Autore Topic: Gerusalemme e Atene  (Letto 2641 volte)

Doxa

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Gerusalemme e Atene
« il: Novembre 28, 2023, 09:14:57 »
Il 2 dicembre a Torino, al teatro Carignano, alle ore 10, ci sarà il dialogo su “Che cosa hanno in comune Gerusalemme e Atene ?”, con il cardinale Gianfranco Ravasi  e il latinista Ivano Dionigi.



 
Gerusalemme e Atene: contrapposizione e incontro tra  fede e filosofia, tra legge(Bibbia) e logos.

Il filosofo e apologeta cristiano Tertulliano si domandava: "Cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme"?  Le due città, nell’antichità, possono essere  simbolicamente considerate le due radici della cultura occidentale, la greco-romana e l'ebraico-cristiana.

Nel libro collettivo titolato: “Gerusalemme e Atene” il filosofo tedesco naturalizzato statunitense Leo Strauss scrisse che per comprendere la cultura occidentale dobbiamo capire Gerusalemme e Atene. Sono in quelle due località le radici della nostra cultura:  nella prima, la radice religiosa, nella seconda  radice, la filosofico-letteraria. Dal loro incontro è nata la civiltà europea.

L'incontro tra la filosofia greca e la fede ebraica avvenne dopo la conquista della Palestina nel 332 a. C.  da parte delle truppe di  Alessandro Magno. Gli Ebrei nella Giudea vennero a contatto con la cultura ellenistica. Di questo c'è traccia nella Bibbia, ad esempio nel secondo Libro dei Maccabei dove si depreca la diffusione dell'ellenizzazione (2 Mac 4, 13) che si oppone al giudaismo (2 Mac 2, 21).

È significativo che due noti autori ebrei dell'antichità scrissero in greco (Filone di Alessandria  e Giuseppe Flavio).

Tra il III e il II sec. a. C. ad Alessandria d’Egitto  l’Antico Testamento fu tradotto in lingua greca (versione dei LXX) per la comunità ebraica della diaspora residente in quella città ellenizzata. Essi avevano obliterato la loro lingua e non riuscivano più a leggere in ebraico.

Nel I sec. d. C. Antiochia  di Siria aveva circa mezzo milione di abitanti: molti erano Greci, Siriani ed Ebrei. La località (la terza per grandezza nell’impero romano, dopo Roma e Alessandria d’Egitto) era un luogo d’incontro di culture e religioni. I discepoli cristiani di lingua greca avvicinavano pagani e giudei per convertirli.

L’apostolo Paolo, nato a Tarso,  in quella città aveva ricevuto l'educazione tipica di un centro abitato grecizzato. Aveva letto Euripide e Omero ed era stato formato secondo i principi della retorica del tempo, come è evidente  da alcuni suoi scritti. Da essi si desume la sua conoscenza della filosofia stoica. E proprio un trattato filosofico di origine aristotelica molto diffuso a quel tempo, ma oggi perduto, è alla base del discorso  di Paolo  ad un gruppo di filosofi ad Atene riuniti nell'areopago (significa “collina di Ares”, il bellicoso dio Ares), situato tra l’agorà e l’acropoli.

Dal discorso di Paolo:

“Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse:

“Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa” (At 17, 22 – 25).
« Ultima modifica: Novembre 28, 2023, 09:52:00 da Doxa »

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Re:Gerusalemme e Atene
« Risposta #1 il: Novembre 28, 2023, 15:25:45 »
Nel precedente post ho fra l’altro scritto:

Citazione
Nel libro collettivo titolato: “Gerusalemme e Atene” il filosofo tedesco naturalizzato statunitense Leo Strauss scrisse che per comprendere la cultura occidentale dobbiamo capire Gerusalemme e Atene. Sono in quelle due località le radici della nostra cultura: nella prima, la radice religiosa, nella seconda  radice, la filosofico-letteraria. Dal loro incontro è nata la civiltà europea.

