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Topics - senzanick61

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Altro / Summertime
« il: Giugno 17, 2012, 21:04:49 »
ll piccolo caffè si trovava a due passi dal negozio. Presi posto a un tavolino all'aperto, mi misi comodo e iniziai a sfogliare il giornale. Quando rialzai lo sguardo l'uomo si trovava appoggiato al muro dinanzi a me, non l'avevo visto arrivare. Incuriosito, lo osservai armeggiare all'interno di un grande e logoro borsone di plastica. Ne tirò fuori un piccolo sgabello bianco ormai scrostato in più parti, la custodia dello strumento mostrava strappi e tagli difficilmente riparabili, il sassofono no. Quando lo liberò dalla sua prigionia, i raggi del sole furono come catturati da quel gioiello cromato, l'uomo alzò gli occhi e i nostri sguardi s'incontrarono. Il sorriso che mi rivolse fu uno dei più malinconici che avessi mai visto in vita mia, una sensazione d'inquietudine partì dallo stomaco e mi risalì fino al cervello, di scatto spostai lo sguardo in cerca del cameriere.

Molti li chiamano barboni o clochard, i più generosi si spingono a definirli artisti di strada, alcuni vi passano accanto e li guardano con disprezzo, " Ma che vadano a lavorare " è il commento che si sente più spesso. L'uomo che attaccò Summertime non rappresentava nulla di tutto ciò, era semplicemente un genio. Le note iniziarono a fluire e invasero la stretta via come onde che si infrangono sulla battigia. Chiusi gli occhi e mi feci trasportare dalla melodia, lasciai che la musica mi penetrasse anima e corpo come lava incandescente, la sensazione di staccarmi dal suolo fu spaventosa e sublime al tempo stesso. Quando l'ultima nota si disperse nell'aria, rimasi con gli occhi chiusi ancora per qualche istante, rincorrendo con la mente la scia di quell'incantesimo.Quando li riaprii l'uomo era sparito, mi guardai intorno confuso e spaventato, erano passati solo pochi secondi. Chiamai il cameriere con un gesto, intenzionato a chiedergli che fine avesse fatto il musicista. Incurante dei miei cenni, mi passò accanto col blocchetto in mano e si rivolse ad altri clienti.

Lasciai perdere la colazione e mi diressi spedito verso la piazza in cui sfociava la via. A quell'ora del mattino era ancora parzialmente deserta, solo alcuni fornitori erano intenti a scaricare la merce. Del misterioso musicista nessuna traccia. Con la mente in subbuglio mi avviai stancamente verso il negozio, l'inquietudine che mi aveva assalito dinanzi allo sguardo del sassofonista si stava trasformando rapidamente in nausea. Mi fermai un momento e respirai a fondo.Quando infine arrivai davanti alla vetrina della mia bottega mi arrestai di colpo. Un foglio bianco, appeso al centro di essa,catturò la mia attenzione. “ Chiuso per lutto “diceva. La scritta era in stampatello e sembrava essere stata vergata di fretta. Un foglio più piccolo, un ritaglio di giornale, lo affiancava. Vidi una mia fotografia nel bel mezzo di un  articolo. “ Negoziante massacrato per pochi soldi: M.D.gestore di un negozio di articoli musicali, è stato assalito e ridotto in fin di vita da un paio di individui ancora ricercati.Lascia la moglie e tre figli. “
Summertime ricominciò col suo ritmo lento e suadente, mi voltai e incrociai di nuovo lo sguardo del musicista. Il sorriso che mi rivolse fu uno dei più malinconici che avessi mai visto in vita mia...

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15 minuti per creare / Incubi dal passato- Epilogo
« il: Giugno 12, 2012, 20:40:35 »
Quando furono di nuovo al pianterreno, Francesco si chinò davanti al corpo del fratello, gli occhi spalancati fissavano il nulla. Passò con delicatezza una mano sul suo viso e si rialzò. Nonostante fosse armato, Marius fu quasi costretto a indietreggiare di fronte allo sguardo carico d'odio che lo investì. Con ordini secchi indicò loro una porta robusta e dotata di una grande serratura all'estremità della stanza, la chiave era inserita nella toppa. L'onorevole la spalancò e fece un passo al suo interno subito seguito da Giuseppe, Francesco esitò un attimo di troppo. La canna della mitraglietta si abbatté sulla sua nuca con la forza di un maglio facendolo stramazzare al suolo privo di sensi. Quando rinvenne era appoggiato alla parete della stanza e l'onorevole cercava di tamponargli la ferita con un fazzoletto, il dolore era lancinante. Nonostante la vista annebbiata, si rese conto che erano stati rinchiusi in una stanza vuota, nessun mobile, nessuna sedia, nulla di nulla. L'unica finestrella era protetta da solide sbarre. Giuseppe si staccò da essa e guardò entrambi.

Il sindaco appariva invecchiato di vent'anni in un colpo solo. La sicurezza e il portamento che l'avevano sempre contraddistinto nei rapporti con le persone, sembravano essere stati cancellati da quelle due ore da incubo. Il suo pensiero corse al figlio e agli invitati al matrimonio. Si sarebbero accorti della sua prolungata assenza? Probabilmente si, ma Giuseppe aveva abituato tutti alle sue riunioni improvvise, al suo accorrere ogni qual volta fosse necessaria la sua presenza. Per ciò che riguardava gli altri, l'onorevole aveva riferito a più persone la sua volontà di non fermarsi per il pranzo, in quanto ai due fratelli... “ Mi dispiace per Pietro, è solo colpa mia ma non pensavo che...” la voce gli si smorzò in gola, si passò una mano sul volto stravolto, sembrò sul punto di piangere. A quel punto saltarono i nervi anche all'onorevole, sino a quel momento il più calmo di tutti, il più remissivo. “ Cazzo Giuseppe! Vent'anni fa abbiamo fatto una cosa ignobile e disgustosa, ho avuto gli incubi per anni! “ Si portò davanti al sindaco e lo costrinse a guardarlo negli occhi. “ Quella troia nazista andava giustiziata, troppe persone hanno perso la vita per colpa sua, ma noi ci siamo lasciati prendere la mano. Noi l'abbiamo violentata, seviziata, siamo andati oltre.” Giuseppe annuì e fece per dire qualcosa, ma l'onorevole continuò senza dargliene il tempo. “ Ma tu ci hai fatto credere di averla uccisa, perché non l'hai fatto? Quel pazzo con la mitraglietta chi è? Assomiglia a quella donna in maniera impressionante, è suo figlio vero? Cazzo Giuseppe! Rispondi! “ Giuseppe stava per farlo, ma il rumore della chiave che girava nella toppa li fece voltare.


Marius entrò con la pistola spianata nella mano destra, l'altra spingeva la sedia a rotelle. Irene guardò i tre uomini e gli fece un cenno. Il giovane le passò la skorpion e prese alcune corde dalla tasca posteriore della carrozzella. La donna notò subito il luccichio che balenò negli occhi del sindaco “ Non si faccia ingannare dalle apparenze comandante Fosco, nonostante le ferite tremende che mi avete inflitto, so ancora maneggiare un'arma, e lei lo sa bene. “ Marius legò saldamente mani e piedi di Francesco e dell'onorevole, ma lasciò libero Giuseppe, quindi si portò alle spalle della madre. “ Comandante Fosco." disse lei. " Vent'anni fa mi risparmiò la vita, quasi non partecipò alle violenze, ma non fermò i suoi uomini, quei maledetti porci. “ Lo sguardo con cui fulminò i due legati a terra fu terribile, entrambi abbassarono la testa. “ Il più crudele, colui che si accanì con più ferocia su di me, ha già pagato con la vita, ora io giustizierò gli altri, e lei starà a guardare.” L'onorevole impallidì mentre Francesco iniziò a piangere silenziosamente. Giuseppe si rese conto che ogni tentativo di far ragionare la donna sarebbe stato vano. Aveva covato la sua vendetta per un ventennio, probabilmente era riuscita a rientrare in Germania e aveva allevato il figlio per quell'unico scopo. Senza pensarci due volte si gettò verso di lei ma Marius fu pronto. La mazza da baseball, nascosta assieme alle corde nel retro della carrozzella, comparve nelle sue mani. Il colpo si abbatté con violenza sul suo braccio sinistro e Giuseppe sentì chiaramente il rumore delle ossa che si spezzavano. Marius lo scaraventò quindi contro la parete opposta a quella in cui si trovavano i suoi compari e tornò dalla madre. Lo vide spostare la carrozzella proprio di fronte a loro e chiuse gli occhi.

