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Post - marisa alberti

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Sentimentale / Re:cara me.......
« il: Gennaio 10, 2021, 12:33:10 »
Non è affatto un passaggio d'obbligo anzi una rara malsana eccezione.
Non è nell'ordine delle cose ferire o deludere a meno che lo si faccia senza rendersene conto ma, allora, è tutta un'altra storia.
Io,volutamente, non ho mai ferito o deluso nessuno: sono io l'ECCEZIONE?

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Sentimentale / Re:cara me.......
« il: Gennaio 04, 2021, 11:09:01 »
Hai perfettamente ragione. Ripensando al tutto subito, mi rendo conto che io non mi sono mai amata.
Se così fosse stato non avrei permesso ad un'altra persona, e sto parlando di un essere della mia stessa specie di ferirmi così tanto.
Io non sono stata in grado di amarmi e l'altra parte è solo un essere vivente che non ha niente da condividere con l'umano. Forse per questo la difesa è stata impossibile!

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Sentimentale / cara me.......
« il: Gennaio 01, 2021, 20:18:39 »

Post: 43
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Cara me......
« il: Dicembre 28, 2020, 11:43:06 »
CitazioneModificaRimuovi
Cara me…………….

Come sei diventata fragile……
Tanto quanto sei stata forte nell’amare.
Forte fino a rinunciare alla spensieratezza della gioventù.
Forte al punto di accettare compromessi che ferivano.
Forte tanto da essere in grado di cercare di tagliare quel cordone ombelicale che non sei mai riuscita a recidere.

Avrei voglia di abbracciarti.
Mi fai tenerezza!
Ma in questo momento non ce la faccio: ho la mente annebbiata e le braccia stanche.
Ho camminato troppo e troppo a lungo controvento.
Ora ho bisogno di riposare per ritrovare le forze.
E quando queste forze torneranno,  allora sarò li ad accarezzare il tuo viso su cui il tempo e i dispiaceri hanno lasciato il loro ricordo
Accarezzerò i tuoi capelli
E sarà la mia mano ad appoggiarsi sulla tua spalla per dirti ………..
Vai, non è ancora finita.
Avanza lentamente ma, qualche volta, accelera il passo.
Sei ancora in grado di correre
Ma, soprattutto, non avere paura.
Niente e nessuno potrà più ferirti a sangue.
La tua corazza è diventata così  dura che il metallo di una lama non la spaventerà più
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Introspettivo / Re:Monologo
« il: Dicembre 28, 2020, 11:47:15 »
Molto triste e scritto benissimo! Brava!

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Sentimentale / Re:Piccola grande storia semiseria
« il: Settembre 16, 2020, 18:40:23 »
Premetto che sono sempre portata a valutare il pensiero degli altri secondo il mio metro.
Se io faccio una scelta la pondero fino all'inverosimile ma, una volta che dentro di me la ritengo giusta, poi la porto avanti fino alla fine.
Ci si disamora e si diventa ex perché non si è mai stati realmente innamorati.
L'amore, quello vero, credo non possa finire mai.

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Sentimentale / Re:Piccola grande storia semiseria
« il: Settembre 15, 2020, 19:39:31 »
Io credo che ex si possa diventare solo dopo poco tempo che si sta insieme, semplicemente perché non occorre tanto tempo per rendersi conto di non poter formare una coppia.
 Solo le persone di un certo valore sono capaci di amare e di portare avanti un rapporto con tutti gli alti, i bassi e le modifiche che inevitabilmente si creano in itinere.
"Nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia" non è solo una frase di rito del matrimonio ma il basamento di una coppia e chi alle prime difficoltà si guarda attorno, altro che persona di spessore: è semplicemente carta velina!
Escludo naturalmente chi subisce violenze verbali o fisiche. In questo caso via a gambe levate

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Anch'io Scrivo poesia! / Re:Un prato e un fiore
« il: Agosto 21, 2020, 16:28:53 »
Bella, mi piace.
Brava!

