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Post - Doxa

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Arte / Re:Carità romana
« il: Febbraio 06, 2024, 18:44:46 »
4 Ospitare i pellegrini: quest’opera di carità è riassunta da due figure: 

l'uomo in piedi  sulla sinistra  indica un punto verso l'esterno della composizione,  come se volesse invitare il pellegrino, San Giacomo, raffigurato con il bordone e la conchiglia sul cappello (simboli del pellegrinaggio a Santiago de Compostela).  Vicino a lui  c’è un terzo personaggio,  forse un altro pellegrino.





5 Visitare gli infermi: allo stesso san Martino di Tours  è collegata la figura dello storpio in basso nell'angolo buio a sinistra della scena; è  disteso, è visibile un suo piede,   ha le mani congiunte in preghiera e chiede aiuto al cavaliere.



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Arte / Re:Carità romana
« il: Febbraio 06, 2024, 18:39:29 »
Le sette opere di misericordia  corporale: 1  Dar da mangiare agli affamati 2 - Dar da bere agli assetati 3 - Vestire gli ignudi 4 - Alloggiare i pellegrini 5 - Visitare gli infermi 6 - Visitare i carcerati 7 - Seppellire i morti.

1 Dar da mangiare agli affamati: rappresentato dall'episodio di  Cimone e Pero; notare la goccia di latte sulla barba dell’anziano uomo, che sta bevendo dal seno della figlia.
 


 

2 Dar da bere agli assetati: un uomo, in secondo piano  sulla sinistra,  beve da una mascella d'asino.  Questa raffigurazione è l'unica   che si discosta dalle altre, perché  non c’è  l'intervento di un individuo   che soccorre un altro, ma l’azione divina.


 


3 Vestire gli ignudi: in primo piano un giovane cavaliere, san Martino di Tours, dona il suo mantello  a un uomo visto di spalle e seduto in terra.  Dietro la testa del santo s'intravede l'orecchio di un altro personaggio.



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Arte / Re:Carità romana
« il: Febbraio 06, 2024, 18:28:24 »
Nel Medioevo, la vicenda di Pero e Cimon  è tramandata da Giovanni Boccaccio nel 65/esimo capitolo del “De mulieribus claris”  (= le donne famose), testo in lingua latina scritto  tra l’estate del 1361 e quella del 1362. 

L’opera descrive con finalità morali 106 donne dell’antichità e del Medioevo. Tramite le loro azioni, sia buone che malvagie, l’autore intendeva presentare esempi  e spronare alla virtù.

L’ispirazione per questo suo libro dedicato soltanto a donne famose gli era venuta dal “De viris illustribus” di Francesco Petrarca, che descrive biografie di uomini.

Nell’ambito della pittura, nel 1606/1607  a Napoli Caravaggio dipinse  una pala d’altare dedicata alle sette opere di misericordia corporale commissionata dalla  locale “Confraternita del Pio Monte della Misericordia”, istituzione che si occupava di aiutare i bisognosi.

Sei delle sette opere misericordiose sono narrate nel Vangelo di Matteo. La settima riguarda la sepoltura dei morti.

I personaggi raffigurati sono disposti a raggiera. Tramite loro l’artista raffigura diversi episodi in un unico dipinto.


Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Sette opere di misericordia, olio su tela, 1606 – 1607, Pio Monte della Misericordia, Napoli

In un unico spazio sono uniti il divino e l’umano.

In alto la Madonna col Bambino,  accompagnati da due angeli con grandi ali piumate e in parte avvolti da panneggi,  osservano le vicende umane sulla Terra. 


particolare della Madonna col Bambino



particolare degli angeli

L’opera, con ombre e luci concentra in una visione d’insieme 14 personaggi che raffigurano le 7 opere di misericordia corporale  in un ipotetico, brulicante scenario cittadino partenopeo.

