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Topics - Doxa

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Pensieri, riflessioni, saggi / Donare
« il: Maggio 17, 2015, 11:37:51 »
Il verbo “donare” deriva dal latino “donum” (= dono).
 
Donare, dare: induce alla reciprocità, alla sequenza donare-accettare-ricambiare; avviene in libertà, secondo tempi non stabiliti e per obbligo morale, non legale come in una compravendita. Il donatore non ha la garanzia che il dono venga accettato e poi a sua volta riceva un regalo dal donatario.

La gratuità è una forma di reciprocità con caratteristiche incondizionali  perché non è motivata dalla ricerca del ritorno,  non è determinata dall'azione di risposta degli altri e trova la sua radice filosofica nell'etica delle virtù.

L’antropologo francese Marcel Mauss nel suo “Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche”  afferma che nel concetto di dono è insita la “relazione funzionale tra il dono e lo scambio”, cioè il dono spontaneamente concesso obbligherebbe il donatario a ricambiare attraverso un controdono, dando avvio ad un continuo scambio di doni offerti e di doni compensativi.

Per  l’antropologo ed economista Mark  Anspach l’etica del dono è nel  non “pagare un prezzo” per ciò che si riceve, nel non restituire  l’equivalente economico della cosa o prestazione ricevuta.
Anspach  afferma che esistono due tipi di dono: quello spirituale e quello materiale, ma spesso quest’ultimo diventa anch’esso veicolo di un dono spirituale, poiché porta con sé qualcosa dello “spirito del dono”.

Un altro antropologo, lo statunitense Marshall David  Sahlins dice che la reciprocità può avvenire in tre modi.

1) Doni e assistenza vengono offerti liberamente senza condizioni, a prescindere dal modo e dai tempi in cui verranno  o non verranno ricambiati, perché il legame è più importante del regalo. E’ il caso delle prestazioni gratuite, dei gesti altruistici nell’ambito familiare o amicale.

2) La reciprocità è bilanciata. Il contraccambio avviene in tempi brevi  e dello stesso valore del dono iniziale. L’equivalenza dei doni promuove le relazioni sociali fra parenti, amici, colleghi, o persone che si vuole conoscere. Fanno parte di questa tipologia i doni matrimoniali o quelli per mantenere la pace fra gruppi, fino a scambi quasi commerciali.

3) La reciprocità è negativa, le parti mirano al tornaconto personale, si va dal baratto astuto all’imbroglio. 

Anche fra i “potenti” i doni sono sempre stati utili per stabilire alleanze.

Donare, ricevere, contraccambiare; e  la parola “altruismo” ? E’ etimologicamente opposta a quella che indica l’egoismo.

Altruismo, parola che deriva dal latino “alter” ,  “altro”, nel nostro caso fa riferimento all’altro  (individuo); indica il desiderio e la volontà di interessarsi al benessere dei propri simili.

Di solito viene considerato vero altruismo solo quello disinteressato, che non si basa sul principio del do ut des; non ha aspettative di ricompensa, per esempio, gli aiuti umanitari sono una forma di altruismo.

Il filosofo positivista francese Auguste Comte usò il termine altruismo come fondamento del suo sistema morale ateo nel progetto di una nuova religione per l’umanità che andò poi sistematizzando nel "Sistema di politica positivista".
Egli considerò l’altruismo umano un istinto naturale simile all’egoismo, però l’egoismo è spesso necessario all’individuo per la propria sopravvivenza, invece l’altruismo è indispensabile per la conservazione della specie umana, come nel caso dei genitori che possono decidere di sacrificare la loro vita per proteggere la prole.
Spesso, dice Comte, l’altruismo del credente è apparente in quanto motivato non dalla volontà di far del bene al prossimo bensì dalla paura dell’Inferno e dall’ansia di meritarsi il Paradiso.

Farsi coinvolgere emotivamente da quello che accade agli altri, rappresenta una spinta fondamentale per mettere in atto dei comportamenti solidali.

