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Post - valdobear

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Umoristico / Re:Statistica quantistica
« il: Giugno 20, 2016, 13:12:16 »
Padre di un fisico ricercatore non posso che applaudire questa arguta "conferenza" sulle vite parallele di bosoni e fermioni, bipedi o no.

Bravo!

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Altro / Re:La profezia
« il: Aprile 01, 2016, 11:53:24 »
Purtroppo di inventato ci sono solo le due ragazze, luoghi e fatti sono reali, anche la citata Anna Frank, quella del "diario" viveva lì.  Le ragazze sono un espediente letterario per ricordare i tempi più bui della storia moderna e una tragedia, quella dell'"Orazio", rimossa dal ricordo,  forse perchè sovrastata da tragedie ben più grandi, non voglio pensare invece al complice silenzio su di un possibile (per me probabile) attentato.
Io invece quella tragedia è come se l'avessi vissuta in diretta: su il "Conte Biancamano" giunto in soccorso, viaggiava mia madre, fu testimone oculare dei salvataggi e del successivo affondamento.

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Altro / Re:L'amicizia inossidabile
« il: Marzo 31, 2016, 21:41:51 »
Originale e molto triste, ma perfettamente plausibile.
Apprezzato davvero

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Altro / La profezia
« il: Marzo 31, 2016, 12:30:05 »


