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Pomodoro

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nome botanico “Solanum lycopersicum”, originario del Perù, fu usato dagli Aztechi.

L'etimologia del nome “pomodoro”  discende dal latino “pomum aureus”: mela o pomo d'oro, perciò il plurale è “pomidoro” e non “pomodori”.

La definizione “pomi d’oro” si diffuse nella lingua italiana e ostacolò “l’accesso” alla parola “tomato”, diffusa nel resto del mondo. Fa eccezione la Russia, nella quale viene usata la parola “pomidor”. Il motivo ? Fu il cuoco italiano Francesco Leonardi  che nel 1783 passò al servizio dell’imperatrice Caterina II alla corte di San Pietroburgo, e fece conoscere cibi con i pomidoro.

Per chi volesse saperne di più consiglio la lettura del libro titolato: “Il signor Pomodoro, storia di un successo biologico con qualche divagazione”, scritto da Franco Avicolli e pubblicato dalle edizioni “Archos”.

L’autore evidenzia che dopo  la “scoperta dell’America” nel 1492 e i seguenti viaggi in quel continente,  gli spagnoli importarono in Europa  anche specie botaniche commestibili, come due distinte piante di pomidoro: quello rosso (nome botanico Lycopersicum esculentum) e  diverse varietà di pomodoro verde (Solanum physalis), oggi quasi sconosciute fuori dai confini americani e utilizzate per conserve e fritture, protagoniste del celebre film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”.

Di solito si immagina che Cristoforo Colombo o Hernàn Cortés (conquistatore dell’impero atzeco), oppure Francisco Pizarro (conquistatore dell’impero inca) dopo lo sbarco nel “nuovo mondo” abbiano visto estese coltivazioni di pomidoro e ne importarono alcune piante, appartenenti alla famiglia delle solanacee, ma non fu così. Di pomidoro  i conquistadores spagnoli  ne videro pochi. Infatti dal “Sumario de la natural historia de las Indias”, scritto da Gozalo Fernàndez de Oviedo e pubblicato nel 1526, si apprende che nelle Americhe erano diffuse le coltivazioni di mais, yuka, peperoncini piccanti, batate, arachidi, ma non di pomidoro.

Poco diffuso, ma non ignoto, il pomodoro fu citato per la prima volta da Hernàn Cortés, che ne descrive il particolare uso gastronomico. Il 20 ottobre 1519 questo condottiero spagnolo per ritorsione nei confronti dei capi della città di Choula, in cui aveva fatto sosta con il suo esercito durante la marcia a Motecuhzoma, li fece uccidere e rimproverò i superstiti di aver tramato contro di lui, dicendo loro: “Ci volevate uccidere e mangiare le nostre carni, perciò avevate preparato le pentole con sale, peperoncino e tomate (= pomodoro)”. L’antropofagia era praticata dagli Aztechi.

Il pomodoro è citato  nella prima ricetta occidentale dedicata al frutto sud-americano: “Salsa di Pomadoro, alla spagnuola”, descritta nel 1692 da Antonio Latini.  Nato nei pressi di Fabriano (prov. di Ancona) nel 1642, seppur di umili origini, con la sua capacità riuscì a 28 anni di età ad essere nominato “scalco”. A Roma fu assunto dal cardinale Antonio Barberini come sottocuoco, passò a mansioni via via superiori, per  giungere infine all'ufficio di scalco, ossia di soprintendente alle cucine, a cui spettava selezionare e dirigere i cuochi e la servitù, rifornire la dispensa e organizzare i banchetti.
Concluse degnamente la carriera a Napoli, alle dipendenze del reggente spagnolo Esteban Carillo Salsedo. In questa città  crebbe la sua fama e vi morì nel 1696.

Nel tempo fu crescente l’interesse  verso i pomidoro per  accompagnare vari cibi, crudi o cotti, inclusa, un secolo più tardi, la pasta, condita con la salsa. 

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Fu chiamato “pomo d’oro” il pomodoro giallo che evoca il colore dell’oro. Nel ‘500 era diffusa anche la varietà gialla oltreché rossa.


 
Invece il pomodoro di  colore rosso  fu simbolicamente collegato alla passione amorosa.
 
Il medico  e botanico Pietro Andrea Mattioli nel 1544 nei suoi “Commentarii” descrisse  la novità dei pomidoro: “sono come le mele rosse, prima verdi e quando maturano sono in alcune piante rosso sangue in altre color d’oro”.

Il medico e naturalista Costanzo Felici in una lettera a Ulisse Aldrovandi  del 10 marzo 1572  scrisse tra l’altro: “Pomo d’oro, cosiddetto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso overo è rosso gagliardamente […] ancora da lui ghiotti et avidi de cose nove è desiderato […] ma al mio gusto è più presto bello che buono”.