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Arte / Carità romana
« il: Febbraio 06, 2024, 14:00:41 »
Nell’antichità c’era la tendenza mito-poetica di personificare oggetti inanimati  o fenomeni naturali attribuendo loro tratti (anche psicologici e comportamentali) umani, un esempio è la caritas, raffigurata  nell’arte mentre elargisce pane ai poveri, oppure mentre allatta dei bambini. A quest’quest’ultima tipologia ho dedicato recentemente un topic.

Ma è stata pure  rappresentata come una donna che allatta un uomo anziano. Questa iconografia è conosciuta col nome di “Carità romana”, sia  per distinguerla dall'altra sia perché è collegata ad un racconto di epoca romana: una giovane donna, di nome Perus o Pero, allatta il vecchio padre, Cimon o Micon, che è in prigione, salvandolo dalla morte per inedia.

La leggenda è narrata dallo storico Valerius Maximus nel “Factorum et dictorum memorabilium libri IX”: una raccolta in 9 libri di fatti e detti memorabili,  desunti dalla storia romana e da quella greca.  Gli aneddoti  sono moraleggianti. La finalità dell'autore è quella di descrivere esempi  di comportamenti virtuosi.

Ecco la storia della “Carità romana”:  a Roma, in epoca repubblicana,  Perus, ottenne il permesso di poter andare ogni giorno nel carcere dal padre,  condannato a morire di fame.

La donna aveva partorito da poco e allattava il figlio. Durante le sue visite giornaliere al genitore,  in segreto lo nutriva con l’unico alimento a disposizione: il latte del suo seno. Tutto andò bene fino a quando le guardie cominciarono ad avere dei sospetti, infatti Cimon nonostante fosse  molto dimagrito era ancora in vita.

Un giorno un carceriere  scoprì l’azione della donna e lo comunicò ai suoi superiori,  che rimasero sorpresi e commossi, ma anziché punirla graziarono lei e il padre che tornò libero.

Questa vicenda, nei secoli ispirò numerosi artisti fin dall’epoca romana.

A Pompei, nel parco archeologico c’è la domus di Marcus Lucretius Fronto, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C.. Fu costruita nel II sec. a. C.,  successivamente ristrutturata  e ampliata.  Ha  decorazioni pittoriche di notevole qualità.



Pompei,  atrio della domus di epoca romana di Marcus Lucretius Fronto

A fianco del tablinum c’è   un cubicolo, affrescato dopo il terremoto del 62 d. C.. Ha la zoccolatura  di colore rosso scuro, decorata con la raffigurazione di piante. La zona mediana ha le pareti di colore giallo ocra, con al centro due scene contornate da raffigurazioni con ghirlande,  frutta e amorini in volo:  in un riquadro, il mito di Narciso, nel momento in cui ammira la sua immagine riflessa nell’acqua, nell’altro è rappresentata la giovane Pero che allatta in prigione il vecchio padre Micon salvandolo dalla morte a cui era stato condannato.

Completa la decorazione  due medaglioni con ritratti di fanciulli ai lati dell’ingresso. Forse era la camera da letto dei figli del proprietario a cui probabilmente erano rivolti i due esempi: la vanità e l’amore filiale verso i genitori. 

L'ambiente è illuminato  dalla luce esterna che attraversa una finestra.


Narciso si specchia nell’acqua, 50 – 79 d. C., Museo Archeologico, Napoli


Micon e Pero, affresco, 50 – 79 d. C., Museo Archeologico, Napoli

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Alterità
« il: Febbraio 02, 2024, 07:56:13 »
Riguardo l’alterità ci sono numerosi libri. Ne indico un altro recente:  “Alterità sul confine fra l’Io e l’altro”, scritto da Pierpaolo Donati  e pubblicato dall’editrice “Città Nuova”.

L’autore afferma che nell’incontro con l’altro/a la domanda da porsi è: “Chi sono io per te e chi sei tu per me ?”.  Nella relazione interpersonale c’è un confine che ci divide: può generare incomprensioni oppure empatia.