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Noi possiamo fare di tutto e di più ma come dice Pascal Mercier " Il vero regista della nostra vita è il caso...."


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Grazie.
Se ti va leggi MAI E POI MAI così saprai come questa storia ha reso la mia vita: uno schifo!

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A mia figlia!

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Hai colto in pieno le mie intenzioni: ho bisogno di fare a me stessa il resoconto della mia vita. Nel topic" MAI E POI MAI" racconto che cosa mi aspettava nell'altro versante della montagna. L'ho riletto cercando di estraniarmi perché fa sempre  male fare i conti con l' aver vissuto una vita falsa ma, purtroppo, così è stata la mia. Altro che "lunga storia d'amore", lunga sì ma...... di squallore!
Unica cosa bella mia figlia.
 

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                                QUANDO I  RICORDI…   
                                         
Quando lo incontrai lo stavo aspettando. Non gli avevo ancora dato la sua faccia ,le sue mani, le sue gambe, ma lo riconobbi subito e da subito lasciai che la mia pelle lo toccasse. Con lui mi persi e mi ritrovai: ero sempre io ma una parte di me si era arricchita della vita di un altro.
Fui felice e imbarazzata ma non fui mai un “per me voglio”.
La prima volta che mi baciò mi sembrò tutto naturale, scontato,  quasi avessi già saputo.
Sentii lo stomaco contrarsi improvvisamente poi, rilassarsi piano. Non suonarono campane, ma il mio paradiso e il mio inferno, anche se ancora non lo sapevo, erano già cominciati.
Guardai per un attimo le colline che si vedevano oltre la strada; ne segnai distrattamente il contorno con le dita, lasciando visibili striature sul vetro dell’auto Dietro di loro la montagna si stava colorando di scuro. Una macchia nera saliva serpeggiando tra i rami di quercia, partendo dalla valle per arrivare piano fino in cima, quasi a nasconderla, a darle un po’ di tregua a quell’essere esposta allo sguardo di tutti. Io avrei superato le colline, mi sarei arrampicata sulla montagna, sarei caduta, avrei pianto, avrei avuto paura della macchia scura, ma mi sarei rialzata e, anche zoppicando, sarei arrivata lassù dove la macchia nera scompariva.


