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Post - valdobear

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Fantastico / Re:Il mio tacchino di Natale
« il: Gennaio 14, 2016, 10:49:36 »
Grazie seppure in  ritardo, ma ho avuto giorni movimentati. Anche ora digito avendo in braccio la nipotina piccina piccina,tre chili e mezzo di tenerezza😆

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Altro / Dal fiume di carta stagnola
« il: Dicembre 23, 2015, 10:51:47 »
Dal fiume di carta stagnola


Salotto in penombra, In un angolo, sopra il ripiano di un tavolino, un presepe con qualche lucina accesa. Si nota che è stato fatto in modo sbrigativo, con la mente lontano dallo spirito del Natale.
Sul tavolo al centro della stanza, un unico pacchetto incartato con cura. Ha l’aria sobria ma l’etichetta è importante, di una gioielleria famosa.


«C’è qualcosa di diverso in questo Natale, non so cosa sia, ma lo sento.»
«Non vedi? Le luci sono accese, il muschio è fresco e profumato, tu cucini come sempre; ci siamo tutti: l’angelo, gli altri pastori, la Famiglia nella capanna, il bue e l’asinello. La cometa è lassù, fissata con la puntina da disegno, presto arriveranno anche i Magi. Intanto il fiume di stagnola passa sotto il mulino, tutto scorre come sempre.»
«Lo so, e tu suoni la zampogna per un gregge che non c’è più. Non siamo noi a essere diversi, Luca è diverso, sembra disperato.»
«Ma cosa vai a pensare? Luca è un uomo, avrà qualche preoccupazione, gli uomini sono così fragili, non sono come noi: loro hanno un cuore!»
«Ma è solo! E’ Natale e lui è solo. Non era mai accaduto prima.»
«Io sono con le spalle alla sua vita; come sempre, io guardo la Capanna, a chi è dentro e a te che sei lì a fianco, vicino al fiume. Così vuole e così faccio, non m’interessa vedere altro.»
«Già, tu guardi solo al tuo piccolo angolo, del resto qui è la nostra esistenza, lo scopo per cui siamo stati creati. Ma io sono diversa, io ho gli occhi rivolti verso l’altro mondo. Certo, vedo anch’io il muschio e ne sento l’odore, vedo brillare il fiume. Ma io vedo oltre, e Luca lo sento diverso, c’è qualcosa di terribile nell’aria.»
«Ora che me lo dici, qualcosa ho notato. Da bambino, Luca aveva i genitori che lo coccolavano e gli facevano tanti regali. Mi ricordo di suo padre, lui mi portò qui.“Vedi”, diceva, “quello è un pastore col suo gregge, va ad adorare il Bambino”, ed io mi sentivo importante, suonavo la mia zampogna ancora più forte e badavo che le pecorelle non si rompessero una zampa, erano tanto delicate.  Ora non ne ho più, l’ultima si è rotta due anni fa. Ma oggi, a parte noi, per la prima volta non c’è nessuno con Lui.»
«Ricordo anch’io. Quando arrivai, fui subito deposta vicino alla capanna, a preparare la cena sul fuoco di legna. ”La ragazza che cucina” mi chiamavano. Ponevano una piccola lampadina rossa vicino, tra il muschio, e mi piaceva tanto quella luce, mi riscaldava. Invece ora non c’è, si è rotta e Luca non se ne è accorto, qui è buio e sento freddo. Ma vedessi lui, come va avanti e indietro, come fissa l’orologio… sembra che aspetti qualcuno.»
«Sta aspettando Betta. C’era, l’anno scorso, e Luca era felice. Invece non ho sentito la sua presenza quest’anno. Deve essere successa una di quelle cose che accadono agli uomini. E alle donne.»
«Tu, oltre a non vedere, non ascolti. Se smettessi di soffiare in quella zampogna e usassi le orecchie, sentiresti. Sentiresti la speranza con la quale Lui ha deposto un pacchetto sul tavolo. Sai, ho idea che contenga una cosa importante, di quelle che cambiano la vita di due persone. E sentiresti le telefonate che Luca ha fatto. Era infuriato, urlava. Poi un’altra volta piangeva, sembrava un bambino. Ma Betta verrà, io le cose le sento.».
«Sei tu che a furia di cucinare sempre lo stesso stufato ti sei ammattita. Lei non verrà. Ho sentito, ho sentito, cosa credi? Io suonerò anche la zampogna badando a un gregge che non c’è, ma almeno ho il buon senso che tu non hai. Luca le ha detto cose terribili, come vuoi che una donna torni da uno che l’ha trattata così?»
«Le donne a volte sanno capire che l’amore e la disperazione possono prendere la mano a un uomo. E sanno perdonare… Oh Dio mio!»
«Che c’è? Che cosa succede?»
«Luca ha tirato fuori una cosa, una pistola, e ora la tiene in mano!»
«Santo cielo! Tu pensi che…?»
«Sì, io credo che lo farà, te l’ho detto, io le cose le sento. Poi gliel’aveva gridato che l’avrebbe fatto. Aspetta, ecco, ora telefona di nuovo.»
«Mi hai messo l’angoscia; perché non lo sento parlare?»
«Non c’è risposta. Ora Luca prende il pacchetto sul tavolo… oh no! Lo ha gettato nel cestino. Ora sembra più calmo, guarda la pistola, ce l’ha davanti. Non deve farlo, Betta sta arrivando, io lo so!  Pastore, non possiamo lasciarlo morire così, davanti a noi, a Natale, davanti al suo presepe. Dobbiamo fare qualcosa!»
«Ma cosa possiamo fare? Noi non cambiamo gli eventi, noi siamo solo dei testimoni, io sono il Pastore e tu la Ragazza che cucina, noi siamo delle statuine.»
«Io posso, io devo!»


