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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 17:09:10 »
Nel precedente post ho citato la basilica di San Pietro in Vincoli, che è a Roma. 

L'ho frequentata soprattutto da adolescente. La domenica pomeriggio con una mia amica andavamo prima a Villa Celimontana, poi dalla collina del Celio  salivamo al Colle Oppio per giungere al Colle Esquilino.  Concludevamo la passeggiata scendendo la "Scalinata  dei Borgia" per andare alla stazione della linea B in via Cavour.


Scalinata dei Borgia vista da via Cavour.

E’ detta  “Scalinata dei Borgia”  perché in quell’area avevano alcune loro proprietà.

Il portico che si vede in cima alla salita è sovrastato dal palazzo di epoca rinascimentale. Vi abitava  Vannozza Cattanei, amante del papa Alessandro VI Borgia, dal quale ebbe quattro figli: Giovanni, Cesare (il famigerato duca Valentino),  Goffredo e, la famosa, Lucrezia Borgia.
Il nome “Vannozza” deriva da Giovanna (es. Giovannozza)

Attraversato il portico si accede su piazza San Pietro in Vincoli


Veduta parziale della piazza di San Pietro in Vincoli,   il portico antistante la facciata della basilica di San Pietro in Vincoli,  l’adiacente ex convento oggi è  parte della Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Roma “La Sapienza”.
 

Basilica di San Pietro in Vincoli, portico della facciata con cinque arcate sorrette da pilastri ottagonali. Nei capitelli  c’è lo stemma del pontefice Giulio II.



Chiostro della basilica, progettato dal noto architetto Giuliano da Sangallo. 



Interno, navata centrale. L'interno della chiesa è diviso in tre navate, separate da 20 marmoree colonne doriche di epoca romana. Si presume sottratte dal Portico di Livia. Furono  riutilizzate per la costruzione della  prima basilica.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 16:46:33 »
Nikolaus Krebs von Kues, in Italia lo conosciamo col nome di Niccolò Cusano o Nicola di  Cusa,  nacque nel 1401 a Kues, nella Renania-Palatinato, in Germania. La piccola città è oggi denominata Bernkastel-Kues, nata dall’unione delle due vicine località, situate circa 50 km a valle di Treviri.

Frequentò la facoltà di lettere dell' Università di Heidelberg, ma completò gli studi a Padova, dove si laureò in diritto canonico nel 1423. La laurea magistralis la conseguì in Germania, a Colonia, e divenne doctor in filosofia e teologia.

Dalla relazione con Henriette Marie Hüßœr ebbe due figli, ma la donna morì dopo aver partorito il secondo figlio. Perciò nel 1436 ebbe la possibilità di essere nominato presbitero.

Non basta. Era un uomo sapiente e carismatico al servizio del papato.

Nel 1448 fu "elevato alla porpora cardinalizia"; nel 1450 ebbe anche la nomina di vescovo-principe di Bressanone.

Scrisse vari libri, fra i quali nel 1440 il noto “De docta ignorantia” (la dotta ignoranza) in cui fonda la possibilità umana della conoscenza sulla proporzione fra noto e ignoto; nel 1449 elaborò l’ “Apologia De docta ignorantia”. Per questo testo afferma di essersi basato su un passo della Lettera a Proba, scritta da Agostino d’Ippona.

La dotta ignoranza, secondo Nicola Cusano, è un concetto filosofico che riflette l’atteggiamento del pensatore consapevole della limitatezza della conoscenza umana rispetto all’immensità dell’ignoto. Comunque può costruire un’interpretazione del mondo.

Il cardinal Cusano affermava che tutte le religioni sono delle varianti culturali del culto dell’unica vera divinità. Di fatto, egli sembra voler conferire a tutte eguali diritti nei confronti della ricerca della verità.

Descrive nei suoi testi un’ideale assemblea tra i rappresentanti di ogni popolo che deve dare a tutti la possibilità di esprimere le proprie posizioni. Questo concilium universalis sarebbe il corrispettivo terreno dell’assemblea divina.