La raffica fece volare schegge di legno per tutta la stanza e subito dopo sei o sette poliziotti fecero irruzione. Irene fu disarmata immediatamente mentre Marius, nonostante la feroce resistenza, venne immobilizzato e ammanettato. Un giovane commissario aiutò il sindaco a rimettersi in piedi. “ Ho già fatto chiamare le ambulanze, a breve saranno qua. “ Giuseppe osservò alcuni poliziotti slegare l'onorevole e Francesco, quindi riportò l'attenzione sull'uomo che li aveva salvati. “ Ma come... come avete fatto, quel pazzo... “ Il commissario annuì e continuò. “ Dovete ringraziare un invitato ritardatario. Vi ha visti allontanarvi nella boscaglia, al momento non vi ha trovato nulla di strano, ma quando ha notato la gomma forata di quell'auto di lusso ha cominciato a sospettare. Ha atteso un po, poi ha parlato con suo figlio signor sindaco, è stato lui ad avvisarci. Non abbiamo fatto altro che seguire le vostre tracce, il resto lo conosce. “

La bara venne calata nella fossa e il sacerdote impartì la benedizione. Il sindaco, in prima fila, teneva per il braccio Francesco, l'onorevole era appena dietro. Praticamente tutto il paese era presente alle esequie, il fatto aveva suscitato notevole impressione e anche coloro che non lo conoscevano avevano voluto rendere omaggio a Pietro. Quando uscirono dal piccolo cimitero trovarono il commissario ad aspettarli. Il poliziotto porse le condoglianze a Francesco e dopo essersi schiarito la voce continuò“ Purtroppo devo darvi una cattiva notizia, Marius H. è fuggito stanotte dal carcere in cui era stato rinchiuso. Lo stiamo attivamente ricercando, ho ritenuto mio dovere avvisarvi.” I tre uomini lo squadrarono ma non dissero nulla, lentamente si avviarono verso le loro automobili.

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15 minuti per creare / Incubi dal passato-terza parte
« il: Giugno 09, 2012, 20:33:16 »

Quando Marius vide il “suo” quarto uomo unirsi agli altri accelerò il passo. La mano destra affondò nella valigetta, le dita trovarono il calcio della skorpion e lo afferrarono saldamente. Pietro fu il primo ad accorgersi della sua venuta e disse qualcosa  agli altri. Quattro teste si voltarono nel medesimo istante in cui l'arma vide la luce. L'onorevole fu il più reattivo e si catapultò letteralmente verso l'automobile. Un fragoroso applauso all'interno del ristorante coprì il rumore della raffica e la gomma sinistra dell'Alfa Spider si afflosciò subito. Il politico rimase immobile e guardò il sindaco altrettanto impietrito, mentre il sorriso beffardo di Francesco si tramutò in terrore puro. Pietro scattò come un toro infuriato verso l'individuo che li stava minacciando, ma fu costretto a fermarsi dopo pochi passi. Marius aveva infatti afferrato il fratello per il collo puntandogli la skorpion alla tempia.” In quella direzione... svelti!” esclamò rabbiosamente. Lo disse in un italiano perfetto ma con un accento chiaramente straniero, gli uomini lo fissarono ma nessuno di loro si mosse. Con un movimento violento e repentino, Marius  infilò di forza la canna dell'arma in bocca all'ormai pallidissimo Francesco. Il gesto gli spaccò il labbro inferiore e un rivolo di sangue gli colò sulla camicia bianca.”Subito!” ringhiò stavolta l'uomo. Ancora una volta fu Pietro a muoversi per primo, gli altri lo seguirono mestamente mentre un altro applauso si levava dall'interno del ristorante. Dopo aver attraversato la boscaglia che circondava il parcheggio, arrivarono nei pressi di una radura. Un vecchio furgone senza scritte si trovava parcheggiato al limite di quella che, a prima vista, sembrava una strada sterrata e piena di buche. Marius fece cenno ai tre che lo precedevano di aprire il portellone posteriore e di entrare. Una volta rimasti soli, scaraventò Francesco a terra e richiuse con una chiave. “ Tu mi servi per guidare pezzo di merda...muoviti!”

Dopo aver vagato per mezza campagna, Marius ordinò a Francesco di svoltare in una stradina priva di indicazioni. Quest'ultimo riconobbe immediatamente il posto e inchiodò il furgone di colpo. “ Chi sei? Cosa vuoi? “ La canna della pistola, stavolta, gli affondò in una narice. L'uomo che gli stava di fianco si tolse il cappello e lo fissò con i suoi profondi occhi azzurri. “ Lo saprai tra poco figlio di puttana, ora riprendi la marcia se non vuoi che ti faccia saltare il cervello! “ Dopo circa un chilometro di quella strada costeggiata da filari di pioppi, arrivarono al casolare. Francesco sentì un grumo pesante come un macigno danzargli nello stomaco. A parte qualche tegola mancante e un paio di vetri rotti, la casa principale appariva identica a vent'anni prima. Solamente il recinto degli animali e il fienile erano stati mandati in malora, per il resto tutto  era rimasto tale e quale. Marius lo fece fermare davanti all'ingresso e, sempre sotto la minaccia della pistola, gli porse la chiave del portellone ordinandogli di aprirlo. Una volta scesi dal retro del furgone, Pietro e l'onorevole fissarono disorientati e atterriti quel luogo che ben conoscevano, solo Giuseppe fissò il giovane negli occhi e scosse il capo rassegnato. Una volta dentro, l'odore di muffa, mischiato a qualcosa di più sgradevole, li assalì come una pestilenza. La grande stanza al pianterreno si trovava nelle stesse condizioni in cui l'avevano abbandonata vent'anni prima, nessun oggetto nuovo, nessun cambiamento. Quando Marius indicò loro le scale, Pietro tentò l'ultima carta e questo segnò la sua fine. Si lanciò verso il giovane a testa bassa confidando nella sorpresa, ma la skorpion fu più veloce. La raffica lo raggiunse al ventre e lo fece stramazzare al suolo, una pozza di sangue si formò e si allargò rapidamente sotto il suo corpo. Giuseppe e l'onorevole sussultarono ma restarono immobili, Francesco vomitò. “ Salite! “ urlò Marius quasi spaventato da ciò che aveva fatto,mentre grosse gocce di sudore gli colarono sul volto stravolto dalla rabbia.

Anche la stanza da letto era identica. La donna al centro di essa li fissò in modo neutro, come se li vedesse per la prima volta. Stavolta non aveva una pistola che li minacciasse, entrambe le mani stringevano infatti i braccioli di una sedia a rotelle. I capelli le cadevano a ciocche sul viso pallido e scheletrico, uno scialle le copriva le spalle cadenti, così come una coperta nascondeva le gambe. Alternò lo sguardo tra loro e Marius con espressione interrogativa, inquisitoria. “ Mi dispiace madre, ho dovuto far fuori il più pericoloso... mi ha assalito”  disse il giovane. La donna annuì e riportò lo sguardo sui tre uomini. “ Comandante Fosco... quanto tempo è passato vero? “ In contrapposizione all'aspetto, la voce le uscì limpida e chiara e il sindaco non poté che guardarla sconcertato. Irene P. la collaborazionista sposata a un tedesco che avevano violentato e torturato vent'anni prima, avrebbe dovuto avere al massimo una cinquantina d'anni, il fantasma che aveva di fronte ne dimostrava almeno venti in più. Quando sentirono la donna chiamarlo col suo nome di battaglia, Francesco e l'onorevole lo guardarono interdetti. Il fratello sopravvissuto, in particolare, gli si piazzò davanti, mentre Marius lo tenne sempre sotto tiro. “ Chi è questa donna Giuseppe? Perché è morto mio fratello? Cosa cazzo sta succedendo? “ Le lacrime scesero copiose sul volto distrutto. Finalmente l'onorevole ruppe il silenzio che l'aveva avvolto da quando era apparso quel pazzo con la pistola.” Credo di averlo intuito Francesco, e dovresti averlo capito anche tu.” A queste parole la donna proruppe in una risata che le provocò un accesso di tosse. Quando l'attacco ebbe termine disse semplicemente. “ Quindi non disse nulla ai suoi degni compari comandante Fosco. “ Un altro attacco di tosse la costrinse a interrompersi, ma si riprese quasi subito. “ Bene, avrà tempo per spiegare loro... Marius! Portali dove sai” Il giovane pungolò con la mitraglietta la schiena di Francesco e li fece uscire dalla stanza.

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15 minuti per creare / Incubi dal passato-seconda parte
« il: Giugno 03, 2012, 10:23:26 »
Giugno 1965

La sua ultima visita al paese natale risaliva a una decina d'anni prima. L'onorevole Michele P. scese dall'auto e fece due due passi verso il centro della piazza deserta. Quando arrivò dinanzi alla grande statua che la dominava represse un sorriso. Il grande condottiero mancava sempre di anulare e indice, una macchia biancastra di guano colava dalla guancia destra come una lacrima. Nella prima luce dell'alba si portò sotto i portici e si fermò davanti alla vetrina del fornaio. Non vi era alcuna insegna, d'altronde era l'unico panificio del paese, si chiese se fosse ancora il vecchio Olmo il proprietario. Abituato ormai alla vita frenetica della capitale, quel silenzio quasi lo infastidì, voltò le spalle al negozio e ritornò verso la macchina. Per un istante meditò d'invertire la marcia e andarsene, nessuno l'aveva ancora notato, nemmeno un'anima avrebbe saputo della sua breve apparizione. Dalla tasca della giacca prese il biglietto e lo lesse per l'ennesima volta. No, non avrebbe potuto scappare, doveva molto al suo vecchio compare. Giuseppe F. era stato colui che l'aveva spinto a intraprendere la carriera politica “ Sapresti incantare anche i serpenti” era solito ripetere durante le loro accanite discussioni. Seppur riluttante decise che sarebbe rimasto giusto per la cerimonia, per il pranzo avrebbe addotto impegni politici, Giuseppe avrebbe capito. Dopo aver rimesso in tasca il biglietto risalì in auto e ingranò la marcia.