La persona altruista per essere considerata tale, dovrebbe agire in maniera disinteressata, le sue azioni dovrebbero essere svolte in funzione del benessere dell’altro e non dovrebbero essere guidate da un tornaconto personale.
Un atteggiamento altruistico deve nascere da una profonda motivazione interiore ad aiutare gli altri, senza obblighi e senza la pretesa di possibili ricompense per l’azione offerta.

Secondo alcuni psicologi non esiste l'altruismo disinteressato, perché l'individuo con la sua azione di generosità si soddisfa della gratificazione della persona alla quale ha offerto.

Nella nostra vita quotidiana offriamo e riceviamo gesti di cortesia che possono apparire come forme di altruismo, ma non lo sono,   perché non ci privano di qualcosa per far star meglio un’altra persona. È raro, infatti, riuscire ad offrire qualcosa che serve a noi, a qualcun altro.

Dal punto di vista “economico”, la generosità disinteressata rappresenta un atteggiamento irrazionale perché le persone sono tendenzialmente spinte nel loro agire, dall’egoismo.

Secondo alcuni psicologi l’altruismo può essere indotto da motivazioni biologiche, neurologiche e cognitive.

Motivazioni biologiche: di solito siamo propensi all’altruismo parentale.ù

Motivazioni neurologiche: alcuni neurobiologi hanno scoperto che quando si è impegnati in un atto altruistico, i centri del piacere del cervello diventano attivi.

Motivazioni cognitive: essere empatici e gentili con gli altri sorregge l’autostima.

Nella vita famigliare come in quella di coppia esistono forme di altruismo, ma il sacrificio della propria identità personale a favore del/la partner o dei figli, nel lungo periodo può portare a degli effetti deleteri. E’ indispensabile evolvere ed  auto realizzarsi, se possibile, in maniera autonoma, e non per il  sacrificio di qualcun altro.

Capita di sentir dire da un genitore di aver sacrificato tutta la sua vita per la famiglia e i figli.
Il fatto di essersi dedicata/o esclusivamente alla famiglia per un determinato periodo di tempo può essere stato sicuramente appagante, ma con il passare degli anni la gratificazione personale da sola inizia a non essere più sufficiente. Ecco allora che si tende a rimproverare i figli, il marito o la moglie, per non mostrare la dovuta riconoscenza.

Perché una coppia (una famiglia) funzioni, è necessario uno spirito di cooperazione. Per agire in questo modo è fondamentale tenere sotto controllo l’egoismo e rendere l’altruismo una strategia razionale e conveniente per tutti i soggetti coinvolti.

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Cassonetto differenziato / principio di Ruby
« il: Maggio 04, 2015, 20:59:51 »
Principio di Ruby: Le probabilità di incontrare qualcuno che conosci aumentano quando sei con qualcuno con cui non vuoi essere visto.

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Anch'io ho scritto un aforisma / cerimonia del tè
« il: Marzo 12, 2015, 06:31:01 »
Lo scrittore giapponese Okakura Kakuzō (1862 – 1913) nel 1906 pubblicò il libro "The Book of Tea", in cui descrive la storia ed il valore simbolico del tè per i nipponici, la "sukiya" (stanza del tè), i dettagli del cerimoniale scandito da norme nella preparazione della bevanda,  il rispetto per la secolare tradizione, il maestro del tè e la sua sapienza letteraria e naturalistica.

Ripercorrendo le tappe principali della storia di questa bevanda Okakura delinea il profilo del taoismo e del buddhismo (in particolare Zen), e ne rileva le influenze sullo stile di vita, sull’estetica e sulla mentalità asiatica.

Nel testo ci sono anche delle metafore. Una riguarda il passaggio dalla feritas all’humanitas dell’homo sapiens: “L’uomo primordiale trascese la sua condizione di bruto quando offrì la prima ghirlanda alla sua fanciulla. Elevandosi al di sopra dei bisogni naturali primitivi, egli diventò umano. Quando intuì l’uso che si poteva fare dell’inutile, l’uomo fece il suo ingresso nel regno dell’arte”.

Paradossalmente la verità della sua metafora è dimostrata dagli antropologi: l’umanizzazione dell’uomo primitivo avvenne quando scoprì l’uso dei simboli, e quindi dell’arte, dell’amore, della religione, del dono (come la ghirlanda alla donna amata) che rende la vita bella e buona. 

