Autore Topic: Arte e capro espiatorio  (Letto 909 volte)

Doxa

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Arte e capro espiatorio
« il: Marzo 17, 2023, 17:34:58 »
Arte e capro espiatorio
L’argomento “capro espiatorio” coinvolge la storia religiosa, la teologia, ma anche la letteratura.
Ma cosa s’intende per “capro espiatorio" ?
In modo puerile mi rispondo !

Capro: è il maschio della capra domestica.

Espiatorio: questo aggettivo allude alle preghiere o al rito sacrificale per ottenere da una divinità la liberazione dalla propria colpa.

Ergo,  la frase “capro espiatorio” (in inglese “scapegoat”)  indica un oggetto, un totem, un animale, ma anche  un individuo. A questi  vengono attribuiti i mali e le colpe di altri.

"Giorno dell’espiazione" (in ebraico Yom kippur).

Il sostantivo  “espiazione” deriva dal latino “expiare”, parola composta dalla particella intensiva “ex” (= fuori) e dal verbo “piare” (= rendere pio, puro). 

Espiazione di una colpa commessa e liberazione  da questa mediante l’accettazione e la sopportazione della pena inflitta a tale scopo.

L’espiazione tramite il sacrificio espiatorio

sacrificio espiatorio: è il modo con il quale un individuo o una comunità  cerca di ingraziarsi una divinità per  farsi perdonare da questa le colpe.

In tempi remoti venivano sacrificate persone: (neonati, bambini o adulti)  per avere il favore o il perdono divino.

Col passar del tempo i sacrifici umani  non furono più praticati  e sostituiti da gesti simbolici.

Per la religione ebraica l’espiazione è collegata al peccato commesso.

Dall’infrazione anche involontaria contro le prescrizioni stabilite dal patto che lega Israele a Dio, nasce una colpa oggettiva (1 Samuele 14, 2)  con effetti sanzionatori, punitivi, sul colpevole o su una comunità. 

Il capro espiatorio: con il sacrificio della vittima sacrificale  il peccato dell’offerente passava all’animale sacrificato e il perdono ottenuto passava all’offerente.

Nell'antica tradizione religiosa ebraica nel giorno dedicato allo Yom Kippur (= Giorno dell’espiazione), la comunità di Gerusalemme offriva due capri da sacrificare nel Tempio per l’espiazione dei propri peccati.

Il sommo sacerdote estraeva a sorte tra due "capri" (=arieti):

il primo veniva immolato nei pressi dell'altare dei sacrifici, collocato all'ingresso del Tempio.
Il sangue dell’animale veniva utilizzato in modo simbolico per purificare il tempio e l'altare profanati dai peccati degli Israeliti (vedi Levitico 16, 5 – 10).

Il secondo capro subiva una sorte diversa. Il sommo sacerdote poneva le sue mani sulla testa dell’animale e simbolicamente gli attribuiva i peccati del popolo di Israele. Poi il capro veniva portato in una zona desertica a circa 12 chilometri da Gerusalemme, dove, secondo la tradizione rabbinica, veniva precipitato da una rupe (Levitico 16, 20 – 22). Questo rituale permetteva alla comunità di essere “liberata” dai peccati.

La bestia non veniva offerta a YHWH perché i peccati che le erano stati attribuiti la rendevano impura, come tale inadatta ad essere vittima sacrificale.

Secondo molti esegeti questo rito è un esorcismo derivato da arcaici riti agresti preesistenti l'ebraismo.

Il rito è descritto nel capitolo 16 del Levitico, nella Mishnah (cap. 6) e nel Talmud, fogli 66 e 67).

In senso figurato con “capro espiatorio” s’intende la persona sulla quale si fanno cadere colpe non sue: “essere il capro espiatorio”, “fare da capro espiatorio”.
« Ultima modifica: Marzo 17, 2023, 17:43:08 da Doxa »

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Re:Arte e capro espiatorio
« Risposta #1 il: Marzo 18, 2023, 16:30:17 »
La “Celebratio passionis Dominis”: celebrazione della Passione del Signore  il venerdì che precede la Pasqua cristiana,  i fedeli commemorano la condanna, la tortura e la crocifissione di Gesù Cristo, il  “capro espiatorio”.

Caravaggio realizzò questo dipinto riguardante la fase della flagellazione di Gesù


Michelangelo Merisi, detto “il Caravaggio”, “Flagellazione di Cristo”, 1608 circa, olio su tela, cm 286 x 213, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

Il contrasto fra luce e ombra caratterizza numerosi dipinti di Caravaggio. Anche in questo lo sfondo scuro domina la scena, centrata intorno alla colonna dove è poggiato il Nazareno. Il suo corpo è illuminato da un fascio di luce.