La profezia


In questa vecchia Europa, quasi ogni pietra sovrapposta a un altra, ciascun crocevia, ogni arco, è testimonianza di eventi remoti, esempi di eroismo, di bellezza, spesso di ferocia e crudeltà.
Tutto ciò si può trovare, ad esempio, a Francoforte sul Meno, oggi cuore gelido della Finanza tedesca, ieri luogo dove le legioni di Diocleziano costruirono i loro accampamenti.
Lasciati i grattacieli del quartiere degli affari, tracce e atmosfere dei duemila anni di storia della città se ne possono trovare molte, ma non cercate l’antica Börnerplatz con la sua imponente Sinagoga.
Quella piazza, cuore di uno dei più antichi ghetti d’Europa, subì il destino di milioni di altri cuori, fermati per sempre dall’avvento al potere del nazismo e dalla successiva, folle macelleria chiamata “seconda guerra mondiale”.
La Sinagoga fu data alle fiamme e poi rasa al suolo nel 1938; l’area che occupava fu destinata a “migliorare la viabilità cittadina”, così recitava l’ordinanza dell’amministrazione locale che ne sanciva la totale scomparsa.
Quanto alla Börnerplatz, ebbe una sorte meno cruenta: semplicemente le fu cambiato il nome perché il signor Börne, poliedrico intellettuale dell’ottocento, in realtà si chiamava Baruch ed era un ebreo.
Il nuovo nome di quella piazza era Dominikanerplatz, e nel pomeriggio di domenica del tardo settembre 1937, due ragazze uscivano dal portone di un palazzo, proprio di fronte alla sinagoga.
Ester e Miriam, diciassette anni, erano nate a poche ore di distanza, nello stesso ospedale. Figlie di due sorelle, più che cugine erano da sempre amiche inseparabili che condividevano gli studi, i turbamenti dell’adolescenza, i segreti grandi e piccoli, e naturalmente, i divertimenti.
Chiacchierando, le ragazze si diressero verso il fiume non lontano dove, in uno spiazzo polveroso, era accampata una carovana di orsanti e saltimbanchi italiani.
«Io non ci credo: come dice mio padre, chi pretende di leggere il futuro è un imbroglione», stava dicendo Miriam.
«Può darsi, ma Solomon, Ahron e i suoi amici ci sono andati e ne sono entusiasti, pare che quella vecchia riesca a dire cose inquietanti in modo strano e convincente», rispose Ester.
«Strano è dire poco, ti ricordi quello che ci ha raccontato il professore di lettere sulla Sibilla… come diceva? Ah sì, ibis redibis numquam peribis. Furbo più che strano, direi.».
«Miriam, noi andiamo solo per divertirci, anzi, qualunque cosa ci dirà non la prenderemo sul serio, d’accordo?».
Miriam annui, poi si arrestò. Non sorrideva più.
«Certo, hai ragione, le cose serie sono altre». La ragazza indicava un grande manifesto sul bordo della strada: “Der ewige Jude”, “L’eterno giudeo”. Pubblicizzava la mostra che, appena inaugurata a Monaco, presto sarebbe giunta anche lì, a Francoforte.
Il manifesto raffigurava un ebreo ritratto secondo la visione nazista: il volto deformato da un ghigno malvagio, la barba lunga e incolta, nella mano destra alcune monete d’oro, nell’altra la falce col martello, simbolo del bolscevismo. Secondo la propaganda antiebraica, il bolscevismo era il mezzo prescelto dal complotto globale giudaico per arrivare al dominio politico ed economico sul mondo intero.
«Io non capisco tutto quello che sta accadendo» disse Ester, dopo aver letto il manifesto, «ma ascolto quello che dicono i miei genitori; sono molto preoccupati, tra l’altro devono fare mille sacrifici, abbiamo sempre meno clienti e devono anche pagare la nostra scuola. Ora stanno addirittura pensando di lasciare la Germania.».
«Quella di chiudere le scuole pubbliche a noi ebrei è stata proprio una porcata», rispose Miriam, «anche i miei parlano di andarsene, non sanno quanto potranno resistere. È vero, nel negozio i clienti diminuiscono ogni giorno. Mio padre dice che per gli altri, i gentili, anche quelli che non ci odiano, sta diventando pericoloso persino frequentare un nostro negozio.».
«…e molti sono già partiti», la interruppe Ester. «Fra quelli che conosciamo, sono andati via i Blum, i gioiellieri con quei tre bellissimi bambini, e i Frank; Ricordi Margot, che era a scuola con noi?»
«Sì, certo, la Frank, abbiamo spesso studiato a casa sua, ricordo anche la sorellina, Anna, mi pare, così simpatica e sveglia.»
«E altri stanno per partire, tutti per Amsterdam, al sicuro.».
«Il quartiere si sta spopolando, e noi cosa faremo?».
«Miriam, noi saremo sempre insieme, vedrai, le nostre famiglie sono troppo unite. Ma adesso basta pensieri tristi, siamo quasi arrivate, cerchiamo di divertirci un pò’».
Le due amiche non ebbero difficoltà a individuare il carrozzone che cercavano: una coda di una decina di persone in attesa lo rivelava anche a una certa distanza.
Dovettero attendere più di un’ora prima di essere ammesse all’interno e subito provarono un senso di delusione: il carrozzone era buio, odoroso d’incenso e ricco di pesanti tendaggi, esattamente lo scenario che si attendevano da un antro di ciarlatani, ne avevano già visti altri. Inaspettata fu invece la reazione della donna che le accolse, una vecchia biascicante e quasi repellente.
Dopo un primo sguardo alle ragazze, la donna mormorò a bassa voce, come tra sé, due parole in yiddish: “giovani ebree”, poi aprì un grande baule e ne trasse una menorah, la posò sul tavolo e ne accese cerimoniosamente i sette lumi. Miriam e Ester si guadarono stupite. “Bel trucco, come avrà fatto a sapere che siamo ebree?” pensarono entrambe.
«Ponete la mano sinistra col palmo in alto, sotto la menorah, e fate in modo che si tocchino.».
Esaminò brevemente le mani, in silenzio. Poi ripeté l’esame con più cura, sfiorando con sorprendente delicatezza le linee e seguendole con i polpastrelli, a occhi chiusi. Infine, dopo un silenzio che alle ragazze parve lunghissimo, appuntò uno sguardo colmo di tristezza sugli occhi di Ester, poi su quelli di Miriam: «Fumo che porta morte fumo che porta vita uno vincerà per entrambe».
Pronunciò la frase cantilenando, senza pause e senza espressione. Non disse altro ma rifiutò il denaro che le veniva offerto, lasciando le due amiche deluse e turbate.
Appena fuori dal carrozzone, tentarono di mascherare l’inquietudine con una risata liberatoria, ma lo strano responso continuò a lungo a risuonare nella loro mente e s’incise nella loro memoria.
Sulla strada del ritorno, passarono accanto al manifesto della mostra. Un gruppetto di ragazzi, forse della loro stessa età, lo stava osservando discutendo animatamente. Al passaggio delle ragazze si voltarono, probabilmente solo per lanciare qualche complimento volgare, ma uno di loro le apostrofò a voce alta: «Vi conosco, siete le figlie dei giudei che hanno le botteghe nella Jordanstrasse, presto ci occuperemo delle vostre famiglie e di voi in particolare, sarà un piacere!».
Tra risate e altre minacce, Miriam ed Ester, in silenzio, accelerarono il passo, spaventate. Non riuscivano, anzi non potevano capire la ragione di tanto odio e non vedevano l’ora di parlarne coi genitori.
A pochi passi da casa, passando sotto la nuova targa che annunciava “Dominikanerplatz”, per la prima volta compresero il sinistro significato di quel segnale, apparentemente di poco conto. Dopo l’eliminazione tutta simbolica dei nomi ebrei, sarebbe forse giunta quella reale delle persone ?

20 gennaio 1940

«Mamma e papà mi mancano. Se avessimo insistito per restare, alla fine avrebbero ceduto; io sono più che preoccupata, l’Italia non è un paese sicuro per loro.».
Se avessero fatto, se avessero visto, se avessero detto… troppe volte la vita delle persone è stata decisa, nel suo bivio cruciale, da una piccola parola: “se”. Nella sua ingannevole brevità, quel “se” racchiude spesso un grido di rimpianto, una sentenza senza appello.