Un altro medico e botanico italiano, Castore Durante (1529 – 1590) nell’Herbario novo, pubblicato nel 1585, sostiene che i pomidoro “ “mangiansi con pepe sale ed olio ma danno poco e cattivo nutrimento”.  Perciò nel ‘600 il pomodoro fu generalmente utilizzato come pianta ornamentale per la bellezza dei frutti ma considerato “mela insana”, perché insalubre, indigesto e in grado di generare umori melanconici. Perciò per lungo tempo il pomodoro  fu poco gradito.

Nella metà del 700 i pomidoro  compaiono nei testi di gastronomia come  eccentricità,  e non usato dalla cucina popolare.
 
La prima attestazione della pasta condita con sugo di pomodoro è attribuita al napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino (Comune della provincia di Cosenza, in Calabria). Fu cuoco e letterato. Nacque ad Afragola nel 1787 e morì a Napoli nel 1859.

Il suo trattato “Cucina teorico-pratica”, pubblicato  a Napoli nel 1837, nella seconda edizione aggiunse l’appendice  “in fine: della vera cucina casareccia”.

Il duca suddivise il manuale in due parti, compiendo un itinerario attraverso i diversi ceti sociali, fatto assai inusuale al tempo.

La prima sezione venne redatta in lingua italiana, per nobili e ricchi borghesi.

La seconda fu scritta in dialetto napoletano, per il popolo e la borghesia che usava il dialetto quale linguaggio quotidiano.

Ippolito, oltre alle varie ricette, aggiunse in dialetto napoletano anche dei piatti per le ricorrenze importanti dell’anno: Natale, Capodanno, Pasqua ecc.

Il trattato di cucina teorico pratica, concepito in origine come una successione di cento menù suddivisi per carne, pesce, uova e cucina,  venne modificato nelle successive  ristampe che uscirono durante i venticinque anni di ricerca gastronomica del Cavalcanti.

L’autore indica come condire la pasta del tipo “vermicelli” con la “pummadora”: “Piglia i pomodori maturi, spaccali e levane i semi e quell’acquetta che c’è e li metti dentro una casseruola, scuotendola sempre perché si cuociano più presto; quando sono ben cotti passali al setaccio e fai restringere quel brodo sul fuoco, mettici il sale, il pepe e la sugna se ti servisse per condire i maccheroni o altro tipo di pasta piccola; se però ti servisse sul bollito, le uova, i polli, o il pesce, non metterai sugna, ma starà bene un poco di burro. Fatta questa salsa è eccellente per ripassarci i vermicelli, e allora se la condisci con l’olio vengono meglio e saporiti”.
È la prima volta di un abbinamento destinato a un grande avvenire; in precedenza i maccheroni si mangiavano con olio oppure burro e cacio grattugiato.


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Il pomodoro selvatico è originario del Sudamerica occidentale. Portato nell’America centrale, fu messo a coltivazione dai Maya, i quali svilupparono il frutto nella forma più grande che conosciamo oggi.

Anche gli Aztechi lo coltivarono nelle regioni meridionali del Messico. Fu qui che  Hernán Cortés lvide i pomidoro durante l’occupazione della regione, fra il 1519 ed il 1521.

Dal Messico i semi giunsero in Spagna al seguito di coloni e missionari, che prendendo a prestito il termine tomatl, usato dagli indigeni, denominarono tomate il nuovo frutto.

I dizionari fissano intorno al 1532 la prima attestazione in spagnolo della parola tomate.

Ma i tomate giunti dall’America erano due.

La parola azteca tomatl definiva genericamente una cosa rotondeggiante  A seconda del diverso prefisso indicava il pomodoro (xi-tomatl) o il tomatillo (mil-tomatl), un frutto piccolo e tondo, sempre appartenente alle solanacee, ma ad un genere diverso. Gli europei “colsero” solo il termine generico, creando confusione quando entrambe le piante – pomodoro e tomatillo – giunsero d’Oltreoceano.

Il tomatillo è caratterizzato da un involucro verde che si secca e si spacca al maturare del frutto interno, di un colore verde pallido tendente al giallo e tra gli Aztechi era più conosciuto del pomodoro. Cresceva in mezzo al mais e veniva usato nelle salse con il chili (peperoncino rosso) per fare la salsa verde messicana.

Gli studi botanici della seconda metà del ’500 testimoniano come pomodoro e tomatillo venissero confusi tra di loro.

In Italia venne inizialmente diffuso nelle zone  dominate dagli spagnoli: Regno di Napoli e Ducato di Milano. 

