come  fuggiasco, allora c’era  l’imperatore, e che mai avrebbe potuto tornare a casa altrimenti lo avrebbero messo in galera. Praticamente per la sua famiglia era già morto, e per lui stesso la famiglia era perduta. Era vivo solo per noi stranieri, che a malapena riuscivamo a pronunciare il suo nome.
Questa faccenda mi impressionò moltissimo, ancora oggi immagino come debba essere terribile essere un morto vivente condannato a vivere in terra estranea.
Fortunatamente allora non si parlava di razzismo e tutti lo aiutavamo come potevamo. Se non veniva al campo gli portavamo con qualche scusa roba da mangiare; peccato che anche i topi della sua baracca avessero fame.
Ma non tutto è come pare. L’essere umano ha due padri, Dio ed il Diavolo.
 Ciò fu palese quando facemmo la colletta per pagargli le tasse universitarie, almeno per quella volta.
I soldi glieli portò una ragazza del gruppo e lui, forse per sdebitarsi, cercò di violentarla. Forse il sesso era l’ultima cosa rimasta di sua proprietà e cercava di condividerlo come se fosse un omaggio.
Voglio pensare che avesse creduto di doversi sdebitare in qualche modo. Chissà che ragionamento fece, forse prendere soldi da una donna l’aveva sconvolto e forse noi ingenuamente non tenemmo conto della diversità di mentalità e di cultura.
Ovviamente non ci fu perdono e non venne più.
E poi arrivò il 1968.
Il campo doveva essere a Bordeaux.
Non ci andai perché cominciavano a volare le molotov e crescere le barricate.
Al grido di “libertà” era cominciata un’altra rivoluzione, vecchie illusioni venivano massacrate per dare origine a quelle nuove.
Anche se non andai in Francia, fu  un anno bellissimo per me: conobbi l’altra metà del cielo.



236
Cinema e Tv / Il cigno nero
« il: Febbraio 25, 2011, 23:39:32 »
per 3/4 il film è noiosissimo, per il restante tempo è paranoico-paranormale.

Qualunquamente incomprensibilmente cervellotico. :ppprrr:

237
Cinema e Tv / Il Grinta
« il: Febbraio 24, 2011, 08:53:19 »
si può anche non vedere!

il grinta manca di carisma, la ragazza sembra solo una che tira diritto senza cervello, e alla fine i buoni e cattivi stanno un poco insieme.

Non è brutto, ma manca di logica!

238
Cinema e Tv / Burlesque
« il: Febbraio 23, 2011, 16:31:43 »
Un ottimo film , anche se tra le righe è più che evidente il riferimento a Cabaret.
La trama è banale, ma la fotografia è perfetta e decisamente splendidi i balletti, che però non sono riuscita a capire di quale coreografo fossere. Una cosa tipo Bob Fosse.
La Anquillera ci fa una splendida figura sia come gnoccolona, che come presenza scenica e soprattutto come voce. La Cher, sempre più assomigliante alla Famiglia Adams, tutto sommato, non fa una brutta figura. celapossofa

239
Cinema e Tv / L'americano
« il: Febbraio 21, 2011, 09:21:31 »
L'americano, prodotto e recitato da George Clooney

Ambientato in abruzzo, è un film che scorderete per la sua stupidità, o magari lo ricorderete per aver buttato via i soldi del biglietto.
Non c'è trama, non c'è dialogo, non c'è nulla da capire.
Dù palle.....

240
Giochi letterari / le due parole
« il: Febbraio 21, 2011, 09:15:55 »
vi ricordate quel giochino, dove si indicavano due parole estemporanee e  ci si inventava sopra una storiella e l'autore poi indicava le due parole successive?
Ci partecipavate in molti.


Santa----escort


a chi l'onore di iniziare?

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