Pietro e Francesco C. si guardarono senza parlare. Dopo giorni di discussioni, a volte anche animate, i due fratelli erano giunti alla conclusione che non avrebbero potuto declinare l'invito. Come succede spesso nei piccoli paesi, la gente avrebbe parlato, mormorato e infine giudicato. Vivevano ed erano cresciuti nella grande azienda di famiglia ai margini del paese. Nonostante la guerra e la miseria, il loro allevamento di maiali era conosciuto in tutta la regione. Pietro, il  maggiore, era l'incarnazione del classico contadino. Tozzo e massiccio, nonché dotato di una forza straordinaria, sembrava decisamente a disagio nel completo blu acquistato per l'occasione. Francesco era tutta un'altra cosa. Alto e slanciato, avrebbe potuto fare concorrenza a qualsiasi attore. L'abito grigio che indossava gli calzava a pennello, portava un papillon al posto della cravatta e, come ultima chicca, un fazzolettino rosso cremisi faceva capolino dal taschino della giacca. Entrambi non si erano mai sposati, seppur Francesco avesse fama di   dongiovanni incallito.“Rilassati fratello...” disse.” La giornata passerà velocemente...Pietro annuì e diede un'occhiata al biglietto d'invito. Nonostante vivessero nello stesso paese, non vedeva Giuseppe F. da alcuni mesi. Del figlio che si stava per sposare poi, non ricordava nemmeno il volto, per lo meno il nome era stampigliato sul biglietto.

I camerieri in giacca bianca scivolavano tra i tavoli sistemando le ultime cose. A minuti sarebbero arrivati i primi invitati e tutto doveva essere perfetto. Giacomo D. direttore e proprietario del locale, urlava ordini a destra e a sinistra. Con la sua enorme mole, sembrava volare per la grande sala e il fazzoletto con cui si asciugava la fronte era ormai fradicio. Organizzare il ricevimento per il matrimonio del figlio di Giuseppe era stato faticoso e snervante. Il sindaco, nonché eroe decorato della resistenza, era noto per l'intransigenza quasi maniacale riservata ai particolari. Quando le prime automobili iniziarono ad arrivare, Giacomo si ritirò nel retro per cambiarsi d'abito.
All'esterno, Marius osservò le decine di automobili prendere posto nel parcheggio. Comodamente seduto su una panchina all'ombra di un salice, si accese una sigaretta e scrutò gli invitati. Nessuno dei “suoi” uomini era ancora arrivato. L'abito color nocciola e la piccola valigetta appoggiata ai suoi piedi gli davano l'aria del commesso viaggiatore. Quando l'Alfa Spider rosso fiammante entrò nel parcheggio, Marius seppe che si trattava di lui, dell'unico che non aveva mai conosciuto di persona. Appena scese dall'automobile, l'onorevole fu subito attorniato da una decina di persone vocianti. Lo vide stringere mani con un sorriso di circostanza stampato sulle labbra, le occhiate al prezioso orologio che portava al polso erano frequenti. All'improvviso un grosso fuoristrada fece irruzione nel parcheggio sollevando una nuvola di polvere e gli improperi dei presenti. I due fratelli si diressero subito verso l'onorevole e gli strinsero la mano senza sorridere mentre le altre persone si allontanarono discretamente.

Marius non aveva studiato un piano ben preciso, ma vedere tre degli obbiettivi insieme gli fece aprire la valigetta. La Skorpion semiautomatica era adagiata sul fondo, il caricatore spuntava lucido e brillante. Un suono di clacson prolungato gli fece alzare di nuovo la testa. L'automobile degli sposi imboccò l'ingresso del parcheggio e l'autista si fermò proprio davanti all'entrata. Dal sedile del passeggero scese un uomo alto e dinoccolato, lo smoking nero lo faceva somigliare a un impresario di pompe funebri. Giuseppe F. aprì la portiera posteriore e aiutò la nuora ad uscire, mentre dalla parte opposta la fotocopia giovanile del sindaco uscì dall'auto con un saltello. Giuseppe si accorse subito dei tre uomini dall'altra parte del parcheggio. Fece loro cenno di aspettare e si rivolse agli sposi. Questi ultimi annuirono e si diressero verso i pochi scalini che portavano all'ingresso. Quando varcarono la soglia vennero accolti da un fragoroso applauso e voci festanti. Eccetto i quattro uomini il parcheggio era ora deserto, Marius afferrò la valigetta e puntò nella loro direzione.

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15 minuti per creare / Incubi dal passato- prima parte
« il: Maggio 31, 2012, 20:27:35 »
Aprile 1945

Una leggera brezza trasportava la foschia proveniente dal fiume sino al casolare immerso nel pioppeto. I cinque uomini avanzarono con cautela in mezzo alle sterpaglie, l'erba incolta arrivava sino alla vita. Ad un cenno di uno di loro scattarono all'unisono lanciandosi verso l'ingresso, la porta in legno venne abbattuta in un attimo. I tre militari tedeschi distesi sui pagliericci non fecero in tempo ad afferrare le armi,vennero falciati immediatamente da diverse raffiche di mitra e due morirono sul colpo. Il terzo, gravemente ferito, tentò di estrarre un pugnale ma l'uomo più vicino gli fece esplodere il cranio con un'altra raffica. In cima alle scale che portavano al piano superiore si affacciò una donna. Fissò inorridita lo scempio senza emettere un solo suono, quindi ritornò sui suoi passi.
Dopo essersi scambiati un cenno tre degli assalitori salirono le scale e, una volta sul pianerottolo, sfondarono a calci la porta dell'unica stanza. La donna si trovava al centro e teneva una pistola puntata contro di loro. Quando partì il colpo i primi due riuscirono a gettarsi a terra, il terzo non fece in tempo e venne colpito in piena fronte. Uno sguardo di stupore apparve sul suo volto, quindi si afflosciò senza alcun lamento. La reazione fu terribile. Dopo averla disarmata, i due la percossero con calci e pugni e la denudarono. Nel frattempo i due rimasti al piano inferiore, udito lo sparo, erano accorsi con le armi spianate. Quando videro il loro compagno a terra privo di vita si unirono agli altri. Dopo una mezz'ora di violenze e torture, quello che sembrava essere il capo disse che era meglio andare. Gli altri annuirono e cominciarono ad uscire dalla stanza.
Rimasto solo, il comandante Fosco fissò quello che ormai era un ammasso sanguinolento, respirava a malapena. Colto da un sentimento di pietà puntò il mitra alla testa della donna, ma al momento di premere il grilletto, un rumore catturò la sua attenzione. Voltò la testa nella direzione di esso e restò pietrificato. L'anta dell'armadio si era socchiusa e due occhi azzurri lo fissarono spaventati. Il bambino uscì del tutto e andò a posizionarsi davanti alla madre, gli occhi sempre puntati su Fosco. La pressione sul grilletto aumentò, la raffica forò il soffitto facendo piovere calcinacci sul letto intriso di sangue. Poi, senza dire una parola, il comandante voltò le spalle e uscì dalla stanza. Al pianterreno i suoi uomini lo stavano aspettando, non dissero nulla ma i loro volti esprimevano la stessa domanda.” Volevo essere sicuro che crepasse quella cagna” fu la sua risposta. Del bambino nessun accenno.

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Altro / Buon sangue non mente
« il: Maggio 13, 2012, 15:39:19 »
Spense l'ennesima sigaretta nel portacenere stracolmo e si alzò. La notte era trascorsa lentamente, guardò l'orologio, ancora un paio d'ore. La telefonata era arrivata un paio di giorni prima, la sentenza, dopo un processo durato quasi un anno, sarebbe stata emessa alle nove e trenta. Aveva ringraziato l'avvocato e aveva riagganciato. Già, l'avvocato. Per fortuna ne aveva scelto uno in gamba. Nonostante la gravità dell'accusa era riuscito a tenerlo fuori dal carcere. Il pubblico ministero, infatti, aveva richiesto la custodia cautelare, temeva che potesse scappare.
Aveva vissuto quelle quarantotto ore come in apnea. I ricordi erano riaffiorati in maniera dura, pesante, tanto da impedirgli di respirare normalmente. Dopo aver disdetto gli impegni di lavoro, si era chiuso in casa, aveva spento il cellulare e aveva ignorato un paio di volte il citofono.

A fatica si spostò in bagno. Il volto che vide riflesso allo specchio lo fece rabbrividire, chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte. Di Paolo Perrone, capo struttura in una nota tv commerciale, non vi era traccia. Quello che lo stava osservando, era un uomo che dimostrava ben più dei suoi cinquant'anni. Le occhiaie, nere come la pece, dominavano un viso che, in tempi non molto lontani, si sarebbe potuto definire bello. Le guance erano infossate e la barba, lunga di tre giorni, lo rendevano simile agli identikit appesi alle volanti della polizia. Aprì l'armadietto e fissò il rasoio come se lo vedesse per la prima volta. Iniziò a radersi pensando che, per lo meno, quel giorno sarebbe finita, finalmente.

Alle nove e quindici l'avvocato Raffaella Tosi attraversò la strada e gli andò incontro. Nonostante i tentativi, l'aspetto di Perrone non era migliorato  molto. Lei gli tese la mano e fece per dire qualcosa, ma lui l'anticipò.”Non mi chieda come sto...” disse “... lo può vedere da se, piuttosto, durerà molto?” L'avvocato esibì un sorriso stentato e lo prese sottobraccio. Mentre si incamminarono verso l'ingresso del tribunale, lei gli spiegò brevemente cosa sarebbe successo.