La prima volta eravamo nella stanza di un albergo alla periferia di Venezia. Fu dolce e imbarazzante, un misto di sensazione strane. Lui non mi conosceva, non mi stava aspettando ma questo non mi interessava perché non volevo sapere. Era come io lo vedevo e lo sentivo che mi bastava. Le sue mani si muovevano esperte e io cercavo di imprimermi bene nella mente il calore e il ritmo di ognuna di quelle carezze.
Mi svegliai prestissimo. Fuori erano caduti alcuni centimetri di neve e i campi attorno all’albergo sembravano essersi macchiati disordinatamente di chiazze bianche.
Fu allora che mi disse di essere sposato e di avere due bambini. In piedi ,di fronte all’armadio, continuai a sistemare le mie cose. Non cambiai espressione, mi muovevo con gesti rapidi, precisi e risposi con uno scontato “ Lo immaginavo “. Ma non mi voltai mai verso di lui. Concentrai lo sguardo e l’attenzione sul listino prezzi attaccato alla porta. Distinsi caratteri scuri e chiari, i primi stampati, gli altri in corsivo, ma non riuscii a leggere perché le righe continuavano a sbiadirsi.
Eppure non stavo piangendo!
Nella strada del ritorno nessuno dei due disse niente. Lui guidava apparentemente calmo, oppure lo era davvero. Io restai quasi immobile con la faccia rivolta fuori. La neve si stava già sciogliendo, scaldata da un sole invisibile che a malapena riusciva a far filtrare un po’ della sua luce attraverso la nebbia che cominciava ad ovattare. Se avessi potuto mi sarei nascosta anch’io tra quella massa grigiastra. Lì avrei raccolto il mio corpo e come un feto mi sarei lasciata cullare. Non ci sarebbe stato nient’altro. La nebbia sarebbe diventata la mia placente, sacca dolcissima, impenetrabile e io avrei anche potuto lasciarmi andare nel liquido caldo che conteneva. Nessun altro movimento che galleggiare nel nulla, nessun contatto con l’esterno, tranne, di tanto in tanto, qualche rumore attutito per assicurarmi che fuori esisteva qualcun altro.
Non pensare, non vedere, non parlare. Non parlavo, ma non potevo non vedere e non pensare. Lui era lì e io a pochi centimetri di distanza. Che diritto aveva di essere l’uomo che avrei voluto amare.
Mi voltai di scatto e lo guardai. Mi sorprese perché sembrava triste. Mi appoggiai allo schienale del sedile e restai così per alcuni istanti. Solitudine, tristezza, lacrime. Eccole finalmente. Le sentii salire su dalla gola, attraversare il naso, uscire dagli occhi e scendere piano lungo le guance. Ne assaporai il gusto salato e cercai altri motivi per piangere ancora.
Vuotai la mia delusione poi, restammo sole io e la mia voglia di lui. Mi si attaccava con prepotenza quando la respingevo, mi si abbandonava addosso quando la cullavo, la rassicuravo, poi restavamo così, abbracciate, fiduciose, spaventate.
Volevo solo amarlo e avrei anche fatto a meno del suo amore. Sarei stata la donna di una notte e, finché i morsi della gelosia non si fossero fatti sentire, avrei potuto continuare.
Diventai la donna di tante notti, di notti fatte di tenerezza, di incontri decisi da lui all’ultimo minuto. Feci uscire da me quanto di più bello potevo contenere e godetti ogni attimo di quanto mi veniva offerto. Potevo ispezionare il suo corpo, guardarlo mentre dormiva, sentirlo parlare, essere con lui in mezzo a tanti altri che non si sarebbero neanche accorti della mia presenza. Ad ogni sua telefonata mi tuffavo in preparativi frenetici: dovevo essere il meglio di me, sia dentro che fuori. E riuscii ad esserlo perché lui se ne accorse. Cominciò a conoscermi e a farsi conoscere e più mi addentravo in lui, più scoprivo che era lui che volevo incontrare, era lui che volevo far penetrare nei vicoli più nascosti del mio io, quelli piastrellati di insicurezza, di voglia di essere, di bisogno di amore… amore con tutte le A, maiuscole, minuscole, scritte con inchiostro multicolore.
Iniziò a telefonarmi più spesso e più spesso io temevo che la macchia scura mi avrebbe impedito di andare avanti.
Teneva molto a mantenere intatte le sue posizioni socialmente rispettabili ma, in quelle strade, io stavo già camminando. Niente di particolarmente preoccupante: c’era ancora tanto spazio per andare avanti indisturbati. Ma lui non si preoccupò, mi lasciava fare e i miei spazi continuavano ad allargarsi. Arrivai ad occupare la strada per intero e allora lo vidi diventare insofferente, lo sentii fare discorsi confusi che a volte interrompeva prima di concludere. Parole che costruivano frasi scontate dove io dovevo leggere solo i suoi sensi di colpa, le sue preoccupazioni, le sue paure, che mi obbligavano a sentirmi in colpa, a preoccuparmi, ad avere paura. Ma in quelle frasi io leggevo anche che era di me che aveva bisogno per raggiungere la cima.
E allora avrei voluto gridargli: - Non preoccuparti, lasciati andare con me in questo piccolo cerchio, non muovere l’acqua se non vuoi allargarlo. Lascialo essere per un anno, un mese, o anche solo per un giorno, ma non cercare di distruggerlo. In quel minuscolo spazio ci siamo noi e non riusciremo più a costruirne un altro così perfetto!-
Invece restavo zitta: non potevo chiedergli qualcosa che avrebbe avuto valore solo se fosse stato lui ad offrirmela. E lui cominciò un po’alla volta a darmi la possibilità di restare nel cerchio e parlandomi delle sue paure mi chiedeva indirettamente di poterci restare con me.
Mi disse di amarmi mentre eravamo al ristorante.
Feci finta di non aver sentito. Mi alzai solo quasi di scatto ed uscii.
Ero felice, toccavo il mio paradiso, ma le gambe mi tremavano. La mia parabola stava per essere raggiunta dalla sua e, una volta allineate, avrebbero potuto scontrarsi. Allora forse sarebbero ritornate a scorrere piatte, in direzioni diverse.