Miriam fumava nervosamente una sigaretta, lo sguardo alla scia turbinosa che, sotto di lei, il grande piroscafo “Orazio”, veterano della rotta che da Genova portava all’America del sud, lasciava tra le onde agitate.
«Sì, forse siamo state troppo arrendevoli. Se avessimo discusso, pregato, magari pianto come quando eravamo bambine, saremmo ancora con loro e non ci toccherebbe aspettare un mese prima di riabbracciarli, e non voglio pensare al peggio.».
Miriam ed Ester erano state costrette a imbarcarsi da sole su quella nave, diretta verso una nuova vita e una sicurezza da ritrovare. A Valparaiso erano attese da amici, fuggiti prima di loro da quella Germania decisa a liberarsi in qualsiasi modo della popolazione di origine giudea.
Un’associazione umanitaria aveva organizzato quel nuovo Esodo verso una terra promessa ma, una volta arrivate a Genova, molte famiglie si erano trovate a un bivio.
Il controllo minuzioso dei documenti, e in particolare dei visti di transito, da parte delle autorità italiane aveva di fatto impedito a molti l’imbarco sull’Orazio. Sorte toccata pure ai genitori di Miriam e di Ester.
«Voi siete in regola, non dovete perdere la nave. Partite, a Valparaiso ci saranno gli amici ad aspettarvi, abbiamo già telegrafato. Noi ci siamo prenotati sull’Augustus, partirà tra un mese; passerà in fretta e ci riabbracceremo.».
Era giustificato il timore per una sosta forzata in un paese, l’Italia, il cui regime aveva emanato già nel 1938 severe leggi razziali mirate a emarginare chi professava la religione ebraica o fosse comunque ebreo per discendenza. Sino a quel momento, tuttavia, il regime fascista era stato tollerante con quel flusso di emigranti forzati che da paesi quali Germania, Austria e Polonia raggiungeva i porti di Genova e Trieste per riacquistare oltre gli oceani libertà e dignità.
Se le ragazze avessero saputo la verità che si celava dietro quegli intoppi burocratici, sarebbero state più che preoccupate, spaventate.
Non si trattava di semplice zelo e pignoleria nei controlli: era invece il frutto di un documento riservato col quale il governo “raccomandava” alla polizia di frontiera di “non agevolare” l’esodo degli ebrei. Un prologo ai primi internamenti di ebrei, anche stranieri, che sarebbe scattato pochi mesi dopo.