Donati dice che l’alterità non è un’esperienza statica, non è la semplice presa d’atto: “io sono così e tu sei diverso”. E’ un’esperienza dinamica, che si pone a tre diversi livelli di realtà: mentale, situazionale, relazionale.

A livello mentale consideriamo l’alterità quando pensiamo l’Altro come uno che potrebbe crearci problemi, che è antipatico.

A livello situazionale valutiamo l’alterità in un contesto, in una situazione che può essere occasionale, come capita quando un individuo ci ferma nella strada e non sappiamo chi è, oppure può essere abituale, come avviene quando ci troviamo in un contesto familiare.

A livello relazionale è necessario chiederci che tipo di comunicazione vogliamo avere con l’altro. Significa configurare la relazione come un’adesione convergente per annullare il confine che separa ma definisce il Me e il Te.

Un esempio del confine che divide la relazione interpersonale è in un affresco di epoca romana, rinvenuto in una villa rustica pompeiana forse appartenuta a Publius Fannius Synistor.


Sulla destra l’anonimo pittore personificò due nazioni:  la  Macedonia e la Persia,  con allusione alle vicende connesse ad Alessandro Magno.  Lo scudo segna il confine tra le due figure, simboleggia la qualità enigmatica della relazione tra i due Stati e rappresenta l’alterità fra due entità che rimandano a popoli con culture e civiltà diverse. Così dice l’autore del libro!

Quando  i resti della villa rustica fu riportata alla luce fu dagli archeologi nel 1900,  68 sezioni di pitture murali  furono tolte,  recuperati gli oggetti di valore, poi i resti  del complesso edilizio  furono rinterrati, com’era prassi. I pannelli con i dipinti parietali, realizzati tra il 40 e il 30 a. C.,  furono distribuiti in  vari musei, come il Metropolitan Museum di New York,  il Museo archeologico nazionale di Napoli, il Louvre di Parigi e il Musée Royal di Mariemont,  a  Morlanwetz, in Belgio.


Affreschi del  40 – 30 a. C.: erano nella cosiddetta “sala M” della villa  rustica di Publio Fannio Sinistore, ricostruita nel Metropolitan Museum of Art, New York.

Forse questa stanza  era adibita a cubiculum,  la camera da letto del proprietario. L’edificio è  a circa due chilometri dal parco archeologico di Pompei, nell’area che in quel tempo era denominata   “Pagus Augustus Felix Suburbanus”, nell’attuale territorio del Comune di Boscoreale. In quel villaggio  c’erano  una trentina di ville rustiche, tra le quali quella  di  Publius Fannius Synistor,  così chiamata per la presenza di questo nome su un  vaso, ma forse era di proprietà di Lucius Herius Florus,  nome inciso su un sigillo.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Alterità
« il: Febbraio 01, 2024, 10:01:59 »
Alterità: questo sostantivo deriva dal latino alterĭtas,  che “discende” da  “alter” (=  altro, diverso).

In questo topic per alterità  intendo la differenza tra due identità.

L’identità comprende le caratteristiche fisiche e psicologiche  di un individuo che lo fanno distinguere dagli altri, dalle altre entità: dal latino  “entitas” (= cosa esistente).

Ognuno di noi  è un'individualità, ma  comunicante con altre”. Nessun individuo è un’isola, completo in sé stesso, ma è una parte del tutto.

Il poeta e chierico londinese John Donne (1572 – 1631)  usa la metafora di un’isola in mezzo al mare, destinata a rimanere sola come una monade, scollegata dal resto del mondo. Nel contempo offre un’altra visione suggestiva: ogni individuo, seppur isola, fa parte di un continente, è una parte del tutto.