Benché l’espressione “De docta ignorantia” sia associata a Cusano essa compare già in filosofi precedenti. A questo cardinale deriva dal pensiero di Agostino.

Cusano approfondisce il concetto di dotta ignoranza riproponendo le riflessioni a lui precedenti e ampliandole.

Per lui la dotta ignoranza è una formula gnoseologica, importante per riflettere su Dio, ed è alla base di qualsiasi conoscenza.

Il limite della conoscenza umana non riguarda solo l’infinito, che sfugge ad ogni proporzione e ci è ignoto.

Diventare coscienti del proprio limite è la più alta conoscenza raggiungibile. Per questo possiamo definire tale ignoranza “dotta“.

Come cardinale  ebbe a Roma il titolo della basilica di San Pietro in Vincoli, che conservò fino al 1464, anno della sua morte. E’ sepolto in questa chiesa, in una tomba marmorea realizzata dal noto scultore Andrea Bregno. Il cuore di Cusano fu portato a Kues, per sua volontà testamentaria.



autore sconosciuto, in primo piano il cardinale Niccolò Cusano nell’atto di pregare,  dipinto in affresco  del XV secolo nell’ospizio per i poveri nella natia  Kues.
Nel 1458 fece costruire nel luogo natio il “Cusanusstift” (ospedale di San Nicola), luogo di accoglienza di carità per 33 individui  (in memoria degli "anni di Cristo"):  6 nobili, 6 sacerdoti e 21 persone comuni.

In basso, sulla sinistra dell'affresco, il suo stemma araldico: raffigura il simbolo astrologico del cancro.




 
Tomba di Niccolò Cusano.

La biografia dice che  morì a Todi (prov. di Perugia) l’11 agosto 1464, ma nella  soprastante epigrafe c’è scritto 1465. Forse questa data vuol significare che fu deposto in questa tomba in tale anno.


Lastra tombale realizzata  da Andrea Bregno nel 1465.

La decorazione scultorea:  sulla sinistra  raffigura il defunto in ginocchio e in abito cardinalizio (notare il galero in terra davanti a lui)  mentre prega rivolto a San Pietro in trono che regge il libro del Vangelo nella mano destra; sulla copertina del libro è raffigurata la chiave, simbolo dell'apostolo; egli è  incatenato al polso del braccio sinistro;  sulla destra la scultura che raffigura l'angelo liberatore.
 
La liberazione di Pietro è un evento descritto negli Atti degli Apostoli (12, 1 – 11): il re Erode Agrippa dopo aver fatto uccidere Giacomo il Maggiore, fece arrestare anche l’apostolo Pietro; questo, venne catturato a Gerusalemme nei giorni della Pasqua ebraica. In attesa del processo dopo le festività, fu incatenato e recluso nel carcere.  Nella notte precedente l’udienza, nella cella apparve un angelo mandato da  Dio; gli sciolse le catene e lo liberò.
 
Al di sotto della lapide c'è lo stemma del Cardinale Nicola Cusano: raffigura il simbolo astrologico del Cancro.







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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 16:38:19 »
 Il concetto di ignoranza è abbastanza complesso perché si porta dietro quell’ironia socratica del non-sapere che è il necessario pungolo vitale per la nascita della conoscenza di ognuno di noi.

I nostri tentativi quotidiani di porre rimedio all’ignoranza somiglia alla fatica di Sisifo, perché l’ignoranza, proprio come il famoso masso del mito, rotola sempre a valle.

La necessità di conoscere, altrimenti le decisioni sbagliate possono indurre conseguenze persino fatali.

Il sapiente Confucio disse: “Vuoi che ti dica che cos’è la conoscenza? È sapere sia quel che si sa sia quel che non si sa”.

Invece messer Alighiero degli Alighieri (Dante) nella Commedia fa dire ad Ulisse: “Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”.

Conoscenza e ignoranza sono come la luce e l’ombra.