Miriam ed Ester stavano ancora parlando dei loro timori mentre il cielo al tramonto, di un rosso cupo screziato di nero, non prometteva nulla di buono. Infatti, il viaggio dell’Orazio era iniziato sotto cattivi auspici.
Salpata il giorno precedente da Genova con rotta per lo stretto di Gibilterra, presto la grande nave fu nelle acque territoriali francesi.
Poco dopo, l’Orazio fu affiancata da due motovedette, partite da Tolone, che le imposero di fermarsi per una ispezione. Si voleva controllare che il piroscafo trasportasse solo civili e non avesse a bordo, a nessun titolo, materiale bellico.
Le operazioni durarono ore. La nave, pur lontana dall’essere stipata, aveva imbarcato oltre quattrocento passeggeri e circa lo stesso numero di persone d’equipaggio; di ciascuno furono ancora una volta esaminati i documenti con pignoleria esasperante.
Nulla di sospetto emerse né tra gli imbarcati né dal contenuto delle stive. Ma tutto questo doveva già essere noto alle autorità francesi, che disponevano di un ottimo servizio di spionaggio nei porti italiani.
Terminata l’ispezione, nel tardo pomeriggio fu concesso all’Orazio il permesso di ripartire.
Ester e Miriam, appoggiate al parapetto del belvedere di poppa, avevano gli occhi arrossati dal fumo denso che le caldaie, alimentate al massimo, lasciavano fuoruscire dall’alta ciminiera. Il comandante aveva ordinato l’avanti a tutta forza per cercare di recuperare il tempo perduto e le macchine, così sollecitate, emettevano più fumo e particelle incombuste di quanto facessero di solito,
La cosa però non disturbava né le due ragazze né molti altri passeggeri della terza classe. Nella prospettiva di condividere per settimane i dormitori maleodoranti, in molti preferivano il freddo e il fumo dei ponti all’ara aperta.
Miriam era turbata anche da un fatto avvenuto durante l’ispezione.
«Quel francese che mi ha controllato i documenti, mi ha guardato in modo strano quando ha visto che ero ebrea.».
«Ma certo, Miriam. Ti avrà guardato perché sei una vera bellezza, gli uomini si voltano quando passi, lo sai.».
Miriam sorrise appena, scuotendo la testa.
«No, sarò prevenuta, ma mi pareva più disprezzo che altro e poi, non so, aveva un mezzo sorriso cattivo, era come se… ma forse devo ancora abituarmi al ritorno in un mondo normale, dove l’essere ciò che siamo non ci rende inferiori, spregevoli».
Ester non rispose, come se stesse pensando ad altro,
«Tutto questo fumo non ti ricorda qualcosa?» disse alla fine
«Forse alludi alla vecchia zingara e alla sua profezia? Sarà questo il fumo del quale parlava?».
«Sì, pensavo proprio a lei, chissà cosa voleva dirci, in realtà. Sempre che avesse qualcosa da dirci e più ci penso e più sono convinta che fosse un’imbrogliona».
«Un’imbrogliona non penso, visto che ha rifiutato di farsi pagare, forse voleva solo divertirsi a spaventarci.».
«Spaventarci? Per così poco? A Francoforte c’è stato chi ha saputo farlo molto meglio, io mi sveglio ancora la notte con gli incubi!»
Ester rabbrividì, non solo per il vento gelido che spazzava la nave. «È passato un anno e poco più, non è bastato a farmi dimenticare il terrore di quella notte e non ne basteranno cento. Quelle belve impazzite che hanno incendiato la sinagoga, e poi sembrava che volessero ucciderci tutti, hanno distrutto le nostre botteghe e ci hanno rovinato! Ricordi? Gridavano “porci giudei, sarete tutti spazzati via”… facevano sul serio, ho visto le loro facce stravolte dall’odio. “La notte dei cristalli” la chiamano, ci scherzano persino!».
Mentre le due amiche conversavano e l’Orazio procedeva sulla sua rotta, a nord, nella valle del Rodano, il Mistral stava rinforzando, e più si avvicinava alla foce, nel golfo del Leone, più ancora rinforzava. Presto, al largo, le sue raffiche superarono i quaranta nodi, sollevando le onde di tempesta che rendono temute quelle acque sin dai tempi lontani delle navi fenicie.
L’Orazio, ben più robusto di quei fragili legni e costruito per affrontare gli oceani, iniziò ugualmente a rollare e beccheggiare sempre più violentemente.
Verso le 23, anche l’ultimo dei passeggeri che avevano affollato gli spazi all’aperto trovò rifugio all’interno, nei dormitori, al riparo dal vento e dalle ondate che si rompevano sullo scafo.
Il mal di mare colpiva praticamente tutti, e lo spettacolo, oltre che l’odore, non era piacevole.
Miriam ed Ester furono tra le ultime a cedere ma, una volta nelle loro cuccette, si addormentarono col sonno profondo dei giovani.
Nel ventre della nave, i motori avevano ridotto i loro giri, non si affronta una tempesta navigando a tutta forza, e il loro battito regolare contribuiva a ritmare il respiro profondo dei dormienti. Soprattutto quello dei passeggeri di terza classe, alloggiati nei ponti inferiori, vicino al calore e al rumore della sala macchine.
Nella notte tutto pareva procedere regolarmente, nella grande nave bianca vegliava soltanto il personale di turno.
Sul ponte di comando, il secondo ufficiale controllò ancora il grande cronometro di bordo, doveva fare un’annotazione sul registro del turno. Erano esattamente le cinque e dodici minuti, mancavano quasi due ore al sorgere del sole e l’Orazio si trovava venticinque miglia al largo della costa francese.
L’ufficiale fu scaraventato sul pavimento da una esplosione che squassò la nave. L’origine fu subito chiara: il cuore pulsante dell’”Orazio”, la sala macchine.
Le fiamme si levarono immediatamente e la nave iniziò a imbardare, appesantita dall’acqua che entrava da un ampio squarcio sulla linea di galleggiamento.
In pochi minuti la situazione fu drammaticamente chiara all’esperto comandante, accorso subito in plancia: diede ordine di lanciare il segnale di SOS e abbandonare la nave.
Il panico s’impadronì dei passeggeri ma venne ben tenuto a freno dall’equipaggio, guidato da un Comandante del quale la marineria potè essere fiera. Per buona sorte, quel tratto di mare era tanto tempestoso quanto frequentato. Quattro motovedette francesi e il transatlantico “Conte Biancamano” si trovavano a poche miglia e altre navi erano a qualche ora di navigazione in più. Captata la temuta sequenze di punti e di linee del segnale di soccorso, tutte cambiarono immediatamente rotta, convergendo a piena velocità verso il luogo del disastro.
Il fumo delle loro ciminiere, quel fumo “che porta vita”, in breve fu visibile sia dalle scialuppe sballottate dai marosi, sia da coloro che ancora si trovavano sull’Orazio, in preda alle fiamme e prossimo a spezzarsi in due tronconi.
In breve tempo iniziarono le operazioni di salvataggio, difficili per le condizioni del mare e più ancora per le fiamme galleggianti che si alzavano dagli oli combustibili rilasciati dalle ferite mortali dell’Orazio.
Il buio della lunga notte invernale era solcato dai fasci luminosi dei riflettori, puntati dal Biancamano e dalle altre unità, Così guidate, le scialuppe dei soccorritori, a forza di remi, fecero la spola, faticosa, rischiosa ai confini dell’eroismo, sino a quando non si ebbe la ragionevole certezza di aver raccolto tutti i sopravvissuti
Alla fine, quando si riuscì a fare il conteggio preciso dei superstiti raccolti da ciascuno dei soccorritori, all’appello mancarono oltre cento persone, tra passeggeri ed equipaggio.
Alcuni, vittime del mare in tempesta che non era stato clemente con chi, nel panico, si era tuffato dall’Orazio per sfuggire alle fiamme.
Ester e Miriam ebbero un destino diverso.
Travolte da altri passeggeri terrorizzati, non riuscirono a risalire le scale verso il ponte scialuppe e la possibile salvezza. Cadute, calpestate, tramortite, la loro vita si spense quando il fumo “che porta morte” vinse la gara fatale con quello “che porta vita” e le raggiunse, strisciando come una serpe per poi soffocarle nelle sue spire.

