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Topics - Doxa

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Pensieri, riflessioni, saggi / La lingua o le lingue parlate da Gesù
« il: Ottobre 11, 2023, 16:26:02 »
La lingua greca la conosceva anche Gesù di Nazaret ? Questo quesito può emergere quando nel Vangelo di Giovanni si narra che Jesus aveva incontrato un gruppo di greci nel tempio di Gerusalemme, forse nel cosiddetto “Cortile dei gentili”, dove potevano entrare anche i pagani.

“Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: ‘Signore, vogliamo vedere Gesù’. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Gesù rispose loro: ‘È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome’. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!
”(Gv 12, 20 – 28).

Ed ancora, quando Gesù parlò col governatore Ponzio Pilato durante il processo, quale codice linguistico usarono per dialogare ?

“Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: ‘Sei tu il re dei Giudei?’. Gesù rispose: ‘Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?’. Pilato disse: ‘Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?’. Rispose Gesù: ‘Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù’. Allora Pilato gli disse: ‘Dunque tu sei re?’. Rispose Gesù: ‘Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce’. Gli dice Pilato: ‘Che cos'è la verità?’ " (Gv 18, 33 – 38).

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Pensieri, riflessioni, saggi / Biblioteca di Celso
« il: Ottobre 11, 2023, 11:26:24 »

Resti della facciata della Biblioteca di Celso.

La biblioteca di Celso, ad Efeso, fu realizzata in epoca traianea  in onore di  Tiberio Giulio Celso Polemeano, illustre personaggio,, noto semplicemente come Celso, che visse dal 45 al 120 circa.

Fu un politico forse nato ad Efeso. Divenne senatore ed ebbe anche la carica di proconsole d’Asia dal 105 al 107.

La biblioteca fu costruita per volere e con il denaro di Celso, ma realizzata dal figlio, Gaio Giulio Aquila Polemeano (console nel 110) dopo la morte del padre.

Completata nel 135,  nell’edificio fece fare la cripta per collocare il monumento sepolcrale di Celso.

La biblioteca poteva contenere 12.000 rotoli.

Dopo l'abbandono di Efeso nel VII secolo l'edificio crollò, ma venne restaurato da una fondazione archeologica austriaca nel 1970

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Pensieri, riflessioni, saggi / Labor
« il: Ottobre 07, 2023, 18:26:27 »

 

"E Dio vide ogni cosa che aveva fatto, ed ecco, era molto buona. E la sera e il mattino erano il sesto giorno" (Genesi 1, 31).
"Così i cieli e la terra erano finiti, e tutto l'esercito di loro. Allora Elohim  nel settimo giorno  terminò il lavoro che aveva compiuto e si riposò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso  si era riposato da ogni lavoro che  aveva creato e fatto” (Genesi 2, 1 – 3).

Egli “creò” il cielo e la terra, ma subito dopo, non sapendo che farsene, “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2, 15). Adesso mi è chiaro perché il Dominus creò l’homo faber: gli serviva la manodopera dedita all’agricoltura.

Non basta, “E il Signore Dio disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile’. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile”. Adam come homo technicus impose il nome agli animali, in cambio il dominus creò Eva per dargli compagnia, soprattutto nel lavoro dei campi. (Gn 2, 18 – 20)

Si configurano, così, questioni come il linguaggio, la proprietà, il tempo, lo spazio, la morte, la deformazione del lavoro in fatica.

Per di più nel terzo capitolo della Genesi, quello del “peccato originale”, c’è la distorsione dell’ordine divino nell’Eden, descritto nel secondo capitolo.

“… maledetto sia il suolo per causa tua ! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai” (Gn 3 , 17 – 19)

Eppure Adam non gli aveva chiesto di nascere. Il Dominus (nella sua infinità bontà e amore ?) egoisticamente lo creò per farlo lavorare nella sua grande “tenuta agricola” denominata “Eden”. La sua ira funesta costrinse quel povero uomo e la sua compagna, Eva, a mangiare “spine, cardi ed erba campestre”.

Comunque, anche in questa dimensione di dura fatica, il lavoro ha un aspetto costruttivo: produttività, procreazione, cultura.

Due verbi ebraici classificano il lavoro: “abad” e “shamar” (= coltivare e custodire), di per sé sono i termini religiosi della pratica dell’alleanza tra Israele e Dio, col significato di “servire” (culto) e “osservare” (la legge divina).