Luca guarda ancora l’orologio.
Betta entra trafelata nel portone e inizia a salire i tre piani di scale, di corsa.
Luca prende in mano la pistola e la punta alla tempia.
Un improvviso rumore alle sue spalle, come di cosa infranta.
Luca si gira istintivamente, si guarda intorno.
Sul pavimento, i frammenti di una statuina, quella della ragazza che cucinava vicino alla capanna.
Il campanello della porta suona istericamente


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Presentazioni / Re:un vecchio orso
« il: Dicembre 23, 2015, 10:42:38 »
Ne ho cancellata una perché partecipo a un concorso e dovrebbe essere inedita, e un'altra, in poesia, perchè non mi piaceva più. Ma ce ne sono altre, pure un racconto che giace ignorato da una decina di giorni.
 :rose:

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Fantastico / Il mio tacchino di Natale
« il: Dicembre 14, 2015, 19:50:02 »


Lo so, il Galateo lo vieta, ma quando si è soli con se stessi, al diavolo le convenzioni!
E poi, detto tra noi, chi legge ancora monsignor Della Casa?
Così, quando consumo un pasto in solitudine, a me piace leggere; e certamente non il Galateo.
Il Natale era alle porte, e sarebbe stato il mio settantesimo; un numero che, riferito all’età, incute seri timori: il conteggio alla rovescia vede lo zero sempre più vicino; però dopo, quando Qualcuno preme il pulsante rosso, non si parte per la luna.
Da alcuni giorni, in solitudine da anacoreta, mi ero rifugiato nel mio Rascard, a quasi duemila metri di altezza in una remota valle ai confini con la Francia.
Stavo facendo il bilancio di tante cose e, forse perché andavo scoprendo che il passivo superava di molto l’attivo, o forse perché l’inverno stava facendo il proprio mestiere mandando una fitta nevicata, insomma, qualunque ne fosse il motivo, avevo deciso di rileggere un piccolo gioiello: "A Christmas Carol" di Charles Dickens. In lingua originale, per rendermi la vita un po’più difficile di quanto già fosse.
Avevo trasferito una parte dei miei libri, così come una parte dei miei dischi preferiti, in quel rifugio, perfetto per godermi gli uni e gli altri.
Misi sul lettore un disco; avevo scelto “Quadri di un’esposizione” di Mussorsgsky che, per le sue atmosfere magiche, mi pareva un ottimo accompagnamento alla mia lettura, poi mi diressi agli scaffali della libreria.
Solo i miei libri preferiti possono fregiarsi dell’Ordine della Macchia d’Unto, che inevitabilmente onora le pagine lette sulla tavola, accanto ai miei piatti; e quelle che mi apprestavo a leggere erano già state decorate più volte.
"Marley was dead, to begin with."
Tanto per cominciare, Marley era morto. Un incipit folgorante che non potevo fare a meno di associare al mio tacchino, assaporato in ricca porzione: in effetti, era defunto come un chiodo in una bara, il povero tacchino Marley. Di lui giacevano nel mio piatto, ma ancora per poco, le saporite, invitanti, spoglie mortali.
Meno di un'ora dopo, del tacchino non era rimasto che qualche ossicino, del contorno di radicchio nemmeno quello, visto che gli scienziati ancora non sono riusciti a creare il radicchio vertebrato transgenico ma, se qualche multinazionale intravvede un “business”, date loro qualche annetto e ci arriveranno… ma questa è un’altra storia.
Quanto al vino, nel decanter non rimaneva altro che il profumo: il soave, corposo, ben strutturato Fumin di Grosjean, annata 2003, mi aveva deliziato e poi infuso un certo torpore.
Spensi la musica, sulle note del quadro “La capanna dalle zampe di gallina” e, prima di arrivare alle ultime pagine del libro, mi andai ad avvoltolare anzitempo nelle coperte per godermi il totale silenzio di una notte di neve in montagna.
Presto mi svegliai, allarmato.
Qualcosa si muoveva nella casa, non c'era dubbio.
Accesi la luce e mi guardai attorno. Nulla.
«Chi c'è? Ho il cellulare, chiamo la polizia!».
Un bluff, come rilanciare con una coppia di due: pur trascurando il fatto che lassù il cellulare funzionava oppure no, secondo indecifrabili umori, i carabinieri più vicini erano a una ventina di chilometri di strada di montagna innevata, quindi un malintenzionato avrebbe fatto in tempo a spennarmi, cucinarmi e rosicchiarmi sino all'ultimo ossicino, proprio come io avevo fatto col tacchino Marley.
Per tutta risposta, dalla stanza attigua mi giunse un rumore, come di uno zampettio. Poi un chiarore intermittente, dove diversi colori si alternavano con ritmo lento.
Decisi che dovevo andare a vedere, costasse quello che costasse. Impugnai il bastone da trekking che tenevo accanto alla porta-finestra e mi diressi verso l'altra stanza.
Mi piacerebbe dire che lo feci risolutamente; in realtà l’avverbio più adatto, se solo esistesse, sarebbe “tremebondamente”. Invito i signori accademici della Crusca a sancirne l’esistenza.
Di certo, agli occhi di un malintenzionato, magari armato, avrei avuto un aspetto impressionante: scalzo, mutande alla Fantozzi, maglia di lana e bastone, un’apparizione da farlo schiattare, ma dalle risate.
Subito vidi la fonte di quel chiarore policromo: il piccolo albero di Natale, uno di quelli di plastica che si acquistano al supermercato già addobbati. Ma io ero certo di averlo lasciato con la spina staccata, non avevo alcuna intenzione di accenderlo.
Per quello che viene dopo, occorre intenderci subito, se no è meglio che cambiate lettura.
Il padre di Amleto è già morto e sepolto all'inizio del dramma.
Se non credete agli spettri, la sua passeggiata sugli spalti del castello di Elsinore e tutto quello che ne consegue, incluso il sin troppo famoso “ To be, or not to be…” sono una solenne baggianata. Ora, chi vuole sostenere che l'Amleto sia una solenne baggianata?
Dicevo dell'alberello acceso. Subito dopo, mi sentii rimescolare la cena nello stomaco: in un angolo, ritto su due zampe scheletriche, proprio come quelle che sorreggono la capanna di Baba Yaga nell’omonima fiaba russa, stava una figura da incubo. Traslucido come un miraggio, enorme, oscenamente spennato, gli occhi che mi fissavano iniettati di sangue, non vi era dubbio: si trattava di Marley, come avevo battezzato il tacchino della mia cena.
Era verde, poi giallo, era rosso, poi ancora verde. Era il colore delle luci dell'albero che si accendevano in sequenza.
«Ma... ma tu sei morto e mangiato», dissi stupidamente.
«Certo, ma non te ne voglio, non sono qui per questo.».
Parlava. Chissà perché la cosa non mi sorprese più di tanto.
«E allora cosa fai qui, cosa vuoi da me?».
«Io? Non voglio molto e a dire il vero non sono nemmeno un tacchino. Ho pensato di presentarmi in questa forma per non spaventarti troppo.».
«Grazie, molto gentile, in verità sono abbastanza spaventato anche così. Ma se non sei un tacchino, chi diavolo saresti?».
«Hai appena riletto un certo racconto, quindi puoi ben immaginarti chi io sia.».
In effetti non ci voleva molta fantasia, una volta accettata la situazione assurda nella quale mi trovavo. Mi feci coraggio e risposi:
«Veramente, in "A Christmas Carol", di spettri ce ne sono a bizzeffe. Ma io non ho soci d'affari defunti di fresco, quindi suppongo che tu pretenda di essere uno degli spiriti del Natale.».
«Io non pretendo, io sono! Per l'esattezza, sono lo spirito del Natale Presente e il perché della mia venuta è semplice: tu mi devi delle scuse.».
Spettro o tacchino che fosse, non vedevo per quale ragione avrei dovuto chiedere scusa a qualcosa che, in fondo, nemmeno credevo reale, e glielo dissi.