Celebre il suo sermone “Nessun uomo è un'isola” (meditazione XVII) del 1624. Il titolo deriva da un passo del “Devotions Upon Emergent Occasions”: “No man is an Iland, intire of it selfe; every man is a peece of the Continent, a part of the maine” [...], vuole significare che ogni uomo è una componente integrante dell'umanità. 

Ecco il testo:

“Nessun uomo è un’isola,
completo in sé stesso.

Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.

Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
la Terra ne sarebbe diminuita,
come se un promontorio fosse stato al suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa.

Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.

E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per te”.


Il verso finale: “Per chi suona la campana”  fu usato  dallo scrittore statunitense Ernest Hemingway per titolare il suo romanzo, pubblicato nel 1940.

Invece lo scrittore statunitense e monaco trappista Thomas Merton titolò “Nessun uomo è un’isola” (No man is an island) il suo saggio pubblicato nel 1955.

Infatti una delle fasi fondamentali del ciclo della vita di un individuo può essere  la costituzione della coppia. Dal considerarsi come  “Io” al vedersi come un “Noi”, pur rimanendo due alterità, due entità.


Małgorzata Chodakowska:  la fontana “Liebespaar” (parola tedesca che significa coppia di amanti), gruppo scultoreo in bronzo, collocato  di fronte all’ufficio del registro di Radebeul, località  vicino a Dresda (Germania).

L’artista, di origine polacca, ha studiato la scultura a Varsavia e a Vienna, ma vive a Dresda, in Germania.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 18, 2024, 08:45:02 »
“(eterno) femminino”:  dal latino femininus = femminile, ciò che è caratteristico della donna, allude alla femminilità nella sua essenza "immutabile" (?).

“Sappiatelo chiaramente: l’Eterno femminino in questo giorno / verrà sulla Terra nel suo corpo immortale / nella luce inesauribile della nuova dea. / Il cielo si è versato nell’abisso dei mari. / Tutto ciò che fa bella l’Afrodite terrestre / gioia delle case, dei boschi e dei mari / tutto sarà riunito alla bellezza celeste / più pura, più forte, più viva e più intera”.  (Vladimir Sergeevič Solov'ëv (1853 – 1900), filosofo e poeta russo.

Gabriele D’Annunzio nel romanzo “Il piacere” fa dire da Andrea Sperelli ad Elena Muti:

"C'è più nobiltà di animo e di arte ad immaginare in una sola unica donna tutto l'Eterno feminino o pure un uomo di spirito sottili ed intensi, deve percorrere tutte le labbra che passano, come le note d'un clavicembalo ideale, finché trovi l'ut gaudioso?".

Buongiorno Nina,  gentile amica virtuale, con questo post concludo il topic, forse deludente per le tue aspettative, ma è ciò che posso offrire.
 
Per farmi perdonare offro  in visione  un bel gruppo scultoreo del famoso Auguste Rodin.


Auguste Rodin, “Eternal idol” (L’eterno idolo),  scultura in marmo, 1889, Museo Rodin, Parigi

Eternal Idol ha alcune iterazioni, tra le quali una scultura in bronzo realizzata da Rodin nel 1891 e una in marmo commissionata nel 1893 da Eugéne Carriére, un amico e collega pittore. Il Museé Rodin e il Maryhill Museum hanno versioni in gesso della scultura.

L’artista si distacca dall'idealismo greco e dalla bellezza decorativa barocca per interpretare, in questa come nelle altre sue opere, le emozioni dei soggetti attraverso i dettagli,  le superfici lavorate, i giochi d’ombra.

La  grezza roccia sulla quale sono poggiati i corpi  levigati dei due amanti è scalfita dallo scalpello;  tale lavorazione  evoca Michelangelo Buonarroti e la sua scelta del “non finito”.
 
Eternal Idol presenta una coppia nuda. Lei è un po' sollevata dalla roccia sulla quale  è inginocchiata. Ha le gambe  divaricate per fare spazio al corpo dell’amante, che ha le braccia congiunte dietro la schiena ed è in ginocchio davanti a lei intento a baciarla  sotto il seno. 