Gesù, nudo, tranne che per il bianco perizoma che gli cinge i fianchi, ha la corona di spine sul capo chinato in segno di accettazione della volontà di Dio.

Intorno a lui ci sono due dei suoi torturatori. Quello di sinistra tira i capelli a Gesù, quello di destra gli lega le mani dietro la schiena facendosi forza con la gamba.

Un terzo uomo è in primo piano in posizione chinata mentre prepara il flagello (strumento di tortura), vicino la gamba sinistra del Nazareno.


Particolare dell’aguzzino in primo piano

Indagini ai raggi X hanno consentito di vedere che la tela è formata da tre distinti pezzi di stoffa, due con le stesse dimensioni sono uniti all’altezza dell’ombelico di Cristo, un altro, largo 17 cm, è aggiunto sul margine destro per completare il piede dell'aguzzino, con la realizzazione del suo tallone, che in origine era tagliato.

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Re:Arte e capro espiatorio
« Risposta #2 il: Marzo 19, 2023, 15:10:31 »
Nella simbologia dell’arte cristiana l’agnello che porta una croce rappresenta Cristo, l’Agnus Dei.


Matthias Grünewald, dettaglio dalla Crocifissione di Isenheim (1516). Musée d’Unterlinden, Colmar (Francia)


Il polittico fu realizzato fra 1512 e 1516.



Gesù Cristo affisso sulla croce: il suo corpo è segnato dalle ferite della flagellazione, ha il capo cinto da una corona di spine, le mani attraversate da chiodi, i piedi sono sovrapposti e tenuti insieme da un grosso chiodo;

guardando il dipinto, sul lato sinistro ci sono tre figure:

il discepolo Giovanni (evangelista) in abito rosso, i capelli biondi, è rivolto verso la madre di Gesù: con il braccio destro la sorregge dietro la schiena, invece, la mano sinistra stringe la mano destra di Maria, che indossa una bianca veste ed ha il capo coperto con il velo bianco; ha le mani giunte, imploranti verso il Figlio; la donna in ginocchio è Maria di Magdala indossa un ampio mantello rosaceo, anche lei ha le mani giunte rivolte verso Cristo;

sull’altro lato della croce, sulla destra, c’è Giovanni Battista, che indossa una rozza veste realizzata con peli di cammello, nella mano sinistra tiene il libro aperto delle sacre scritture, con l'indice della mano destra indica Gesù come Agnus Dei, simbolicamente raffigurato dall’agnello mistico vicino la gamba destra del battezzatore; l’animale, che con la zampetta destra sorregge la croce lignea addossata al corpo, ha il petto ferito e versa il sangue in un calice.

Sopra il braccio destro piegato del battista si vede una scritta: “Illum oportet crescere, me autem minui” (= Lui deve crescere; io, invece, diminuire), la frase è tratta dal Vangelo di Giovanni (3, 30).

« Ultima modifica: Marzo 19, 2023, 15:15:51 da Doxa »

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Re:Arte e capro espiatorio
« Risposta #3 il: Marzo 21, 2023, 09:11:42 »

Renato Guttuso, Crocifissione, olio su tela, (200×200 cm), 1941, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

In questo dipinto l’artista volle rappresentare non solo l’episodio evangelico della crocifissione di Gesù ma anche il dramma della seconda guerra mondiale, l’universalità e l’attualità del dolore.

L’intento di Guttuso non fu quello di raffigurare Cristo che muore per i peccati quotidiani, ma di simboleggiare l’umanità dolente.

Il quadro fu esposto nel 1942 al “Premio Bergamo” suscitando le ire del clero, perché considerato blasfemo e indecente.

Critiche arrivarono anche dal regime fascista , perché la scena allude alla guerra.

Questa provocatoria Crocifissione è significativa nella produzione dell'artista poiché riassume in sé sia la drammaticità del momento storico, sia l'anticipazione della componente ideologica che caratterizzerà la sua pittura, e più in generale il Realismo Sociale, negli anni seguenti.

In merito il pittore siciliano scrisse:

La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arrivava fino a noi. Mi pareva banale vestirli come ogni tentativo di recitare Shakespeare in frac, frutto di una visione decadente. Ma, d'altra parte, non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un quadro non un melodramma. Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da dire, è una tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c'è il paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta dalle bombe”.

Ed aggiunse: “La crocifissione deve essere il dramma di tutti gli esseri umani e in questo senso una scena comune. Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”.