La strada si srotolava su per la montagna come un nastro, quasi a voler scappare da chi gli camminava sopra. Nella furia della corsa, si addentrava tra i pini, costeggiava burroni altissimi poi tornava a riprendere fiato e allora scivolava calma tra i prati. Seguivo con gli occhi il suo percorso man mano che ci avvicinavamo al paese dove, finalmente esausta, essa si fermava sciogliendosi in una serie di vie e viuzze. Era la nostra prima vacanza!
Tutto di lui mi sarebbe appartenuto, dal mattino quando aprivo gli occhi fino alla sera prima di chiuderli. E tutto di lui mi appartenne. E io bevevo assetata ogni più piccolo istante e, come un cammello, ne facevo scorta per i periodi di deserto che sarebbero venuti subito dopo. Insieme formavamo uno spazio unico, il resto era sfondo, comparsa.
Guardavamo la gente passare ma non ci riconoscevamo in nessuno di loro. Eravamo gli unici, i migliori, la perfezione della coppia.
Non c’erano progetti, non esistevano domani programmati ma esistevamo noi con la nostra voglia di raccontarci, di scivolare l’uno nell’altro per carpirci anche i segreti più nascosti. Gli raccontavo la mia vita, gli indicavo le strade che avevo percorso per raggiungerlo. Strade così lontane e qualche volta sbagliate. Guardavo la sua faccia: non mi capiva, soffriva dei miei errori ma sentivo la stretta della sua mano sulla mia spalla farsi più forte, possessiva.

- Ora ci sono io. – E questo significava ti amo, sono qui per accompagnarti e ti ho scelto come compagna di viaggio. Viaggeremo insieme e insieme grideremo, salteremo. La nostra strada attraverserà paesaggi così belli che alla loro vista non potrai fare a meno di commuoverti. Insieme sbaglieremo, ma forse uno dei due farà in tempo ad avvertire l’altro, lo spingerà dalla parte opposta pur di non perderlo, a costo di fargli male, di violentare i suoi desideri.

Per lui stavo diventando unica, splendida, meravigliosa. Come poteva non uscire da me qualcosa di meraviglioso, di splendido, di unico?
La sera, con la testa appoggiata nell’incavo del suo braccio, gli raccontavo la nostra vita. Non tralasciavo nessun particolare di come volevo che fosse. Smantellavo le parti della sua esistenza in cui non entravo poi, le ricostruivo minuziosamente a modo mio. Ogni volta diverse, ogni volta più belle. Sogni guidati, fiabe dolcissime senza maghi né streghe. Un uomo e una donna che entravano in una miriade di personaggi. Eravamo principi, principesse, servi, naufraghi, gente comune che in comune aveva un’unica cosa preziosa, incomprabile, invendibile: il bisogno di esistere per l’altro. Lui mi lasciava fare, non suggeriva modifiche e la mia ninna nanna andava avanti con un ritmo sempre più lento finché si spegneva del tutto.