Per tutta risposta venne fuori con una specie di ruggito che fece tremare i doppi vetri della sala.
«Tu non accogli più lo spirito del Natale! Dovresti vergognarti, implorare il mio perdono, correre fuori a comprare i regali e fare felici tante persone!».
Io sono un pò' timido e pure incline a mediare, ma non aggreditemi soprattutto quando penso di essere dalla parte della ragione. A quel punto l'arrabbiato ero io, e ben deciso a farmi valere.
«Bene, sono contento che tu sia venuto, almeno ti dico di persona perché ti detesto, e mi risulta che in tanti la pensino come me!».
«Ma cosa dici? In tutto il mondo brillano le luci, si canta "Jingle bells", si scambiano doni, io sono ovunque, più vivo e presente che mai!».
«Ecco, questo è proprio un aspetto del problema: sei fin troppo vivo.».
«E da quando essere troppo vivo sarebbe un problema?».
«Lascia che ti spieghi. Vedi, quando ero piccolo...» m’interruppe con un secondo ruggito:
«Aaah che palle, sempre la solita solfa! Voi umani siete monotoni e banali! Tutti a dire com'era bello il Natale da bambini, il calore di mamma e papà, dei fratellini o sorelline, l'abete, i regalini poco costosi, altro che gli smartphone e i videogiochi... bla bla bla, che lagna! Possibile che non vi rendiate conto di quanto io sia più bello adesso, più allegro e sopratutto più ricco?».
«Questo è proprio il punto, mio caro. Sei sfacciatamente ricco, come uno sceicco del petrolio e se non bastasse, sei pure cieco, muto e sordo. Rassomigli alle tre scimmiette, sai quelle che si mettono le mani sugli occhi, sulla bocca e sulle orecchie? È inutile che adesso inizi a sferragliare trascinando chissà quali catene, saranno certamente d'oro massiccio e proprio non mi fai pena.».
Il tacchino, o spirito, o chiunque fosse, divenne rosso, questa volta non per le luci dell’albero ma per la rabbia. Forse avevo esagerato e ne avrei subite terribili conseguenze?
Invece si calmò e riprese a parlare quasi in tono affettuoso.
«Sei tu che mi fai pena, pover’uomo: e pensare che ho acceso il tuo miserando alberello perché volevo tirarti su di morale, magari farti venire voglia di prendere la tua automobile e andare giù, in paese. Sai, c'è festa nel Pub, c'è la musica e tanta gente felice.».
«Gente che pensa di comprare la felicità, vuoi dire. Felice era un tempo, sì proprio quel tempo con mamma e papà, l'angelo di cartone, il regalo povero ma atteso come un miracolo. Se tutto ciò ti fa dire "che palle" puoi dirlo, ma io ti vorrei ancora così, con quelle serate in famiglia, col calore di una stufa a legna e senza il bisogno di decine di pacchetti costosi per sentirsi felici. Tu sei qui, bello grasso e chiassoso, ma non sei come dovresti essere.».
«Se parli di queste forme da tacchino, hai ragione, ma per il resto come dovrei essere, di grazia? Tutto si evolve, tutto cambia e pure io sono cambiato, c'è qualcosa di male in questo?».
Oramai il timore aveva lasciato il posto alla mia voglia di sfogarmi con qualcuno, fosse pure un sedicente spirito, e nulla mi avrebbe trattenuto; così gli snocciolai una tiritera che avevo bella e pronta da tempo ma che nessuno era ancora riuscito a tirarmi fuori.
«Oh no, non è il cambiamento in sé, per quello hai ragione, tutto cambia. Il punto è come si cambia. E tu sei cambiato troppo e troppo male. Ma guardati! Se ti prendessi la briga di usare quelle aluccie da tacchino e di andare un po' in giro per il mondo, vedresti quello che vedono tutti, vedresti ciò che accade ogni giorno: dove sono la solidarietà, la tolleranza, l’amore per il prossimo? Semplice, queste cose le mettiamo in uno scatolone assieme alle palline colorate, ai fili d’argento, alle statuine del presepe e le tiriamo fuori una volta all’anno. E cosa vuoi che sia un giorno d’ipocrita bontà rispetto ai trecentosessantaquattro dove tu non ti fai vivo?».
«Io veramente... », tentò di interloquire l'ombra del pennuto, ma io ero lanciato e non lo lasciai continuare.
«Era una domanda retorica, e ora te ne faccio un'altra: dove sei tu, quando i mercanti nel tempio svendono la giustizia, l’onestà, la salute, la fede, persino il Bambino, il bue e l’asinello? La capanna non la toccano solo perché c'è la crisi del mercato immobiliare, l’IMU e tutto il resto, non è il momento per vendere.».
Era un tantino sconcertato, si vedeva dai bargigli più penduli che mai e si percepiva dal tono della voce quando tentò una risposta.
«Ma nei tempi passati esistevano cose persino peggiori di queste, eppure il Natale era un giorno felice.».
«In passato era molto più facile far finta di non sapere. Oggi sappiamo, sappiamo tutto. Vediamo bambini addestrati a uccidere o a farsi esplodere, vediamo i poveri del mondo morire di fame mentre distrattamente gettiamo nell’immondizia tonnellate di cibo, vediamo coloro che dovrebbero guidarci intenti ad azzuffarsi per il loro potere e il loro tornaconto… e qui smetto, ma una cosa è sicura: l’uomo è l’unica, autentica belva feroce, l’unico del creato che sorride con i denti arrossati del sangue del fratello mentre ti augura “Buon Natale”.».
Avevo finito. Restammo a fissarci per lunghi istanti, mentre gli occhi di Marley cambiavano colore: verde, giallo, rosso, ancora verde.
Poi, nelle sue pupille, vidi il riflesso di un lampo improvviso, seguito immediatamente da un tuono vicinissimo.
L'alberello si spense mentre il buio tornava padrone della casa.
Mi trovai sul letto, sudato, con i piedi sul cuscino e la coperta per terra.
La luce era davvero saltata, ne dedussi che il tuono era stata l’unica cosa reale di quella strana nottata, ma tutto era tremendamente vivido nella mia mente. Di solito il ricordo dei miei sogni dura il tempo di infilarmi le pantofole.
Andai a tentoni a ripristinare l'interruttore che era scattato, accesi tutte le luci e confesso che, entrando in sala, ebbi un brivido vedendo l’albero di natale con le luci accese. Forse, mi dissi, avevo inserito la spina prima di buttarmi sul letto, mezzo brillo per quel vino.
Però continuai a ispezionare la casa con circospezione, guardando persino sotto il letto, come un imbecille.
Naturalmente non trovai nessuno.
Alla fine mi convinsi di aver avuto uno strano incubo, complici il defunto pennuto, la musica di Mussorsghj e un bicchiere di troppo.
Ma chi avrebbe potuto ancora dormire?
All'alba aveva smesso di nevicare, il cielo era sgombro da nubi e lo spettacolo era meraviglioso.
Mi vestii, presi le racchette da neve e uscii per andare a fare un giro lungo i sentieri che conoscevo bene.
Forse il freddo e l'aria tersa mi avrebbero rischiarato del tutto le idee.
Mi avviai senza fretta, ricordando di essere un visitatore, un ospite rispettoso e ammirato; persino i miei deboli rumori, il respiro e il fruscio ovattato delle racchette, sembravano fuori posto.
Una breve salita, poi un pascolo illuminato dai primi raggi. Ciascun singolo cristallo di neve rifletteva il sole, erano milioni di piccole luci che tremolavano, si spegnevano e si riaccendevano a ogni movimento degli occhi.
Sulla morbida superficie, una serie di minuscole impronte raccontava storie di abitanti notturni, di ricerca di cibo, di passi furtivi e improvvisi fruscii di ali mortali, di tragedie e di speranze del piccolo popolo della montagna.
Non mi meravigliai troppo se per un lungo tratto del primo sentiero, dalla porta, lungo il pascolo, sino ai margini del bosco, ben riconoscibili tra tutte le altre, mi accompagnò una serie di orme ancora fresche; al mio occhio poco esperto parevano proprio quelle di un grande tacchino.