L'esterno dell'aula in cui si sarebbe svolta l'udienza era abbastanza affollato. Tre o quattro fotografi parlavano tra di loro, le macchine appese sul petto o a tracolla. Altrettanti giornalisti facevano dondolare i loro taccuini digitali camminando avanti e indietro. E fu uno di questi ultimi a notare il suo arrivo. Subito gli corsero incontro e iniziarono a tempestarlo di domande, i flash esplosero come fuochi d'artificio. L'avvocato Tosi fece il possibile per tenerli a distanza, lo prese per il braccio e cercò di portarlo via. Ma Perrone non si mosse. Stava fissando un punto in lontananza, l'avvocato fece lo stesso. La persona che l'accusava si trovava poco distante e lo stava guardando. Al suo fianco un paio di legali. Stavano parlando fitto con il testimone principale, colui che, senza ombra di dubbio, lo avrebbe fatto condannare. Questi alzò a sua volta la testa e lo fissò, a lungo. Fu Perrone ad abbassare gli occhi per primo, il cuore gli mancò di un battito e le gambe sembrarono cedergli. Era uno sguardo carico d'odio, lo sguardo di un nemico. Con uno sforzo sovrumano l'avvocato Tosi riuscì a trascinarlo dentro l'aula. I giornalisti non erano ammessi e vennero bloccati dai poliziotti in servizio. Quando la porta si richiuse e il silenzio li avvolse, Paolo Perrone si lasciò cadere su una sedia.

L'udienza fu breve. Dopo un paio d'ore di camera di consiglio, i giudici lo condannarono a tredici anni senza condizionale, per stupro e sequestro di persona. Alla lettura della sentenza l'avvocato Tosi gli mise una mano sulla spalla. Avrebbe ricorso in appello disse, nulla era ancora perduto continuò. Le guardie carcerarie lo ammanettarono ma lui nemmeno se ne accorse. Dall'altra parte dell'aula osservò la donna che aveva violentato. Stava abbracciando colui che l'aveva fatto condannare con la sua testimonianza, la persona che l'aveva sorpreso durante la violenza: suo figlio, Maurizio Perrone. Le guardie lo scortarono fuori dell'aula, i due non lo degnarono nemmeno di uno sguardo.

La notizia apparve su tutti i giornali nazionali e i telegiornali ne parlarono ampiamente.

Paolo Perrone, suicida in cella.

