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Topics - lestart74

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Presentazioni / Mi sto presentando
« il: Febbraio 14, 2012, 17:31:44 »
Buongiorno a tutti.
Mi chiamo Luciano e mi sono iscritto a questo forum proprio oggi, per trattare argomenti interessanti. Scrivo da molto tempo, racconti, poesie, qualche romanzo, cerca ancora una pubblicazione non a scopo di lucro come certe che ti ingannano e poi arrivederci e addio soldi. Certo non nascondo che con i miei romanzi vorrei poter guadagnare denaro ma solo il fatto che lo userei per altre idee da svillupare come un film che ho anche scritto la scenografia...  Sono sempre interessato a tutto ciò che viene rappresentato come scrittura libera e creativa. Spero di contribuire per la crescita del forum, scambiando opinioni per migliorare sempre la capacità di espressione, sia per me, che per tutti coloro che frequentano questo ambiente virtuale. spero soppratutto contatare qualche persona che mi aiuti realizzare tutto quello che vorrei fare...grazie di cuore mi aspetto messaggi belli da tutti voi...

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Altro / Iko il Gladiatore Capitolo 3
« il: Febbraio 14, 2012, 17:20:23 »
IKO IL GLADIATORE
CAPITOLO 3
 
Di Andrea Contenti
 
Anno: 1184 a.C.
 
Luce. Non era altro che un vortice di luce. Sospeso nell'aria, in un vuoto sconfinato. Un turbinio di luci, che circondava il suo corpo sospeso nel nulla. Nessun suono. Nessuna sensazione fisica. Ma il tormento che sentiva, nel profondo del suo animo, quello era reale. Lo permeava, quasi soffocandolo. Poi, all'improvviso, una voce. In quel vuoto misterioso, dominato da quella luce che lo avvolgeva, percepì una voce. Una domanda.
Chi sei?
Si sforzò di dire qualcosa, ma fu tutto vano. Non riusciva a percepire il suo corpo fisico. E quindi nemmeno una bocca da cui far uscire delle parole. Poi quella voce si ripeté.
Chi sei?
La luce aumentò d'intensità, avvolgendolo ancora di più, fino a quando non vide altro che un immenso bagliore.
 
Quando Iko riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu una luce tremolante dinnanzi a lui. La vista era appannata, forme e colori indistinguibili. Ma non era la stessa luce di prima. Ora poteva percepire il suo corpo, i dolori provenire dalle ferite di battaglia non ancora pienamente cicatrizzate. Sentiva il calore su di lui e un torpore in tutto quanto il corpo.
Sognavo?
Poi la vista gli tornò. Quella luce e quel colore provenivano da un piccolo bracere, poco dinnanzi a lui, sul terreno. Vi era della legna e un fuoco. Iko si guardò attorno: era notte, con il cielo cosparso di stelle. Si trovava in quella che doveva essere la cima di una piccola collina. Attorno a lui vi erano dei grandi blocchi di pietra, alti quasi tre metri, che formavano una struttura circolare, del diametro di circa venti metri. Era evidente che erano stati disposti in quel modo volutamente, per opera dell'uomo. Soffiava una leggera brezza di vento, di un freddo pungente, ma il fuoco era quanto bastava per scaldarlo un po'. Si accorse poi che sulle spalle aveva un mantello, adornato con della lana di pecora, di quelli che erano soliti usare i pastori. Non ricordava come fosse arrivato lì: l'ultima sua memoria era quella di stare camminando, assieme a due persone. Poi più niente, il buio totale.
Iko era immerso in mille domande quando gli sembrò di sentire un rumore. Dei passi. All'improvviso, una figura umana fece capolino da dietro uno di quei grandi massi. Vide così comparire dinnanzi a sé un vecchio, canuto e con una folta barba bianca. Doveva avere più di settant'anni. Indossava una tunica di color rosso porpora, finemente lavorata, di quelle che a Troia erano soliti portare solamente i sacerdoti. Era però logora, sporca, in alcuni punti si notava che era stata ripetutamente rammendata. Sulla testa il vecchio portava uno strano diadema, una catenina dorata che sulla fronte si congiungeva a quella che gli sembrò una pietra preziosa, di color rosso sangue.
"Chi sei?" gli chiese, con la voce ancora tremolante. Il vecchio continuò a guardarlo per alcuni istanti, con un'espressione tranquilla e rilassata. I suoi occhi, tuttavia, non nascondevano una certa curiosità verso la sua persona. L'anziano fece qualche altro passo, avvicinandosi al fuoco, e mentre si metteva seduto su un lastrone di roccia, gli rispose.
"Chi sei tu?"
"Perché sono qui?" chiese ancora Iko, frustrato.
"Perché sei nato." rispose l'anziano, con enigmatica naturalezza.Iko distolse lo sguardo, irritato da quelle risposte. Gettò gli occhi sul fuoco, stringendo ancora di più la coperta, nel tentativo di riscaldarsi. In quel momento, infatti, si era sollevato un vento freddo e il gelo era tornato all'assalto del suo corpo. Tornò poi con gli occhi a fissare quello strano individuo, che nel frattempo non aveva mai smesso di guardarlo.
"Perché sono vivo?" chiese questa volta.
L'anziano sorrise, poi fece: "Beh... questa è la domanda, non è vero?"
Iko si sentiva preso in giro.
"Ti dispiace se condivido il fuoco con te?" chiese il vecchio, avvicinando le mani alle fiamme che scaturivano dal piccolo falò. Iko non rispose, si limitò ad guardarlo mentre si sedeva su un lastrone di roccia vicino al fuoco.
 