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Altro / Re:Santa Barbara 1942
« il: Dicembre 05, 2015, 19:53:04 »
Un ricordo scolpito nella memoria di una bambina, e come potrebbe essere diversamente?  Ben reso, qualche piccolissima svista, roba da niente; nell'insieme un bel lavoro!

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Anch'io Scrivo poesia! / Re:Cuore mio
« il: Dicembre 01, 2015, 17:13:22 »
Io con la poesia non ho molta dimestichezza, ma riconosco quando ciò che sto leggendo mi suscita emozione e commozione, e questo è il caso. Grazie

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Giochi letterari / Re:Questo l'ho fatto io
« il: Novembre 24, 2015, 19:54:49 »
Non so se ricordi,( io ho l'opera omnia di Salgari, un capriccio di vecchiaia in memoria della mia fanciullezza) un ciclo "minore" : La crociera della Tuonante" con nostromo Testa di Pietra... 

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Fantastico / Il piccolo naso
« il: Novembre 22, 2015, 08:36:36 »


Per Mario, le porte del magico mondo dei libri si aprirono un pomeriggio primaverile di tanti anni fa, sul prato intorno alla casa di campagna.
Anna, la sorella maggiore, stava leggendo seduta all’ombra del salice quando Mario, che gironzolava sul prato a piedi nudi con l’aria piuttosto annoiata, le si avvicinò e chiese cosa ci trovasse di tanto interessante in un libro: non sarebbe stato meglio se avesse giocato con lui?
«Questo libro racconta una storia meravigliosa» disse Anna «ma tu sei troppo piccolo e non sai ancora leggere, quando potrai, piacerà molto anche a te.  Ora però devo mettermi a studiare la lezione».
Anna chiuse il libro e lo posò sull’erba, vicino ai piedi di Mario, e ne aprì un altro che sino a quel momento era rimasto ad aspettare sotto al salice.
Mario era incuriosito, quel libro chiuso lo attirava irresistibilmente, così allungò la gamba sino ad arrivare a sfiorarlo sul dorso, con la punta dell’alluce. “Certo che non so leggere, sono piccolo, ma questo libro mi dirà lo stesso delle cose”, pensò, e chiuse gli occhi in attesa di scoprire quali sensazioni gli sarebbero arrivate, risalendo dall’alluce su, lungo il suo corpo, sino alla testolina.
Perché Mario era un bambino di cinque anni, abbastanza grazioso, abbastanza simpatico, abbastanza felice, insomma un bambino come tanti altri.
Se non fosse stato per il naso.
Intendiamoci, il suo  naso era a posto, ben fatto, un poco largo forse, ma sul suo viso da furbo monello ci stava benissimo.
Quello per lui era “il grande naso”; poi c’era “il piccolo naso”.
Piccolo naso? Certo! Sulla punta del piede destro, esattamente sull’alluce, lui aveva scoperto di avere un altro naso, sensibile agli odori come e più di quello di un cane da caccia.
Una scoperta recente, avvenuta all’inizio della primavera, mentre camminava a piedi nudi sul prato, proprio come quel giorno.
Tutto un mondo di odori, fatto di forti contrasti e lievi sfumature, sensazioni che di solito i bambini non possono percepire, e nemmeno i grandi, a dirla tutta.
Perché gli odori di quel tipo se ne stanno giù, bassi bassi, a livello del suolo, come se avessero paura di farsi notare, e se osano alzarsi vengono presi dal vento, sbatacchiati, mescolati e resi irriconoscibili.
Per fare un esempio, camminando sul prato Mario ne sentiva l’odore. E non dite che quello lo sentono tutti, anche col naso normale: tutti credono di sentirlo. Quello che assaporava Mario era il vero odore, anzi,  una sinfonia di tanti odori diversi, perché ogni erbetta, ogni piccolo fiore, ogni animaletto, aveva una sua impronta particolare; non è detto che fosse un profumo, ma lui riusciva a distinguerli uno per uno e poteva dire a occhi chiusi: «Qui ci sono dei nontiscordardimè, là invece dei trifogli e laggiù, accanto a quelle margherite, sta per sbocciare una viola.». E lo stesso per le formiche, che distingueva subito tra quelle rosse e quelle nere. Le verdi mantidi mandavano un profumo particolare, per non parlare degli scarabei stercorari che insomma, ecco, quelli davvero puzzavano, tanto che pensava: “Poveretti, col mestiere che fanno, mica hanno il bagnoschiuma profumato che li aspetta a casa”.
Allo stesso modo, da quel libro sotto il salice iniziarono ad arrivare molti profumi diversi.
C’era la carta, col retrogusto di legno, poi l’inchiostro, che aveva un certo aroma amarognolo. Ma cos’era quell’odore strano? Eppure gli pareva di conoscerlo. Ecco! La vacanza dell’anno precedente con mamma, papà e Anna, le scogliere, gli spruzzi… l’oceano! Quello che sentiva era certamente l’odore dell’oceano.
Poi ne arrivò un altro, dolciastro, sgradevole, sembrava quello delle erbe morte che il signor Paolo, il giardiniere, toglieva dalla vasca della fontana.
Si corresse, “No, si chiamano alghe”. Suo padre, mentre passeggiavamo sulla spiaggia dopo una mareggiata, aveva spiegato che le alghe sono piante che crescono nell’acqua e persino nell’oceano. Infine, sopra a tutti, un puzzo così intenso che gli fece istintivamente allontanare il piede dal libro. “Che brutto! Mamma mia, sembra l’odore di un mostro enorme, sarà un orco? O forse un drago che sputa fiamme, come nelle figure del libro di San Giorgio?”. Anna era tutta intenta al suo studio ma ugualmente scorse lo scatto della gamba e notò la smorfia di disgusto del fratellino.
 «Cosa c’è, ti ha morso un ragno?».
 «Peggio, Anna; senti, quel libro parla dell’oceano e di un mostro puzzolente che ci vive?».
Anna rimase perplessa: come faceva Mario a sapere quelle cose?
«Beh sì, anche. Non è proprio un mostro, parla di un capitano e dei suoi uomini coraggiosi che danno la caccia a una grande balena bianca, e la caccia si svolge sull’oceano, naturalmente».
 «Una balena? Come quella che ingoia Geppetto?» chiese Mario, interessato.
Anna cercò le parole giuste per spiegare a un bambino di cinque anni cosa fosse una balena, ma pure lei, che di anni ne aveva quasi dieci, non ne aveva mai vista una. Però aveva visto dei disegni, e stava leggendo quel libro che diceva molte cose sulle balene.