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Arte / Arte e denari
« il: Settembre 10, 2023, 18:49:29 »
A Parigi, fino al 24 settembre,  nel palazzo dove ha sede la “zecca”, c’è la mostra titolata: “L’argent dans l’art”  che illustra la complessa relazione tra arte e denaro: dal re Creso ai salvadanai di Bruegel il Vecchio, da una litografia di Marcel Duchamp ai dollari di Andy Warhol. 

Il denaro è il centro dell'universo a “La Monnaie de Paris”.  Fondata nell'864 d.C., è la più antica zecca al mondo tutt'ora in attività. È oggi anche un museo che ripercorre l'incredibile storia della produzione e coniatura delle monete.

L’esposizione evidenzia il modo in cui gli artisti, nel corso del tempo, hanno affrontato l’aspetto economico distinguendo chi mirava a valorizzare la propria creatività indipendentemente dal valore materiale dell'opera, da chi considerava  l'arte come mezzo per arricchirsi.

Sono esposte circa duecento opere di varie epoche e stili, alcune delle quali provenienti da collezioni private e da istituzioni parigine.

Il percorso espositivo spazia dalla pittura religiosa, con la rappresentazione degli episodi della Bibbia legati all'avarizia e alla carità, alla Riforma protestante fino alla pittura impressionista, periodo in cui emersero nuove modalità economiche nel commercio artistico.


Henri Van Herwegen, (pseudonimo “Panamarenko, 1940 – 2019, ingegnere ed artista belga)
Chambres d'amis (Camere per gli ospiti), 1986

Panamarenko: “…ho preso una gabbietta per gli uccelli e l'ho riempita di soldi, insieme ad una scatola da scarpe piena di banconote (perché alla gente piaceva dire che i miei soldi li avevo messi nelle scatole da scarpe di casa), e come tocco finale, uno zerbino dove c'era scritto in grande 'Chambres d'Amis' ".


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Pensieri, riflessioni, saggi / Parole e immagini
« il: Settembre 06, 2023, 10:25:29 »


“Un'immagine vale più di mille parole”: la frase è un antico detto popolare. Allude ai concetti complessi: si possono far capire più facilmente  tramite un’immagine o uno schema anziché con la sola descrizione.

Parole e immagini, come le due facce nella stessa medaglia.

Infatti quando posso i miei post li compongo con parole e immagini.

Nella cultura greca del VI-V secolo a. C.  il verbo "graphein" alludeva sia allo scrivere sia al dipingere.

Parola e immagine unite sono un’irresistibile arma di seduzione. Il segreto della loro sintesi è nella grafica, pervasiva ed efficace.

Alcuni esempi. E’ lo stile che trasforma la scritta “Pirelli” nell’immagine mentale delle ruote per auto; è la stilizzazione che distingue la “M” della metro da quella di “Mc Donald’s”; è l’immagine della mela morsicata che interiormente  ci fa dire il nome del computer.

La grafica crea un’identità e la carica di rimandi, associazioni mentali, ricordi, desideri.

Il logo ha il dono di creare realtà, in particolare quando sono entità astratte e complesse come aziende, istituzioni, E’ come un nome proprio che diventa identificabile, perciò le grandi aziende spendono molto denaro nel marchio che rappresenta la loro identità, indispensabile per posizionarsi e imporsi sul mercato, secondo il marketing.

I tifosi di calcio sanno che la squadra è il suo logo, come lo sanno gli appartenenti di qualsiasi organizzazione con un ideale o un’ideologia, come un ordine religioso.

Nel logo c’è l’arte della simbolizzazione, che ha le sue radici nei geroglifici, nei blasoni e nell’araldica medievale.

Nella comunicazione tramite web l’immagine è importante per far capire meglio al lettore. L’immagina cattura subito l’attenzione, dopo vengono lette le parole.

Affidarsi ad una fotografia per attirare l’attenzione degli utenti è fondamentale per la comunicazione. Il contenuto visivo deve essere il protagonista, perché  il cervello umano tende a ricordare solo il 20% di quello che ha letto, ma circa l’80% di quello che guarda:  le immagini infatti coinvolgono prima la vista e poi la memoria.

Quando la parola diventa immagine: il logo è una “parola-immagine”, un simbolo capace di indurre migliaia di persone ad acquistare una merce, l’abbigliamento con la sua raffigurazione.