"Stavi sognando." fece il vecchio.
"Sì."
"Che cosa?" chiese il vecchio.
Come prima, Iko non rispose. Nella sua mente vi era un caos di ricordi, al quale cercava invano di dare un ordine.
"Stai ancora pensando ad un modo per andartene, non è così?" proseguì il vecchio, ignorando il fatto di non aver ricevuto una risposta alla sua domanda precedente. "Non lo fare. Non c'è modo di fuggire da se stessi. Arrenditi e basta. Come ho fatto io, tanti anni fa."
A questo punto Iko, pur non avendo alcuna idea di chi fosse quella persona, tirò fuori un po' della rabbia che covava dentro di sé e si sfogò apertamente.
"Sono prigioniero delle mie responsabilità. La mia patria è perduta, e condivido questa colpa con tutti coloro che sono sopravvissuti. Sarei dovuto morire a Troia, con tutti gli altri. E invece no... gli dèi hanno voluto che Iko restasse in vita, prigioniero delle sue colpe. Dalle quali tenta di fuggire."
Il vecchio non si scompose. Anzi, sembrò apprezzare quell'improvviso impeto che aveva dimostrato Iko.
"E così... se si è prigionieri dell'amore, si deve fuggire nella solitudine? Se si è prigionieri della gioia, si deve fuggire nella tristezza?"
A quel punto Iko tentò di alzarsi in piedi, ma sentì subito il dolore prendere possesso delle sue ginocchia. Si rimise subito a sedere, senza nascondere la rabbia e la frustrazione.
"Vedo che sei ancora irritato dal fatto che non voglio dirti il mio nome." proseguì il vecchio. "Ma che differenza fa? Se ti dicessi che mi chiamo Nerion, cosa te ne verrebbe? Non ti direbbe nulla di me, ma mi metterebbe in svantaggio. Le parole sono importanti. E i nomi sono potenti."
Quello strano uomo alzò improvvisamente la mano destra verso il cielo, puntando i suoi occhi verso le stelle. Poi continuò.
"C'è chi dice che il mondo iniziò con una parola, lo sai? Ma cosa è venuto prima, la parola o il pensiero che ha generato la parola? Non si può creare un linguaggio senza il pensiero. E non si può concepire un pensiero senza il linguaggio. Per cui, chi fu a creare l'altro e così facendo, a creare il mondo?"
 
"Cosa sei, vecchio?" chiese Iko. "Uno di quei filosofi pazzi che vivono nei boschi, farneticando sciocchezze sulla natura delle cose?"
"Può darsi." si limitò a rispondere Nerion, sorridendo. "Fin da quando ero bambino, io ho osservato il cielo notturno. Da sempre, ho seguito il movimento degli astri. Cercando di capirlo, di comprenderlo. A tutte le domande che mi son posto nella mia vita, ho cercato di dare risposta semplicemente alzando lo sguardo. Le stelle rivelano cose che pure gli dèi ignorano."
"Secondo me, vecchio, tu hai sprecato una vita guardando il cielo, senza tener conto di quello accadeva nel mondo. Io ho vent'anni, e non ho mai guardato le stelle, ma ho imparato a guardare sempre gli occhi dei miei nemici. Ho imparato fin da bambino a combattere e brandire spada e lancia. Ho servito sotto il grande Ettore di Troia. Ma questo ormai è il passato: ora sono senza patria, senza più amici, senza più nemici."
 