Conobbi lui e attraverso lui prese forma nella mia mente  la figura di lei.
Io diventai l’altra, l’altra da cui si corre appena possibile, l’altra con cui si ride, si ama.
Ma ero anche l’altra che stava cominciando a soffrire, che avvertiva i primi sintomi di quella gelosia che sarebbe durata fino al prossimo incontro. E allora mi sentivo persa, ingannata. Cominciarono le prime cadute. Sentivo il dubbio arrivare da lontano e impossessarsi a poco a poco del mio cervello. Era inutile concentrarsi su altro . Lui era con lei e con lei mangiava, parlava, dormiva. Non entravo in quella parte domestica di giornali sportivi letti durante il pranzo, di resoconti giornalieri detti a bassa voce prima di dormire. Non ero la donna che presentava agli amici di famiglia e che il sabato sera portava fuori e la domenica a pranzo.
Della sua presenza a me restavano brevi frasi segnate di sbieco sul calendario o su un biglietto attaccato alla testata del letto. Frasi brevissime, di saluto, di tristezza, di scoraggiamento, di speranza: frasi che puntualmente trovavo rientrando dopo che se era andato. Qualche volta cercava di addolcire la sua partenza con delle rose: erano sette oppure tredici e in ogni rosa io cercavo di nascondere sette o tredici momenti belli passati insieme. Li sistemavo, gli davo dei valori dal buono al migliore e lasciavo il migliore per ultimo. Erano la spinta ad arrivare in cima alla macchia scura quando sentivo che stavo per cadere, per tornare indietro, quando leggevo la mia sconfitta nella vittoria delle altre che incontravo la domenica sottobraccio ad un uomo.
E allora raccoglievo tutte le mie forze e cercavo di difendermi. Mi allenavo a non amarlo. Scivolavo con la mia solitudine in un tunnel senza uscite, eppure così  poco protetto, sempre pronto a far uscire da ogni piccola crepa momenti di dolcezza.
Moltiplicavo le mie mani per coprire quei buchi per impedire che ne entrassero altri.
Proiettavo nella mia mente le sequenze della mia vita senza di lui. Erano momenti ben scanditi, di settimane, al massimo di un mese: andare da un’amica, fermarsi giusto il tempo di non lasciarsi scoprire, ripartire, ritornare, interessarsi di cose che non mi erano mai interessate prima, vivere per me, perché era su di me che avrei dovuto contare.
In fondo sembrava semplice. Sentivo la serenità toccarmi come una pioggia leggera, scivolare in piccoli rigagnoli sulla mia faccia, sul collo, sulle braccia, sulle gambe. Ma bastava un’incognita banale per ripulire tutto e riportarmi al punto di partenza. E allora mi sembrava di soffocare e ogni alternativa diventava un rimedio inefficace. C’era solo da soffrire e allora sarei rimasta inerte e avrei sofferto. Bastava riconoscerne i segni e lasciarli fare, senza cercare di combatterli, di allontanarli, sapere che sarebbero andati avanti per mesi, poi il tempo li avrebbe mitigati, resi sopportabili. Sarebbero stati i miei nemici fedeli, decisi a non lasciarmisi sfuggire. Al mattino mi sarei svegliata con la tristezza immotivata ma, subito, il mio cervello l’avrebbe identificata, dandole una consistenza reale. Di giorno avrei camminato, riso, pianto, scherzato. La sera sarei stata troppo stanca per combattere ancora e allora mi sarei addormentata con la voglia di toccarlo.

Ho ritrovato questi fogli in un vecchio cassetto. Quando le ho scritte avevo vent’anni, ora ne ho cinquantasei. Di quest’ uomo sono stata amante, compagna, moglie, moglie tradita e separata, donna che a fatica ha cercato di  perdonare
Per lui ho superato le colline, mi sono arrampicata sulla montagna, sono caduta, ho pianto, ma mi sono rialzata e anche zoppicando, ho cercato di arrivare lassù dove la macchia nera scompariva.
Non riesco ancora a vedere l’altro versante della montagna ma… la storia continua!
 