Come già detto nel primo post, Antonio Latini, scalco nelle cucine vicereali, a Napoli, nel  suo libro pubblicato nel 1692, descrive come usare la salsa di pomidoro  per accompagnare la carne:“salsa di pomodoro alla spagnuola», con cipolla, timo, «peparolo», sale, olio e aceto: “Piglierai una mezza dozzina di pomadore, che sieno mature; le porrai sopra la brage, a brustolare, e dopo che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il coltello, e v’aggiungerai cipolle tritate minute, a discrezione, peparolo (peperoncino) pure tritato minuto, serpollo in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accomoderai con un po’ di sale, oglio e aceto, che sarà una salsa molto gustosa, per bollito, ò per altro”.

Nel libro di Latini i pomidoro sono anche presenti in uno stufato di verdure con zucchine, melanzane e odori vari, nella cottura di carni; consiglia di non cuocere troppo i pomidoro.
I maccheroni non li condisce con salsa di pomidoro, ma secondo la tradizione, con salsa di formaggio e spezie.

Latini fu pioniere anche nell'impiego di un altro ortaggio giunto dal Nuovo Mondo, il peperone che utilizza per insaporire alcune salse.

Nel secondo volume del suo trattato, riservato interamente alle “vivande di magro”, Antonio Latini sembra precorrere una tendenza che emergerà solo nella seconda metà del Settecento, e cioè la sostituzione delle spezie orientali con i profumi  nostrani dell'orto. Insegna come “cucinare e condire vivande senza spezierie”, utilizzando al loro posto prezzemolo, timo e altre erbe odorose.

E i pomi d’oro  cominciarono a far  parte anche della dieta della plebe napoletana, sia come salsa per condire la pasta sia come ortaggio da gustare tagliato a pezzi.
 
Il cammino del pomodoro, a quel punto, tornò in America nelle valigie di cartone degli emigranti italiani insieme gli spaghetti, per poi diventare il simbolo della cucina fusion italo-americana.

Regina D'Autunno:
Io dico che è una delle invenzioni più belle di madre natura!  :fame:

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Il pomodoro fu introdotto in Spagna nella prima metà del’500, ma non ebbe diffusione, forse perché le varietà introdotte  contenevano solanina in quantità elevata, perciò indigesta. Perciò fu utilizzato come pianta ornamentale o medicinale e a scopo di studio negli orti botanici con una diffusione limitata. Solo successive selezioni varietali portarono il pomodoro alla sua completa commestibilità.

Dopo la Spagna  l’Italia, fu  la prima nazione europea a conoscere il pomodoro nei domini spagnoli sul territorio italiano: Regno di Napoli e Ducato di Milano.

In Sicilia il pomodoro è denominato “pumurammuri”, di derivazione dal francese “Pomme d’amour”,  forse fu la prima regione italiana che conobbe la nuova pianta,  infatti da questa regione provengono le ricette italiane più antiche a base di pomodoro, soprattutto sughi e conserve essiccate.

In Sardegna, altro  possedimento spagnolo fino al 1720, e nel  Nord Italia usano lemmi che derivano dallo spagnolo “tomate”.
 
Nel Centro-Sud Italia si usa chiamarlo pomodoro, “pommarola” a Napoli e “pammadore”, anzi “la pammadore”, al femminile,  anche nella provincia di Chieti.

La storia documentata del pomodoro in Italia inizia il 31 ottobre 1548 a Pisa quando Cosimo de’ Medici riceve dalla tenuta fiorentina di Torre del Gallo un cesto di pomodori nati da semi donati alla moglie, Eleonora di Toledo, dal padre, Viceré del Regno di Napoli.

In Italia la diffusione del pomodoro fu lenta, causa la diffidenza iniziale verso il nuovo frutto, non associabile a nessun cibo già conosciuto.

Nel ’700 cominciò il periodo della “sperimentazione” gastronomica, poi ebbe ampia diffusione dal XIX secolo.

Luigi Bicchierai, detto Pennino, dal 1812 al 1873 fu il titolare della locanda “al Ponte”, di Lastra a Signa, vicino a Firenze. Lasciò un diario e molte ricette. La prima ricetta, datata marzo 1812, è quella del “sugo della miseria”, una sorta di ragù fatto con i pomidoro e  la carne lessa. Non c’è alcun indizio che venisse usato sui maccheroni. 

La pasta  col sugo di pomodoro, simbolo della cucina napoletana, ebbe il connubio tardivo.

I maccheroni, quelli lunghi (spaghetti, bucatini, vermicelli) cercati dall’affamato Pulcinella, non si scolavano nel colapasta, ma si tiravano fuori dalla pentola con un forchettone e si mangiavano con le mani. Venivano conditi con cacio, soprattutto con caciocavallo o ricotta salata. Lo annota anche Goethe nel suo “Viaggio in Italia”. A Napoli nel maggio 1787: “I maccheroni si trovano da per tutto e per pochi soldi. Si cuociono per lo più nell’acqua pura, e vi si grattugia sopra del formaggio, che serve a un tempo di grasso e di condimento”.

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