 
La donna ha gli occhi chiusi, sembra concentrata sul piacere corporeo;  con le dita della  mano destra si tocca le dita del piede destro, invece con le dita della mano sinistra tocca l’avanbraccio del partner.

L’ineffabile e mordace giornalista Roberto Gervaso scrisse questo aforisma: “Niente, con il passare degli anni, è più caduco dell’eterno femminino”.

:grin:

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 17, 2024, 15:39:47 »





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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 17, 2024, 15:12:46 »
Archè e archetipo

Nel precedente post ho scritto che nell’ambito della psicologia l’eterno femminino è considerato un  archetipo.
 
Cos’è l’archetipo ? Questo sostantivo deriva dal latino archetypum, che a sua volta discende  dal greco antico archétypon: parola composta da “àrche” (= inizio, principio) + “-typon” (= modello).  Significa quindi “primo esemplare, modello originario.

I primi filosofi greci si dedicarono a cercare l’origine e la natura dell’universo: l’arché (= principio, origine):  è la forza primigenia che domina il mondo,  da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà.

L’antico filosofo  presocratico Anassimandro (610 a. C. circa – 546 a. C. circa) considerò  l’arché  un principio astratto, indefinito,  l’apeiron: ciò che non ha definizione, che non ha forma o precisa determinazione. In altre parole, l’apeiron è la condizione primordiale, tutti gli elementi non sono ancora distinti e condividono uno stesso stato indefinito e imprecisato.

Nell’ambito della psicoanalisi,   per  Carl Gustav Jung  (1875 – 1961) e altri autori (James Hillman ed Erich Neumann)  gli archetipi sono schemi universali, presenti  in culture e tempi diversi. Compaiono nei miti, nelle religioni,  ma anche nei sogni; formano categorie simboliche che strutturano culture e mentalità,  sono innati e orientano gli individui.
 
Gli archetipi sono come i letti dei fiumi abbandonati dall'acqua, che però possono nuovamente accoglierla dopo un certo tempo. Un archetipo è simile a una gola di montagna in cui la corrente della vita si sia lungamente riversata: quanto più ha scavato questo letto, quanto più ha conservato questa direzione, tanto più è probabile che, presto o tardi, essa vi ritorni” (Carl Gustav Jung, “Aspetti del dramma contemporaneo”).

Jung credeva che gli individui avessero  sia l’inconscio personale (che Freud enfatizzò nella sua teoria psicoanalitica) sia l’inconscio collettivo, che ha un ruolo formativo nello sviluppo psicologico dell’individuo.

Mentre l'inconscio personale è composto da esperienze represse e dimenticate, uniche per ogni individuo, l'inconscio collettivo è universale e condiviso. Non si sviluppa individualmente ma viene ereditato, contenendo la saggezza e la memoria di tutte le esperienze umane nel corso del tempo.

(La teoria dell’inconscio collettivo non mi convince. Prima ci dicono che quando nasciamo psicologicamente siamo “tabula rasa” poi ci vogliono convincere che siamo portatori di ancestrali categorie simboliche).

E’ meglio che allieto il mio spirito con l’arte. Propongo alla vostra visione un'opera dello scultore francese Auguste Rodin


 
Auguste Rodin, Eterna primavera, marmo, 1884, Musee Rodin, Paris

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 17, 2024, 08:29:47 »
L’eterno femminino è considerato un principio filosofico, per la psicologia è un archetipo.

Nell’ambito della filosofia il principio allude all’origine (sostanza primordiale) di tutte le cose.  E il ramo filosofico definito “essenzialismo” cerca l’essenza,  i princìpi essenziali della conoscenza.

Il filosofo Platone postulò che l’essenza delle cose sensibili è nella loro origine, ogni persona o cosa ha un’essenza che è fissa e la rende ciò che è.