Presto la guerra, con ben altri massacri e le sue distruzioni, fece dimenticare il naufragio dell’Orazio, le sue vittime in gran parte ebree, e i sospetti che molti avanzarono sulle cause.
Si disse che i servizi segreti nazisti fossero riusciti a infiltrare un agente tra gli ispettori francesi saliti a bordo. Anzi, che la stessa ispezione fu decisa su pressione di agenti nazisti infiltrati.
Sempre secondo questa versione, fu l’agente salito a bordo che, fingendo di effettuare le verifiche al carico, riuscì a piazzare un ordigno a orologeria nella sala macchine.
Tuttavia, il mistero dell'esplosione non fu mai indagato e il relitto dell’Orazio giace ancora, dimora inviolata di creature marine e resti mortali, sui fondali del Golfo del Leone.

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Altro / Re:Il bisso e la donna del mare
« il: Marzo 07, 2016, 06:34:28 »
Un mondo di antichi mestieri oramai perduti, da quelli più nobili ai più umili. Un mestiere che si estingue è un pezzo di cultura che si perde. Siamo sicuri che ciò sia progresso?
Grazie per averci raccontato di questa donna meravigliosa

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leggo tra le righe e ti abbraccio, è tanto che ci conosciamo, dai tempi di Robinia, ricordi?

Certo che sì, e con tanto piacere. Ogni tanto vado a zonzo nel passato, la Grande Rete lo consente, quel passato per me più sereno perchè ancora non sapevo, e ritrovo nomi in parte spariti e tanti commenti. I tuoi per esempio, sempre con tanta stima e amicizia, che ricambio con nostalgia.

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Cara nihil, io pure mi sono tolto uno sfizio che mi portavo dietro dai miei diciott'anni, quando corsi a farmi la patente: un'auto abbastanza sportiva da divertirmi quando possibile, ma adatta pure   a trasportare nipotini, da bravo nonnetto. Per anni e anni ho guidato auto aziendali, da livello carretta a berlina di rappresentanza.  per una automobile come la volevo io ho dovuto aspettare la pensione.
Come la tua cucina rossa, io ogni tanto contemplo la mia Subby neranera e sono abbastanza certo che sarà l'ultima. O qualcuno premerà il mio pulsante di stop o, alla prossima scadenza della patente, non me la rinnoveranno... ma forse sarò io a fermarmi prima, appena mi accorgerò che il mio maledetto ospite inglese, non invitato , avrà intaccato i miei riflessi e le altre capacità necessarie a una guida non da pericolo pubblico.
Come vedi, faccio del mio meglio.... persino (non ridere) corsi di Pilates, dove mi esibisco in riuscite imitazioni degli antichi orsi da saltimbanco  :happy:

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Giochi letterari / Re:Te ne dico quattro
« il: Febbraio 29, 2016, 09:46:38 »
Lucullo leccava lasagne latine  :happy:

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Idolatria
« il: Febbraio 16, 2016, 07:39:48 »
Ottima analisi, condivisibile in toto. Aggiungo di mio il fastidio e qualcosa di più, provocato dal vergognoso trasformarsi in giro di soldi, spesso privi anche della legalità delle tasse dovute, della fede ingenua di migliaia di persone. Beninteso, non è la fede che mi disturba, anzi, io invidio sinceramente chi ne ha.
Commercio di immaginette spacciate per benedette, medagliette "sacre", magliette, oboli per candele, e tutto ciò che la fertile mente umana riesce a concepire per spillare denaro in nome di una qualche Fede o Divinità. Solo per fare un esempio, quando vado a Roma e passo dalle parti di San Pietro provo lo stesso imbarazzo, che si trasforma in rabbia, nel andare al Colosseo e vedere i cosiddetti centurioni che si fanno pagare da turisti (per me cretini) per una fotografia.
Per parlare solo del cristianesimo, ma Gesù non aveva scacciato i mercanti dal tempio?