«Una balena non ingoia nessuno, è come un pesce perché vive nel mare, ma respira aria come noi ed è molto grande, più grande persino di Bullo, il toro del signor Guido, e soffia come lui, ma soffia acqua puzzolente.».
Mario era soddisfatto, era quella la puzza e la balena era un grande mostro. Si diresse verso casa saltellando e cantilenando a gran voce.
Una volta entrato, si diresse, sempre correndo, verso la biblioteca di papà.
La scoperta degli odori nel libro era stata eccitante, voleva provare con altri libri e sapeva che lì ne avrebbe trovati molti.
“Saranno un milione”, pensò entrando nella grande stanza piena di volumi bene allineati lungo tre delle quattro pareti.
Si alzò in punta di piedi per arrivare al primo scaffale. Una bella copertina di cartoncino rosso attrasse la su attenzione. Prese il libro con fatica e lo posò sul tappeto, quindi si sedette con la schiena appoggiata alla poltrona di cuoio e accostò il piede alle pagine ingiallite.
Cercò di ignorare gli odori di carta e d’inchiostro che aveva già sentito, e si concentrò su quelli nuovi che iniziavano ad arrivare.
Prima un odore strano, certo non piacevole. Era come quello del posto pieno di lumini rossi, dove mamma e papà l’avevano portato all’inizio di Novembre. Gli avevano indicato una piccola costruzione di marmo bianco con due fotografie rotonde, quelle di un’anziana signora e di un vecchietto con i baffoni. «Qui dormono i tuoi nonni, la mamma e il papà di tua mamma» gli avevano detto.
Ma subito dopo un nuovo odore prese il sopravvento, talmente prepotente da pervadere tutto il libro. Mario sentì un brivido lungo la schiena, subito seguito da una strana sensazione alla radice dei capelli. Ritrasse il piede come se si fosse scottato.
Era l’odore della paura, lo conosceva, l’aveva sentito quando, per fare uno scherzo ad Anna, si ero nascosto sotto il suo letto e poi, al buio, le aveva tirato i piedi urlando “buuuh”. Anna si era messa a urlare, poi a piangere mentre la stanza si riempiva di quell’odore. La mamma era accorsa agli strilli ed era riuscita a calmarla facilmente, ma quando Anna le raccontò cosa l’aveva terrorizzata, a Mario toccò una ramanzina solenne e una spiegazione su come la paura potesse fare del male. «Non azzardarti a fare mai più uno scherzo del genere» gli aveva detto, molto seria in viso, «se lo rifarai, lo dirò a papà». Quella di essere sgridato davanti a suo padre era la punizione più temuta, Mario adorava suo padre e ne cercava sempre i sorrisi e le coccole.
“Allora nei libri può esserci la paura”, pensò “dovrò stare attento, la mamma dice che la paura può fare male”.
Lasciò sul tappeto quel libro e ne prese un altro, poi un altro e altri ancora, tirandoli giù da tutti gli scaffali bassi, dove poteva arrivare.
Ognuno gli diede sensazioni diverse, alcune conosciute, come il mare, i fiori, il vento, i cavalli e i boschi, altre che non riuscì a capire, piacevoli, tristi, o semplicemente impossibili da definire con l’esperienza di un bambino.
Ma a cinque anni ci si stanca in fretta persino del giocattolo più meraviglioso, e quella tempesta di emozioni ben presto lasciò Mario svuotato di energie, con la testolina confusa e piena di domande.
Si sdraiò sul morbido tappeto, circondato dai libri, l’ultimo posto sotto la testa come un cuscino, e chiuse gli occhi.
Suo padre lo trovò cosi, e dopo un attimo di stupore e un lampo di disappunto nel vedere i suoi amatissimi volumi trattati in quel modo, sorrise scorgendolo addormentato sulla rara e preziosa edizione di “Fermo e Lucia”.
Si chinò e lo prese in braccio, dandogli un bacio sulla fronte. Lui sorrise e aprì gli occhi.
«Papà, lo sai che i tuoi libri mi piacciono molto, quasi tutti. Ma qualcuno mi fa paura».
«Caro, tu non sai leggere, non puoi capire cosa dicono i libri. Invece non dovresti giocarci, alcuni sono davvero molto rari ed io non vorrei che si rovinassero».
«Mica li rovino, poi non so leggere ma i libri hanno dentro gli odori. Vedi, è come quando ci porti al cinema: non serve leggere per ridere con i cartoni animati e capire le storie che ci fanno vedere».
Il padre sorrise a quella che sembrava una sciocchezza di bimbo. «Mario, tesoro, i libri odorano di carta, magari di vecchio e di muffa, e basta. E’ vero, alcuni contengono storie che mettono paura, ma altri fanno volare con la fantasia, ti mostrano luoghi, persone e cose che mai potresti vedere o ascoltare. I libri sono la più grande invenzione dell’uomo, ma vanno trattati con amore, e occorre leggerli quando si è pronti per farlo».
Mario strinse più forte suo papà, assaporandone tutto il suo odore così rassicurante, robusto come il tabacco della sua pipa, dolce e morbido come la camicia che indossava, fresca di bucato e appena stirata.
«Io sono pronto, papà, quando mi sveglio torno dai libri, ma ti prometto di non romperli».
Da quel giorno e per alcuni anni, la biblioteca fu il mondo di Mario, che vi trascorreva quasi tutto il tempo libero. Naturalmente imparò a leggere, ma per le prime sensazioni di un libro che stava per aprire, si affidava ancora al suo nasino segreto.
Tutto cambiò quando si accorse che pure il suo corpo stava cambiando, preparandolo a entrare in un mondo senza più favole e senza più profumi segreti.
Ma i libri, per fortuna, c’erano ancora, e non li abbandonò, anzi li amò sempre e loro, in cambio, tennero viva la sua fantasia e la sua voglia di conoscere.
Dovette adattarsi a leggerli come fanno tutti, eppure… eppure ancora adesso nonno Mario, riaprendo Moby Dick, magari per leggerne alcuni passi ai nipotini, socchiude gli occhi e sembra che ritrovi il profumo dell’oceano, il sentore delle alghe e, quando la vedetta urla nel vento “Laggiù soffia!”, l’inconfondibile odore della grande balena, più grande persino di Bullo, il toro del signor Guido.