Il sistema economico-estetico delle multinazionali mobilita le emozioni dei consumatori, creando intorno al brand un fantasmagorico impero dell’immaginario.

Non solo le aziende private e pubbliche, ma anche i gruppi e le organizzazioni come i partiti politici, squadre sportive, eventi, festival, ecc., curano con attenzione la creazione del loro logo, perché ha la capacità di creare emozioni, la parola si fa immagine ed evoca, come il marchio della “Coca Cola”: la parola scritta assume una dimensione iconica; dall’altro, un’immagine che si fa parola, come lo swoosh della Nike.

Nelle varie combinazioni tra queste tendenze si sommano le forze della retorica verbale e di quella visuale, che agiscono come eserciti alleati tramite il loro repertorio di figure (metafore, metonimie, chiasmi, la mela morsicata della Apple, le silhouettes umane a forma di lettera dell’azienda di abbigliamento “Robe di Kappa”.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Coccole
« il: Settembre 02, 2023, 21:32:52 »
E’ necessario ravvivare questo forum …., vi va di argomentare sulle coccole  ?  Proseguo “in solitaria” ?

Cos’è la coccola ? Per me questa parola è come un contenitore (vuoto) per la “raccolta differenziata”. Come “contenuto” possiamo metterci soltanto carezze, baci, abbracci ?

Affetto o amore sono necessari oppure si possono considerare “effetti collaterali” non indispensabili ?



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Arte / Didàskalos
« il: Agosto 22, 2023, 14:08:12 »
E’ importante il titolo del topic: più è strano più richiama l’attenzione del possibile lettore.

Ed è quel che io faccio per  “chiamare” la vostra attenzione su ciò che scrivo. :mmh?::asd:


 
Chi fece  questo dipinto ?

Se non si è sufficientemente esperti  e non c’è la didascalia (di questa discetterò nei prossimi due post)  si tenta di indovinare l’artista fra i pittori impressionisti che dipinsero scene di vita quotidiana, paesaggi e natura con colori vivaci e pennellate rapide, senza curarsi della prospettiva e del chiaroscuro.

L’autore di questo quadro fu il pittore post-impressionista Vincent van Gogh[/img], che tracciò la strada verso l’espressionismo.

Il titolo dell’opera:“Paesaggio con covoni e luna nascente”, olio su tela,  realizzato a Saint-Remy-de-Provence nel luglio 1889,  Kröller-Müller Museum di Otterlo, Olanda.

La scena: il campo di grano che vedeva dalla finestra  durante il ricovero nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de Mausole.

Era l’8 maggio del 1889 quando Vincent Van Gogh chiese di essere ricoverato nella speranza di riavere la  perduta serenità mentale, ma morì l’anno successivo.

Il panorama che Vincent poteva vedere  dalla stanza con finestre sbarrate: lo stesso campo,  raffigurato ad ogni cambio di stagione, a diverse ore del giorno.

In questo dipinto l’ora è quella del tramonto, il tono violaceo dei monti  evoca un paesaggio pre-notturno.

Quella grande sfera arancione seminascosta dalla cima di un monte è la luna.

Nel cielo  tante stelle biancheggianti.

Sul terreno gli steli del grano  mossi dal vento formano onde che si addensano nei covoni.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Émilie du Châtelet
« il: Agosto 10, 2023, 22:51:33 »
Paola Cosmacini,  medico, specialista in radiologia. Da alcuni anni si occupa di storia della medicina dell’antico Egitto e di paleoradiologia.

Recentemente ha pubblicato il libro titolato: “La ragazza con il compasso d’oro. La straordinaria vita della scienziata Émilie du Châtelet”; Sellerio editore.


Émilie du Châtelet

La sua storia è  anche raccontata con dieci raffigurazioni d’epoca. Sono pitture ad olio, incisioni, acqueforti, che la ritraggono accompagnata da un oggetto di riconoscimento: compasso, astrolabio, telescopio, sfera armillare, squadra, carte e disegni, libri. Simboleggiano gli  interessi culturali di Émile du Châtelet (1706-1749) per la matematica, la fisica, l’astronomia, la filosofia. Fu anche scrittrice e traduttrice.

Questa biografia, scritta dalla Cosmacini, è  ben documentata e accompagna  il lettore nella società aristocratica parigina della prima metà del XVIII secolo, inoltre offre il ritratto di una donna che anticipa i temi dell’emancipazione femminile, rivendicando il diritto all’uguaglianza e a una educazione libera da pregiudizi.