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Non  è mai troppo tardi, sarà banale ma è verità distillata.
Mai troppo tardi, per esempio,  per scoprire che l'intolleranza, il fanatismo e l'ignoranza possono infestare anche luoghi dove dovrebbero esistere sereni scambi di idee, apertura mentale, cultura.  Leggere certe opinioni, anche legittime (lo sono tutte) espresse in modo così becero, chiuso al contraddittorio, argomentate con dogmi e difese con insulti alle persone, alla grammatica e all'ortografia, personalmente mi disgusta e mi spaventa.
Essere cattolici praticanti non è una colpa, tutt'altro, essere di destra nemmeno (ho molti amici di destra, persone degnissime), come non lo è essere atei o islamici, omo oppure etero, essere comunisti o centristi. Invece, niente di più pernicioso del cieco fanatismo di qualsiasi segno e scopro che qui abbiamo qualcuno (ho appena letto altri post, tutti con la stessa impronta) che del fanatismo fa la propria bandiera.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:IN MEMORIA DI GIULIO
« il: Febbraio 06, 2016, 18:07:59 »
Condivido il cordoglio per un giovane brillante idealista vittima del suo coraggio

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Eh sì, hai ragione, solo che alla mia età occorre abbandonare l'io e trasferire sogni e illusioni su figli e nipoti, coloro ai quali hai affidato la sopravvivenza di una parte di te stesso.
Grazie per la lettura e l'apprezzamento

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Pensieri, riflessioni, saggi / Lettera a un bambino dai capelli buffi
« il: Febbraio 03, 2016, 17:13:16 »
Forse è una cosa inutile, forse tra poco la rileggerò e deciderò di cancellarla, come ho cancellato quasi tutto ciò che ho scritto in questi ultimi mesi.
Perchè questa è una lettera che non avrà mai un francobollo, e nemmeno uno di quegli indirizzi con la chiocciolina, di quelle che fai un click ed è già arrivata al destinatario.
Questa è una lettera a me stesso, ma non a quello che pensionato, nei ritagli di tempo concessi dai quattro nipotini, se ne sta mezzo sdraiato sul divano a battere i tasti del suo portatile, mentre le note della celtica “Annachi Gordon” riempiono la stanza.
Io scrivo al me stesso di tanti anni fa, quello che ho ritrovato bambino col ciuffetto a banana in una foto vecchia di sessantotto anni, custodita gelosamente nella cerniera di una vecchia borsa di mia madre.
Facciamo il punto, bimbo mio, ora che hai doppiato le colonne d’Ercole. Quelle che ti fanno lasciare alle spalle il mare tempestoso della gioventù e poi quello tranquillo della mezza età, ora che vedi le onde infide dell’oceano della vecchiaia gonfiarsi davanti a te. Lì, come nelle antiche illustrazioni, ci sono i mostri, pronti a trascinarti negli abissi ad ogni istante. Anzi, uno di loro ti ha già messo i tentacoli addosso ma, come Gilliat ne  “I lavoratori del mare”, tu stai lottando col mostro e lo farai sin quando avrai forza.
L'ultimo legame col bambino dal ciuffetto è stato reciso quando sei entrato in quella stanza d’ospedale dove t’aspettavi di trovare tua madre sofferente; la trovasti già oltre il sonno, partita così silenziosamente per il suo ultimo viaggio che neppure un dottore, o un'infermiera, o l'inserviente delle pulizie, se n’era accorto; l’allarme lo hai dato tu e questo fatto non ha accresciuto la tua fiducia negli ospedali della tua città.
Dunque, bimbo dal ciuffo a banana, dimmi: cosa hai combinato dopo essere cresciuto?
Certo hai studiato, forse non tanto come avresti voluto, con quei sogni da ingegnere messi nel cassetto per tanti buoni motivi.
Ti ricordi come ti divertivi a costruire i tuoi accrocchi elettronici? 
Radio, amplificatori, persino un tentativo di televisore e alcune trasmittenti, rigorosamente illegali.
C’erano le valvole allora, e tu andavi in una discarica dove i militari della base Nato gettavano di tutto, comprese delle meraviglie di valvole militari introvabili e perfettamente funzionanti. Una volta registrasti sul Gelosino a bobine un messaggio di buon compleanno di tua madre a tuo padre e la sera, a tavola, riuscisti a trasmetterlo dalla tua stanza alla radio accesa in cucina, facendo piangere di commozione entrambi, che ti già ti vedevano un gradino più in alto di Marconi.
Come dici? Non ti diverti più con quelle cose e i monumenti a Marconi possono stare tranquilli che nessuno li soppianterà? Allora forse hai fatto altro, i tuoi interessi erano tanti e a volte spericolati.
Avevi un cugino più grande, e con lui costruisti addirittura un piccolo missile, che poi s’innalzò di alcune decine di metri sul prato per ricadere, sibilando ed esplodendo, a pochi metri da una ragazza che, in bicicletta, percorreva il sentiero vicino. Sai che la poveretta si è portata nella tomba la convinzione che da giovane era stata attaccata da un UFO pieno di marziani malvagi? Invece il cugino decise che era meglio studiare sul serio prima di riprovarci. Infatti oggi basta cercare il suo nome su internet e viene fuori un fisico di fama internazionale, che non lancia missili ma applica la fisica alla medicina.
Tu invece a testa bassa a lavorare. Perdesti presto tuo padre, uomo dolce e totalmente inadatto alla vita attuale, legato com’era a valori obsoleti quale onestà, altruismo, onore. Ma lui non per nulla era un gentiluomo del sud, nato nel 1899, incredibile a dirsi ma si parla di due secoli fa, di quelli che la parola Patria l’intendevano in un certo modo. Già, un valore oramai caduto in disuso, pagato di persona sul Grappa e sull’Isonzo, medaglie e croci di guerra, titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto, il tutto perduto in qualche cassetto e sopravvissuto a tanti traslochi.
Ma torniamo a te, giovanotto senza più la banana in testa, sostituita da una pettinatura con la riga che porti ancora oggi, grazie ai capelli abbondanti che, a differenza di tanti tuoi sogni, non ti hanno abbandonato.
Tu dici che hai lavorato duramente e onestamente, che dopo oltre quarant'anni di competizione stressante, le multinazionali è noto che non regalano nulla, ti godi la meritata pensione. Hai dei figli, e pure dei nipotini, insomma non ti manca nulla e su quell'oceano di cui parlavo prima puoi navigare tranquillo sino a quando Dio, per chi ha la fortuna di credere, o il Fato, lo vorrà.
Strani modi ha di manifestarsi, il Fato.
Può prendere la forma di un fulmine, o di un piccolo grumo di sangue in qualche arteria vitale, cose che ti ucciderebbero all’istante ma ti risparmierebbero ulteriori lunghe sofferenze.
Oppure, come nel tuo caso, può essere un foglio di carta, ricco di grafici, numeri e parole incomprensibili tranne l’ultima, chiarissima, col nome di un signore inglese che si prese il disturbo di studiare una malattia ai suoi tempi senza nome e senza causa.
Ecco, ora davvero non ti manca nulla, hai persino la visione del percorso in ripido declino che ti attende..
Non ti manca nulla. Ma ne sei proprio certo?
E allora, perchè scrivi?.
Perchè hai ancora tanti sogni?
Perchè ti aggrappi ancora alle tue illusioni che piano piano, una alla volta, abbandonano la tua nave come piccole scialuppe abitate da gnomi, folletti e fatine incantatrici e spariscono tra un'onda e l'altra?
E perchè tu, mentre le saluti con un gesto stanco della mano, hai gli occhi che si riempiono di acqua salata?
Sono soltanto gli spruzzi dell'oceano, dici.
Addio, bambino dai capelli buffi, oggi è il tuo compleanno...
"... ma la tua festa ch'anco tardi a venir non ti sia grave".