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Pensieri, riflessioni, saggi / Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 16:29:59 »
Ci sono diverse modalità d'ignoranza: questa parola l'abbiamo ampliata di significato e di solito la usiamo per definire una persona ineducata, raramente l'attribuiamo a chi non sa.

Il dizionario informa che il sostantivo "ignoranza" deriva dal latino "ignorantia", formato dal privativo in e dalla radice del verbo (g)noscere (conoscere) quindi letteralmente "mancanza di conoscenza") è la condizione che qualifica l'ignorante, colui che ha trascurato la conoscenza di determinate cose che si potrebbero o dovrebbero sapere. 

L'ignoranza è un difetto, soprattutto quando induce a diventare arroganti e presuntuosi pur di non ammettere di non sapere;

l’ignoranza può anche essere l’inizio del ravvedimento quando con umiltà si ammette di non conoscere un determinato argomento e si ha la motivazione per avere informazioni. 

Non basta. L’ignoranza può essere assoluta, relativa o dotta. 

L’ignoranza assoluta è stimolo e presupposto per la conoscenza; 

l’ignoranza relativa è assenza di ciò che si sa. “E credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?”, disse Socrate; 

la dotta ignoranza
, invece, è il perno della dottrina della conoscenza. Essa pone al proprio centro la finitudine della conoscenza umana, quindi la sua inadeguatezza per formulare un concetto adeguato sia dell’infinità del divino sia della verità delle cose finite.  La dotta ignoranza invita a cercare la verità oltre i confini del noto.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:A Roma dimo così...
« il: Febbraio 24, 2024, 22:05:13 »
Non c'è bisogno di Instagram. Devi cliccare sul link e appare l'immagine dell'uomo che parla. Per ascoltare la sua voce devi andare in basso a destra e cliccare sul simbolo del sonoro per togliere la barra di accesso :rose:

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:A Roma dimo così...
« il: Febbraio 23, 2024, 07:22:09 »
Buongiorno Nina,

clicca sul link e senti che dice

https://www.instagram.com/anima_di_roma/reel/C3DeilUtFza/


senti pure quest'artra  :)

https://www.instagram.com/anima_di_roma/reel/C20JlUhNCzl/

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Arte / Re:Le trecce di Faustina
« il: Febbraio 22, 2024, 16:56:15 »
La seconda sala ripercorre in sintesi la storia del ritratto femminile nell’arte greca e romana, mostrando la grande varietà delle acconciature scelte dalle donne antiche. E’ un excursus tra la ritrattistica di età classica e quella di età imperiale, consente di seguire la metamorfosi della capigliatura nell’antichità sino alle acconciature ai limiti dell’eccentricità delle imperatrici della dinastia Flavia che alle trecce preferirono un diadema di boccoli “a cavatappi”, come appare nella “Testa Fonseca” custodita a Roma nei Musei Capitolini.

La terza sala mostra la liberazione dei capelli delle donne, raggiunta nel XV secolo anche grazie al prestigio dei modelli classici. C’è il revival delle pettinature antiche nelle sculture del XV secolo: alternanza tra capelli raccolti e ciocche liberate sull’esempio della Venere di Botticelli.

La quarta sala propone un doveroso e inevitabile confronto con le acconciature maschili, che non meno di quelle femminili, furono nel Rinascimento il prodotto del recupero di modelli classici combinati con sensibilità più moderne.
Il dittico attribuito agli scultori rinascimentali Vincenzo e Gian Girolamo Grandi, affianca al profilo maschile con ricci, abbinato alla barba ispirato ai ritratti degli imperatori romani Adriano e Antonino Pio. Lunghi e indomabili invece sono portati con fiera spavalderia i capelli celebrati dal modello nel Ritratto di musico di Tiziano.

La quinta sala ripercorre l’interesse di Michelangelo Buonarroti per la raffigurazione dei capelli femminili, in particolare i disegni con le cosiddette “teste divine” e la ripresa dall’antico con i suoi studi sul mito di Leda, il virtuosismo con le trecce, come nel doppio ritratto di Cleopatra.