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Anch'io ho scritto un aforisma / Re:Nostalgia
« il: Novembre 22, 2015, 08:19:02 »
Vi ringrazio per gli apprezzamenti e per aver speso il vostro tempo a lasciarli. Alla prossima, spero  :dfg:

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Giochi letterari / Re:Questo l'ho fatto io
« il: Novembre 18, 2015, 19:04:46 »
;) il vecchio orso non sbaglia un  colpo! conosco tutti i tuoi capitani, per avere viaggiato con loro a lungo, in età più verdi, e conosco Mike per avere dato battaglia laggiù sotto i ponti e quella volta che rimase ferito, gli estrassi la pallottola con un vecchio temperino e poi andammo a mangiare una pizza davanti alle poste centrali. Prendemmo poi un caffè doppio e amaro, anche allora in compagnia di parole. abow

Noi lettori di lungo corso ne abbiamo conosciuti di Capitani coraggiosi (Schettino è un caso a parte), di investigatori alla Spillane, alla Marlowe, per non parlare di quelli più "cerebrali", Sherlock in testa, ma anche Ellery Queen, Nero Wolfe, Poirot... E poi Corsari, aviatori, guerrieri, gentiluomini e carogne... avrei potuto seguire le mie Parole per un anno intero.... ma poi chi seguiva me? Solo tu, temo, ma grazie di esserci.

