Autore Topic: ... un punto su cui insistere  (Letto 207 volte)

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... un punto su cui insistere
« il: Aprile 26, 2014, 11:59:46 »
A noi può parere assurdo che gli altri non vogliano vivere, mangiare, vestirsi come noi; a noi occidentali può parere assurda una società che preferisce la poligamia e impone l'assoluta fedeltà, invece della nostra temporanea monogamia e della nostra costante promiscuità sessuale. A noi pare naturale che una donna voglia essere come un uomo, fare il soldato, l'avvocato, il pilota di aerei, che voglia essere indipendente economicamente, invece di dedicarsi ad allevare figli, educarli e regnare su una casa.
A noi piace vedere il mondo come lo conosciamo e quindi siamo solo capaci di immaginarci la liberazione di Kabul come una liberazione dal burqa: se le donne non lo buttano via, le incitiamo o le paghiamo perché lo facciano (...)
Quel che dimentichiamo è che il burqa appartiene a un mondo diverso dal nostro, a una diversa cultura; dimentichiamo che, come la sharya, ha una sua tradizione ed è solo un aspetto, quello più esteriore (appunto del vestiario), di un principio molto più generale, il principio del purdah, la tenda, che nelle società islamiche separa le donne dagli uomini, le separa nelle loro stanze, nel mangiare, nella loro educazione. Le separa, ma così facendo, dal loro punto di vista, le protegge anche. Perché il burqa è anche questo: una protezione, un simbolo dell'inavvicinabilità femminile in un paese dove è ancora d'uso che il medico, nei villaggi, non tocchi una paziente donna e che solo un fratello o il marito può riferire i suoi mali.

Da Lettere contro la guerra, Lettera da Delhi di Tiziano Terzani