"Io ho servito alla corte di Menesteo per undici anni." disse l'anziano, con gli occhi ancora puntati al cielo.
"Menesteo? Il re di Atene?" fece Iko, sorpreso. E non poteva non esserlo: Menesteo era uno dei sovrani greci che aveva partecipato alla guerra di Menelao, re di Sparta, contro Troia.
"Colui che hai servito per così tanto tempo è fra coloro che hanno partecipato al saccheggio e alla distruzione della mia città. E fra gli Achei stessi è noto per la sua vigliaccheria."
"Ho detto di aver servito alla sua corte, non di ammirarlo." rispose, con voce calma e pacata, l'anziano esegeta.
"Si dice che un giorno, mentre Agamennone ispezionava le truppe, lo trovò nascosto e tremante nelle file più indietro. Aveva paura di combattere noi Troiani." continuò Iko, condendo le sue parole con rabbia e vergogna. "Eppure anche lui era nel cavallo di legno che ingannò il nostro re Priamo. La presenza di un vile fra coloro che hanno bruciato la mia città getta ancor più disonore sulla nostra sconfitta!"
"No..." fece Nerion, "tutto questo è superfluo. Vedo che sei fin troppo avvolto dalla tua domanda, come ora ti avvolgi in quella coperta, per considerare i veri problemi."
"Quale domanda?"
"Chi sei?"
"Di che cosa blateri, vecchio..."
"E' una domanda pericolosa, vero? Nessuna risposta è mai veramente giusta. Credo sia quello lo scopo. Ora, che cosa sei tu, invece... questa è una domanda a cui posso rispondere nel tuo caso, almeno. Tu sei morto."
"Smettila!"
"Da quanto ti trovi qui?"
"Non lo so... un giorno, forse due?"
"Il sole è sorto e tramontato nove volte. Non hai mai mangiato, eppure non ti vedo affamato. Hai fame? Sete? Il sangue scorre ancora nelle tue vene? Lo fa?"
Iko sbarrò gli occhi, prima di portarsi la mano alla gola, cercando il pulsare della giugolare. Ma non sentì nulla. In un attimo raggelò.
"Non sento niente!"
"Perché, mio riluttante amico... tu sei alquanto... morto... eppure cammini ancora tra i vivi... voglio dire, questo non mi sembra l'Ade, o mi sbaglio? E il cielo, questa notte, è chiaro in quello che mi dice. Le stelle indicano un cammino ben chiaro, per te."
Gli occhi di Iko si riempirono di paura e sgomento. La confusione e il turbamento, nella sua testa, avevano raggiunto un livello ormai intollerabile.
"Qual è l'ultima cosa che ti ricordi prima di svegliarti qui?" chiese Nerion.
"Stavo cadendo. Sono caduto... a lungo. Sembrava non finire mai. Poi forse delle persone, che mi parlavano. Un uomo e una donna. Ma altro non ricordo. La sensazione più forte, nella mia memoria, è quella di cadere."
"Nulla va avanti all'infinito. Né le cadute, né io, né te... né l'amore, né la vita. L'entropia consuma ogni cosa. Tutti noi tocchiamo il fondo, prima o poi. E tu... hai toccato il fondo?"
"Io... non ricordo..."
"Ci sono solo due possibilità: se tu Iko hai toccato il fondo, allora sei morto. Se non hai toccato il fondo... allora stai ancora cadendo, e tutto questo è un sogno. A meno che... tu non ti trova nel mezzo."
"Nel mezzo di cosa?"
"Tra i due momenti. Quando nasciamo ci vengono assegnati un numero finito di secondi. Ogni sorgere del sole taglia via una parte di noi. Un giorno. E una possibile gioia se ne va. Un altro giorno. E una parola sbagliata chiude una via o ne apre un'altra. Giorno dopo giorno. Sempre in lotta con il tempo. E il tuo non è ancora finito. Tu sei nel mezzo dei momenti, perso tra le infinite possibilità dei giorni che verranno."