Anche Leonardo da Vinci ha ideato capigliature molto elaborate, in particolare nella raffigurazione di Leda.


La sesta sala: l’attenzione si sposta su alcune protagoniste della moda rinascimentale: Lucrezia Borgia, evocata dal ricciolo biondo da lei donato a Pietro Bembo, racchiuso come in un reliquiario in una teca della Biblioteca Ambrosiana, a Milano; la poetessa Vittoria Colonna, amica di Michelangelo, famosa per i suoi capelli sciolti; la marchesa di Mantova, Isabella d’Este; la duchessa di Firenze, Eleonora di Toledo, con i capelli trattenuti in voluminose acconciature.

L’espressività delle acconciature nella ritrattistica ufficiale, evidenzia come le stesse donne le abbiano utilizzate per proporre valori culturali e modelli di comportamento.

I sorprendenti ruoli delle acconciature nel Rinascimento. Lontane dall’essere solo preoccupazioni cosmetiche femminili o semplici curiosità da artista, le acconciature devono essere considerate i legami di una cultura, quella rinascimentale, dove le credenze morali, sociali, religiose e fisiologiche si intrecciarono, rafforzandosi a vicenda.

Dopo un salto di due secoli, che corrispondono all’epoca barocca e rococò, contraddistinta dalle parrucche, il ritorno alla naturalezza degli antichi.

La settima sala, dedicata all’attenzione mostrata dal cinema per le acconciature femminili, antiche e moderne.

L’ottava sala documenta come l’acconciatura di Faustina – filo rosso della mostra – abbia continuato a esercitare grande fascino anche nell’età neoclassica e, in particolare, nella ritrattistica di Antonio Canova. Nelle straordinarie acconciature, il famoso scultore, come documentano i suoi disegni di studio dall’antico, riannoda, con una nuova sensibilità moderna le trecce di Faustina.

In mostra ci sono due teste in gesso di Antonio Canova. Lo scultore aveva ideato una personale rielaborazione dell’acconciatura di Faustina, con trecce composte che lasciavano liberi alcuni riccioli sulla sommità del capo, in nome di una seduzione accennata.

C'è da dire, infine, che la mostra invita a un’interessante lettura sociologica diacronica sul ruolo dei capelli, come emblema della bellezza, virtù e potere.

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Arte / Re:Le trecce di Faustina
« il: Febbraio 22, 2024, 16:47:55 »
A Vicenza l’esposizione nel Palazzo Leoni Montanari attraversa otto sale.

Nella prima sala ci sono i due busti in marmo di Faustina Maggiore e di Faustina Minore.


A sinistra il retro del busto di Faustina Maggiore, notare la sua capigliatura; a destra l’acconciatura di Faustina Minore: il suo chignon raccoglie a ciocche morbide e ondulate tutta la capigliatura.

Ma fu l’acconciatura di Faustina Maggiore a diventare un modello di riferimento per le matrone romane. Il suo busto marmoreo divenne un celebrato modello artistico e numerose copie e rielaborazioni diedero grande visibilità all’eccentrica capigliatura che finì per essere adottata da molte donne. La sua acconciatura è formata da lunghe trecce annodate e raccolte sulla sommità del capo.

Era la moglie dell’imperatore romano Antonino Pio e zia dell’imperatore Marco Aurelio. Fu scelta come simbolo di concordia e amore coniugale. Morì prima del marito, che la aveva insignita del titolo di Augusta e che la fece divinizzare, perciò fu celebrata in tutto l’impero romano quando il suo culto venne associato a quello di Cerere, dea delle messi.

La particolare acconciatura dell'imperatrice Faustina Maggiore interessò vari artisti quattrocenteschi: Lorenzo Ghiberti, Filarete, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini. Di quest’ultimo pittore è esposto il capolavoro la “Sacra conversazione".