Da quell’opinione platonica deriva in modo indiretto l’essenzialismo di genere, una vetusta teoria basata sulle differenze anatomiche tra i sessi, maschi e femmine, solo due generi distinti da caratteristiche immutabili, non possono essere alterate perché innate. La dicotomia allinea sesso biologico e identità di genere. Gli individui sono  tenuti ad acquisire ruoli di genere statici e prestabiliti.  Qualsiasi differenziazione non è contemplata.

L' eterno femminino considerato come  principio filosofico dell’essenzialismo di genere idealizza un concetto immutabile di donna. 

Ma il genere, che cos’è? Secondo la “Società italiana di psicoterapia per lo studio delle identità sessuali” il genere è: “l’insieme delle differenze tra uomini e donne, che ogni società costruisce  basandosi sulla propria concezione delle differenze tra corpo maschile e femminile. Tali differenze consistono in tutti quei processi – psichici, interpersonali, comportamentali e di presentazione di sé – con i quali le società trasformano i corpi sessuati (maschio/femmina/intersessuale) in identità personali socialmente riconosciute (uomo/donna) e organizzano la divisione dei ruoli e dei compiti tra donne e uomini, differenziandoli dal punto di vista sociale l’uno dall’altra”

Quindi il “genere”  è un elemento  non definitivo, di tipo socio-culturale, dipendente  dalle interpretazioni e dai significati elaborati dal contesto sociale di riferimento. I ruoli di maschio o femmina si apprendono, adeguandoci ai condizionamenti e alle richieste del nostro ambiente culturale e imparando a riconoscere le informazioni e le indicazioni sociali relative a ciò che si intende generalmente per “maschio” e “femmina”. L’interzona tra il maschile e il femminile, che comprende  altre identità,  come l’omosessualità  non viene considerata, con conseguenze nefaste, come l’omofobia,  la discriminazione,  la violenza verbale e fisica nei confronti delle persone che appaiono “diverse” rispetto alla cosiddetta “norma”.

Per concludere questo post vi offro la visione di un gruppo scultoreo realizzato dallo spagnolo
Miguel Blay (1866 – 1936). 


Miguel Blay, The blossoming of love (La fioritura dell’amore),  marmo, 1905, Museo del Prado, Madrid.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 16, 2024, 20:46:06 »
L’eterno femminino ci trasporta lontano, evoca  Dante Alighieri e la corrente poetica del “Dolce stil novo”, sviluppata tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, cominciata con Guido Guinizelli  e  quasi conclusa dal poetare aulico di Francesco Petrarca.

Messer Dante  con ammirazione e commozione non esitò a dichiarare Guinizelli padre suo e maestro nel XXVI canto del Purgatorio:

“quand'io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d'amor usar dolci e leggiadre”
; (97-99).

Citando lo stilnovismo non si può dimenticare  che questa corrente poetica “attinse” dalle liriche provenzali del XII e XIII secolo.

Gli autori provenzali (anche alcune donne) scrissero migliaia di componimenti riguardanti le lodi al feudatario, alla dama, l’amor cortese,  la fede religiosa, la guerra. Ma i due poli principali della lirica trobadorica sono: l'amante-poeta e la domna come domina.

Il desiderio insoddisfatto e l'amore come mancanza sono il  tema centrale.

Nella poesia trobadorica la donna è orientamento e guida, fonte di ogni bene, conoscenza e amore. Queste virtù le ha Beatrice, secondo Dante. 

I poeti-trovatori appartenevano a diversi strati sociali. C’erano anche nobili che amavano comporre versi, come   Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), duca di Poitiers. Gli altri erano  di origine socio-economica modesta. Alcuni erano giullari. Risiedevano nelle corti feudali e allietavano le serate della nobiltà  recitando, accompagnati da musiche  e da mimi.



