Autore Topic: Il gabinetto dei cani  (Letto 1267 volte)

mulinux

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Il gabinetto dei cani
« il: Maggio 26, 2013, 13:03:38 »
Nelle case di campagna, nell'angolo più remoto e più inaccessibile allo sguardo, si usava costruire un bugigattolo a forma di cabina telefonica, fatto con quattro paletti conficcati nel terreno, qualche asse intorno e un rivestimento laterale di vecchie coperte.
Qualche contadino vi sistemava sopra una copertura di zinco; altri, un vero e proprio assettatoio: due tavole verticali conficcate nel suolo, ed una terza, più larga, inchiodata su queste, con un bel foro nel mezzo. Ma questi erano raffinamenti. L’elemento importante della costruzione, l'elemento che ne caratterizzava lo scopo, era un altro e cioè il profondo buco praticato nel terreno, nel centro esatto della costruzione, che era vaso e contemporaneamente pozzo nero. Il candidato ci si sedeva ed esplicava i suoi bisogni, mentre l’aria frizzantina del mattino lo faceva svegliare a modo.

A Domenico Gallarà, figlio del fattore Gallarà, imprenditore della zona, famoso per aver annacquato quintali di vino, non piaceva invitare alla masseria i compagni di scuola.  C'erano un sacco di cose  nella sua tenuta di cui si vergognava: suo padre, che bestemmiava come un eretico, sua madre che chiamava le galline con quei ridicoli rumorini (“ti-ti ti-ti ti-ti”), il puzzo dei maiali che grufolavano nella porcilaia, per finire con quello che lo deprimeva di più: il fumigare acre dello  stallatico mentre, in  lontananza, emergeva vaporoso dai campi.

 Ma C. Ernestina, compagna di liceo, fu così insistente che Domenico si arrese e, una bella domenica di maggio, a bordo di una Fiat 1100 tutta schizzata di fango e con alla guida il padre farmacista, la cui faccia diceva “mai più! Mai più!”, la fanciulla venne in visita alla masseria.

Domenico le fece vedere la casa, l'orto e il ricovero per i trattori. Poi la portò nel fienile e le mostrò i gabbiotti dove stavano le galline. Le parlò di uova, di quante ne facevano al giorno, della loro forma e del colore. Alcune uova furono prese e fatte toccare, ancora calde alla giovane visitatrice, che si ritrasse inorridita. Poi le parlò di mucche, di latte, di mungitura, di sacchi pieni che vanno e sacchi vuoti che ritornano, di come si imbottiglia il vino, di lune che calano e di lune che crescono.

Ah, com'era bello sentirla conquistata a queste cose, così tanto più meravigliose a raccontar che a farle!

Tranne le due volte in cui il vecchio Gallarà aveva attraversato l'aia con una carriola carica di sterco fumante, lanciandole un'occhiata di fiammeggiante noncuranza, Ernestina ascoltò Domenico con molta attenzione.

Ma doveva succedere, e successe: ad un certo punto, nel loro vagabondare per la tenuta, la ragazza  finì  di fronte a quel tabernacolo, che si ergeva lì, seminascosto dall’erba,  con i tre lati chiusi da qualche vecchia coperta e il quarto maledettamente aperto, imperturbabile come un monumento.

Domenico cercò subito di trascinarla via di là, stordendola con i suoi racconti di spighe d’oro, di dorsi nudi possenti, di calore, di sudore  ma, tra una  diceria di campagna e l'altra,  Ernestina ormai non lo ascoltava più e non faceva che cercare con lo sguardo la misteriosa costruzione di legno.

“Sì, ma quello, quel coso lì,  cos'è?”,  diceva  lei, col dito puntato in direzione del maledetto tabernacolo.
Come spiegare a C. Ernestina, vissuta per lo più in ricchi palazzi di città e collegi gesuiti, che gli uomini fanno i loro bisogni su un vaso di porcellana  soltanto da qualche secolo? Come confessarle che anche quel Domenico Gallarà che ora lei teneva sotto braccio, lo stesso con cui aveva tradotto insieme Virgilio, anche lui a volte disdegnava quella tazza bianca della Casa Nuova e se ne andava  sotto un albero,  a sentire il canto degli uccellini?

Domenico, per distrarla, la condusse nel punto più alto della proprietà,  dove antichi fattori, di cui si era persa la memoria,  avevano costruito la peschèra: una specie di grossa vasca, sempre in ombra tra gli alberi,  alimentata da piccoli rivoli d'acqua piovana provenienti dal boschetto sovrastante, e che un tempo era usata per irrigare gli ortaggi. Le fece vedere i solchi e i canali che circondavano l'invaso e le spiegò come, aprendo e chiudendo con un colpo di zappa le piccole paratie di terriccio,  si poteva dirigere l'acqua nei punti voluti, prima che tutto questo fosse sostituito da moderne pompe a gasolio.

Ma fu uno sforzo inutile: testarda come lo sono solo certe bambine capricciose, Ernestina si divincolò dal suo braccio, corse giù per la scarpata e si andò di nuovo a  piazzare davanti a quel mostro di legno, l'unico oggetto di tutta la tenuta che aveva suscitato il suo interesse: l'orrenda costruzione di legno marcio, chiusa su tre lati, con la coperta penzolante a chiudere il quarto lato,  eretta lì per lui come mausoleo alla sua sconfitta, la sconfitta alla scalata all’altro mondo, quello dei signori, dei ricchi, di quelli che contano.

“Dài, Domenico: dimmi cos'è questo coso qua!”, urlò Ernestina, scostando la coperta che faceva da porta alla costruzione e sporgendosi a guardare un poco verso l'interno. Ma proprio in quel mentre un nugolo di mosche volò fuori, tra le pieghe della coperta, nello spazio libero, sotto gli occhi terrorizzati del povero Domenico.