La Madonna col Bambino tra le sante Caterina d’Alessandria (?) a sinistra, e Maria Maddalena, sulla destra. Il dipinto è titolato “Sacra conversazione Renier” (dal nome dell’ultimo proprietario privato, il conte Bernardino Renier), olio su tavola, 1490 circa, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

La Sacra Conversazione tra la Vergine e il Bambino e le due sante si svolge in un ambiente indefinito, una stanza buia entro la quale la pelle diafana dei protagonisti sembra splendere di luce propria.

Nell’opera, destinata alla devozione privata, è possibile che Bellini raffigurasse due donne del patriziato veneziano, atteggiate e abbigliate come Santa Caterina d’Alessandria – dalla acconciatura regale a fili di perle ispirata ad un modello antico – e la Maddalena, giovane con i capelli ramati e sciolti sulle spalle.

In questo dipinto l’acconciatura di Santa Caterina d’Alessandria evoca quella di Faustina Maggiore, come appare nelle antiche medaglie e nei busti.


particolare

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Arte / Le trecce di Faustina
« il: Febbraio 22, 2024, 16:35:07 »
A Vicenza, nel Palazzo Leoni Montanari, una delle sedi delle “Gallerie d’Italia” e delle collezioni d’arte di Banca Intesa, fino al 7 aprile c’è la mostra titolata: “Le trecce di Faustina. Acconciature, donne e potere nel Rinascimento”

Questa rassegna con approccio interdisciplinare, evidenzia come le acconciature femminili di moda in epoca romana abbiano influenzato l’evoluzione della moda femminile nel Rinascimento e la relativa rappresentazione nella pittura, scultura, grafica, miniatura e arte della medaglia.

Le opere esposte creano un confronto tra antico e moderno, tra stile e influenze, in una circolarità che restituisce la complessità della comunicazione sociale della moda e delle arti nei secoli.

Nel percorso espositivo, articolato in sezioni, fa da suggestiva ouverture un dipinto del Padovanino relativo al mito della chioma di Berenice trasformata in costellazione. Mito che evidenzia l’importanza conferita fin dall’antichità ai capelli identificati come emblema della bellezza e nel contempo oggetto del desiderio.



Alessandro Varotari, detto il Padovanino, La chioma di Berenice, olio su tela, 1649 circa, Collezione privata

Berenice dopo aver tagliato i suoi capelli li depone nel vassoio.

Ma chi era Berenice ? Visse nel III secolo a. C. ed era la figlia del re di Cirene, città dell’odierna Libia. Sposò Tolomeo III Evergete, sovrano dell’Egitto. Dopo la morte di Alessandro Magno l’Egitto fu governato dalla dinastia dei Tolomei.

Il mito narra che dopo le nozze Tolomeo III dovette partire con il suo esercito per combattere contro la Siria, e Berenice, la bella regina dai lunghi capelli, preoccupata per l’incolumità del suo amato, fece voto alla dea Afrodite Zefirite di offrirle la propria chioma se si fosse dimostrata benevola nel far tornare vivo e vittorioso Tolomeo.

Il re tornò trionfante in Egitto, e Berenice, mantenendo la promessa, si fece tagliare i capelli per portarli al tempio di Afrodite. Il giorno dopo il marito non vedendo sull’altare i capelli della moglie chiese spiegazioni plausibili, ma inutilmente. Intervenne Conone, astronomo di corte, che disse al sovrano: “ io so dov’è la bella chioma della regina”, e con la mano destra indicò il cielo. “A ovest di Bootes, sopra il Leone, vede quell’amabile luccichio? Sono i capelli della sovrana. Gli dèi li hanno trasformati in tre luminose stelle”, dette “Chioma di Berenice”.

Nel firmamento formano una V nei pressi del centro della coda del carro dell’Orsa Maggiore. Il nome della stella principale è Vega (Wega) della costellazione della Lyrae (Lira).


 


Mappa della “Chioma di Berenice".