A quel punto Iko perse la pazienza, fece un improvviso scatto in avanti e afferrò Nerion per il collo, con violenza, fissandolo dritto negli occhi.
"Chi mi dice che non ci sei tu dietro a tutto questo? Dove sono le persone che mi hanno portato qui? Chi sei tu?"
Il sorriso che fino ad allora aveva accompagnato le parole del vecchio scomparve, sostituito da uno sguardo severo e imperturbabile. Fissò dritto negli occhi di Iko, il quale si sentì penetrare a fondo nella sua anima. In un istante, ebbe un flash nella sua mente. Rivide quella luce, quella luce intensa che lo avvolgeva poco prima, quando ancora stava dormendo. E sentì di nuovo, dentro di sé, quella voce, quella voce immensa, e quella domanda.
Chi sei?
Turbato da tutto ciò, lasciò la presa dal collo del vecchio, portandosi le mani sul volto, come se fosse pervaso da un forte dolore. Nerion, perfettamente tranquillo, si rimise a sedere sul lastrone di roccia.
"E' più vicino ora, vero?" si limitò a dirgli. "Sì, lo vedo. Ma più vicino alla vita o più vicino alla morte? Questo io non lo so. Solo il tempo lo dirà. E tu, che sei sospeso tra i due momenti, hai tutto il tempo del mondo."
 "C'è stata una guerra, là fuori! Migliaia di uomini, donne e bambini sono morti! Non te ne importa nulla, vecchio?"
"Certo che me ne importa. E' una cosa terribile quando i bambini si uccidono fra di loro."
"I bambini?"
"Provai ad avvisare Menesteo, di non partecipare a questa futile guerra, quando essa iniziò, ormai dieci anni fa. Ma fui cacciato da Atene, e lui partì con cinquanta navi, rispondendo all'appello di Agamennone e Menelao. Bambini. Bambini che si uccidono fra loro per un giocattolo rubato. E io venni qui, in questa terra di Tracia, per trascorrere i miei ultimi anni in compagnia di quelle stelle che da sempre, fin da infante, ho avuto il piacere di seguire."
Iko tornò a sedersi vicino al fuoco, ancora tremante e sgomento. Si appoggiò alla roccia e si avvolse nel mantello, come a cercare un conforto. Passarano alcuni minuti, che sembrarono secoli. Poi Nerion riprese la parola, alzandosi in piedi.
"La guerra di Troia è finita. Tutto quel che ne resta è un ricordo, che vivrà nelle generazioni future. Per sempre." concluse Nerion. "Ma la tua guerra, Iko, quella non è ancora terminata."
"Sono stanco del tuo blaterare, vecchio." fece Iko, con arroganza. "Sono sempre le tue stelle a dirtelo?"
"No, Iko. Non sono le stelle. Sono i tuoi occhi. Gli occhi di un uomo sono come le stelle. Indicano un percorso, un cammino. Ed è ora che tu segua il tuo. Non potrai restare sospeso fra i due momenti per sempre."
Queste ultime parole giunsero più tenui alle orecchie di Iko. Si sentì improvvisamente pervaso da una sensazione di torpore, come quando si era svegliato, poco prima. Gli occhi divennero pesanti, le forze iniziarono ad abbandonarlo. Cercò di resistere, invano. La vista tornò sfuocata, la figura di Nerion, dinnanzi a lui, divenne una forma vaga e indefinita. Si stava addormentando di nuovo. Poi tutto il tuo essere cadde nuovamente nelle tenebre.
 