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Giochi letterari / Re:Questo l'ho fatto io
« il: Novembre 17, 2015, 07:29:36 »
vado un po' "lungo"... va bene lo stesso?  ;D


Questa sera sono rientrato tardi, ma è colpa del pomeriggio di salsedine, quella che ti entra nei polmoni a ogni respiro e quasi annuncia il cambio di stagione. “Dai, vieni fuori, che poi arriva l’inverno”, mi diceva.
Così sono uscito senza una meta; un osservatore superficiale avrebbe detto che stavo vagando da solo per la città. Niente di più falso, ero in compagnia di vecchie Parole e della loro magia.
Mi seguivano da quando ero uscito e continuavano a sussurrarmi ricordi di antiche letture.
Una piccola terrazza a picco sul mare mi aveva tentato, con le sue tovagliette svolazzanti e la promessa di una sosta. Ad altri il Libeccio teso, col suo sentore di strane creature marine, avrebbe suggerito di proseguire a passo svelto, ma le Parole mi avevano chiesto di fermarmi e ascoltare.
Così mi ero seduto, unico cliente di un barista triste che osservava gli altri tavolini, pateticamente vuoti.
Sorseggiavo un Cuba Libre, pure lui parola desueta, e mi guardavo intorno.
La terrazza tremava un poco a ogni ondata che s’infrangeva sulla scogliera, appena più in basso. Il cielo era percorso da nembi scuri e disordinati che cambiavano continuamente forma transitando a perpendicolo sulla mia testa. Credo che non lasciassero cadere la pioggia per puro calcolo utilitaristico: - Il piccolo ometto e il suo tavolino saranno presto spazzati via da qualche ondata, inutile sprecarci la nostra acqua.–
Posando il bicchiere, mi pareva di scorgere delle piccole onde sollevarsi dalla superficie ambrata, con i frammenti di ghiaccio che, in un impeto di megalomania, si atteggiavano a iceberg.
Al largo, laggiù verso sudest dove le nubi si tuffavano in mare e tutto si perdeva in una oscura foschia, era apparsa la sagoma alata di un veliero.
Veliero: ecco una Parola che si era fatta strada tra le altre per togliere la polvere ai ricordi.
Achab, forse quello è il tuo Pequod? E tu, Corsaro Nero e Duca di Ventimiglia, la Folgore solca ancora il mare delle Antille? Long John Silver, hai trovato il tesoro? Horatio, congratulazioni per la tua promozione a Commodoro!
- Due mani di terzaroli, signor Bush, barra tre punti a sinistra.-
Passo gli ordini al mio secondo con voce ferma e chiara.
- Aye aye, capitano.-
Il Sutherland, vascello di linea da settantaquattro cannoni, ha lasciato Portsmouth da un mese ed io, Horatio Hornblower, ne sono il comandante. Gli ordini sono semplici: incrociare lungo le rotte atlantiche e attaccare, affondare o catturare qualsiasi naviglio francese.
Avanziamo sulle onde, molto inclinati sulla dritta, la velatura appena ridotta.
Il signor Bush indica un punto tre quarti a sinistra. Un lampo rischiara i flutti e il tuono secco e vicino copre per lunghi istanti il rombo dei marosi che s’ingrossano e sembrano scaraventarsi sulla nave.
- Arriva, comandante! -
Il rollio si accentua, la ruota mette a dura prova la forza di McNulty, il timoniere, ma i miei ordini si susseguono rapidi e sicuri, lo sguardo fisso in avanti, a meno di un miglio dal nostro bompresso.
- Alla via così. Spegnere i fuochi, cannonieri ai pezzi! E’ più pesante di noi e la prua affonda troppo, stavolta lo prendiamo! Aprire i portelli! -
Poco più avanti, il “Courage”, nave di linea francese da novanta cannoni, se la passa peggio. Non ha fatto in tempo a ridurre la velatura e il colpo di mare gli spezza il pennone di trinchetto. Trattenuto dalle sartie, il troncone cade in acqua con le sue vele e il Courage imbarda paurosamente come se avesse gettato un’ancora in piena corsa.
Lo stiamo inseguendo da due giorni e finalmente gli scivoliamo sul bordo di sinistra, a meno di duecento yarde.
- Pezzi di dritta, fuoco a volontà.-
Osservo impassibile l’effetto delle scariche che si susseguono rapide. Vedo brandelli di fasciame strapparsi dalla nave nemica, l’albero di maestra spezzarsi e precipitare sul ponte.
Sul Courage però si sono riorganizzati. Buoni marinai, anche sotto il fuoco sono riusciti a liberarsi del pennone e i cannonieri sono al loro posto.
Un’ondata solleva la nave francese che si era inclinata a babordo rendendo inservibili le batterie di sinistra. Ora le bocche da fuoco sono puntate dritte sul Southerland.
- Tutta la barra a sinistra! Adesso tocca a noi signor Bush, non possiamo evitarlo.-
Una tremenda salva a palla e mitraglia ci spazza il ponte. Sangue e urla, sartie spezzate e brandelli di vele. Una palla porta via di netto la testa al guardiamarina Hampton, a due passi da me. Ma io continuo a impartire ordini con la voce tranquilla, la battaglia prosegue.
Meno di un’ora, l’ultima per tanti bravi marinai.
La tempesta è scemata; il Sutherland è ferito ma vittorioso grazie alle mie doti di marinaio e di comandante. Sono stato pronto a sfruttare la maggiore velocità e manovrabilità della mia nave che ora scarroccia, sospinta da un vento leggero, uno strallo per governare, le altre vele superstiti terzarolate. Sull’oceano, pochi relitti e alcuni corpi inanimati indicano la tomba del Courage e del suo equipaggio.
- Un’altra vittoria per la Corona. Signor Bush, faccia l’appello degli uomini, voglio sapere qual è stato il prezzo.-
- Sono sette Euro e cinquanta, ma veramente mi chiamo Luigi; Bush chi? Quello con gli occhietti piccoli che governava l’America?-