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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 20, 2024, 09:44:45 »

persone che stanno uscendo dalla chiesa dopo la funzione religiosa; alcune si sono portate le sedie da casa e le stanno riportando; nel portico si vede il prete con il camice bianco. 

Vicino la locanda ci sono  rappresentazioni dell’antico teatro di strada, cosiddetto perché  allestito in luogo pubblico, all’aperto.  Gli attori, mimi o giocolieri che si esibiscono in questo genere teatrale sono detti “artisti di strada”.
 
La scena raffigura la  “Sposa sudicia”, tratta dall’ottava bucolica di Virgilio. La bella pastorella Nisa è amata da Damone, ma preferisce sposare Mopso.




altra scena


 nel  ciclo carolingio (letteratura epica-cavalleresca) rappresenta l’episodio di  Ursone e Valentino: due gemelli, figli di Belisante, sorella del re di Francia, Pipino.
I due neonati furono abbandonati   nella foresta dalla madre in fuga perché ripudiata dal marito.
Ursone fu allevato da un’orsa, perciò diventò un essere selvaggio; Valentino, invece, crebbe nella corte del  re di Francia, Pipino.

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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 19, 2024, 15:10:38 »
In questo dipinto c'è la folla brulicante nella piazza, persone intente nelle loro occupazioni e dall’artista organizzate con una dicotomia in cui le due parti sono in antitesi.

Sulla sinistra c'è il riferimento al Carnevale con individui che mangiano, bevono, ballano giocano; due botti per il vino sono vicino la porta d’entrata nella locanda, che ha l’insegna con la scritta   “Al naviglio blu", disegnata come una barca blu.

Bruegel  ha personificato il panciuto Carnevale con la camicia celeste ed i calzoni rossi. E’ seduto a cavalcioni sopra una botte, collocata  su un carrello a forma di barca che viene spinta da giovani mascherati. Quello che ha il mantello marrone ed  in testa un  conico cappello di colore rosso ha in mano un coltello.

Anche l’obeso Carnevale un grosso coltello da macellaio che gli pende sulla pancia appeso ad un laccio intorno al giro vita.

Sopra la sua testa c’è  un tegame col cibo cotto;  l’uomo ha il piede destro dentro un pentolone ed è “armato” con uno spiedo, nel quale sono infilzati diversi tipi carne. Un filo legato allo schidione sorregge a penzoloni una salsiccia. Ha il piede destro dentro una pentola.

In terra ci sono alcune carte da gioco, il guscio di un uovo e delle ossa.



Invece la Quaresima è  impersonata da un’anziana donna (somigliante ad un uomo), alta e magra, dal volto triste,
indossa un saio e dei sandali;  è seduta nella sedia, su un carrello  con ruote trainato da una suora e da un frate. 

Dietro al carrello ci sono persone che hanno sulla fronte il segno della croce fatto con la cenere e impresso dal sacerdote  durante la Messa nel "Mercoledì delle Ceneri".



La Quaresima combatte contro lo spiedo del Carnevale con una lignea pala con lungo manico (tipo quella usata dai fornai) sulla quale ci sono due pesci: sono aringhe, simboleggiano la penitenza e l’astensione dalla carne; sopra la testa avvolta da un bianco scialle fino alle spalle,  la donna ha un’arnia, rappresenta la Chiesa cattolica, promotrice della Quaresima, denominata “Tempo della Passione” dalle Chiese protestanti. Per queste, la Quaresima è legata ad una spiritualità che non appartiene a loro e  non impongono ai loro fedeli l’obbligo religioso di rinunce o penitenze.

Sulla pedana  dove è seduta la Quaresima ci sono dei brezel,  caratteristico pane a forma di anello con le due estremità annodate (ci sono anche con altre forme) che nel periodo quaresimale per i cattolici vengono prodotti senza latte, uova o strutto.