Avrà  visto Ernestina il mazzetto di giornali appeso in alto? E l'assettatoio di legno col buco in mezzo, l'ha visto?  È buio là dentro: se gli occhi non si abituano all'oscurità, non ci si vede granché. Forse Ernestina non ha visto!
La mente di Domenico oscillò tra due estremi: darsi alla fuga, abbandonando il paese per sempre, o uccidere Ernestina e seppellirne il corpo nel boschetto della Storta.

“Dai! Dai! Dimmi cos'è questa casetta!”, diceva la fanciulla.
“Ernestina...”, disse Domenico, “ehm … hai visto i miei due cani, Atos e Pathos, quei due bestioni che gironzolano dappertutto? Ebbene, ehm, non te lo volevo dire ma, capirai, per evitare che per i loro bisogni vadano nel grano o nell’avena, o li facciano davanti la casa, è consuetudine insegnare loro, fin da piccoli, a farli in questa baracchetta, costruita appositamente per loro”.

Avevano ripreso a camminare ma lei ora si teneva ad una certa distanza da lui, guardando ogni tanto quel coso rettangolare con la coda degli occhi, senza voltarsi.
“Ma, davvero?”, disse lei.
“È così, credimi”, disse Domenico.

La ragazza guardò di nuovo lui e guardò ancora il tabernacolo; infine si gettò tra le sue braccia, scoppiando in una fragorosa risata. Volle sapere tutto: come si faceva a convincere i cani ad entrare nella costruzione, quanto tempo ci voleva per condizionarli, e via di seguito.

Domenico rispose ad ogni domanda ma con l’animo ormai avvelenato dal sospetto: Mi prende in giro! Egli non seppe mai se quel suo ridere fosse dovuto al fatto, di per sé ilare, che i suoi non avessero un vero gabinetto, o se quello fosse il suo modo di manifestare ammirazione per l’abilità con cui s’era tratto di impaccio da una situazione così imbarazzante.

Le circostanze della vita li allontanarono – Ernestina sposò un architetto ed andò a vivere a Pescara, mentre lui era ora un magistrato in pensione –  ma più volte, sul far della sera, ormai vecchio, seduto davanti alla sua casa con un pezzo di giornale in mano,  Domenico ripensò a lei, a C. Ernestina.

“Chissà”, diceva tra sé e sé, “se qualcuno si è mai preso la briga di spiegarle che i cani, ringraziando Iddio, la fanno ovunque si trovano e in special modo senza che ciò arrechi nessun danno alle colture e che il sottoscritto pure, se potesse, la farebbe sempre come loro, libero, col canto degli uccelli, o sotto il cielo stellato, respirando l’aria frizzantina del mattino!”.


Michele
« Ultima modifica: Maggio 26, 2013, 14:31:22 da mulinux »

nihil

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Re:Il gabinetto dei cani
« Risposta #1 il: Maggio 26, 2013, 14:13:57 »
hehehe Ernestina non sa cosa si è persa. Ricordo quel tipo di gabinetto, ce n'era uno su un antico sentiero di montagna, ma di bello era che stava appoggiato su travi, ma pensolava in un burrone sotto cui scorreva un fiumetto, cos' non c'era nemmeno bisogno delle fogne. Andare lì non era una necessità, ma un'avventura!. E a pensarci bene, ma chi cavolo ce lo aveva messo lì, visto che intorno c'erano boschi, lande, steppe, tundre e nient'altro?

Complimenti Michele, sei una penna nuova per noi e molto piacevole. Se hai tempo vai al forum presentazioni, così ti potrai illustrare.  abow


( come ci hai scovati?)

mulinux

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Re:Il gabinetto dei cani
« Risposta #2 il: Maggio 26, 2013, 14:30:16 »
Farla nel gabinetto che descrivi te, dev'essere un vero incubo. Al massimo potrebbero essere usati per addestrare i trapezisti a farla in volo :-)

Vi ho scovato casualmente: sono partito cercando informazioni sullo scrittore Marcello Simoni, che ho sentito ieri sera alla Notte del Libro, a Pontedera. Ho cominciato a clickare sui link in fondo alla pagina, e alla fine ho trovato il vostro forum, e mi sono subito iscritto.

Mi devo presentare nel "forum presentazioni"?

nihil

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Re:Il gabinetto dei cani
« Risposta #3 il: Maggio 26, 2013, 14:37:41 »
sarebbe carino. Se su FB trovi un Orizzonte Obliquo che ti ha chiesto l'amicizia, sono io. Quasi tutti noi siamo capitati qui inseguendo una biografia: io cercavo quelòla di Stephan Zweig. A presto.

patriziagiangregorio

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Re:Il gabinetto dei cani
« Risposta #4 il: Maggio 27, 2013, 11:22:51 »
un racconto simpatico e reale,povero Domenico costretto ad inventare bugie una dopo l'altra per la sua amica "con la puzza sotto il naso".

mulinux

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Re:Il gabinetto dei cani
« Risposta #5 il: Maggio 27, 2013, 17:47:12 »
Sulla scena finale, ho sempre avuto un dubbio. Domenico, ormai vecchio,  pensa ad Ernestina, ma ha il giornale in mano ... Questo potrebbe generare il dubbio, legittimo, che stia parlando da seduto, mentre esplica i suo bisogni, nell'aria frizzantina del mattino :-)

La cosa non era effettivamente voluta, ma l'aggiunta (piuttosto recente) dell'elemento "giornale in mano", me l'ha suggerita.