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Cogito ergo Zam / Il volto e la maschera
« il: Febbraio 02, 2015, 10:42:23 »
Il filosofo austriaco Thomas Macho afferma che nel mondo occidentale i mass media hanno creato il fenomeno della società “facciale”: nelle pubblicità il volto è onnipresente come maschere.

Cos’è il volto e cos’è la maschera ?

La parola “volto” deriva dal latino “vultus”, indica il viso, in latino “visus”,  participio passato di “videre” (= vedere). Il viso è la parte anteriore della testa. Come sinonimo viene usato il termine “faccia”, dal latino “facies” (= aspetto, forma).

Alcuni studiosi  ipotizzano che la parola italiana “maschera” derivi dal termine dialettale ligure-piemontese “masca” (=strega) con l'aggiunta del suffisso “era”. Le streghe, infatti, venivano di solito rappresentate con volti dai lineamenti deformi o orripilanti, tipici di alcune “maschere”, come quelle indossate dagli attori nei teatri in epoca greco-romana che le utilizzavano per avere le sembianze dei personaggi che interpretavano. Nella loro maschera la parte della bocca era fatta in modo tale da amplificare la voce (“per – sonare”) per farla ascoltare anche gli spettatori più distanti dal palcoscenico.

Nella lingua greca la maschera teatrale era denominata “prosopon”, dalla quale deriva nella lingua italiana la parola “prosopopea”. Nel lemma “prosopon” (= volto) la particella “pro” significa davanti, con riferimento alla parte anteriore della testa.

Nella lingua latina la maschera teatrale veniva detta “persona”, ma questa parola con la filosofia stoica passò ad indicare  l'essere umano. Poi Tertulliano  (155-230)usò il termine latino "persona"  per  descrivere la trinità: "una sostanza (una substantia), tre persone (tres personae).

II linguaggio quotidiano associa spesso la metafora della maschera all'inganno, per esempio nelle frasi  "togliti la maschera !", "cosa c'è dietro la sua maschera ?", per indicare un atteggiamento non vero.





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Giochi letterari / la luna nel pozzo
« il: Gennaio 25, 2015, 12:57:09 »


Hodja credeva che il riflesso della luna sull'acqua in fondo al pozzo era veramente la luna..., raccontò nel XIII secolo Nasreddin Hoca nella sua fiaba "La luna nel pozzo

“Una notte Hodja camminava nei pressi di un pozzo quando sentì l'impulso di guardare dentro.
Stupito vide il riflesso della luna nell'acqua e esclamò: "La luna è caduta nel pozzo. La devo salvare in qualche modo!"
Si guardò attorno e raccolse una fune con un uncino, la gettò nel pozzo e gridò: "Afferra l'uncino, luna, e tienilo stretto! Ti tirerò fuori".
La fune si impigliò in una roccia dentro il pozzo e Hodja tirò verso di sé la fune con tutte le sue forze.
Di colpo l'uncino si liberò dalla roccia e Hodja finì disteso per terra.
Con gli occhi rivolti al cielo vide sopra di lui la luna in alto nel cielo. "Che fatica, ma ne è valsa la pena, sono riuscito a liberare la luna dal pozzo", disse con un sospiro di sollievo”.


Invece una malcapitata volpe per salvarsi  ingannò un lupo mostrandogli l'immagine della luna in fondo al pozzo facendogli credere ch'era una bella fetta di formaggio. Così racconta nella favola“Il lupo e la volpe” lo scrittore francese Jean de La Fontaine (1621 – 1695)