Un richiamo alla carità nel periodo di Quaresima è rappresentato dall’uomo con l’abito azzurro (nell’angolo in basso a destra) che dona alcune monete ad una povera donna seduta che chiede l'elemosina ed ha il suo bambino sdraiato su una sedia rovesciata sul ciglio della strada.



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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 19, 2024, 10:18:43 »

Pieter Bruegel il Vecchio: “Lotta tra Carnevale e Quaresima”, dipinto ad olio su tavola; 1559, Kunsthistorisches museum, Vienna

L’artista fiammingo si chiamava Pieter Brueghel, ma in questo quadro si firma col cognome Bruegel. E tale cognome usò dal 1559 per firmare i suoi dipinti.

Pieter Bruegel o Brueghel   è indicato come il Vecchio per distinguerlo dal figlio primogenito, Pieter Bruegel, detto “il Giovane”.

Il noto dipinto “Lotta tra Carnevale e Quaresima” esprime simbolicamente la contrapposizione tra la “festa” e la “penitenza”, la transizione tra i due periodi liturgici.

Per comprenderne la struttura narrativa si deve immaginarla divisa in due parti da una linea verticale, che dalla casa centrale in alto scende verso il basso e passa nel breve spazio antistante tra l’uomo panciuto sulla botte ed il carrello trainato da due religiosi.



dettaglio

Inoltre, Bruegel ha  collocato le persone, festaioli e penitenti,  intorno a un ideale centro, costituito dal pozzo, dove si vede una donna che con la carrucola ha tirato su il secchio






Bruegel per evidenziare  la ciclicità della vita,  alternata tra follia e ragione, povertà e ricchezza, abbondanza e penuria, disordine e ordine, ha disposto la folla non in modo casuale ma in forma circolare: chi oggi ride domani piangerà, che gioca, lavorerà, che fa bagordi farà penitenza.



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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 16, 2024, 11:20:16 »
Concludo  questo thread con due dipinti del pittore veneziano Pietro Longhi (1702 - 1785), custoditi a Venezia nella pinacoteca della Fondazione Querini-Stampalia,  nell’omonimo palazzo del XVI secolo.


Venezia: Palazzo Querini Stampalia



Palazzo Querini-Stampalia, una veduta d’interno



Pietro Longhi, Il Ridotto, olio su tela, 1750 circa, Pinacoteca Querini-Stampalia, Venezia

Questa composizione fu ispirata al Longhi  da un precedente dipinto realizzato da Francesco Guardi, custodito alla Ca’ Rezzonico (vedi precedente post).
La scena si svolge nel salone centrale del Ridotto di Palazzo Dandolo a San Moisé.
La scena del "Ridotto" occupò la fantasia del Longhi in numerose versioni. 



Pietro Longhi, il Ridotto di Ca' Giustinian, olio su tela, 1750 circa, pinacoteca Querini-Stampalia
Una copia è a Bergamo all'Accademia Carrara









 

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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 15, 2024, 09:53:42 »

Francesco Guardi, Il Ridotto, olio su tela, 1746 - 1750, Museo del Settecento Veneziano,  Ca’ Rezzonico, Venezia

(purtroppo l'immagine è parziale, cliccare sulla foto  per  averne il link e vederla intera)

Non sono riuscito a trovare un'altra foto con meno pixel.

[mister, come in altri forum ci sarebbe bisogno di far entrare tutta l'immagine anziché far "straripare" una parte. Grazie dell'attenzione]


In questo dipinto è raffigurata la sala grande del Ridotto. Si vedono anche altre sale più piccole con i giocatori.

Il “Ridotto” era la sala da gioco nel  Palazzo Dandolo a San Moisé. Era frequentato anche da Giacomo Casanova.
Veniva aperto in occasione del lungo periodo di Carnevale veneziano, che  nel ‘700 si dilungava dal 26 dicembre al mercoledì delle Ceneri. 

Poiché il gioco d’azzardo era per legge illegale, il Ridotto di San Moisè, aperto nel 1638, era l’unico ad essere considerato legittimo, ed era gestito dallo Stato: la Repubblica di Venezia.