Le tematiche della poesia provenzale sono correlate con l’ambiente di corte: l’importanza delle virtù cortesi, la lealtà verso il proprio signore (il feudatario), la generosità nei confronti dei più deboli, la liberalità nei rapporti umani, fondamentali perché ogni cavaliere possa davvero definirsi tale, e quindi essere degno dell’amore della donna amata,  che può essere una creatura perfetta ed irraggiungibile o crudele e  senza pietà.

L’amante doveva sottoporsi a delle prove per dimostrare l’autenticità della propria passione amorosa. Spesso le strategie del corteggiamento dovevano essere segrete oppure allusive: Si usavano pseudonimi per celare ad altri il proprio amore.  Per loro il rapporto sessuale non era in antitesi con la relazione spirituale, a differenza degli stilnovisti come Guinizelli e Dante.


 

Nella trattazione stinlovista del tema amoroso derivata dall’eredità trobadorica si riconoscono due elementi complementari: l'amore estatico suscitato dalla donna angelicata e la virtù beatificante della donna {spirto d'amor che mi ditta dentro), donna che è fonte di salvezza.

Petrarca raccoglie quel retaggio della lirica amorosa aggiungendovi una più completa e articolata analisi psicologica, a tratti è confessione.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 15, 2024, 17:58:36 »
Nel precedente post ho scritto che nell’ambito della psicologia l’eterno femminino è considerato un  archetipo. 

Cos’è l’archetipo ? Questo sostantivo deriva dal latino archetypum, che a sua volta discende  dal greco antico archétypon: parola composta da “àrche” (= inizio, principio) + “-typon” (= modello).  Significa quindi “primo esemplare, modello originario. Nell'essere umano si manifesta nel suo pensare e agire.

Adesso armatevi di pazienza per leggere i capoversi successivi, altrimenti vi consiglio di limitarvi ad osservare l’immagine in fondo, se di vostro gradimento.

I primi filosofi greci si dedicarono a cercare il principio fondamentale dell’Universo, detto “arché”.

Platone nella sua dottrina delle idee cita l’Iperuranio, un luogo metafisico (oltre la materia) in cui risiedono i concetti nella loro purezza.  Sono principi universali immutabili, non soggetti al divenire e al mutamento.

Invece nella filosofia del tedesco  Immanuel Kant, “intellectus archetypus” è l’intelletto divino, intuitivo, come tale indipendente dall’esperienza sensibile.

Nell’ambito della psicoanalisi, lo scorso secolo l’archetipo come concetto ha avuto connotazione  sia nella psicologia analitica di Carl Gustav Jung (come modelli di comportamento innati) sia nella psicologia archetipica dello psicoanalista junghiano e filosofo statunitense James Hillman, da cui deriva la teoria del psicoanalista  tedesco Erich Neumann.

Analizzando i sogni dei suoi pazienti, Jung riflette su come immagini, concetti e situazioni vissute in sogno e non riguardanti l’esperienza personale, siano in qualche modo innate nella mente umana, o meglio, derivino da un inconscio collettivo, condiviso, ereditato assieme al patrimonio genetico.

Secondo Jung nell’ “inconscio collettivo” ci sono le strutture universali comuni a tutto il genere umano che trovano espressione attraverso simboli e immagini.

Gli archetipi sono quindi l’eredità psicologica inconscia.

Gli archetipi sono come i letti dei fiumi abbandonati dall'acqua, che però possono nuovamente accoglierla dopo un certo tempo. Un archetipo è simile a una gola di montagna in cui la corrente della vita si sia lungamente riversata: quanto più ha scavato questo letto, quanto più ha conservato questa direzione, tanto più è probabile che, presto o tardi, essa vi ritorni” (Carl Gustav Jung, “Aspetti del dramma contemporaneo”).

L’espressione “eterno femminino” è divenuta d’uso comune per indicare la femminilità nella sua essenza immutabile di amante e madre.