Una sera la volpe vide in fondo ad un pozzo il grosso cerchio della luna; così tondo e giallo le sembrò un formaggio. Dei due secchi che servivano ad attingere l'acqua, uno stava in alto, tenuto sospeso dall'altro che stava in basso. La volpe affamata entrò nel secchio superiore e subito si trovò in fondo al pozzo. Si accorse allora del sue errore e subito fu colta dal timore: sarebbe potuta risalire soltanto se un altro animale affamato, attirato dall'immagine del falso formaggio, fosse entrato nell'altro secchio riportando il suo verso l'alto.
Due giorni stette dentro al buco nero senza che un cane la vedesse. Il tempo fece il suo mestiere e in due notti l'astro circolare si era ridotto ad una mezzaluna.
La volpe era disperata quand'ecco che passò di là il lupo affamato e si fermò a contemplare quel luccicante oggetto.
- Amico mio - gridò la volpe - voglio offrirti da mangiare. Vedi questa cosa accanto a me? E' un formaggio squisito ed eccellente, fatto col latte di una mucca famosa e, se qualcuno un po' sofferente mangiasse un pochino di questa cosa, sarebbe subito risanato, tant'è squisita e appetitosa. Vedi, io stessa ne ho uno spicchio rosicchiato ma ne resta, se ti va, un bel boccone prelibato. Scendi a gustarlo: ho lasciato un secchio apposta per te.
L'imbroglio funzionò; il lupo, sciocco, si lasciò ingannare: nel secchio entrò e, il suo peso, la volpe in alto riportò.










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Cogito ergo Zam / Intimità
« il: Gennaio 07, 2015, 06:33:24 »
La recente edizione italiana del libro “Sull’intimità. Lontano dal frastuono dell’amore”, scritto dal filosofo francese François Jullien mi motiva a scrivere dei post su tale volume e sui più datati libri di Willy Pasini: “Intimità. Al di là dell’amore e del sesso”, pubblicato nel 1990, e  “La riscoperta dell’intimità. Tra sesso e computer la rivincita dei sentimenti”, pubblicato nel 2009.

Prima di argomentare sui tre citati testi voglio dire alcune cose sull’intimità, che deriva da “intimo”  e questo dal latino intimus, che è il superlativo di “intra” (= dentro).

La definizione di intimo (o di intimità) è complessa, perché la parola è polisemica. Può indicare sia  la condivisione con il/la partner di “segreti” personali, pensieri, sentimenti, sia  il rapporto sessuale (= rapporto intimo), sia le parti intime del corpo.

Essere in intimità con una persona significa capacità di aprirsi all’altro/a,  svelamento del proprio mondo interiore, significa empatia, condivisione di sentimenti, emozioni, pensieri, valori.

Secondo lo psicanalista inglese Donald Winnicott le persone con difficoltà nei rapporti interpersonali sono avvolte da una “corazza” psicologica che protegge il nucleo più intimo, sede del pudore e della vergogna. Chi pensa di dover nascondere alcune parti di sé, considera rischiosa l’intimità.

Nella coppia l’intimità comprende l’affettività e la sessualità  che vengono gradualmente  conquistate nel tempo con la coinvolgente relazione, con la reciproca stima e fiducia. L'intimità condivisa permette il reciproco attaccamento e favorisce l’attività sessuale: i due corpi si denudano, si cercano,  si toccano, si abbracciano, si baciano, si uniscono. Sapere che non esiste alcuna barriera tra il proprio corpo e quello del/la partner amplifica la vicinanza emotiva, aumenta la probabilità di eccitarsi e di copulare.

Spesso presunti problemi d’incompatibilità sessuale nascondono incompatibilità emotiva, scarso dialogo nei rapporti interpersonali. E la carenza d’intimità affettiva può causare disturbi psicologici.

La comunicazione corporea contribuisce a rafforzare il vincolo affettivo, ma l’intimità di coppia trascende la sessualità, continua ad esistere anche se l’attività sessuale diventa rara o assente. Lo sanno bene le coppie longeve, unite da un rapporto di reciproca complicità.

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Letteratura che passione / Mi sacrifico, scrivo
« il: Dicembre 30, 2014, 19:36:50 »
Mi sacrifico, scrivo, per velleità scrittorie. Devo mantenere la “parola”, come un padre verso il figlio. 

Gli scrittori per raccontare usano le parole, le scelgono per la  costruzione delle frasi, delle proposizioni. L’identificazione delle emozioni che le sottendono hanno bisogno del tempo lento della scrittura, che può essere paragonata al sacrificio religioso in onore di un dio nascosto che nemmeno il sacerdote sa bene chi sia. La sua efficacia non è immediata né quantificabile, è un atto dissipatorio per presunti benefici, è un lavoro che sollecita ammirazione e consenso, è un tentativo di seduzione verso i lettori, ma è anche un modo per chiarire ed organizzare il proprio pensiero.