I frequentatori erano obbligati ad indossare la maschera, di solito la baùta: bianca per gli uomini, nera per le donne. Erano esclusi dall’obbligo i nobili addetti ai banchi di gioco (i croupiers) che dovevano indossare la parrucca e la toga nera;  venivano stipendiati dal governo.  Erano nobili impoveriti,  appartenenti alle famiglie meno ricche;  venivano denominati  “Barnabotti”, nome che deriva dalla parrocchia di San Barnaba.

Questa casa da gioco  accoglieva  veneziani e stranieri, nobili e gente comune, ricchi e poveri.  Fu quindi quasi naturale che in tale ambiente iniziassero a diffondersi attività come la prostituzione e l’usura.  La presenza continua nelle sale di usurai e meretrici, il problema della dissipazione dei capitali con il gioco d’azzardo, gli oscuri rapporti d’affari tra gli usurai e i Barnabotti, motivarono la magistratura più temibile della Serenissima, il Consiglio dei X,  a decretare la chiusura  di questo Ridotto nel 1774.


Ed ora passiamo all’immagine.

E’ evidente la promiscuità degli strati sociali osservando i loro vestiti.

A destra,  c’è una donna che indossa un abito bianco  tiene in mano un fuso e una conocchia  (attributo distintivo delle prostitute) vicina ad un Barnabotto che sembra dare  ad un uomo una chiave, presa dal mazzo di chiavi: un fatto di facile interpretazione.

Sull’estrema sinistra  un altro Barnabotto è intento a prestare denari ad un nobiluomo mascherato.

Un bambino gioca con il cagnolino.

p. s. La sorella di Francesco Guardi,  Maria Cecilia, nel 1719 si unì in matrimonio col famoso pittore Giovan Battista Tiepolo.

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Cogito ergo Zam / Re:Tempo di Carnevale
« il: Febbraio 15, 2024, 09:35:05 »
Buongiorno Nina,  stamane  di Venezia ti offro la veduta della Ca’ Rezzonico.


 
L’edificio prospetta sul  Canal Grande. Fu progettato da Baldassarre Longhena su incarico della nobile famiglia Bon. Il cantiere venne aperto nel 1667 ma per difficoltà economiche dei committenti la costruzione venne  lasciata incompiuta.

Nel 1751 Giambattista Rezzonico l’acquistò e lo fece completare. Il cantiere chiuse nel 1758.

Lo so, la tua curiosità ti motiva a chiedermi chi erano i Rezzonico, ed io brevemente ti dico che un primo  Rezzonico documentato a  Venezia si chiamava Aurelio, ed era l'anno del Signore 1638. Era, originario della provincia di Como e dedito all’attività finanziaria e al commercio.  Era un discendete dei conti Della Torre di Rezzonico, da cui il cognome.


 
Castello di Rezzonico, costruito nel 1363 dal feudatario Della Torre, poi Della Torre-Rezzonico.
Il maniero è situato nella sponda nord-occidentale del Lago di Como.

Dal 1687 il ramo veneziano dei Rezzonico entrò a far  parte del patriziato della città lagunare. Di questa famiglia faceva parte Carlo Rezzonico (1693 – 1769), che il 6 luglio 1758 fu eletto al soglio pontificio col nome di  Clemente XIII.

Ora Nina virtualmente saliamo lo scalone d’onore per poi entrare in quel che fu il bel salone da ballo, ancor oggi ornato con gli affreschi e i lampadari di Murano.



Nei tre piani dell’edificio si dipana il Museo del Settecento Veneziano. Possiamo ammirare i mobili, le porcellane i lampadari, ecc., ma in particolare i capolavori di Giambattista e Giandomenico Tiepolo. Nella collezione di quadri ci sono i dipinti dedicati a Venezia da Guardi, Canaletto e Longhi.

Nel prossimo post  ti offro la foto di un dipinto di Francesco Guardi riguardante il Carnevale di Venezia.

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