Figlia di un barone funzionario di corte e moglie di un marchese appartenente all’alta aristocrazia, univa in sé le caratteristiche delle classi fortunate della sua epoca: femme savante in anni in cui la diffusione dei saperi apriva alle donne accademie e biblioteche, sempre in movimento tra Parigi i suoi castelli e altri tranquilli ritiri, benevola e amichevole nei salotti mondani, frivola quando ciò la ispirava.

La sua vita fu un continuo spostarsi in dimore lussuose, non per capriccio ma perché era il modo di vivere dei ricchi nobili. Come lo era la varietà e libertà di rapporti anche amorosi tra persone, spesso sposate per motivi dinastici, che cercavano altrove partner “affini”.  Così Émile, sposata al marchese Florent-Claude du Châtelet, non ebbe difficoltà a mantenere altre relazioni “adulterine”: con Maupertuis, scienziato e filosofo, con Saint-Lambert, militare e poeta.

Nel 1733 l’incontro con Voltaire, da cui nacque un legame sentimentale e soprattutto intellettuale. “C’è una dama a Parigi che si chiama Émilie e che per creatività e capacità di ragionamento supera di gran lunga coloro che si vantano e dell’una e dell’altra. Ella comprende il filosofo  Locke assai meglio di me”, scrisse Voltaire.

Mme du Châtelet divenne la  sua protettrice e benefattrice nel celebre ritiro di Cirey, interlocutrice autorevole nei dibattiti, talvolta guida scientifica per quel filosofo non  versato in alcune discipline.

Lui la esaltò come donna perfetta, con la quale si può parlare di tutto “alla pari”.

La marchesa du Châtelet all’età di 43 anni rimase incinta. Alcuni giorni dopo il parto di una bambina fu colta dalla febbre puerperale (setticimia) che ne provocò la morte.

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Pensieri, riflessioni, saggi / so che un paese ci vuole
« il: Agosto 06, 2023, 12:23:21 »


“La luna e i falò” è l'ultimo romanzo dello  scrittore Cesare Pavese. Lo scrisse  tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949,  poi pubblicato nell'aprile del 1950. Si suicidò il  27 agosto 1950.

Il libro racconta la storia di un uomo che, dopo aver vissuto molti per anni  negli Stati Uniti torna sulle colline delle Langhe alla ricerca della sua infanzia. 
   
La narrazione s’inoltra tra passato e presente,  fra eventi  sparsi nel tempo e nello spazio, collegati tra loro solo dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista, soprannominato “Anguilla”.

L'evocazione dei ricordi è vissuta insieme e attraverso il vecchio amico falegname Nuto, che era stato per Anguilla una figura paterna e che è sempre rimasto nel paese, vivendo i cambiamenti determinati dalla guerra.

Il desiderio irrealizzabile di ritorno alle origini è riassunto nella domanda di Nuto ad Anguilla:

Nuto:  “Che cos’è allora un paese per te?”

Anguilla: “Non lo so, ma so che un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”
.

Forse queste parole sono l’essenza del romanzo. Il narratore, emigrato e di età ormai matura, torna nel luogo della sua infanzia e giovinezza  e scopre che tutto è mutato, l’esistenza dei compaesani è divenuta più difficile.

Credo che accada a tutti, tornando nel luogo natio di provare la stessa esperienza.

Ritrovare alcuni odori, vedere i volti invecchiati, alberi sopravvissuti, edifici decadenti. Affiora, così, la nostalgia. Il flusso del tempo che passa ha sommerso quella società un tempo contadina.

Non rimane al narratore che ripartire verso un orizzonte lontano.



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Enogastronomia / Mangiare come Dio comanda
« il: Luglio 30, 2023, 16:59:48 »
"Mangiare come Dio comanda": è il titolo del libro  scritto da  Marino Niola ed Elisabetta Moro., pagg. 168, edit. Einaudi.

Entrambi sono docenti nell’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli.  Il prof. Niola insegna “Antropologia dei simboli” e “Antropologia della contemporaneità”, la professoressa Moro,  “Antropologia culturale”.