Passarono alcuni secondi. O almeno così gli sembrò. Quando riaprì gli occhi, fu quasi accecato da una nuova luce. Ma questa volta capì subito che non era nulla di strano: era il sole, alzatosi alto nel cielo. Era giorno. Poteva sentire i versi degli uccelli fra gli alberi, il vento accarezzargli il volto. Il fuoco nel bracere si era spento: di Nerion, il vecchio, non ve ne era alcuna traccia. Era stato un altro sogno? Si era immaginato tutto? Si stava ancora ponendo queste domande, quando sentì improvvisamente una voce femminile dietro di lui, non molto lontana. Mentre si voltava, sentì le parole che accompagnavano quella voce.
"Come stai?"

Ora sono Io che scrivo lestart74 cerco altri scrittori per continuare la storia vediamo dove si arriva forza con la fantasia

Saluti da Luciano

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Altro / Iko il Gladiatore Capitolo 2
« il: Febbraio 14, 2012, 17:17:27 »
Di Lorenzo Ramadoro

IKO IL GLADIATORE
Capitolo due


Lei scappava, con balzi ampi, con un sorriso splendido. Di tanto in tanto la vedevo spuntare nel fitto della boscaglia, per riapparire d’innanzi ai miei occhi in una piroetta. Mi chiamava con la soavità di una voce vellutata, Pochi ne conoscevano la vera essenza, il motivo per il quale elle esistevano,  Uno scopo recondito nascosto nella forma, Elle  erano una di quei rari esempi in cui l’apparenza rivelava la verità. Ed io l’avevo già assaporata, ne conoscevo le emozioni, ne scorgevo le il pulsare ritmico indicato da quei flussi di luce, cambi di intensità, di venature.
Era una visione, non credo esista altro modo di definire quello scintillio di energia,  Occhi perlacei fissavano l’infinità dei cieli come fosse il nulla attorno.
Stavo giocherellando con una dolce ninfetta sottratto alle pene del mondo riverso davanti ai miei occhi, La sua danza limpida solleticava istinti di sfumature varie, dai più soffusi candori dello spirito, fino ai reconditi recessi della carnalità, I suoi capelli riflettevano la luce in un prisma di calori, La pelle porpora  si fletteva all’esigenze della danza assumendo toni violacei e azzurra. Pareva di  vedere un ammasso di luce volteggiare sulla spiaggia, quasi fosse una preghiera di vita vorticante sull’abisso.
Ogni volta punzecchiavano c i miei sensi… quelle  creature m’imprimevano dentro una possibilità di quiete, un puro senso di inconsistenza, Non ero più quel satiro vecchio che troppe volte era rimasto accigliato dagli atti indegni  cui avevo presenziato.
Alzando lo sguardo in cerca di quella bellezza sfuggente vidi l’uomo, a cavalcioni di un grosso ramo con la schiena poggiata sul tronco, Non c’erano tracce che portavano a quell’albero, pareva essere giunto direttamente dall’interno di quella foresta preclusa agli umani. 
Mi avvicinai per capire meglio i dettagli di quella bizzarra storia  e così fece anche lei. Rapidamente salì sulla pianta ritrovandosi faccia a faccia con l’uomo.
«E’ addormentato» constato lei.
«Buttalo giù di lì» ribattei io.
Notando la sua perplessità, aggiunsi con fermezza «Buttalo che lo prendo al volo, non si farà male.»
La ninfa afferrando la gamba dell’uomo lo fece cadere di sotto, ed io lo cinsi al volo poggiandolo sull’erba.
Scombussolato da quel trambusto l’uomo si destò,  Non appena ripresosi chiese « sono morto?»
«Direi che sei al di là di quanto è concesso agli uomini ragazzo, ma sei vivo.»
«Non sono un ragazzo!» controbatté,  «non sono un ragazzo!», ripeté indignato.
«Considerata la differenza d’età  che c’è tra te e noi direi che sei un ragazzino.»
«Siete immortali?» domando, Pareva che la mia spiegazione l’avesse rabbonito.
«Forse, non so bene quanto ci è concesso vivere, ma siamo qui da molto tempo, anche se non proprio  dall’inizio»
«E tu chi sei? » chiese rivolgendosi alla ninfa.
«Sono una ninfa, vengo dalla luce.»
«Luce… acqua, quel mostro! » bisbiglio l’uomo. 
Era chiaro che stava rimuginando qualcosa, ricordi, forse legati al suo arrivo sull’isola.
«Di che mostro parli?»
«Aveva denti, tanti denti taglienti, non era umana, i denti erano, come dire, uno dietro l’altro, come se ci fossero tante bocche una dentro l’altra.»
«Se aveva più file di denti era uno squalo, o …»
«Non era un pesce, non del tutto almeno, era per metà donna, le onde mi trascinavano verso lei.»
«…una sirena, una delle tribù cannibali.»
«Poi le onde cambiarono direzione, mi spinsero lontano, mentre qualcosa tratteneva quella bestia.»
«Hai visto altro? Cosa tratteneva la sirena?, aveva una forma?» chiese la ninfa.
«No, ero già lontano quando quel mostro venne bloccato, era buio, non vidi bene.»
«Impossibili dire cosa fosse» affermo la ninfa.
 «Qualunque creatura ti abbia trascinato fin qua, sarai un piacevole diversivo» constatati con una punta di cinismo.  «Hai una moglie che ti aspetta?»
«Non ero sposato, i miei genitori  erano morti, e non credo che a Troia ci sarà più nessuno ad attendermi, solo nemici con le spade sguainate.»
«Dunque puoi restare… Mi era giunta voci di una guerra a Troia, ma non sapevo fosse caduta.»
«Vittima di un inganno di un subdolo tranello.»
«Non ci sono tranelli in guerra, non c’è giustizia, solo un vincitore, ricordatelo ragazzo. Le guerre si fanno quando si ritiene siano necessarie e le si può solo vincere o perdere. Voi occidentali dovreste imparare qualcosa da Sun Tzu.»
«Non so di cosa parli. Ma se non c’e onore in guerra, cos’era lo scontro tra Ettore e Patroclo?, cosa il duello tra Il nostro comandante e Achille?»
«Esibizioni, diversivi, illusioni per far dimenticare la crudeltà di un conflitto, per ritinteggiarla di gloria.»
«Dunque non c’era gloria nella difesa estrema della nostra città? In quell’ultimo disperato tentativo di salvare la nostra patria?»
«L a patria… sì, giusto» dissi malinconicamente,  «ragazzo, lascia stare per ora questi discorsi ed appoggiati a me, vieni, andiamo.»
L’aiutai ad alzarsi e ci apprestammo in direzione del villaggio, di quella che ero ormai rassegnato a chiamare casa.       