Il noto dirigente tv si è tolto la vita infilandosi un sacchetto di plastica in testa. Inutili i tentativi di rianimazione da parte dei medici.
Il Perrone era stato recentemente condannato per stupro. La violenza era stata compiuta all'interno degli studi della televisione privata. La giovane aveva più volte ribadito che il Perrone l'aveva convocata per un colloquio prettamente professionale, poi, come se fosse impazzito, l'aveva aggredita. L'intervento provvidenziale del figlio dello stesso dirigente,rientrato in anticipo da un viaggio all'estero, aveva evitato il peggio. Il dottor Perrone aveva sempre negato tutto, aveva sempre asserito che la ragazza fosse consenziente. Quindi il processo, la testimonianza del figlio, la condanna.
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Altro / Un cadavere per... sempre
« il: Maggio 07, 2012, 21:34:50 »
La chiamata arrivò alle 23.54. Il maresciallo Posti lasciò squillare alcune volte e, dopo aver lanciato un'occhiataccia verso la porta dell'altro ufficio, si decise a rispondere. Rimase in ascolto un paio di minuti, perplesso. - Va bene, arriviamo subito, non tocchi nulla. - Si alzò stiracchiandosi le membra. Per nulla abituato al turno di notte, aveva dovuto far di necessità virtù. Il tenente comandante, il brigadiere e un appuntato erano costretti a letto, quella maledetta influenza aveva messo tutti in ginocchio. Varcò la soglia dell'altro ufficio e si fermò di colpo.
L'appuntato Colajanni, colui che avrebbe dovuto rispondere al telefono, era beatamente addormentato. Il capo leggermente reclinato su un lato, teneva le mani sul ventre, i piedi erano appoggiati sulla scrivania ingombra di carte. Il maresciallo si avvicinò e piantò le braccia sul ripiano con un tonfo sordo. Il giovane appuntato socchiuse leggermente gli occhi, parve guardare per un attimo il superiore e poi li richiuse. Posti serrò le labbra in un filo sottile, alzò il braccio e calò un violento pugno sulla scrivania. Alcuni fogli volarono via insieme a un paio di penne, un contenitore di graffette cadde e queste si sparpagliarono ai suoi piedi. Colajanni sobbalzò e, in precario equilibrio sulla sedia, portò tutto il peso all'indietro. La caduta fu inevitabile, le gambe scalciarono l'aria per un istante, poi schiena e nuca impattarono contro la parete. Il maresciallo represse un sorriso, un po' gli dispiaceva, ma non più di tanto in fondo.
L'appuntato si rimise in piedi con la velocità di un fulmine. Fissò Posti con imbarazzo cercando di darsi un contegno. Si lisciò i pantaloni, spazzolò via alcuni granelli di polvere dalle maniche della giacca, quindi si mise sull'attenti. - Senti guagliò... - disse Posti con tono pacato. - La prossima volta che ti becco ti faccio trasferire a Napoli o a Palermo. - fece una pausa ad effetto perché l'altro potesse assorbire meglio la minaccia. - Ti assicuro che in quelle città non avresti il tempo di dormire... - continuò. - … sei fortunato a prestare servizio in questo paese, non succede mai nulla vero?- Il giovane carabiniere annuì lentamente, poi una fitta improvvisa lo costrinse  a toccarsi il grosso bernoccolo che si stava formando.- Mettici un po di ghiaccio e preparati...- proseguì il maresciallo avviandosi verso la porta. - … sembra invece che stavolta abbiano bisogno di noi, andiamo, sbrigati guagliò! -
Il medico condotto del paese li stava aspettando davanti all'ingresso. Il suo studio fungeva anche da “obitorio” Le poche anime che rendevano grazie a dio, venivano “ospitate” nel retro, in attesa che l'impresa di pompe funebri di turno venisse a ricomporle e a prepararle per la sepoltura. Il dottore era un ometto sulla sessantina. Calvo e magro come un chiodo, gli si fece loro incontro. - Marescià...marescià...nà disgrazia...nà sventura... - Posti gli strinse la mano, era sudaticcia. - Che succede dottor Serra, si calmi e mi spieghi tutto. -
Il medico deglutì un paio di volte e fece segno di si con la testa. - Marescià... il cadavere, il ragazzo annegato ieri l'altro nel fiume... - Posti annuì mestamente. Due giorni prima avevano ripescato il corpo di un giovane sulla ventina, un ragazzo del posto. Non vedendolo rientrare per la cena, la madre ne aveva denunciato la scomparsa, era uscito per andare a pescare, aveva detto ai carabinieri. - Certo, ricordo... - disse - … che cosa è successo... - Il medico stavolta scosse violentemente la testa di lato poi, con un filo di voce disse. - Sparito... la salma è scomparsa marescià... mio dio! - Stava quasi per mettersi piangere. Il maresciallo lo prese sottobraccio e, insieme, s'incamminarono verso l'interno. - Andiamo dottore, mi faccia vedere tutto... -
Posti aveva visitato lo studio un paio di volte, e sempre da paziente. Il retro, ossia “l'obitorio” rimaneva un mistero per lui. Scoprì che si trattava di un'ampia stanza rettangolare. Due lettini in acciaio cromato ne occupavano il centro. Addossata alla parete più grande c'era la cella frigorifera, nel caso, pensò, fosse stato necessario “trattenere” le salme per qualche giorno, eventualità assai rara in ogni caso. Il dottor Serra l'aprì facendo una certa fatica, il vano era evidentemente vuoto. - Maresciallo, l'avevo sistemato personalmente... - disse - … domattina l'impresa verrà per il funerale... - Alzò le braccia al cielo in un gesto sconsolato, il maresciallo notò che un leggero tic gli faceva tremolare l'occhio destro, non ci aveva fatto caso sino a quel momento. - Colajanni! - il giovane si affrettò a raggiungerlo. - Dai un'occhiata fuori, passa dal retro e vedi se noti qualcosa di strano. - L'appuntato annuì e uscì dalla stanza. - Mi spieghi bene le azioni che ha compiuto stasera dottore,con calma... la prego. - Serra lo guardò come si sarebbe potuto guardare un bambino un po lento nell'apprendere. - Cosa vuole che abbia fatto marescià, finite le visite sono venuto nel retro a controllare, come faccio di solito. - Indicò quindi uno dei lettini. - La salma era qua sopra, ho pensato di metterla nella cella, non era necessario, ma l'ho fatto ugualmente. - Posti si avvicinò al lettino che il medico aveva indicato, lo guardò con attenzione e alzò un sopracciglio. Ripeté la stessa cosa con lo scorrevole della cella e il sopracciglio s'inarcò ancora di più. Colajanni rientrò proprio in quel momento. - Maresciallo... - disse- … non ho notato nulla di particolare all'esterno però... ho trovato questo, era vicino alla porta sul retro. - Posti afferrò l'oggetto e lo rimirò pensieroso. Il dottor Serra cercò di sbirciare ma, di qualunque cosa si trattasse, era già sparita nelle tasche del maresciallo. - Bene... - disse questi - … domattina, influenza permettendo, manderò qualcuno a fare dei rilievi,chiuda tutto e vada a riposare, per il momento non resta altro da fare. - Strinse di nuovo la mano al medico e questi lo guardò con ansia. - Ma chi... chi... - balbettò. - Non possiamo saperlo ora, avvieremo subito le indagini, stia tranquillo. Stava quindi per uscire quando si girò di colpo. A proposito, perché ci ha chiamato solo ora? Cosa ci faceva a quest'ora nello studio? - Serra attese un secondo di troppo prima di rispondere. - Avevo dimenticato dei documenti importanti, domani devo essere a Napoli, un convegno. - Appena furono in auto il maresciallo tirò fuori dalla tasca l'oggetto che aveva trovato l'appuntato. Lo soppesò per un momento poi lo ripose. - Andiamo guagliò... credo che una visita alla madre del ragazzo sia necessaria. -
Erano le 2.15 quando arrivarono davanti all'abitazione del povero ragazzo. Posti conosceva bene la famiglia. Il padre, deceduto ormai da molti anni , era stato un facoltoso imprenditore. Dopo la morte del marito la vedova aveva venduto tutto ritirandosi a vita privata. Aveva deciso di dedicare tutto il suo tempo al figlio, nato con seri problemi e di salute cagionevole. La grande villa era circondata da un giardino curatissimo. Al centro una fontana illuminata. Il maresciallo suonò il campanello e attese. Dopo qualche istante una voce metallica risuonò nel citofono. - Chi è? - Posti rimase per un attimo in silenzio. Si era aspettato una risposta seccata, o magari assonnata vista l'ora. Invece c'era un qualcosa di melodioso, di soave in quelle due parole. - Chi è? - disse ancora una volta la donna. Il maresciallo si riscosse dai suoi pensieri. - Mi scusi signora Fois, sono il maresciallo Posti, dovrei parlarle... è urgente. - Non vi fu subito risposta, ma dopo un attimo il pesante cancello elettrico si aprì con uno scatto. Dopo aver percorso un lungo vialetto lastricato, si trovarono di fronte alla villa vera e propria. Colajanni rimase a bocca aperta, il maresciallo lo incalzò spazientito. Le luci al pianterreno erano accese, la porta si aprì e la signora Fois apparve sulla soglia, indossava una lunga vestaglia di seta bianca, era incantevole. Senza dire una parola li invitò a entrare scostandosi leggermente. Il salone era immenso, sculture di ogni tipo e dimensione dominavano la stanza. La donna li oltrepassò e si fermò davanti a un elegante poltrona di stoffa. - Prego... accomodatevi... - indicando il divano di fronte. Posti si sedette e l'appuntato lo imitò goffamente, sembrava incantato dalla bella donna che aveva di fronte, ma poteva capirlo. Margherita Fois aveva passato i sessant'anni, ma nessuno l'avrebbe mai detto. La pelle era ancora fresca, solamente due sottili linee agli angoli della bocca tradivano il passare del tempo. - Signora... - cominciò a dire il maresciallo. In breve la mise al corrente dei fatti. L'antico orologio appoggiato sulla mensola del camino segnava le 2.45 quando il maresciallo finì di parlare. Margherita non aveva aperto bocca sino a quel momento, ma quando lo fece la sua espressione era cambiata. Sembrava che una spugna invisibile le fosse stata passata sul viso, la freschezza di poco prima scomparve, in quel momento dimostrò in pieno i suoi sessant'anni. - Maresciallo Posti... - il tono era ancora calmo ma si avvertiva tensione nelle parole. - … esigo che il corpo di mio figlio venga ritrovato al più presto... lo pretendo. - Posti si alzò e si mise dietro la poltrona. - Signora... è da molto tempo che non crea più un'opera?- Margherita si irrigidì e si voltò di colpo. - Cosa intende maresciallo? Perché mi fa questa domanda? - Il maresciallo si portò di nuovo sul davanti e la fissò negli occhi. - Lei è stata una grande scultrice, ha esposto opere in tutto il mondo. - fece quindi una mezza giravolta e, col braccio, indicò le sculture presenti nel salone. - Sebbene non sia un intenditore, scommetto che tutte queste sculture siano opera sua... o sbaglio? La donna si alzò e si portò accanto al camino. Prese in mano una piccola opera, una Pietà del Michelangelo in miniatura. L'accarezzò con infinita dolcezza poi disse. - Non ha sbagliato maresciallo, ma non vedo cosa c'entri questo con la scomparsa del corpo di mio figlio. - Posti si avvicinò e le tolse delicatamente la statuetta dalle mani. - Perché credo che non dovremo cercare molto lontano... perché l'ha fatto signora? - In quel momento il campanello fece sobbalzare tutti quanti. L'orologio sulla mensola diceva che erano le 3.15. Margherita fece per andare ma Posti la trattenne per un braccio. - Colajanni, vai ad aprire...apri e basta, non chiedere chi è. - L'appuntato obbedì immediatamente. Mentre aspettavano la signora Fois era tornata a sedersi in poltrona. - Francamente non capisco cosa voglia insinuare maresciallo, io... - fu interrotta da un leggero bussare alla porta. Posti fece un cenno a Colajanni che, senza esitare, la spalancò. Il dottor Serra stava ritto sulla soglia. Appena vide i carabinieri il suo volto parve afflosciarsi, perdere consistenza. - Dottore... che sorpresa! - esclamò il maresciallo. - Si... si... lo so che non ha visto l'auto di servizio, ma siamo venuti a piedi, camminare fa bene e lei dovrebbe saperlo. Venga, si accomodi, la stavamo aspettando. -
Margherita, alla comparsa del medico, aveva afferrato i braccioli della poltrona stringendoli sino a conficcare le unghie nel morbido tessuto. Fece per alzarsi ma il maresciallo le mise entrambe le mani sulle spalle. Il dottor Serra si avvicinò al divano e si sedette tenendo lo sguardo rivolto al pavimento, in attesa. Bene... - disse Posti. - La sua comparsa mi toglie i pochi dubbi che avevo dottor Serra. Non credo sia venuto fin qua per avvisare la signora. Sapeva benissimo che l'avremmo fatto noi,  ed era troppo sconvolto per telefonare, qual'è il motivo allora? - Il medico riuscì finalmente ad alzare gli occhi. - Mi dispiace... - disse con un filo di voce. - Non volevo, ma la signora mi ha offerto molti soldi, sono in difficoltà, ho dovuto accettare. - Margherita scattò dalla poltrona come una pantera, ma Colajanni fu lesto ad afferrarla.
La donna si divincolò solo per un attimo, poi si afflosciò tra le braccia dell'appuntato. Il maresciallo le andò di fronte e si tastò nelle tasche. Nella sua mano apparve un piccolo scalpello, di quelli usati dagli scultori. - Vede signora, mai portarsi appresso gli arnesi da lavoro, potrebbero andare persi, e allora si che sarebbe un dramma. - La donna lo ignorò e guardò il medico con odio, ma Posti la incalzò di nuovo. - Cosa voleva fare con questo? Voleva forse togliere la vita al nostro dottore? Le aveva chiesto ancora dei soldi? Il dottor Serra balzò in piedi. - No! - esclamò con tutto il fiato che aveva in gola. - Le ho suggerito io di portarlo, mi serviva un attrezzo e io non ne avevo. - Si lasciò andare sul divano e si prese la testa tra le mani. - Io non volevo metterlo nella cella, ma lei ha insistito, diceva che si sarebbe conservato meglio. - Grosse lacrime iniziarono a scendergli sulle guance pallide. - Quel maledetto sportello si era incastrato, riuscii ad avvisarla prima che partisse per venire allo studio, il resto lo sapete. - Al maresciallo vennero in mente le ammaccature riscontrate sullo scorrevole della cella, il lenzuolo del lettino d'acciaio completamente teso, come se nessun corpo vi fosse stato steso, da giorni, non da qualche ora. Si sarebbe conservato meglio, aveva detto la madre. - Signora Fois, dove si trova il corpo di suo figlio? - In silenzio salirono la grande scalinata. Colajanni teneva la donna per un braccio, subito dietro li seguiva il dottor Serra, il maresciallo chiudeva la fila. Quando arrivarono davanti a una porta la donna si fermò. Posti disse loro di non muoversi ed entrò nella stanza.
Appena entrò il buio lo avvolse come un manto, cercò a tentoni l'interruttore e lo trovò subito. Quando la luce invase la stanza, la scena che gli si parò davanti lo lasciò di stucco. Il corpo del giovane era disteso sul grande letto a baldacchino, era vestito di tutto punto e sembrava dormisse. Ma quello che sconvolse il maresciallo fu quello che vide al suo fianco. Il corpo mummificato di Francesco Martinelli, il marito della signora Fois, lo fissava con uno sguardo vitreo. Preso da una curiosità morbosa, Posti si avvicinò per toccarlo. Era rigido, duro come il marmo. Come folgorato da una scossa ritrasse subito la mano. Sul comodino, di fianco al letto, una pila di libri rischiava di cadere da un momento all'altro. Ne afferrò uno e cominciò a sfogliarlo, parlava di tecniche d'imbalsamazione. Lo depose lentamente e si avviò verso la porta. La pendola nell'angolo più lontano della stanza batté cinque rintocchi, la lunga notte era finita.