Descrivere le proprie emozioni  aiuta a comprendere i propri stati d’animo.

Lo psicologo James W. Pennebaker ha compiuto ricerche sulle relazioni che collegano il corpo e la mente e le ha descritte nel suo libro titolato: “Scrivi cosa ti dice il cuore. Autoriflessione e crescita personale attraverso la scrittura di sé”. L’autore presenta numerosi esempi di come l'espressione di sé e l'inibizione possano agire positivamente e negativamente sullo stato fisico di una persona, soffermandosi in particolare su come la scrittura possa aiutare a superare traumi e paure.
Secondo questo psicologo  la narrazione autobiografica aiuta a comprendersi, a capire il significato delle proprie scelte,  consente di elaborare consapevolmente il vissuto emotivo associato ad uno o più eventi di vita stressanti, permette di dare nuovi significati alle proprie esperienze.

La scrittura ha effetti positivi sull’ansia, riduce le somatizzazioni, lo stress e l’autosvalutazione. Numerose ricerche hanno, infatti, dimostrato che avere l’abitudine di scrivere è un fattore protettivo per la depressione.

Ma spesso la sola scrittura non basta per superare alcune  difficoltà psicologiche ed è necessario l’aiuto della psicoterapia per ristrutturare le proprie esperienze dando loro nuovi significati.

La scrittura è assimilabile alla preghiera, è come una richiesta di dialogo a chi non risponde. Lo sanno gli adolescenti che svelano nel proprio diario segreto i pensieri e le prime esperienze di vita. A volte nella narrazione l’adolescente prende le distanze da se stesso. Il Sé che narra è l’interpretazione che dà alle proprie esperienze, arricchendole di significati. La ricerca di significato rappresenta il tentativo d’integrare il tutto in un Sé coerente. 

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Cogito ergo Zam / L'assoluto e l'infinito
« il: Dicembre 25, 2014, 06:25:57 »
Nell’ultimo post  del topic titolato “Amare/amore” ho scritto che per amore platonico s’intende un moto dell'animo e non di relazione, capace di muovere la conoscenza verso l'assoluto.

Ma cos’è l’assoluto ?  Etimologicamente il termine “assoluto” deriva dalla lingua latina  (ab + solutus) e significa “sciolto da”... ogni cosa, quindi incondizionato, perfetto.

In filosofia l'assoluto è  considerato una realtà,  la cui esistenza non dipende da nessun'altra realtà, ma sussiste in sé e per sé.

Il ramo della filosofia che si occupa anche dell’assoluto è la metafisica, che studia ciò che considera eterno, la questione dell’esistenza di dio, dell’immortalità dell’anima, l’origine del cosmo, ecc.. 

L'antico filosofo Aristotele immaginava l’assoluto come "atto puro", cioè Dio. Per il neoplatonico Plotino l’assoluto è l’Uno, una realtà suprema, tutto è in Lui, il creatore. 

Sulla scia della filosofia greca la teologia cristiana identificò l’assoluto con il dio della rivelazione biblica.

Per la filosofia Scolastica fu evidente  che la conoscenza filosofica dell’assoluto doveva considerarsi un atto di fede dell’esistenza di Dio, senza la pretesa di dimostrarlo.

Nel 1790 il filosofo Immanuel Kant pubblicò la “Critica del giudizio", nella quale considera l’assoluto come limite invalicabile della conoscenza. Infatti, anche se esistesse realmente l’assoluto, questo non potrebbe essere conosciuto. Però “reale” significa che è conoscibile ed ha una spiegazione razionale. Se non esistesse l’assoluto il relativo non avrebbe senso, non avrebbe alcun punto di appoggio per relativizzarsi senza contraddirsi.

Un aspetto dell’assoluto è considerato l’infinito, considerato illimitato perché contrapposto al finito, al definito.