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Fantastico / Re:Alla luce rossa della candela
« il: Gennaio 31, 2016, 19:05:52 »
 :rose:

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Fantastico / Alla luce rossa della candela
« il: Gennaio 30, 2016, 17:23:38 »


Spesso le porte di legno cigolano, anche quelle delle chiese.
Ma questa aveva proprio bisogno di una buona oliata, non poté fare a meno di pensare la donna nerovestita; come per darle ragione, gli echi di quel cigolio rimbalzarono a lungo nella navata, prima di spegnersi nella semioscurità dell’antico coro ligneo.

All’interno, l’atmosfera era cupa, quasi sinistra. Gli archi a sesto acuto, altissimi, si perdevano nel buio e, in basso, il chiarore proveniva dai finestroni, alti e stretti, le cui vetrate lasciavano filtrare solo i toni scuri della luce esterna: un azzurro profondo e un rosso sangue piuttosto inquietante.
La donna si rese conto di essere sola, così avanzò senza curarsi del suono martellante dei suoi tacchi a spillo, sormontati da un paio di gambe affusolate e nervose.
Era non più giovanissima, Rosetta, ma sotto il velo nero s’intravvedevano gli splendidi occhi verde chiaro, gemme di un volto che ancora non avrebbe sfigurato sulla copertina di un giornale di moda. Come il resto del corpo, che il vestito nero fasciava in modo discreto, ma non celava del tutto. A ogni passo, era evidente sotto la stoffa leggera il libero sussultare dei seni floridi che precedevano la vedova, tale era da poco, nel suo incedere verso l’altare maggiore.

Rosetta era entrata in quella chiesa con uno scopo ben chiaro in mente: si sarebbe finalmente tolta un peso, anzi una serie di macigni, dalla coscienza.
Era pronta a pagarne il prezzo, confessando tutti i suoi peccati e rinunciando per sempre ai suoi molti amanti.

Il rimorso per la morte del marito, l’unico uomo che avesse mai veramente amato, l’aveva precipitata in una profonda crisi di coscienza. Forse erano stati proprio i suoi continui tradimenti, mai nascosti, a minare prima lo spirito e poi il corpo del suo amato Giovanni, che infine, una notte, le si era abbandonato inerte tra le braccia nel momento culminante di uno dei rari amplessi che lei ancora gli concedeva.