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Iko Il Gladiatore


Sotto l’azione delle genti settentrionali e i flussi migratori verso le isole dell'Egeo e le coste dell'Asia Minore, in cerca di  terre coltivabili e di materie prime, portarono a un progressivo spopolamento di alcune regioni. Nasce la popolazione dell’antica Grecia del secolo VIII A.c, In conoscenza del progressivo allentarsi dai legami tanti navigatori e mercanti alla ricerca di materie prime come l’età del ferro che fu un progressivo uso sostitutivo del bronzo. Le armi erano molto più resistenti e al confronto del bronzo riuscivano a spezzare le ultime con facilità. Con queste ricerche e estrazioni di ferro nasce una popolazione con aiuto di terre nuove e perfettamente agibili da poter edificare per raccolto e inizio urbanistico. In queste terre trovano anche molti animali per allevamento. Cosi a poco a poco la gente fondò la Antica Grecia  una nuova civiltà aveva sostituito le rozze e ladre di prima… uso della milizia era importante ma c’era anche molto intelligenza che riuscivano a creare cose che non erano forse possibili…molto prima… Nasce il primo palazzo politico che fa unire la loro legge in un unico sistema di controllo chiamato tra lo città “Polis” ovvero città stato della propria regione confinante su tutta l’isola. La storia nasce anche i miti come i racconti della mitologia Greca come dell’Elide che narra la nascita “dei” sul monte olimpo e i loro gesti al contatto della civiltà umana, la nascita degli eroi e semi dei che fanno modo di percorrere la storia tra leggenda e mito…tra falsità e verità… nasce un nuovo modo di vedere quello che c’e intorno. I più narrati. Erano Patroclo che era amico di Achile che era molto ammirato della sua potenza che voleva imitarlo fino allo scontro con Ettore il principe della città più inespugnabile “Troia” nemica del commercio e per la Grecia. Lo scontro finì male Patroclo, mori tra le braccia di Ettore che aveva creduto che fosse Achile e non il ragazzo che aveva davanti. Achile a sua volta sfido Ettore sotto le mura della città di Troia e vince uccidendo e disonorando il proprio avversario legandolo alla propria biga e trascinandolo dietro per diversi metri solo per far vedere la sua potenza a tutti. Achile è battuto dal fratello d’Ettore Paride con l’aiuto divino dei Dei  che avvolte anche loro si facevano guerra anche tra loro. La città di Troia fu conquistata e distrutta con l’astuzia di un uomo di nome Ulisse che elide ne fa quasi un romanzo delle sue avventure. Tra i suoi soldati e compagni d’avventure c’era un guerriero di nome Iko, aveva appena l’età di vent’anni era un abile combattente e ben visto da Ulisse era arrivato nell’antica Grecia a bordo di una nave da un territorio lontano dalla stessa civiltà greca, di lui non si sa nulla solo le sue gesta e azioni raccontano la sua ascesa. Vestito da un’armatura scintillante e uno scudo potente scende dal cavallo trovato e portato dai troiesi nella città. Quella notte Iko fu un vero combattente, uccise tanti soldati nemici per la sua agilità e maestria nell’uso della sua spada. Nella stessa notte fu colpito e ferito da un soldato. Il suo corpo si trascinò vicino a una finestra di una torre e cade giù in mare aperto. La caduta lo avrebbe ucciso sicuramente e Ulisse aveva visto tutto da lontano da non poterlo aiutare. Ora il suo corpo era immerso nel mare, era svenuto a non era morto la sua forza era indescrivibile. Nel passaggio di una nave mercantile, fu pescato e aiutato per cosi dire dall’equipaggiamento ne fu fatto subito prigioniero e schiavo per tirare i remi della nave.

Fine del capitolo

Bene gentili curiosi e lettori se volete che le gesti di Iko continua me lo dovete dire scrivendo un commento con ipotesi di come la gente  possa immaginare come va la storia di mistero e fantasia con due tipi di soluzioni che sta a voi decidere basta un commento..  vi aspetto in tanti

1 Iko prigioniero cerca di liberarsi nella notte e uccide il capitano della nave e ne prende il controllo?

2 Iko mentre è prigioniero, la  nave viene attaccata dai nemici, solo due superstiti?


Scritto da Lucianomassimo Luciani
Creato da Lucianomassimo Luciani

Continua   dalle vostre votazioni o fantasia che riuscite immaginare

Ogni nuovo capitolo e scritto da altri scrittori ingrandiamo il racconto...