Se l’infinito non ha limiti, allora può anche esistere uno spazio infinito, un tempo infinito/eterno. Se si osserva il cielo di giorno o in una notte stellata è difficile immaginarlo limitato. Varie teorie ipotizzano l’universo finito ma in espansione, con confini spazio/temporali che lo delimitano.
Se l’universo è in espansione significa che ebbe un inizio, perciò finirà. Secondo la teoria del "Big Bang" l'universo avrebbe avuto origine da una mega-esplosione cominciata da un punto adimensionale.

L’ipotetico universo “temporalmente finito” alla fine del suo ciclo potrebbe usare la notevole energia che ha in esso per far esplodere un nuovo big bang e ricominciare il ciclo.

L'universo potrebbe  essere  sia senza fine e senza inizio, sia inizio senza fine, sia fine senza inizio.
Comunque non si deve confondere l’universo con l’infinito.

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Cogito ergo Zam / Amare/amore
« il: Novembre 26, 2014, 08:38:52 »
Il sociologo Francesco Alberoni afferma che il passaggio dall'innamoramento all'amore avviene quando due unicità decidono di essere un "noi"; un patto da rispettare con impegno e fedeltà.

E cos’è l’amore ? E’ una parola polisemica ma anche un sentimento soggettivo e viene espresso verso persone, animali o cose. Include affetto, attrazione fisica, complicità, desiderio di condivisione, progettualità ed esclusività.

Definire l’amore con esattezza significherebbe racchiuderlo in una formula, significherebbe sostenere che c’è un solo modo “giusto” di amare, e se la propria relazione di coppia non rientra nella definizione allora non è vero amore.

Quel che genericamente definiamo “amore” è  il frutto di differenti fasi che un rapporto di coppia attraversa prima di giungere a quello stadio, ad iniziare dall’attrazione e dal corteggiamento.

L'amore fra l'uomo e la donna è per sua natura limitato e soggetto alla delusione, perciò pretendere dalla relazione di coppia un amore perfetto, senza limiti, senza difetti, senza delusioni in cui potersi abbandonare totalmente, significa non comprendere la necessità dello sforzo quotidiano, dell'impegno, del sacrificio e della responsabilità per la riuscita del rapporto.

Anche se la scelta del/la partner  avviene di solito in base a criteri di affinità e di affidabilità, ci si rende conto che lui/lei  è un essere imperfetto come noi.

Quando si convive con una persona, quando si vivono insieme le costrizioni della vita quotidiana, le preoccupazioni e le responsabilità comuni, diventa evidente che l’amore fra l’uomo e la donna è per sua natura un amore imperfetto, limitato, soggetto a tensioni, difficoltà, delusioni e non in grado di realizzare le aspettative e le sensazioni esaltanti che accompagnano l’innamoramento.

L’amore fra l’uomo e la donna è un amore in cui non è possibile abbandonarsi completamente nelle braccia dell’altro senza avere più problemi, ma è un amore in cui occorre fare uno sforzo quotidiano per la riuscita del rapporto, cioè occorre l’impegno della volontà e della ragione, il sacrificio, la responsabilità, la capacità di perdonare, la capacità di ricominciare.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Le stagioni della vita
« il: Novembre 24, 2014, 06:34:58 »
Luciano Erba (1922 – 2010) fu docente universitario ma anche critico letterario e poeta. Un’antologia delle sue poesie è titolata “Si passano le stagioni”, che è anche il primo verso di una sua breve poesia, “La piroga”: “Si passano le stagioni / a scavare il tronco di un albero / per preparare la piroga / su cui c’imbarcheremo in autunno.”
In questi versi l’autore esprime la sua riflessione malinconica, direi “novembrina”, da mese in cui vengono commemorati i defunti,  ma non  è sconsolata, perché chi  ha la fervente fede cristiana immagina la piroga mentre naviga oltre i mari del tempo e dello spazio per condurlo tra gli angeli, i beati, i santi, e tutti insieme glorificano Cristo in trono.  Invece chi non crede nell’esistenza di Dio e della “corte celeste” pensa che la piroga finisca nel baratro del nulla.

La fede innesta il credente nell’albero della  vita (simbolo d’immortalità)  che è  nel giardino dell’Eden insieme all’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi).
L'albero della conoscenza e l'albero della vita alludono all'uso della libertà da parte di Adamo ed Eva, ma nella Cabala ebraica l’albero della vita rappresenta simbolicamente le leggi dell’universo.

Nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni l’albero della vita evoca il Paradiso; nella tradizione cristiana rappresenta la croce di Cristo.

Nelle “Lettere a Lucilio” (“epistulae 65”) il filosofo e politico Seneca pone un interrogativo: “mors quid est ?” (la morte cos’è ?) e dà la risposta: “Aut finis, aut transitus”: o fine (della vita e dissoluzione del corpo) o passaggio  verso qualcos’altro. Sono due concezioni contrapposte:  per quella materialistica  la morte è finis, per quella spiritualistica la morte è transitus.

“Tuis enim fidelibus, Domine, vita mutatur, non tollitur” (= Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata): questa locuzione in lingua latina è nel primo prefazio del rito cattolico della Messa dei defunti. La proposizione  evoca il significato cristiano della morte, che la considera non come la fine dell'esistenza ma come continuazione verso ciò che si è atteso e desiderato, stare al cospetto di Dio.

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Cogito ergo Zam / Innamoramento
« il: Novembre 03, 2014, 17:49:35 »


Francesco Alberoni nel suo libro “Innamoramento e amore”  afferma che l’innamoramento è caratterizzato dall’intenso coinvolgimento emotivo ed affettivo e dal desiderio sessuale. In questa fase il legame diventa più forte ed esclusivo; c’è la pretesa e l’aspettativa che il/la partner sia fedele e la gelosia è funzionale al mantenimento della relazione.

La fenomenologia dell'innamoramento è la stessa nei giovani e negli adulti, nei maschi e nelle femmine. E’ transitorio e serve come base per l’amore, ma c’è differenza tra innamoramento ed amore. Con una metafora si può paragonare l’innamoramento al fiore e l’amore al frutto.

La fase dell’innamoramento ha due sottofasi: comincia con la sub-fase dell’infatuazione e prosegue con la sub-fase dell’attaccamento.
 
Nel prossimo post tratterò dell’infatuazione.

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Anch'io ho scritto un aforisma / To be, or not to be
« il: Novembre 03, 2014, 08:48:21 »
Lo psicanalista  Erich Fromm, noto per due libri di successo “ Avere o essere?” e  “L'arte di amare”,  nel suo saggio “Dalla parte dell’uomo. Indagine sulla psicologia della morale”, scrisse fra l’altro:

“Morire è tremendo, ma l'idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile”.

(mia riflessione): per chi ha la consapevolezza di non aver vissuto...

Ma anche una diagnosi infausta sconvolge la vita e spazza via le ambizioni e i progetti. 
La progressione della malattia dà al sofferente la consapevolezza  di non poter gestire il proprio corpo e di non poter più disporre del proprio futuro; ha la sensazione di inutilità. E il modo di pensare la propria vita diventa retrospettiva.
La sofferenza causata dalla malattia è disumanizzante,  deprime, fa disperare. Se è difficile vivere con la consapevolezza di una vita senza senso, morire lo è ancora di più.

E' il senso che si attribuisce alla vita a dare senso anche alla malattia e alla morte.

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Anch'io ho scritto un aforisma / Perdere
« il: Novembre 01, 2014, 21:47:52 »
"Le persone non si perdono. Le persone, se le perdi, le puoi chiamare, cercare, rincorrere. E se non ti rispondono è perché scelgono liberamente di non risponderti e di non esserci più. Ne sono consapevoli, e allora non le hai perse. Sono loro che scelgono di perdere te."

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Anch'io ho scritto un aforisma / il denaro
« il: Ottobre 30, 2014, 13:22:17 »
Citazione dal film del 2010 “Wall Street: il denaro non dorme mai”,  con Michael Douglas e Shia LaBeouf:

"Qual è la definizione di follia? Il ripetere continuamente la stessa azione e aspettarsi un risultato diverso. Se è cosi quasi tutti noi siamo folli, ma non nello stesso momento. E confidiamo proprio in questo".

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Anch'io ho scritto un aforisma / L'amore
« il: Ottobre 29, 2014, 16:15:31 »
L'amore non è cieco ma presbite: vede i difetti man mano che si allontana....

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