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Altro / Quindici anni dopo...
« il: Maggio 01, 2012, 20:40:03 »
Contrariamente al solito aveva bevuto molto. L'alcool lo aveva sempre fatto star male ma, di norma, i conti con lo stomaco li faceva il giorno dopo. Quella sera voleva essere in forma, voleva essere carico abbastanza per affrontarla. Nonostante l'euforia aveva guidato con prudenza, non voleva correre il rischio di essere fermato, d'altronde anche il più conciliante degli agenti gli avrebbe letteralmente stracciato la patente in faccia, nel caso fosse accaduto.
Una leggera foschia di fine ottobre avvolgeva la villetta, sapeva bene che “lui” non c'era, si era informato, faceva il turno di notte. Non che avesse paura, per quel che ne sapeva era una persona tranquilla. Avevano pure scambiato un paio di battute in passato, anche se non ricordava in quale occasione. Era lei che voleva incontrare. Era a lei che voleva chiedere, per l'ennesima volta, perché l'avesse abbandonato. L'avrebbe costretta, quella sera, a rivelargli cosa non andava in lui, con le buone o con le cattive. Perché proprio in quel momento? Per un motivo tanto semplice quanto drammatico, secondo il suo punto di vista. Le successive storie che aveva avuto si erano rivelate un fiasco. Ogni volta che riusciva a portarsi una donna a letto il risultato era sconfortante, lo annichiliva del tutto. Sopratutto nessuna capiva cosa lui volesse veramente, era frustrante. E di tutto questo dava la colpa a lei, a quella donna che aveva amato sino alla follia, l'unica con cui era quasi riuscito.
Aveva suonato un paio di volte. La luce del soggiorno era accesa. Aveva atteso concedendole l'alibi del bagno. Lo stava facendo per la terza volta quando un gracchiare del citofono lo aveva fatto sussultare. - Chi è? - Il tono era chiaramente seccato, probabilmente non era abituata a ricevere visite a quell'ora. - Chi è?? - aveva ripetuto con un'accennata isteria nella voce. - Sono io – aveva risposto il più conciliante possibile, ma alle proprie orecchie era risuonato più o meno così: Sciono...iooo... -
Erano trascorsi solo alcuni secondi, ma gli era sembrata un'eternità- Che vuoi a quest'ora? Non ho voglia di parlarti, come sempre ti comporti da buzzurro cafone presentandoti a ore impossibili, la bella di turno ti ha forse mollato? - Ricordò di essersi allontanato dal citofono sbalordito, non tanto per l'arroganza nella voce, quanto per la verità che, senza saperlo, aveva centrato. - Qualsiasi cosa tu debba dirmi può aspettare benissimo domani, o forse mai. Sai benissimo che non devi avvicinarti alla mia casa. - aveva proseguito. - Non costringermi a chiamare la polizia, vai a dormire che è meglio... ammesso che tu abbia ancora un letto... - Clic.
Erano state quelle parole a scatenare tutto, quel tono volutamente canzonatorio e intriso di disprezzo, una miscela esplosiva. Aveva lanciato una rapida occhiata intorno. Nessuno. Dopo aver lasciato trascorrere alcuni minuti restando al riparo di un albero, aveva estratto le chiavi di tasca. Le aveva restituite certo, non prima però di averne fatto una copia. La zoccola e il suo nuovo compagno non si erano certo premuniti di cambiare serratura.
Era quindi entrato normalmente in casa come se fosse appena tornato dal lavoro. Aveva sentito l'acqua della doccia scorrere, la puttana si stava preparando per il suo amichetto, bene. Ricordò di aver aperto il mobile bar e, dopo una breve riflessione, di aver lasciato il bicchiere al suo posto. Nell'attesa aveva tracannato mezza bottiglia di cognac, direttamente dalla bottiglia. Poi lei era apparsa sulla soglia del soggiorno in accappatoio. - Come... come... - era riuscita a malapena a farfugliare. Le era piombato addosso come un falco. Tre anni di sofferenza e rancore,associati all'alcool che aveva in corpo, si erano tutti condensati nel violento pugno con cui l'aveva mandata al tappeto. Era svenuta. Col fiatone, aveva osservato con soddisfazione il sangue colarle dalle labbra spaccate, si stavano gonfiando a vista d'occhio.
Al contatto col terreno l'accappatoio le era risalito sulle cosce, era nuda. Aveva avvertito subito un fremito all'inguine, l'erezione era esplosa violentemente inducendolo a guardare il rigonfiamento dei jeans quasi con stupore. In un attimo se ne era liberato e l'attimo dopo le era sopra. Le aveva allargato freneticamente le cosce, il pene pulsante a premere con violenza sul suo inguine. Ma lei era rinvenuta quasi subito e lo aveva guardato con un'espressione terrificante, odio allo stato puro. Quello sguardo lo aveva paralizzato all'istante. L'erezione, così come era arrivata, si sciolse con la velocità della luce.
In ginocchio, tra le gambe di Anna, era rimasto imbambolato a fissare il proprio sesso raggrinzirsi con la rapidità di un amen. Lei aveva continuato a fissarlo con quei grandi occhi accusatori. - Vigliacco... - Aveva mormorato con disprezzo attraverso le labbra sempre più gonfie.
Erano trascorse ore? O solo pochi minuti? Seduto sul divano, continuava a fissarsi le mani intrise di sangue. Lei era distesa sul pavimento, il volto ridotto a una poltiglia, poco distante una mazza da baseball, anch'essa insanguinata. Si era chinato e, molto delicatamente, le aveva coperto l'inguine con l'accappatoio. Il suo torace aveva smesso di alzarsi e abbassarsi, non avrebbe saputo dire da quanto tempo.

Erano trascorsi quindici anni da quella sera. Il portone, azionato dall'interno, si aprì con uno scatto metallico. La guardia che lo piantonava non disse nulla, abbozzò solamente un cenno con la testa. Il carcere si trovava alla fine di un viale di periferia lunghissimo, il traffico era scarso, quasi inesistente. L'aria calda di fine giugno lo avvolse col suo carico d'umidità. Indossava abiti inadatti, quasi invernali, iniziò da subito a sudare copiosamente.
Senza indugiare oltre s'incamminò con passo veloce ma, dopo un centinaio di metri, si costrinse a una pausa, non era più abituato alle lunghe passeggiate. Quando arrivò di fronte a quella che sembrava essere una fermata d' autobus, un foglio appeso lo informava che era stata soppressa. Esausto, si lasciò cadere sulla panchina semidistrutta. Sentì il sudore colargli lungo la schiena e negli occhi. Prese il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e se lo passò sul volto, il bruciore era insopportabile. Si impose d'alzarsi e ripartire. Non senza fatica si rimise lo zaino in spalla. - Non muoverti... -
La voce proveniva dalle sue spalle. Una zaffata d'alito caldo gli sfiorò la nuca insieme a qualcosa di duro e freddo che gli premeva alla base del collo. La vita in carcere gli aveva insegnato ad obbedire senza discutere, e quel tono era chiaro, perentorio. Rimase immobile con le mani lungo i fianchi, in attesa. L'uomo, senza permettergli di voltarsi, iniziò a trascinarlo verso la boscaglia. Quando la strada non fu più visibile, qualcosa di pesante gli colpì il cranio con la forza di un maglio. Il cielo esplose sopra di lui in una miriade di scintille colorate.
Quando rinvenne aveva legate saldamente mani e caviglie. La schiena poggiava al tronco di un grande albero. La testa gli pulsava in modo lancinante, la nausea era incontrollabile, girò la testa di lato e vomitò. Quando il velo di lacrime dovuto allo sforzo glielo permise, vide l'uomo davanti a se che lo fissava. Indossava una divisa scura, ma non sembrava un poliziotto e neppure un militare. Questi fece due passi in avanti. - Ciao Fabrizio... - disse sorridendo.
Lo riconobbe ancor prima di leggere la targhetta appuntata sul taschino. Pietro Cattaneo, guardia giurata da una vita, convivente della donna che egli aveva massacrato e ucciso di botte lo stava guardando con un sorriso. Aveva rimesso la pistola nella fondina e l'aveva sostituita con un coltello da caccia, di quelli con la lama seghettata. Fabrizio cercò di dire qualcosa ma Pietro lo zittì con un gesto. - Non ti ricordavi più di me vero? - In effetti non aveva più pensato a lui una volta entrato in carcere. Si ricordò di averlo visto al processo, forse aveva anche testimoniato, ma non ne era sicuro. - Sai.... - continuò Pietro. - Anna mi parlava spesso di te, delle tue manie... delle tue perversioni. - Non sorrideva più ora.
Con un gesto repentino gli infilò il suo stesso fazzoletto in bocca. Subito dopo la lama gli tagliò di netto l'orecchio sinistro. La vista gli si annebbiò nuovamente ma Pietro non gli permise di svenire. Staccò dalla cintura una borraccia e gli spruzzò il viso con acqua gelata. In quel momento Fabrizio capì che l'avrebbe fatto a pezzi, le lacrime si mischiarono al sangue che colava dall'orrenda ferita. Come se non fosse accaduto nulla Pietro riprese a parlare.
- Anna...la mia Anna... - represse un singhiozzo e continuò. - … mi diceva che non riuscivi più a fare l'amore con lei, che la obbligavi a giochi pericolosi e... umilianti. - Il braccio di Pietro scattò di nuovo. Stavolta la lama gli affettò il naso. Fabrizio sentì il sangue colargli in gola. L'altro aspettò qualche istante poi gli tolse il fazzoletto e lo sostituì con la borraccia. Acqua, sangue e muco iniziarono a colargli sul petto. Imperterrito Pietro continuò nel suo racconto. - Fino a quando l'hai stuprata con un bastone, fino a quando finalmente trovò la forza di cacciarti sperando di essersi liberata per sempre di te... - un altro singhiozzo. - … come si sbagliava! - La punta del coltello affondò con assurda facilità nell'orbita destra.
L'urlo di Fabrizio venne di nuovo smorzato dal fazzoletto, stavolta nemmeno l'acqua gli impedì di svenire.
Fabrizio era ormai una maschera di sangue. Pietro gli sentì il polso e capì che non ne avrebbe avuto ancora per molto. Il posto che aveva scelto era molto isolato, lontano da sentieri e strade. Forse qualche cacciatore di passaggio si disse, ma la stagione della caccia era ancora lontana. Adesso che tutto era finito si sentiva stranamente triste. Aveva vissuto gli ultimi quindici anni della propria vita sognando quel giorno, pregustandolo.
Si sedette accanto a Fabrizio e lo guardò. Quell'uomo aveva compiuto nefandezze orribili, aveva massacrato orribilmente la donna che aveva amato. Meritava di finire in quel modo. Eppure si sentiva triste.
La sua mano corse alla fondina, guardò la pistola come se la vedesse per la prima volta e si mise la canna in bocca. Quando riecheggiò lo sparo decine di uccelli, sino a quel momento silenziosi, presero il volo. Poi nella boscaglia tornò a regnare il silenzio.