"L’uomo è ciò che mangia”, scrisse  il filosofo Ludwig Feuerbach: “Der Mensch ist wa ser isst”. Frase fortunata, perché nella lingua tedesca ist (= è) e isst (= mangia) sono assonanti e custodiscono una verità che va oltre la fisiologia ed entra nella metafisica, nella cultura e nella stessa spiritualità.

Infatti il cibo, in tutte le religioni, è anche un simbolo di comunione tra Dio e l’umanità e tra gli individui. Le persone celebrano con pranzi le nascite, nozze e anniversari.

In alcuni popoli persino il lutto è accompagnato da “pasti funebri”. Come non ricordare che  in epoca romana nel giorno stesso del funerale veniva celebrato il primo banchetto funebre (silicernium). Nove giorni dopo veniva offerta la conviviale "coena novendialis".


Il “refrigerium”  (= rinfresco) era il pasto commemorativo per il defunto. Veniva consumato nel cimitero. 

I primi cristiani continuarono il rituale del refrigerium, consumando il cibo vicino le tombe dei parenti  e  le catacombe  dei martiri cristiani.

Secondo i due  docenti nella nostra epoca abbiamo mandato in esilio le divinità e adottato  un nuovo laicismo,  basato sulla dieta: questo sostantivo  deriva dal greco “diaita” e significa “modo di vivere”, “stile di vita”.

La secolarizzazione ha “spogliato” il cibo dal simbolismo religioso, dal ringraziamento a Dio che dà la possibilità di averlo. Ciò ha indotto a seguire determinate regole, che per i cristiani significano una modalità di distinzione dagli atei. Infatti nel Medioevo i  fedeli quando bevevano, sorseggiavano cinque volte, perché cinque erano le piaghe di Gesù; ogni boccone di cibo doveva essere equamente diviso in quattro parti, che rappresentavano Padre, Figlio e Spirito Santo, l’ultimo era  Maria, la Madre di Gesù.

Nelle chiese cristiane cattoliche ogni giorno s’imbandisce la “tavola” (altare) con tovaglia, pane, vino e acqua per il fondamentale rito dell’eucarestia, nel quale Cristo e il fedele sono spiritualmente in comunione.  Con essa il credente “rivive” l’ultima cena di Gesù con gli apostoli.
Mangiarono l’agnello, il pane azzimo, le erbe amare e bevvero il vino rosso.

La religione cattolica non ha divieti sul tipo di cibo né  regole particolari,  ma  impone  due precetti:  divieto di consumare carne nel Venerdì Santo; obbligo del digiuno in alcune circostanze, come il Mercoledì delle Ceneri.

I  perentori divieti alimentari sono elementi identitari.

Nell’ebraismo la precettistica gastronomica costituisce una forma di religiosità, che non è fatta solo di incorporei misteri teologici e “altezze” metafisiche, ma anche di comportamenti concreti, cerimonie casalinghe, gesti tramandati sempre alla stessa maniera, per non disperdere quella parte dell’identità collettiva che è intessuta di vita quotidiana.

L’ ebraica  kasherùt ( = adeguatezza) indica se un cibo è idoneo  ad essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah, interpretate dall’esegesi del Talmud e codificate nello Shulchan Arukh  (= “tavola apparecchiata”): testo normativo e ritualistico ebraico redatto nel 1563 circa. 
 
Il cibo che risponde ai requisiti di kasherùt è definito kashèr = "adatto alla consumazione".

La Torah non indica il fondamento logico della maggior parte delle norme kasherùt, forse derivate da motivazioni igieniche, ma anche filosofiche.

Il cibo, per essere consumato secondo le regole alimentari ebraiche, deve soddisfare vari criteri tra cui:

la natura del cibo;

la preparazione del cibo;

per i cibi di origine animale, le caratteristiche dell'animale stesso. Ci sono le proibizioni della consumazione di animali considerati impuri, come il maiale, i crostacei e i  molluschi, le commistioni di carne e latte. Inoltre c’è il precetto della macellazione di mammiferi secondo la procedura detta “schechtah.

Una clausola giudaica  permette di mangiare carne solo degli animali ruminanti e dotati di unghia bifida: mucche, vitelli, ovini, perciò niente carne di maiale, non ha l’unghia bifida e non è ruminante.

Similmente l’islam, sulla scia della kashrut ebraica, stende una netta linea demarcazione tra il cibo halal, ammesso, e quello haram, impuro: non solo il maiale, anche altri animali; inoltre  c’è la questione dell’alcol…

E’ interessante il lato consolatorio, l’imposizione del digiuno come pratica per essere più vicino a Dio. Si pensi al digiuno cristiano, al Ramadan islamico.