 

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Non ci sei più.  Sei solo in me, mia povera piccola Anna : e qui sei forte come una roccia, qui non cessi di esistere

Anche mia madre si chiamava Anna. La morte l'ha portata via quattro anni fa a 86 anni, ma in me esiste sempre. E' a lei che mi rivolgo quando ho bisogno.
"Mamma mia aiutami tu, dammi una mano." Bastano queste poche parole per calmarmi, anche se non credo possa sentirmi perché non credo in un'altra vita dopo la morte.
Rivolgermi a lei mi fa comunque sentire meglio e io continuo a farlo.

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                                  MAI E POI MAI..........
Mai e poi mai avrei immaginato nella mia vita di scrivere a te  una lettera del genere.
Ti chiederai perché lo stia facendo.
Perché ogni cosa che muore ha diritto ad una degna sepoltura e, dal momento che tu non sei in grado di farlo, lo faccio io per te.
La spinta mi è venuta da nostra figlia, per tutte le volte, che come lei mi ha riferito, tu le chiedi come sto.
Che ironia!
Prima una persona la affoghi poi vuoi sapere come sta!?
Comunque sono sopravvissuta e sto bene.
Certo ho dovuto fare un po’ di percorso in salita per arrivarci, imponendomi, quasi giornalmente di rivedere la nostra storia dall’ inizio, ma questo mi ha aiutata molto a capire chi siamo e che cosa siamo stati.

Innamorati, come credevamo quaranta anni fa?
Io sì.
Tu sicuramente no!

Hai solamente scambiato una grande attrazione fisica per un amore mai esistito.
Se realmente ci fosse stato, avresti  continuato a coltivarlo e non saremmo mai arrivati, a questa squallida conclusione della nostra storia.

Il pittore a cui avevamo affidato la tela delle nostre vite, ci aveva rovesciato i colori più belli, ma sono bastate poche gocce di pioggia per farli sbiadire lentamente fino a scomparire.

E’ vero, nonostante tutto, siamo rimasti insieme tanto tempo, ma solo illudendoci che quel sottile filo di acciaio che credevamo impossibile recidere sarebbe sempre rimasto lì.
Purtroppo il filo non è mai esistito: lo abbiamo solamente immaginato noi, per dare un senso, una giustificazione al nostro stare insieme, per sentirci meno responsabili verso chi per colpa nostra aveva sofferto: i tuoi figli e tua moglie in primis.
A differenza di te, che lo avevi già  capito da tempo, io mi rendo conto solo ora  della realtà.

Nel momento in cui non ti ho più visto come l’uomo che scavalcava il terrazzo del monolocale al piano terra in cui vivevo , per passare con me qualche ora rubata alla sua famiglia, ho sentito che ci stavamo allontanando ma, a differenza di te ho voluto a tutti i costi continuare a credere in quel filo.

A vent’anni ci avevo cucito la mia vita e non potevo averne scelto uno sbagliato.

Alle mie reazioni, che erano solo richieste di aiuto, purtroppo non dette, non occorre che te le scriva perché le conosci bene tutte, tu hai scelto la soluzione meno impegnativa: tradire.

Mi chiedo perché solo ora i tuoi tradimenti mi sembrano reali.
Semplicemente perché finalmente i pezzi del puzzle delle tante “squallide bugie” si sono incastrati.
Oggi potrei farti diversi nomi ma non mi va di sporcarmi.
Comunque non posso non complimentarmi con te per la tua abilità nel mentire.
Sei nato già con questa “dote”.
Certe cose non si imparano crescendo!

Poi è arrivata lei ………….
E di lei ho fatto e continuerò sempre a farlo,  la mia ragione di vita.
Perché tanto amore riversato su una figlia?
 Semplicemente perché ne avevo sempre meno da te.

E il meno è diventato niente quando una delle tue storie, l’unica che non sei riuscito a nascondere, come abilmente sei stato capace di fare con le altre, mi è stata messa davanti come una foto senza cornice.