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Altro / La resa
« il: Aprile 25, 2012, 20:39:27 »

25 gennaio 20..?


La coda è lunghissima, come sempre. Le persone che la compongono si stringono nei cappotti, la temperatura è abbondantemente sotto lo zero. Dal negozio esce un uomo anziano. Indossa un elegante completo grigio, sembra quasi non sentire il freddo. Incurante della gente che lo osserva con ansia, infila una chiave nella serratura incassata nel muro. Dopo qualche istante una pesante lastra d'acciaio inizia a scendere lentamente coprendo la vetrina. L'uomo si volta e fissa la folla ammutolita.
- Andate a casa, ho finito tutto, tornate domani. - Una coppia di anziane donne vicino all'entrata inizia a piangere sommessamente. Uno dei pochi bambini presenti strattona la madre urlando. - Ho fame... ho fame! - Un violento ceffone gli spegne le parole in gola, prima d'essere trascinato via. Un giovane uomo, inutilmente trattenuto dalla fidanzata, afferra il negoziante per le spalle facendolo voltare. Non ha nemmeno il tempo d'alzare il braccio per colpire. La sua testa esplode con un rumore raccapricciante. Sangue e materia cerebrale investono l'uomo che gli sta di fronte e parte della vetrina.
La fidanzata, inorridita, osserva i due uomini apparsi come dal nulla. Riconosce i famigerati miliziani, gli spietati tutori dell'ordine, corpi speciali voluti dal dittatore in persona. Indossano tute d'assalto nere, il volto coperto da passamontagna che lasciano intravedere solo gli occhi, ghiaccio puro. Sconvolta e furibonda si lancia contro di loro. Una raffica delle micidiali mitragliette a puntamento laser la coglie all'altezza del petto, muore ancora prima di toccare il suolo. I paramilitari la oltrepassano senza degnarla d'uno sguardo. Quando arrivano davanti al negozio, l'uomo anziano è ormai solo, la gente è fuggita. Con un fazzoletto cerca maldestramente di togliere le macchie dal costoso abito.
- Tutto bene signore? - L'uomo li guarda spazientito per poi ribattere. - No, non va tutto bene, i vostri capi mi avevano assicurato protezione continua! A momenti ci lascio le penne! - I due si lanciano uno sguardo d'intesa poi quello che aveva parlato per primo continua. - Mi dispiace signore, siamo intervenuti appena ci hanno avvisato dal comando, non succederà più. - L'uomo smette di pulirsi e li fissa sarcastico scuotendo il capo. Estrae quindi le chiavi dalla serratura e indica le decine di telecamere installate praticamente dappertutto. - Ho pagato fior di quattrini al vostro capo per la protezione ed ora... ora mi trovo due cadaveri davanti al negozio! E sono stato aggredito! - Il miliziano che sino a quel momento era rimasto in silenzio scatta come un serpente che si avventi sulla preda. - Senti figlio di puttana, il fatto che tu abbia sempre pagato le tasse non ti da il diritto di rivolgerti così al signor presidente! - L'uomo spalanca gli occhi ed inizia a tremare convulsamente. La morsa dell'altro è ferrea. - Domani potresti trovarti in fila davanti al tuo stesso negozio, assieme a questi miserabili. - Il vecchio annuisce freneticamente e il militare allenta la presa. - Per questa volta non farò rapporto, ma ora liberati di quei due cadaveri. - Indicando col mento gli sventurati fidanzati. Il vecchio scuote ancor di più la testa e, vincendo la nausea, afferra il giovane morto sotto le ascelle per poi trascinarlo verso la porticina di fianco al negozio.
- Incredibile come la gente si faccia ammazzare per un pezzo di pane... - osserva uno dei due mentre si allontanano dalla panetteria. - Vero... - risponde l'altro. - Anche se costa duecento euro al chilo le code sono sempre chilometriche. - A un tratto la radio appesa alle loro cinture emette un crepitio. - Attenzione pattuglia due, movimenti sospetti nei pressi del distributore di carburante di via primo maggio ... passo. - Il più anziano si affretta a rispondere. - Ricevuto comando, siamo in zona, interveniamo subito... passo e chiudo. - Dirigendosi quindi velocemente verso il posto indicato. - Spero di non dover sparare ancora oggi. - afferma il più giovane. - Se le persone reagiscono così per il pane, cosa faranno per la benzina? Proprio oggi ho sentito che ha raggiunto i mille euro al litro. -


25 aprile 20..?


L'anziano dittatore osservò impassibile i monitor. Era la fine ormai. Davanti agli occhi acquosi e stanchi, migliaia di persone stavano mettendo a ferro e fuoco la capitale. Seppe con certezza che, a breve, avrebbero scoperto anche il bunker in cui se ne stava rintanato assieme ai pochi fedelissimi. Vide la propria statua, eretta anni prima nella piazza principale, venir demolita in un batter d'occhio. Vide i pochi miliziani ancora in prima linea, venir circondati e linciati dalla folla affamata e inferocita.
Anni prima, molti anni prima, era stato incaricato di risolvere la crisi che attanagliava il paese. Una situazione temporanea, gli era stato assicurato. E lui, stimato professore ed economista che di politica masticava poco o nulla, aveva accettato subito, conscio che l'impresa sarebbe stata ardua ma con la prospettiva di forti guadagni personali. Tra le prime cose aveva, da subito, introdotto tasse altissime che avevano gettato la popolazione nel panico. I suicidi per disperazione ormai non si contavano più, le famiglie faticavano anche solo a fare la spesa settimanale. Migliaia di negozi avevano dovuto chiudere i battenti, i prezzi, già esorbitanti, erano aumentati in maniera esponenziale, si era ormai sull'orlo del baratro. Nonostante ciò il popolo aveva tentennato a reagire, aveva esitato, ognuno aveva pensato unicamente a se stesso, a come poter risolvere la propria, di situazione. Ed egli aveva sfruttato quelle debolezze, aveva imposto la dittatura con la forza e senza particolari difficoltà.
Questo sino a pochi mesi prima, quando una coppia di giovani fidanzati era stata trucidata davanti a una panetteria. Le persone presenti al fatto, disgustate e ormai al limite, avevano assaltato un distributore di carburante poco distante appiccando il fuoco. Fu il primo segnale della disfatta, a poco a poco gli incendi si erano moltiplicati, la caccia ai miliziani diventò lo sport preferito, nessun prigioniero. Tre mesi di guerra civile misero a ferro e fuoco il paese, morti e feriti non si contavano ormai più.
L'anziano dittatore si passò le mani nodose sul volto quindi fissò il gruppetto di persone che lo attorniavano. Senza dire una parola, si alzò appoggiandosi al bastone e si diresse verso l'uscita del bunker. Gli altri, mestamente, lo seguirono.