Rosetta suonò il campanello del confessionale e un trillo lontano, in qualche angolo della sagrestia, le confermò che presto un sacerdote sarebbe arrivato ad ascoltare le sue trasgressioni dalla via che avrebbe dovuto seguire una moglie virtuosa. Forse ne sarebbe uscito sconvolto, il pretino, si disse lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso malizioso.
Nell’attesa si sarebbe preparata. Si avvicinò all’altare, infilò una moneta nella cassetta delle offerte, prese una lunga candela, l’accese alla fiamma di un’altra e la fissò sul candeliere in ferro.
S’inginocchiò, mentre la candela ardeva sempre più decisa, più luminosa.
- Accidenti, ma quanta luce fa quella candela?- si domandò sorpresa, accorgendosi di un chiarore strano che si stava diffondendo proprio sopra la sua testa.
Alzò gli occhi e vide qualcosa che la lasciò a bocca spalancata, mentre una sensazione sembrava irradiarsi dalle radici dei suoi capelli giù, lungo la spina dorsale: una lama di luce rossastra proveniente da un finestrone andava a cadere proprio dove la fiammella della candela faceva tremolare l’aria sovrastante. In quella piccola area, luminosissima, si stavano formando delle immagini che, da vaghe e confuse, diventavano sempre più nitide.
Rosetta era come impietrita, incapace di distogliere lo sguardo da... ma santo cielo, quello era Giovanni! Ed era nudo, in piedi. Non solo nudo, ma nello splendore, si fa per dire giacché non era molto dotato, della sua erezione. E non era solo. Una donna inginocchiata davanti a lui si stava dando da fare volenterosamente. Per un momento anche il viso di lei divenne chiaro, per quanto un poco distorto dall’esercizio che stava compiendo con entusiasmo. - Patrizia, quella troia! - esclamò Rosetta. Patrizia, proprio quella che le aveva confidato di aver avuto cento amanti ma che non avrebbe mai toccato con un dito il marito di una sua amica. E infatti, non era un dito quello che stava usando.
Ma già la scena andava sfocando e le si sovrapponeva, come in una dissolvenza incrociata, un’altra immagine. Il protagonista maschile però era lo stesso, sempre nudo, ma questa volta comodamente sdraiato su quello che Rosetta riconobbe come il loro letto. Sopra di lui, un paio di tette prosperose sussultavano a ogni movimento - e si muoveva, eccome se si muoveva - di Roberta, la moglie del fornaio.
- La santarellina, brutta maiala, e pure sul mio letto! -
Rosetta si alzò in piedi quasi urlando, mentre la terza scena si componeva lentamente, mostrando questa volta un groviglio di corpi, nel quale a fatica si distinguevano due donne sconosciute e il solito Giovanni, che si rotolavano in quella che pareva la stanza di un motel di lusso, con tanto di enorme materasso ad acqua e specchi dappertutto.
Rosetta non aveva più parole, lo stupore stava lasciando il posto alla furia.
Come, il suo Giovanni, il suo tranquillo, remissivo, dolcemente e coscientemente cornuto Giovanni, l’aveva ripagata della stessa moneta? E lei, cretina, che si stava per pentire, stava per rinunciare ai suoi amanti e consacrare il resto della vita al ricordo del suo amore? Un porco, un depravato, ecco quello che era!

Rosetta strappò con rabbia la candela dal candelabro, sbattendola per terra e lasciando così interruptus il coito multiplo che si stava allegramente consumando nella luce sopra la sua testa.
Si voltò di scatto, incrociando un basito sacerdote che, diretto al confessionale, nulla aveva veduto se non il gesto violento che aveva spento la candela.
I tacchi risuonarono sul pavimento di pietra come fucilate, mentre Rosetta frugava nervosamente nella borsetta alla ricerca del suo cellulare. Non era ancora arrivata a far cigolare la porta che le parole della donna, quasi urlate, giunsero alle orecchie del povero sacerdote che si affrettò a segnarsi avvampando: - Preparati, tesoro, che arrivo e ti faccio un servizio come non hai mai avuto in vita tua! -

Una mano elegante, affusolata, spense il monitor sull’antica scrivania di mogano.
- Geniale, devo ammetterlo - fu il commento soddisfatto - stavamo proprio per perdercela quella cliente, e invece ecco dimostrato ancora una volta che la strategia a lungo termine paga. Tra grandi fratelli, dibattici politici, e come li chiamano... ah sì, reality, la gente oramai crede a tutto, basta propinarglielo sopra un bello schermo a colori. E questa volta è stato ancora più divertente, eravamo pure in trasferta... - , concluse con una risatina ironica.
Si accese un sigaro, si accarezzò il pizzetto ben curato e s'allungò rilassato sulla poltrona, arrotolando la lunga coda puntuta in modo che non gli facesse quello scomodo mucchietto sotto al sedere.

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