La scena è ambientata in un paesaggio collinare, le case sono accennate, squadrate secondo lo stile cubista. L’abitato è vicino ad un fiume.

I vivaci colori danno una forte carica espressiva ai corpi dei personaggi e all’opera stessa.

La tela raffigura più persone.

Le tre croci con Gesù e i due ladroni non sono una di fianco all’altra e frontali come da secolare tradizione, ma disposte in diagonale, simile allo schema seguito da Rembrandt nel disegno “Cristo in croce tra i due ladroni”.

Il volto di Gesù non è visibile, perché coperto dalla croce antistante, ma è riconoscibile dal drappo bianco nel girovita e dalla corona di spine sul capo.

Un particolare interessante riguarda la figura di Cristo e di uno dei due ladroni: hanno i pugni chiusi, simbolo dei comunisti (Guttuso era iscritto al partito comunista), fu un espediente per manifestare il suo dissenso politico e culturale al regime fascista.

Ai piedi della croce di Gesù c’è la madre, nuda, con le mani alzate, mentre tenta di asciugare il sangue che esce dalla ferita nel costato del Figlio.

Dietro Maria c’è Maria di Magdala (la Maddalena), con l’abito giallo abbassato, le copre  soltanto la parte inferiore del corpo: è inginocchiata davanti la croce con le braccia spalancate.

Vicino la madre di Gesù, un’altra pia donna con vestito celeste, con le mani si copre il volto piangente, tra l’indifferenza dei due nudi carnefici:

uno, raffigurato di spalle, è in groppa al cavallo con il manto di colore blu. Nella mano destra sorregge un bastone tipo manganello.

In primo piano, sulla sinistra, a fianco  del cavallo con il manto bianco, il collo torto e la copertina sottosella di colore rosso sulla schiena, si vede l’altro carnefice a petto nudo:

nel palmo della mano destra ha due dadi;

con la mano sinistra sorregge l’asta con in cima la spugna bagnata con la posca: bevanda  dissetante, leggermente acida, poco costosa,  sata in epoca romana. Veniva prodotta miscelando acqua e aceto di vino.

Quando a Gesù agonizzante  sulla croce, gli venne offerto l’aceto  dai soldati romani, forse era la posca. Se fosse vero indurrebbe a pensare che essi abbiano compiuto un atto misericordioso e non lo scherno verso di lui:  “Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: ‘Ho sete’. Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: ‘Tutto è compiuto!’. E, chinato il capo, spirò” (dal Vangelo di Giovanni 19, 28 -30).
 
Ancora in primo piano, sulla destra, è raffigurata una natura morta non casuale: sul tavolo ci sono i chiodi e il martello, strumenti tradizionali per il martirio di Cristo, accanto ad altri oggetti della vita quotidiana: un coltello da cucina, un paio di forbici, una tazza, due bottiglie, una tovaglietta. Presentati in questo contesto divengono simbolo dei soprusi e della violenza che l’umanità è costretta a subìre.

Il cavallo bianco con il collo torto rimanda a quello presente nel “Guernica” che Picasso realizzò nel 1937.


« Ultima modifica: Marzo 21, 2023, 09:14:11 da Doxa »

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Re:Arte e capro espiatorio
« Risposta #4 il: Marzo 22, 2023, 08:39:53 »
Capitolo 18, versetto 23 dell’Apocalisse:
“In te non brillerà più luce di lampada,
e non si udrà più in te voce di sposo e di sposa;
perché i tuoi mercanti erano i prìncipi (=governanti)  della terra
e perché tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue magie”.
 
Magie,  "in che senso" ?

Il sostantivo “magia” allude alla presunta capacità (potere soprannaturale) di dominare le forze della natura mediante il ricorso ad arti occulte di natura malefica (magia nera) o benefica (magia bianca).

La parola “magia” entrò a far parte del vocabolario greco in seguito ai contatti con la Persia: nella religione zoroastriana, il mago era un sacerdote esperto in pratiche taumaturgiche e astrologiche.

Lo storico Erodoto informa che i maghi appartenevano ad una specie di setta  deputata a svolgere, per conto del re, riti funebri, divinazione e profezie (Storie I, 101).
 
Nell’antica Grecia il rito di purificazione simile al capro espiatorio era denominato “pharmakos”   (plurale “pharmakoi”). E pharmakos (= maledetto)  era detto l’individuo scelto per imporre simbolicamente su di lui i peccati della collettività e scongiurare le conseguenze nefaste nella polis.

Il reietto veniva espulso dai confini della città.