Sul concetto di civiltà  ci sono diverse opinioni sul  suo significato. Questo  sostantivo:  deriva dal latino “civilĭtas”,  e questo dall'aggettivo civilis, con riferimento al civis ( = cittadino) e alla civitas (= città).

Ma quali sono i “confini” della parola "civiltà" ?

Generalmente per civiltà s’intende  l'insieme delle qualità e delle caratteristiche materiali, culturali e religiose di una comunità, di una nazione.

Il professor Alessandro Barbero, docente di storia medievale, evidenzia che il concetto di civiltà è sfuggente:  “è una delle tante parole che noi usiamo come se fosse ovvio cosa vuole dire. Se ci fermiamo a interrogarci sui modi in cui questa parola può essere usata ci accorgiamo che bisogna stare attenti. Intanto la parola ‘civiltà’ è una parola recente. Si comincia a usarla nel momento in cui l’occidente parte alla scoperta e alla conquista del mondo, all’inizio dell’età moderna. (…) È una parola che nasce per descrivere un senso di supremazia dell’occidente e faremo bene quando la usiamo e a interrogarci su cosa vogliamo dire esattamente”.

Invece  per Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica, “L’elemento comune che hanno tutte le definizioni di civiltà è che l’uomo allo stato di natura non basta, non è sufficiente a sé stesso”.

Quindi “civiltà” contrapposta al concetto di “barbarie”, da “barbaro”. in latino barbarus”:  lo straniero , l’estraneo alla cultura greco-romana.

Nei testi in lingua latina il termine “barbarus” è spesso accompagnato da aggettivi come “ferus” (=  feroce, violento) e “iracundus” (= iracondo, irascibile). Essi definiscono il significato negativo della parola originaria.

Gli antichi Greci  denomivano “bàrbaros” (= i balbuzienti) gli stranieri che non parlavano la lingua greca e non erano di cultura greca.

Inoltre, il termine “barbaro” veniva usato per  distinguere le cosiddette “buone maniere” in uso nelle città, contrapposte alla “rusticitas” degli abitanti nelle campagne. 

Nel nostro tempo il sostantivo “civiltà” allude   agli aspetti culturali e organizzativi di una popolazione in una determinata epoca: la civiltà greca, la civiltà latina, ecc..

La società contemporanea è individuata da un tratto caratteristico: la civiltà di massa; civiltà dei consumi; civiltà delle immagini”.

Con la parola civiltà si allude pure alla buona educazione, la cortesia: comportarsi con civiltà.

Doxa

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Re:Gerusalemme e Atene
« Risposta #2 il: Novembre 29, 2023, 18:26:38 »
La filosofia cristiana,  “figlia” di quella greca: questa nacque come superamento delle spiegazioni mitologico-religiose dell’universo.

Il cristianesimo dei primi secoli si servì di alcune parti della filosofia greca per presentare Cristo come maestro universale e  per dare le  risposte sul significato della vita umana e sul mondo alla luce della rivelazione cristiana.

Dai filosofi stoici “prese” il “Logos” e il “Verbum”  per il prologo del Vangelo di Giovanni.

Furono notevolmente influenzati  dalla filosofia greca i  primi padri della Chiesa orientali, tra i quali il teologo e filosofo Clemente d’Alessandria (o Alessandrino, 150 circa – 215 circa) e il filosofo e apologeta  Giustino (100 – 163 circa).

All’ellenizzazione del cristianesimo contribuirono i quattro “Padri” della Chiesa d’Oriente: il teologo Basilio, vescovo di Cesarea (329 – 379); il teologo Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli (344 circa – 407); il teologo e vescovo Gregorio Nazianzeno  (329 – 390), fu anche maestro di San Girolamo; il teologo e vescovo Atanasio di Alessandria d’Egitto (293 circa – 373).

Questi personaggi, per la teologia cristiana usarono concetti e categorie della filosofia greca.
 