Pieter Bruegel il Vecchio, Banchetto nuziale, olio su tavola, 1568 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna

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Pensieri, riflessioni, saggi / "Non voglio che ti allontani"
« il: Luglio 28, 2023, 10:36:13 »
Lo so, altri occhi leggeranno questo post a te dedicato. Tu ed io, il nostro amore, reale e immaginato,  o trasfigurato.

Costretti ad inabissare la nostra segreta relazione e farla scorrere come un fiume carsico.

La nostra intimità che si protrae nonostante le circostanze.


Leonid Afremov, “Momento di passione”
Pittore impressionista  contemporaneo (1955 – 2019), nostalgico della corrente artistica dell’800: l’Impressionismo. Suoi famosi artisti: Monet, Manet, Degas, Renoir, Morisot. 

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Pensieri, riflessioni, saggi / Italia post cristiana
« il: Luglio 19, 2023, 22:23:41 »
Dal quotidiano “Il Giornale” del 19 – 7 - 2023

Roberto Vivaldelli: "L'Italia è post-cristiana", lo studio shock sulla religione
 

 

"Non basta la presenza del Vaticano e il fatto che il nostro Paese sia universalmente considerato la culla del Cristianesimo. L'Italia è ormai post-cristiana.

I dati parlano chiaro: secondo una nuova maxi-indagine demoscopica che il mensile "il Timone" ha realizzato in collaborazione con Euromedia Research della dottoressa Alessandra Ghisleri, oltre un terzo della popolazione italiana – ben il 37% - si dichiara "non credente", mentre quelli che si dichiarano "credenti" e cattolici e frequentano la chiesa per andare a messa sono appena il 13,8% della popolazione totale.

Trattasi, secondo quanto riporta lo studio, di un'esigua minoranza, composta da pochi giovani e da fedeli in età avanzata. Tra quelli che si dichiarano "credenti" e affermano di andare a messa almeno una volta al mese, si confessa, almeno una volta l'anno, solo il 33% dei fedeli, mentre il 32% non conosce il significato dell'eucarestia. Piuttosto grave, dato che parliamo del sacramento istituito da Gesù durante l'Ultima Cena.

Pochi i credenti che conoscono "L'Ultima Cena".

Gli altri dati contenuti nello studio pubblicato dalla rivista "Il Timone" sono altrettanto sconfortanti per il futuro della Chiesa. Meno di 6 praticanti su 10, infatti, sanno cosa sia la confessione, mentre il 66% sempre dei praticanti sbaglia o ignora la definizione di "risurrezione della carne"; e non finisce qui, perché il 20% pensa che il peccato sia un "semplice torto fatto agli altri".

Sui temi etici, inoltre, dall'aborto alle nozze gay, i praticanti hanno una visione di fatto "secolarizzata" mentre emerge, sempre tra i credenti, una netta opposizione all’utero in affitto e alla legalizzazione delle droghe. La preghiera rimane una pratica molto comune: un fedele su cinque dice di pregare ogni giorno - e il 96% lo fa almeno ogni tanto - mentre 7 persone su 10 di quelle che vanno a Messa credono all'esistenza del Diavolo.

Numeri simili a quelli riportati nell'indagine sociologica pubblicata, nel 2021, dalla Conferenza episcopale italiana a 25 anni da "La religiosità in Italia" del 1995, che anche in quel caso acclarava un calo della frequenza settimanale alla Messa, dal 31,1% al 22%: la religiosità continua a perdere dunque l’elemento di partecipazione alla Messa domenicale (-9% dal 1995 al 2020, pre-pandemia) e diventa "più riflessiva, meditata e per questo più problematica". Anche in quell'indagine, infatti, la preghiera continua a mantenere un aspetto rilevante.

Le sfide per il futuro

Come affrontare quest'Italia post-cristiana? "Il Timone" ha intervistato vari personaggi di spicco, da Kiko Argüello (Iniziatore del Cammino Neocatecumenale) a Davide Prosperi (Presidente della Fraternità di Comunione e liberazione), passando per don Giulio Maspero (Prelatura dell’Opus Dei).