Ti ricordi?
Erano le 17,30 del 28 febbraio quando è squillato il telefono e nostra figlia ha risposto
“Mamma c’è una signora che ti vuole”
E la signora ,appena ho detto pronto, mi ha vomitato addosso tutta la vostra lunga storia.
Una storia durata cinque anni,  iniziata quando è nata nostra figlia.
Una storia fatta di progetti, di viaggi nelle mete più esotiche e romantiche, che doveva concludersi nel vivere insieme nella mega villa che suo padre vi avrebbe regalato.

La “minaccia” che te ne saresti andato, perché da me non ti sentivi considerato, c’era  stata una sera,  circa tre mesi prima.
Avevi in mano qualche mutanda e tre paia di calze: ricordo bene il colore, bianche le prime, nere le altre.
“Non ha importanza dirti dove vado; avrò sempre il cellulare acceso e non c’è assolutamente un’altra donna”.
Ti ho chiesto di non farlo: con il tuo aiuto forse ce l’avremmo fatta.

Il giorno dopo rientrando a casa dopo aver preso la piccola all’asilo ho trovato il tuo armadio spalancato e completamente vuoto.
Avrei dovuto fare anche io la stessa cosa e invece sono rimasta perché la tua abilità di farmi sentire in colpa per essere diventata più madre che moglie aveva pienamente colpito nel segno.
Grande attore!
Raccontando bugie su bugie a nostra figlia che mi chiedeva perché non dormissi più a casa, ti abbiamo aspettato per tre mesi.
Ah dimenticavo: durante le vacanze di Natale mentre ero dai miei, al telefono, pressato dalle mie domande, mi avevi detto che c’era un’altra.
Che cosa potevo fare se non tornare a casa e chiedere la separazione?
Sono tornata ma tu lo avevi fatto prima di me riempiendo il tuo armadio.
Mossa strategica per chi vuole vincere!

“E’ stata tutta una provocazione per scuoterti; mi  è costato molto  fare ciò che ho fatto, ma dovevo e non c’è mai stata nessun’altra.”

Apri la mano mezzo uomo: Bugia o verità? Dove sta qui o qua?
Bluff: bugia in tutte e due!
E invece l’altra ha pensato bene di dirmi la verità.

Sbattere il muso in modo così violento mi ha fatto crollare.

Se cerco di rivedermi ora  però vedo una donna forte che pur di non calpestare fino in fondo i suoi ideali ha lasciato tutto: una splendida casa, il lavoro, per ritrovarmi con la mia piccola di cinque anni a dormire nella mia vecchia camera di ragazza, in casa dei miei genitori a cinquecento chilometri di distanza da te.

Fare questo a quarantacinque anni dopo venticinque di vita vissuta con te è stata dura ma, allora, mi avevi solo piegata………………
Poi….
Poi purtroppo, i cedimenti di fronte alle tue pressanti richieste di perdono, la sofferenza che vedevo in mia figlia per la mancanza di un padre,  ma soprattutto, ancora una volta è stato determinante il non voler ammettere che Marisa non aveva scelto l’uomo giusto e che mia madre aveva ragione.
Per anni mi sono annebbiata il cervello, aiutata dalle gocce di minias, e, seppur a fatica, ho tentato di ricostruirmi.
L’ho fatto per mia figlia.
Tra il mio e il suo dolore ho scelto di curare lei.
Vederla di nuovo serena per la tua presenza mi ripagava di tutto.
Non sono riuscita a perdonarti.
Ho solo rimosso e nascosto nell’angolo più profondo della mia anima la sofferenza e l’umiliazione subita.
Ma le ferite dell’anima, anche se smettono di sanguinare, non si rimarginano più.
E se in scatti di rabbia sono arrivata a dirti che per anni mi sono prostituita, una parte di verità c’è.
Ammetto, , che ci sono stati momenti in cui ho creduto di riviverti come all’inizio della nostra storia, ma, come tu ti sarai certamente accorto, sono stati pochi e non veri come credevo.