Auguste Rodin, L'idolo eterno, 1889, Museo Rodin, Parigi

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Eterno femminino
« il: Gennaio 14, 2024, 18:54:40 »
Cara Presenza, mi sento trascurato da te  :blank:

perciò mi rivolgo a Nina, che con "affetto materno" e pazienza rovista tra i miei post d'antan per consolarmi con i suoi commenti.  :)

Un bacio anche a te  :Ppp:

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Pensieri, riflessioni, saggi / Eterno femminino
« il: Gennaio 14, 2024, 15:52:19 »
Buon pomeriggio Nina.

Oggi a Roma è una giornata fredda e a tratti piovosa, perciò ho deciso di dedicarti alcuni post sull'eterno femminino.

A questo tema ho già dedicato un topic nel forum. Non so dove sia e non mi va di cercarlo. Lo riscrivo con nuove notizie e riflessioni.

Spero di essere chiaro nell’esposizione, perché la locuzione “eterno femminino” indirettamente  è considerato  un principio filosofico, in psicologia è un archetipo,  colluso con la mitologia e la religione, comunque  allude all’immutabile essenza della femminilità, guida del desiderio maschile, anche verso la trascendenza.

Nell’ambito letterario la frase ci proviene dal dramma in versi titolato “Faust”, scritto da Johann Wolfgang Goethe e pubblicato nel 1808. Per questo suo racconto lo scrittore tedesco trasse ispirazione da testi precedenti di altri autori.

In breve, il  “Doktor Faustus” (in forma abbreviata Faust) è un alchimista abitante a Praga


Immaginaria dimora del dottor Faust nel Palazzo Mladotovský, Praga

Nella  sua continua ricerca di conoscenze, con esiti spesso deludenti,  invoca il diavolo, rappresentato da Mefistofele. Questo gli si presenta offrendogli i suoi servigi per 24 anni per consentirgli la conoscenza assoluta.  In cambio vuole l’anima di Faust, che però  chiede al demonio a di aiutarlo a far innamorare di lui la giovane Margherita, con finale tragico.

In questo dramma Goethe ha dato forma a un simbolo dell'umanità, divisa tra bene e male, desiderio di conoscenza e consapevolezza del limite, dannazione e redenzione.

Il poema si chiude con la celebrazione de “l’Eterno femminino”, individuando nell’Amore la forza creatrice e motrice dell’intero universo.

Dal chorus mysticus finale nel Faust di Goethe,  le ultime parole:

“Tutto l’effimero è solo un Simbolo.
L’Inattuabile si compie qua.
Qui l’Ineffabile è Realtà.
Ci trae, superno verso l’Empireo
il Femineo eterno”.

(Wolfgang Goethe: “Faust”). 

Lo straordinario potere che contraddistingue la donna, portatrice di un dono unico che la rende grembo di vita:  questo principio femminile è presente in tutte le culture.


L’eterno femminino: simbolo della trascendenza dell’amore umano.



 Auguste Rodin, Eterna primavera, marmo, 1884, Musee Rodin, Paris

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Agape > Carità
« il: Gennaio 08, 2024, 16:56:47 »
Ultimo post in questo topic per non annoiare e annoiarmi dilungando il tema,  sufficientemente illustrato con varie immagini.

Ho presentato alcuni esempi di personificazione della “Carità” nell’arte, ma questa donna caritatevole è presente anche nei logo  di confraternite e di enti assistenziali oppure ospedalieri.

Due esemplari di origine medievale: il logo dell’Ospedale Maggiore di Novara e quello di Varese.



Novara: logo dell’Ospedale Maggiore della Carità. Sulla destra la figura femminile allatta un bambino. Insieme a loro ci sono altri due pargoli.



ingresso nell'ospedale di Novara.
 



Nel logo dell'ospedale di Varese c’è una donna che tiene in braccio un bambino e stringe l’altro a sé. Le figure sono accompagnate dalla parola Caritas, rendendo ulteriormente esplicito il riferimento alla carità cristiana.


 

The end

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