Come scriveva lo storico britannico Christopher Dawson in tempi non sospetti, a proposito del processo di secolarizzazione - era il 1956 - è "compito dell'educazione cristiana recuperare i contatti perduti e ristabilire il contatto tra religione e società moderna tra il mondo della realtà spirituale e il mondo dell'esperienza sociale. Naturalmente questo non è ciò che di solito si intende per educazione, che di solito è confinata negli stretti limiti delle scuole e degli esami. Ma l'istruzione non può fare molto se non ha alle spalle una cultura, e la cultura cattolica è essenzialmente umanista in quanto non c'è nulla di umano che non rientri nella sua sfera e che in qualche modo non le appartenga".

Papa Francesco ha ricordato, anche di recente, che secolarizzazione "da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo”, tanto che “la sua Parola non pare più una bussola di orientamento per la vita, per le scelte fondamentali, per le relazioni umane e sociali”. Riuscirà dunque la Chiesa a recuperare il suo ruolo oppure tutto è perduto?"

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Letteratura che passione / "Spazzolare il gatto"
« il: Luglio 09, 2023, 19:18:12 »
Si può considerare scabroso un romanzo d’esordio di una ottantenne  inglese che con sincerità parla di sesso ?

Jane Campbell è l’autrice di “Spazzolare il gatto” (edit. Atlantide, pagg. 166): storie di 13 donne, dei loro corpi e dei loro desideri, che tra amori irrealizzabili e strani avvenimenti danno vita a questo libro,  che offre una prospettiva inaspettata sulla vecchiaia.

Le loro storie hanno valore paradigmatico, ma anche liberatorio, perché gli atti di ribellione che riescono a compiere sono la migliore risposta alla società borghese, di cui loro sono il prodotto ma anche le vittime, causa cliché sociali e familiari che impongono di riempire la vita degli anziani, la cui esistenza viene percepita da molti solo come anticamera della morte.

Le protagoniste sono personaggi che rivelano un loro ambito  riservato, da tenere nascosto, come se non esistesse, come se fosse “peccato” anche il solo evocarlo.

Il primo racconto di erotico non ha quasi nulla, induce alla malinconia, ma  ha un incipit che fa meditare: “la voglia di un vecchio è disgustosa,  ma la voglia di una vecchia è peggio”.

Nel  libro c’è la donna che scopre il desiderio sessuale quando è ormai nella casa di riposo, quell’altra che  deve adattarsi, accettare il tempo che passa e vivere con i figli in casa e un gatto da accarezzare:

“La gatta e io stiamo imparando il processo di espropriazione. Invecchiare è spesso descritto come un accumulo, di malattie, sofferenze, rughe, ma è in realtà un processo di espropriazione, di diritti, di rispetto, di desiderio, di tutte quelle cose che una volta possedevi e di cui godevi con tanta naturalezza”.
Le protagoniste sono personaggi che rivelano un loro ambito  riservato, da tenere nascosto, come se non esistesse, come se fosse “peccato” anche il solo evocarlo.


La Campbell ha esordito nella letteratura a ottant’anni e forse proprio per la sua età riesce ad abbracciare mondi diversi: quello di ieri con le donne sottomesse e costrette a seguire uno schema perenne, e quello di oggi:

“Susan sapeva che era importante essere, prima di tutto, una signora. Non era appropriato, non era mai appropriato, pensare in certi modi, vestire o mangiare o parlare in certi modi. E fantasie come quelle erano oltraggiosamente, terribilmente sbagliate. Erano palesemente sbagliate, si disse. Erano disgustose. E distolse gli occhi da Miffy…”.

Senza il desiderio, cosa resta della vita?  L’amore è pulsione, ma anche attrazione mentale, romanticismo… a qualunque età. Campbell rompe un tabù e lo fa con la sicurezza di chi ha raggiunto un’età in cui si può dire tutto e con l’incoscienza di chi esordisce.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Locus amoenus e hortus conclusus
« il: Giugno 18, 2023, 17:55:33 »
Locus amoenus e hortus conclusus

Nella letteratura e nelle arti figurative la frase “locus amoenus” allude a un piacevole  luogo che invita all’otium e all’incontro di Eros con Venus nella natura bucolica, circondata da alberi, il canto degli uccelli, fiori, prati verdeggianti, la vicinanza di una  fonte d’acqua, ruscelli.

Il termine bucolica deriva dal sostantivo  greco “boukòlos” = "bovaro" (= l’addetto ai buoi da lavoro di un’azienda agricola).