Dallo scrittore ellenico Istro (III secolo a.C.) e dal grammatico Ellàdio (IV secolo d.C.)  si apprende che ad Atene e in altre località della Ionia durante le feste denominate “Thargelia”, in onore di Apollo,  il 6 e il 7 del mese Thargelion (maggio) erano soliti espellere dalla comunità una coppia di persone che avevano commesso dei reati affinché la città fosse purificata. 

Il rituale comprendeva  anche un sacrificio in onore della dea Demetra e una processione.

Col tempo il termine Pharmakos venne ampliato di significato  e derivò il termine pharmakeus,  per indicare  una pozione magica, una droga,  ma anche il guaritore, il mago.

Un’altra variante semantica  è "pharmakon" che significa pianta curativa, veleno o droga. Da questa variante deriva il termine moderno "farmacologia".

Nell'Ellade venivano distinti  tre diversi tipi di magia :la pharmakéia, la maghéia e la goetéia.


Pharmakéia:  era quella collegata alla conoscenza delle erbe e dei loro principi medicamentosi (gli attuali erboristi). I cosiddetti “maghi” (maschi e femmine) si dedicavano come attività lavorativa alla farmacopea.  Per curare i malanni usavano erbe medicinali da somministrare ai pazienti e praticavano riti e rituali per invocare l’intervento di varie divinità al fine di guarire l’individuo.

Maghéia: era l’attività di derivazione ermetica, orientale, cabalistica, tramite la quale l'uomo colto poteva avvicinarsi ai misteri divini, alla ricerca della conoscenza e della perfezione.

Goetéia: era invece la cosiddetta “magia nera”, tramite la quale si commettevano anche dei crimini.

Un diffuso pregiudizio nei confronti delle donne voleva che queste fossero le più capaci nella pratica di goetéia; pregiudizio che continuò nel Medioevo tra le popolazioni,  anche per “merito” dei clerici e tenuto presente nei tribunali dell'Inquisizione.

Nell'antica Roma c’era il terrore delle streghe; ne è testimonianza il racconto che fa Trimalcione ai suoi commensali durante la cena descritta da Petronio Arbitro nel Satiricon, in cui un ragazzo muore e il suo corpo viene martoriato dalle streghe. Petronio conclude dicendo: “Esistono donne che sanno cose che noi non immaginiamo nemmeno, maghe notturne capaci di capovolgere l'ordine naturale delle cose”.

Pure Apuleio nelle “Metamorfosi” descrive una donna nell'atto di compiere riti magici nel chiuso del suo antro-laboratorio dove “Fanno bella mostra membra in gran copia strappate ai cadaveri dopo il compianto funebre e persino dopo la sepoltura”.

In ambito cristiano,  negli Atti degli Apostoli è citato il mago  Simone:  “C'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samaria, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: "Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande" (At 8, 9 – 10).

Il mago Simone dopo aver ascoltato le prediche del diacono Filippo si convertì al cristianesimo e decise di farsi battezzare. Successivamente, volendo aumentare i suoi “poteri”, offrì  del denaro agli apostoli Pietro e Giovanni: Simone, vedendo che per l'imposizione delle mani degli apostoli veniva dato lo Spirito, offrì loro del denaro, dicendo: “Date anche a me questo potere, affinché colui al quale imporrò le mani riceva lo Spirito Santo".  Ma Pietro gli disse: ‘Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai creduto di poter acquistare con denaro il dono di Dio’ ” (At 8, 18- 20).

Dal nome di questo cosiddetto “taumaturgo” e dal suo tentativo di poter commercializzare in modo peccaminoso beni sacri spirituali deriva il sostantivo “simonia”: questa parola allude alla compravendita di cariche ecclesiastiche o l’acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro.

Dante Alighieri nella “Commedia” collocò i simoniaci fra i dannati nella terza bolgia dell’ottavo cerchio nell’Inferno (Canto XIX).  Sono condannati a restare capovolti all'interno di fori nella roccia, con una fiamma rossastra che brucia sui loro piedi. Quando sopraggiunge un nuovo dannato entra in uno dei fori e fa  sprofondare in basso gli altri. Tale pena segue questo  contrappasso: come in vita "calpestarono" lo Spirito Santo  vendendo i posti ecclesiastici, ora lo Spirito Santo (sotto forma di fiamma) brucia loro i piedi.


Gustave Doré, Dante e Virgilio nel cerchio dei simoniaci.

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Re:Arte e capro espiatorio
« Risposta #5 il: Marzo 22, 2023, 16:11:24 »
Molto interessante, la tua cultura è incommensurabile.