Il cameriere era in piedi vicino a me, lo scontrino in mano. Gli ho porto una banconota da dieci e gli ho lasciato il resto, lo dovevo ringraziare, mi guardava come se fossi matto ma non aveva chiamato il 113.
Uscito,  mi ero avviato  su per la scalinata; le raffiche di vento mi avevano fatto rabbrividire e le nuvole avevano perso la pazienza: iniziava a piovere.
Avevo  rialzato il bavero del mio vecchio impermeabile... “Impermeabile”: questa Parola si era fatta avanti di prepotenza mentre allacciavo la logora cintura.
Accidenti al clima di New York. Capace che a mezzogiorno crepi dal caldo e due ore dopo gli Adirondack ti spediscono giù dall’Hudson un vento della malora, che ti mette i brividi e porta la pioggia. Proprio come adesso. Non finisco d’imprecare che sento dei passi affrettati dietro di me. Su questa scalinata ventosa che dal molo ventisette porta alla nona, credevo di essere solo. Mi volto, saranno una ventina di gradini e vedo che mi viene dietro un tipo sospetto. E’ grosso, ha la faccia cattiva, scommetto che sotto quella giacca ha pure l’artiglieria.
Stamattina mentre uscivo dall’ufficio, Velda, una pupa in gamba che non per nulla mi fa da segretaria, mi aveva avvertito:
- Attento a quello che fai Mike, “Half Nose” Buddy ha giurato di fartela pagare.-
- Non aver paura, piccola, il piombo che deve ammazzare il vecchio Mike Hammer non è stato ancora estratto dalla miniera! - Ma avevo toccato nervosamente il calcio della mia Betsy, la Colt quarantacinque che mi fa sempre compagnia nella fondina sotto l’ascella.
Betsy è femmina e come tutte le femmine sa essere sinuosa e letale; il suo contatto mi rassicura: lei ed io abbiamo fatto un bel po’ di buchi nella pancia degli imbecilli che volevano la mia pelle e i vermi dei cimiteri ringraziano. Ma Buddy è un duro, lo chiamano “Half Nose” perché va in giro con una dannata protesi di metallo sulla faccia; da ragazzo, un certo Joe Cribano gli ha tagliato metà del naso che Buddy aveva ficcato dove non doveva. E Buddy che fa? Appena uscito dall’ospedale, aspetta Joe sotto casa, gli fracassa le gambe con un bastone, poi gli taglia i testicoli e glieli ficca in bocca. Ecco chi è Buddy, meglio non farlo incazzare.
Invece io, tre giorni fa, ho dovuto piantare una libbra di piombo nella testa di suo fratello, mentre indagavo su quel pasticcio del cambiavalute ammazzato, giù, a Little Italy.
Buddy è in galera e ci resterà per un pezzo, ma non l’ha presa bene.
- C'è un bel mucchio di fessi là fuori che ti farebbe la festa volentieri anche gratis, ma Buddy ha promesso una pila di verdoni a chi ti farà fuori. Stai in campana Mike, sarebbe un peccato, sei un così bell’uomo...- . L’ultimo avvertimento mi era arrivato appena ieri sera da Red, il barista dell’ Happy Dog sulla trentaduesima. L’ho ringraziato stendendo con un gancio destro un tale che lo stava prendendo per il sedere. Già, Red è un dannato finocchio e non fa nulla per nasconderlo, ma per il resto è un tipo a posto.
Intanto il tizio continua a seguirmi. Faccio finta di niente, mi chino ad allacciarmi una scarpa. Dannazione, oggi ho messo i mocassini, forse non sono troppo convincente. Comunque il tizio si ferma anche lui e si mette a guardare una vetrina. Peccato che sia spenta e non si vede un accidenti. Allora segue proprio me! M’infilo sulla Harrison, qui c’è traffico e gente, non sarebbe salutare spararmi alla schiena. Lui sempre dietro, sento i suoi passi sciacquettare nelle pozzanghere. In breve sono alla stazione della metro di Franklin e scendo le scale.
Ecco, arriva il treno, aspetto di sentire il sibilo dell’aria compressa che chiude le porte e salto sopra. Il ciccione non ce la fa e rimane a terra. Mi guarda strano mentre io gli sfilo davanti e gli faccio ciao con la mano. Intorno, sul vagone, non vedo altre facce sospette. Ora posso rilassarmi e togliere la mano dalla fondina.
E’ la mia fermata, scendo. Due passi e sono arrivato. Velda, la bella e calda Velda, mi starà aspettando per darmi il ben tornato a modo suo.
- Da dove vieni Gianni, dalle paludi? Pulisciti le scarpe, fannullone che non sei altro, non vedi che ho dato la cera? Poi togliti quell’impermeabile bagnato che sgoccioli dappertutto e sembri un vecchio esibizionista… almeno avessi qualcosa di decente da esibire!-
- Sì Vel… cara, scusa, è pronta la cena? -
- Ma sentilo! Se ne va a zonzo sino a sera tardi, io invece qui ad ammazzarmi in casa.  Poi con questo tempo, sei mica un giovanotto. Ma dove sei stato, cosa hai combinato?-
Sulle mie Parole era calato un manto pesante di realtà; così come la polvere copre ogni cosa, la realtà sovrasta i sogni che vorresti gridare e ti spezza la voce.
Ho sussurrato una risposta:
 - Nulla di particolare, ho passato la serata in compagnia di qualche vecchia Parola.-

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Anch'io ho scritto un aforisma / Re:umorismo
« il: Novembre 16, 2015, 16:47:32 »
 eeek ;D

c'è molto di vero in questo!

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Presentazioni / Re:un vecchio orso
« il: Novembre 16, 2015, 00:48:26 »
 :)
Certo!!

29
Presentazioni / Re:un vecchio orso
« il: Novembre 15, 2015, 19:38:21 »
 eeek  un indizio... ?

30
Presentazioni / Re:un vecchio orso
« il: Novembre 15, 2015, 13:54:26 »
ben arrivato a queste sponde, Valdo e grazie per avere infuso nuova linfa al sito. Di dove sei?
https://www.youtube.com/watch?v=kCdgK0GQWfQ



... e grazie per il benvenuto e i commenti  :rose:

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