Il locus amoenus non va confuso con l’hortus conclusus.

Un significativo esempio di entrambi, ma distinti, sono nell’Odissea.

Omero descrive la natura dell’isola Ogigia abitata dalla divinità marina Calipso che amò, riamata, Odisseo (= Ulisse) e lo trattenne con sé per sette anni.

Ogigia, luogo paradisiaco dell’immortalità e della felicità. L'aedo narra che nei pressi della grotta-abitazione di Calipso c’è un lussureggiante bosco, prati, fiori, uccelli che cinguettano rigogliosi tralci di vite e quattro sorgenti d’acqua (= locus amoenus).

Ancora Omero, racconta di Ulisse naufrago nell’isola dei Feaci, della sua soccorritrice, la principessa Nausicaa, del re Alcinoo. La reggia circondata da un grande giardino con alberi e tanti frutti in ogni stagione (= hortus conclusus, giardino recintato).

Nel Medioevo ed anche nei secoli successivi l’hortus conclusus era quello annesso a monasteri e conventi: una zona adibita alla coltivazione di piante, anche medicinali,  e alberi fruttiferi.

Nei castelli e nelle residenze nobiliari i signori di solito adibivano un'area  a giardino con  fiori, alberi, piccoli  canali irrigui anche per i giochi d’acqua, e le dame vi passeggiavano.   

Adesso propongo alla vostra attenzione un hortus conclusus  immaginario, dipinto in due versioni da Lucas Cranach, detto "il Vecchio" (1472 – 1553): il cognome di questo pittore e incisore tedesco è un toponimico, deriva dalla sua città natale, Kronach, in Baviera.



 
Lucas Cranach il Vecchio: L'età dell'oro, olio su tavola, 1530 circa - Galleria Nazionale di Oslo.

Un’altra versione


Lucas Cranach il Vecchio, L'età dell'oro,  pittura ad olio su pannello, 1530 circa, Alte Pinakothek di Monaco. 

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Arte / "Camera degli sposi"
« il: Giugno 15, 2023, 10:53:08 »
A Mantova, il complesso castellare fu  fatto costruire nel 1395 dal capitano del popolo Francesco I Gonzaga, per scopi difensivi e per dimostrare il suo potere economico e politico. Successivamente il castello di San Giorgio nel 1459 fu trasformato da Ludovico II Gonzaga da maniero difensivo in abitazione marchionale.

Nel 1460 Ludovico invitò Andrea Mantegna a lavorare per lui come artista di corte, come tale, continuamente impegnato a sperimentare le sue capacità con la pittura sacra, la ritrattistica, le decorazioni in affresco, le incisioni.

Nel torrione nord-est del castello Mantegna decorò una sala, non era una stanza da letto nuziale, ma veniva usata   da Ludovico II anche per  ricevere gli ambasciatori.  E’ la cosiddetta “Camera degli sposi” o “camera picta”, affrescata tra il 1465 e il 1474.

Fu il pittore Carlo Ridolfi nel 1648 a definirla “Camera degli sposi”, per la presenza  negli affreschi murari del Mantegna  delle figure di Ludovico II Gonzaga con la moglie Barbara.

Il tema è la celebrazione politico-dinastica della famiglia  di Ludovico II Gonzaga.

Su una parete si vede la famiglia Gonzaga e la presenza di alcuni cortigiani.

Sull’altra parete invece è raffigurato il marchese Ludovico II  a colloquio con  il neo cardinale Francesco  Gonzaga e il primogenito e futuro signore di Mantova Federico. Insieme a loro anche il fratellino Ludovico, futuro vescovo di Mantova, e i nipoti Francesco, futuro marchese, e Sigismondo che sarà cardinale.

Nel soffitto, al centro della volta,  Mantegna dipinse un finto oculo che fa vedere il cielo.


 
La volta è composta da un soffitto ribassato, diviso in modo illusorio in vele e pennacchi dipinti. Alcuni finti costoloni dividono lo spazio in figure regolari, con sfondo dorato e pitture a monocromo che simulano sculture e clipei in stucco.
Al centro  c’è l’oculo: un tondo illusionisticamente aperto verso il cielo azzurro con alcuni nembi bianchi.   
Nel finto oculo si vede una balaustra dalla quale si sporgono una dama di corte, accompagnata da un’ancella di colore, altre due donne, putti alati, un pavone, un vaso.

segue

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