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Fantastico / Quando i Dei non sono quelli che ti aspetti...
« il: Febbraio 14, 2012, 17:04:21 »
La cantina dei racconti dello zio Luxsor

Presenta

Il ciclope


Il monte Olimpo, la più alta vetta della Grecia, dove ci regnavano gli Dei come Zeus, Giunone, altemide, Atena, e altre divinità. Ma nelle profondità del monte Olimpo c’erano creature chiamate ciclopi, erano giganti con un solo occhio al centro della fronte, sono dei schiavi con scarza intelligenza e non credevano agli Dei. All’incontrario degli esseri umani che vivevano al di sotto del monte con la grande fede per la loro devozione agli Dei. Un giorno nacque un ciclope che odiava ciecamente i Dei perché gli avevano fatto morire i genitori, tutto era successo quando lui era ancora piccolo. Fin da giovane si cerco il cibo da solo, a volte quando aveva molta fame andava nei villaggi era soprannominato  Polifemo. Un giorno Il giovane ciclope volle sapere chi aveva ucciso i suoi genitori e seppe da un vecchio ciclope che era stato Eros il Dio dell’ amore. Polifemo non avrebbe mai creduto che un Dio dell’amore potesse arrivare cosi tanto. Infatti lo strano e misterioso vecchio ciclope uso un potere di fagli vedere una realtà falsa al povero polifemo che vedendo queste immagini cosi crudeli nei riguardi dei suoi poveri genitori divenne infuriato, lui giuro vendetta. Ma in realtà quell’innocente vecchio ciclope non era altro che Hades il re dell’ade, egli gli aveva suggerito il Dio sbagliato per proposito per fare scoppiare una lite tra Dei e ciclopi. Non passo molto che il ciclope Poliremo era li pronto in ogni istante per prendere Eros e ucciderlo con le sue stesse mani. Il ciclope sapeva molto bene che per adesso non poteva fare nulla, perché Eros essendo un Dio era dotato di poteri tanto incredibili che solo un gesto di mano e la morte era servita. un giorno Polifemo stava seduto su una pietra e da poco più lontano senti delle strane grida e andò ha vedere, scopri il Devoto Zeus che stava maltrattando per piacere degli uomini, anche se loro lo imploravano in ginocchio. Zeus era terribilmente giocoso si divertiva tirare saete agli uomini davanti lui. Polifemo lo vide e gli disse che se non avrebbe tolto i poteri ha Eros, avvertiva gli altri Dei dell’accaduto ma soprattutto lo avrebbe riferito a Giunone sua moglie che lo punirà fino hai tempi nuovi. Allora Zeus accetto lo strano patto con il giovane ciclope per non fare sapere nulla al gli altri Dei. Con un raggio colpi Eros e gli tolse i suoi poteri per un solo giorno. Polifemo non aspetto che il momento più adatto, andò verso Eros ancora incredulo per la punizione divina che aveva presso da Zeus per un motivo che ancora non capiva, ma non lo scopri mai perché l’incontro con Polifemo gli fu fatale. Eros fu strangolato dalla forza di Polifemo in pochi istanti. Afrodite seppe che suo figlio Eros era stato ucciso da un ciclope, il suo informatore era un barbagianni passato su di un ramo di un albero aveva visto tutto il misfatto e lo riferì subito a Afrodite, quando seppe questo, prima scoppio in lacrime poi si informò chi era stato ad uccidere suo figlio e non ci volle molto per scoprire che era stato il ciclope Polifemo. Un giorno mentre lo stava cercando lo vide seduto su una roccia ha riflettere su quello che veramente aveva fatto. Afrodite si avvicino con delicatezza sotto spoglie di una giovane ciclope femmina, gli chiese il suo nome. E quando lo seppe lo lego su di un filo ha testa in giù. Chiamo le sue guardie per farlo torturare a morte. I soldati di Afrodite lo torturavano con tutto quello che gli capitava tra le mani spade, daghe, lance bagnate dal suo sangue. Le torture continuavano giorno e notte senza mai una pausa facendogli solo qualche graffio niente di più. Dopo tre giorni cosi di grande sofferenza arrivo Afrodite che or mai era stanca, di lui che concentrò tanta potenza in una sola mano creando un raggio che spacco in due il povero ciclope che ormai era morente. Polifemo mori senza mai sapere il vero nome dell’assassino dei suoi genitori, e il suo mandante che non era altro che hades che ora si divertiva alle spalle di polifemo prendendo la sua l’anima per sempre. Zeus presso da un forte senso di colpa per il fatto di essere l’artefice della morte di Eros e Afrodite si vendico ma rimase nello stesso tempo vuota perché ora vicina lei non c’èra più il suo figlio Eros. Tutto questo solo per un gioco meschino chiamato Fato. Molto più tardi scoppio una grande guerra ciclopi e gli Dei dell’olimpo, ma questa è tutta un’altra storia… 