La religione cristiana, pur avendo obiettivi spirituali,  ebbe un impatto notevole sulla cultura e sulla filosofia tardo-ellenista, introducendo nuovi concetti, in parte mutuati dalla tradizione giudaica, come:

1. l'affermazione del monoteismo, sconosciuto al mondo greco;

2. la creazione del mondo dal nulla, tesi ritenuta impossibile dalla filosofia classica;

3. la centralità dell'uomo, depositario di un principio divino ¬ la sua somiglianza con Dio ¬ e non semplicemente razionale, che lo rende superiore a tutti gli esseri.

Dei quattro Vangeli, sicuramente quello di Giovanni è il più ricco di spunti filosofici: egli parla di Cristo in termini di Lógos, concetto centrale nella filosofia greca,  ma al contrario di questa gli conferisce un aspetto umano e storico e non un carattere atemporale e simbolico.

Giovanni sottolinea l'identità fra la persona storica di Gesù, che è Logos capace di provocare risposte e miracoli, e il Logos che è la parola stessa di Dio, creatrice e auto-rivelatrice.
 
Quella cristiana è una religione rivelata, basata su credenze che il fedele recepisce, è   “verità” comunicata direttamente dalla divinità.

La ricerca dei filosofi cristiani nacque dall’esigenza  di chiarire il significato della “rivelazione”, per avvicinarsi tramite la ragione a Dio.

E furono quei “patristi” cristiani ad essere in continuità con la filosofia greca per almeno tre motivi:

- il pensiero cristiano si presentava come il culmine della filosofia greca: era l’approdo di quella ricerca della verità agognata sin dai tempi antichi;

- Dio aveva creato in tutti gli uomini e in tutti i tempi una ragione (Logos) identica che, però, solo col cristianesimo poteva condurre alla comprensione della “Verità”;

- la dottrina cristiana veniva interpretata attraverso concetti che provenivano dalla filosofia greca.

La filosofia cristiana fece una sintesi fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, in particolare quella stoica, e può essere così riassunta:   

Il monoteismo: con la concezione cristiana si afferma l’esistenza di un solo Dio, considerato come qualcosa di completamente superiore e “altro”.

Il comandamento divino: “Non avrai altro Dio fuori di me” riassume la “prepotenza” e l’assolutezza del Creatore. Tale concezione era sconosciuta nel politeismo ellenico.

La filosofia greca, per secoli, aveva offerto  diverse teorie sull’origine dell’umanità, dell’universo.

Il filosofo Platone considerava il mondo come un’opera d’arte, una materia originaria plasmata da un’entità detta “demiurgo”. 

Nessun filosofo dell’antichità aveva mai creduto in un Dio buono e creatore, che dal nulla, aveva originato volontariamente il mondo, quale era quello dei cristiani.

A quei filosofi greci era estranea la concezione di un Dio che legifera in merito al comportamento nell’uomo.

Invece la dottrina ebraico-cristiana mette al centro l’uomo. E’ il libro della Genesi a specificarlo: “Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra’ “.

Nel cristianesimo c’è una nuova concezione del bene (inteso come virtù, nel senso di vicinanza a Dio) e del male (inteso come peccato, nel senso di lontananza da Dio). Allo stesso modo, è la fede in Dio (e non la conoscenza) a costituire l’impegno e la realizzazione più alta dell’uomo.

Il pensiero greco, tramite Platone, creò  la descrizione dell’amore-Eros, inteso come la forza che permette all’individuo di elevarsi spiritualmente. 

Al contrario, il cristianesimo  rifiutò la concezione platonica e preferì l’amore-agape. Secondo  il cristiano è Dio che ama, è un amore  gratuito.  Dio è amore e ama fino al sacrificio della croce e l’uomo può essere portatore di amore solo nella fede e nell’amore disinteressato per il prossimo.

La resurrezione dei morti: nella filosofia greca domina il tema dell’uomo scisso tra corpo e anima, vera essenza immortale.  Al contrario, il cristianesimo parla di risurrezione dei corpi che avverrà alla fine dei tempi (col Giudizio universale) con l’avvento del Regno di Dio.