Ma veniamo ad oggi.
Se vent’anni fa eri riuscito a piegarmi ora a sessantadue anni mi hai letteralmente spezzata.

Mi vergogno della mia reazione al tuo lasciarmi.
Nel momento in cui mi hai detto che il giocattolo si era rotto e che avevi la testa da un’altra parte avrei solamente dovuto dire : “Va bene, mettimi pure in un angolo tra le cose rotte e cerca di divertirti con il nuovo che hai trovato”.
Io un giocattolo!?
Bell’ eufemismo, soprattutto centrato, perché un giocattolo che ti fa divertire va bene, ma, nel momento in cui si rompe, la fatica di aggiustarlo diventa troppo pesante di fronte alla certezza di averne già pronto, e da anni,  uno nuovo e più bello.



Che cosa mi terrorizzava tanto nel perdere quella parte di te che era ancora rimasta?
Me lo sono chiesta molto spesso in questi mesi.
Umiliarmi fino a perdere la dignità, dandoti perfino la possibilità di riprovarci, arrivando anche a supplicarti.
Quando a volte ci ripenso mi vengono i brividi.
Ma ora finalmente ho capito e mi  sono perdonata per il mio assurdo comportamento.
Non era il terrore di perderti ma, il dover ammettere definitivamente che la mia scelta era stata veramente sbagliata da sempre.
E infatti tu non mi manchi.
Mi fa dilaniare e stringere lo stomaco solamente sapere come si sente mia figlia. Questo ho letto nel suo diario e per quanto sappiamo che ami giocare con le parole so che quanto ha scritto è reale.
“Cosa posso fare in fondo, se non essere soltanto quella che sono, figlia di una storia che mi ha riempito di cicatrici e graffi, con il sangue che ancora scorre caldo da qualche parte, così tanto bisognosa di una mano che fermi l’incedere doloroso del mio trascorso? Chi sono loro, e chi sono io?”
Ci tengo a sottolineare “mia” perché, dal momento in cui è nata, tu hai vissuto un’altra vita lontana da noi.
Ho cercato sempre di proteggerla da tutto e da tutti e, ironia della sorte, non ho potuto farlo da suo padre!

Ma quel che è stato è stato: il passato è passato e come tale lo si deve lasciare andare. 

Concludo questa lettera, che non so neanche se leggerai fino in fondo, dicendoti che finalmente sono riuscita a perdonarmi per aver buttato via 40 anni della mia vita, stando accanto ad un uomo che avevo solamente  creato nella mia mente, completamente diverso da ciò che in realtà era.
Finalmente ho ritrovato Marisa.
E Marisa non mi deluderà!
 “ Il regista della nostra vita” ha deciso forse di  concedermi ancora “un accattivante incanto”.
E sto bene.




p.s. : Questa è stata realmente la mia vita.
          Come tutti, speravo di farne un capolavoro e invece ho permesso ad un uomo in cui
          avevo riposto tutta la mia fiducia, convinta che fosse l’unico in grado di aiutarmi a
          realizzarlo, di frantumarla in mille pezzi. E non sono una povera stupida che si lascia
          facilmente intortare. E’ stato solo impossibile difendersi da chi la parola lealtà non sa
          neanche che esista. In me ci si può specchiare, tanto sono limpida e diretta, in lui avrei
          dovuto essere sempre abile a togliere la maschera che in quel momento indossava!

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Anch'io Scrivo poesia! / Re:La vita
« il: Gennaio 30, 2016, 16:02:01 »
Se a risponderti fosse la Lisetta ti direbbe: "Furba ti che te vol viver do volte! A chi nol ghe piasaria!
A parte questo....scusa per il dialetto forse sbagliato ............il tuo scritto è molto bello!

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