La fine 19/04/88

Scritto da lucianomassimo luciani         

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Umoristico / un racconto comico che spero che faccia ridere
« il: Febbraio 14, 2012, 17:01:34 »
La cantina dei racconti dello zio Luxsor

Presenta

La sfortuna è il mio mestiere

Un giorno qualunque, un signore di nome Mao passeggiava per le vie del paese, fu un vero caos, stava succedendo il fine mondo, il passaggio di questo strano individuo aveva messo in crisi qualsiasi oggetto elettronico. I semafori che davano i numeri, i poveri automobilisti che non riuscivano capire cosa stava succedendo, ma sopratutto i gatti che cadevano dai palazzi senza un motivo valido e logico, altri gatti che lo seguivano come se fossero in amore per lui. A passo a passo il povero Mao. Tutto questo era derivato dalla sfortuna che emanava l’aura che riusciva a conteggiare tutti come un grave virus. Mao era un bravo avvocato, ma sempre a causa della sua sfortuna nessuno gli assegna un lavoro. Per capire questa storia bisogna ritornare indietro nel tempo, circa trenta anni fa, fu allora che Mao era un ragazzino e stava giocando con un suo amico Marchi. Il gioco era sempre vinto da Marchi e Mao tutto questo lo rendeva furioso. Un giorno si stufò di questa situazione di essere sempre perdente agli occhi di Marchi allora gli fece uno scherzo che non avrebbe mai dovuto fare. Marchi correva per le vie del paesino davanti tanti sguardi felici e contenti. Mao lo aspettò in un vicolo che accostava la via dove Marchi stava percorrendo. All’improvisso comparse la gamba tesa di Mao con lo scopo di creare uno sgambetto a Marchi  che correva. Lo sgambetto funziono molto bene, Marchi non vide la gamba e cade davanti tanti sguardi di altri ragazzi. All’improvisso usci Mao che rideva per quello che era successo. Marchi provo tanta vergogna e tanto rancore verso Mao che da quel giorno diventare sfortunato dal malocchio di Marchi. Siamo ritornati al presente e Mao aveva ricevuto una lettera da una sua vecchia conoscenza di scuola, una amica che veniva trovare. Mao era felice non vedeva l’ora di poterla abbracciare Attilia che abitava vicino Napoli. Infatti, la sera stessa, lui preparo la cena. Fu un disastro il pollo bruciato, la minestra senza sale, le pattatine erano crude, il dolce amaro e per concludere la serata stava portando uno champagne a tavola (amato 1927) cadde e ruppe la bottiglia. Dopo cinque serate passate sempre allo stesso modo, Attilia decise di scoprire che aveva Mao. Non ci mise tanto per scoprire che aveva un gran malocchio e lei stessa comincio togliere, Attilia chiamo tanti camion cisterna per togliere il famoso malocchio che per anni era sempre stato intorno al povero Mao. I camion furono veramente tanti e pieni di quello strano liquido oliato che scendeva su Mao, non si sapeva dove mettere tutto questo liquido. Poi trovarono un posto lontano per scaricare tutti i camion cisterna, il posto fu il Monte Fushiama. Passo un mese e finalmente il malocchio fu tolto da Mao, ma sul Monte Fushiama che ormai era saturo di olio incomincio a fumare e ancora oggi a intervalli più meno brevi ha delle violente eruzioni. Con il tempo Mao riscopri il successo nel lavoro e nell’amore di Attilia. La vita proseguiva sempre normale con tante soddisfazioni assegnate al lavoro. Ma una sera, un brutto presentimento da parte di Attilia ormai divenuta moglie di Mao disse che prevedeva qualcosa di molto brutto nell’aria, non voleva che Mao uscisse. Ma lui usci senza sentire ragioni, il suo lavoro lo richiedeva, ma mentre camminava sotto un vicolo, da una finestra cade una bottiglia che arrivo dritta sulla testa del povero Mao… Fece una visitina al cimitero, nessuno quella sera senti e vide nulla, solo una cosa appari molto strana alla povera vedova la bottiglia era sta ritrovata in frantumi con una etichetta con il nome Marchi. La fine

Scritto da luciani lucianomassimo raccolta di racconti 1988

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Sentimentale / Poesia dal profondo amore
« il: Febbraio 14, 2012, 16:59:28 »
Mistero che insegna


La storia
Di un messaggio
Si scrive
Con una
Sottile
Lettera
Il mio messaggio
Ci vuole dire
Ma soprattutto
Guidare ad
Un mistero
Fitto e forte
Dato certo
Che un
Giorno
Possa
Dire che
Il messaggio
Ci insegna
Che il mistero
Si chiama
Amore

Luciani Lucianomassimo
01/02/2007

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