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15 minuti per creare / Il grande fiume
« il: Aprile 20, 2012, 23:25:20 »
Passeggiare sulle rive del fiume era sempre stata una sua passione. Quando un problema lo assillava, quando il frastuono della città gli penetrava nella testa, impedendogli di pensare con serenità e assennatezza, si recava senza indugio sulle lanche desolate e solitarie del Po. La giornata si presentava nuvolosa, ogni tanto qualche goccia di pioggia gli bagnava i radi capelli, faceva freddo. Si era giunti ormai alla fine d'aprile, ma sembrava una giornata di metà autunno, il vento sferzava gli alberi e gli faceva lacrimare gli occhi. Si era tolto le scarpe e le calze, i piedi affondavano nella sabbia umida, quindi si era seduto e osservava, in lontananza, i tetti della città. Scegliere quel posto gli era sembrato naturale, sentiva dentro una grande calma. Stormi di gabbiani reali e cornacchie grigie lo sorvolavano di continuo, sembravano presagire qualcosa. Seguiva con lo sguardo le loro piroette, le geometrie virtuali che si disegnavano contro la volta del cielo grigio, e ogni tanto se lo perdeva verso l'estremo orizzonte. Una volta spariti dalla sua vista, tornava a rimirare il gruppo di case a qualche centinaio di metri dal punto in cui si era seduto. La sua si trovava là in mezzo, anche se non riusciva a distinguerla. Quella casa che aveva tanto desiderato, quella per cui aveva sputato sangue. Ora era vuota, i mobili venduti. I futuri proprietari non sarebbero mai venuti a conoscenza del dolore immenso che aveva albergato protetto da quelle pareti, quel fardello era suo, solo suo. Si era alzato di scatto e avvicinato alla riva. Nel momento in cui l'acqua gelida gli aveva bagnato le dita dei piedi, aveva sussultato leggermente, quindi aveva proseguito. Il fiume era in secca e prevedeva di arrivare sino alla metà della sua larghezza, ma non era un problema. La corrente era forte, ma la sua risolutezza lo era ancora di più, lentamente avanzava. L'acqua gli arrivava ormai al petto, ancora pochi passi e sarà finita, aveva pensato. D'un tratto si era sentito afferrare per le caviglie, una forza mostruosa lo trascinava verso il fondo. L'istinto di conservazione lo aveva spinto a roteare ferocemente le braccia, la lotta era impari. In uno squarcio di lucidità aveva finalmente capito cosa stava succedendo. Mulinelli. Uno dei micidiali gorghi del fiume lo stava risucchiando, aveva smesso di agitarsi.



Era stato solo un attimo e si era ritrovato di nuovo in auto con sua moglie. Sono di ritorno da una festa e ha bevuto molto. Lei ha insistito per guidare ma lui non ha voluto sentir ragioni “Meglio io ubriaco che tu sobria” aveva sghignazzato. Subito dopo, lo schianto. L'auto accartocciata, il fumo e lui che riesce ad uscire dal rogo, lui solo. La moglie e il figlio che portava in grembo ardevano all'interno dell'ammasso di lamiere.



Aveva sentito l'acqua riempirgli i polmoni, ancora poco e li avrebbe raggiunti, finalmente. Poi, come l'aveva ghermito, il mulinello lo aveva "sputato" letteralmente fuori. L'aria gli aveva riempito di nuovo il torace indolenzito. Poi alcune voci, una barca che si avvicinava. Il fiume aveva deciso, non era ancora tempo.

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Cassonetto differenziato / Amarezza
« il: Aprile 20, 2012, 12:44:38 »
Sono decisamente amareggiato in questo periodo. La mia ditta mi ha messo in cassa integrazione con prospettive non certo rosee per il futuro. Ma quello che mi fa veramente male è che i cinquantenni come me ormai, nel mondo del lavoro sono considerati CARIATIDI. Ho maturato tanta esperienza in 35 anni di lavoro, poi con le recenti norme a livello pensionistico mi ritrovo ancora una decina d'anni davanti. Perchè veniamo esclusi a priori? La risposta è chiara e lampante. Prima si privilegiavano i giovani, magari ancora in casa dei genitori e senza grandi pretese di stipendio, senza una famiglia da mantenere. Oggi si sono aggiunti gli extracomunitari, persone disposte a tutto per 400-500 euro al mese. Logico che le ditte si rivolgano a loro. E noi cinquantenni, troppo giovani per andare in pensione, ma vecchi abbastanza per essere rifiutati, viviamo nella perenne incertezza.

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Altro / La Cura
« il: Aprile 12, 2012, 14:41:01 »



Come avrebbe affrontato Chiara? Questo si chiedeva mentre, le mani affondate nelle tasche, si avviava stancamente verso casa. Sino a quel momento era riuscito a nascondere il tutto abbastanza bene, anzi, si era stupito della facilità con cui l'aveva ingannata. Ma Chiara era perdutamente innamorata, non faceva testo. Lei pendeva letteralmente dalle sue labbra, accettava senza troppe domande ciò che lui le propinava. Eppure i segnali c'erano stati. Sposati da sette anni, avevano deciso di aspettarne almeno un paio prima di avere figli, erano giovani, ci sarebbe stato tempo. Ma le stagioni passavano, avevano abbandonato qualsiasi tipo di precauzione e facevano l'amore quasi tutte le sere. Ma Chiara non rimaneva incinta e questo lo fece decidere. Senza dire nulla a sua moglie si era sottoposto ad alcuni esami. Se fosse risultato completamente sano avrebbe convinto anche lei a farli, sicuro che non avrebbe fatto obiezioni. Era una gelida mattina di febbraio quando si recò allo studio medico per ritirare il referto. Fabio era un andrologo molto conosciuto in città, ma era anche suo amico da una vita. Quando varcò la soglia dello studio capì subito che qualcosa non andava. Il medico lo fece accomodare e parlò subito chiaro. Non avrebbe potuto avere figli. La notizia lo sconvolse a tal punto che le successive parole dell'amico gli risultarono incomprensibili. Quando si scosse riuscì a captare solo la fine del discorso. - … ma è una cura costosa,molto costosa. - Fabio gli aveva ripetuto pazientemente in cosa consisteva il trattamento. Si trattava di una cura innovativa e senza garanzie di successo per il momento. Nessuna traccia di compassione nella sua voce, solo la realtà dei fatti. Uscito dallo studio aveva fatto due conti, non ce l'avrebbe mai fatta. Avevano già un mutuo e la rata della macchina sulle spalle, nessuna banca gli avrebbe concesso un prestito, nemmeno quella per cui lavorava. Nel breve tragitto verso casa giunse a due conclusioni. La prima era che non avrebbe detto nulla a Chiara, almeno per il momento. La seconda lo terrorizzava ma, con suo grande stupore, aveva iniziato a porla in atto già dal mattino dopo, sino ad oggi. Meno di due ore prima, infatti, il direttore l'aveva convocato nel suo ufficio. Senza tanti preamboli l' aveva accusato di essersi appropriato dei soldi della banca, piccole cifre che, giornalmente, sottraeva dai versamenti dei clienti. Come aveva potuto fare una cosa simile? Come aveva solo pensato di farla franca? Era rimasto in silenzio e con il capo chino per tutta la durata del colloquio, incapace di difendersi. Difendersi da cosa poi, sapeva benissimo che avrebbero potuto scoprirlo, era stato un pazzo a pensare di passare inosservato. Il direttore gli aveva messo un foglio davanti, erano le sue dimissioni. Aveva preso meccanicamente una penna e aveva firmato subito. Solo allora aveva trovato la forza di alzare la testa fissando il direttore. - Bianchi... - aveva proseguito questi in tono più indulgente. - Suo padre morirebbe per questo, se ne rende conto vero? -  egli aveva annuito e l'altro aveva continuato. - Solo l'amicizia che mi legava a lui mi impedisce di denunciarla immediatamente, ha una settimana di tempo per restituire ciò che ha preso... - Aveva lasciato la frase in sospeso, ma il significato era sin troppo chiaro, sarebbe andato in galera se non l'avesse fatto. Tutto ciò che aveva “prelevato” sino a quel momento si trovava sul conto corrente del medico che aveva iniziato la cura. Fabio aveva infatti convinto il collega a dilazionare il pagamento, l'aveva ringraziato per questo. E ora avrebbe dovuto affrontare Chiara. Era ormai giunto dinanzi alla villetta in cui abitavano. Non vide l'auto e quasi se ne rallegrò, come se il poter rimandare il confronto gli fosse d'aiuto. Andò in salotto e si lasciò cadere sul divano. Prese il cellulare dalla tasca e chiamò il medico che stava cercando di farlo tornare uomo. Un paio di giorni prima aveva rifatto gli esami, una delusione. Dopo tre mesi di cura gli spermatozoi risultavano sempre deboli, doveva portare pazienza gli disse l'altro. Gli ricordò altresì che le probabilità erano scarse, che era stato avvisato sin dall'inizio. Annuì nervosamente e chiuse la conversazione. Aveva fatto tutto per niente. Sarebbe andato in prigione per niente. Il rumore dell'auto che entrava nel vialetto lo distolse da quei pensieri. Quando Chiara entrò in casa lo trovò seduto in cucina. Sul tavolo, davanti a se, un bicchiere di vino con accanto la bottiglia mezza vuota. Lo guardò stupita e allarmata. Gli chiese il perché di quella sorpresa, come mai non si trovasse al lavoro. - Chiara, ti devo parlare... - cominciò, ma lei lo zittì ponendogli l'indice sulle labbra. - No amore, qualsiasi cosa tu debba dirmi non potrà mai essere più importante di ciò che ti devo dire io...- Lo prese per mano e lo trascinò in salotto, sul divano.- Mi odierai per questo lo so, ma te lo devo dire... - Un campanello d'allarme gli squillò prepotente nella testa. Che avesse scoperto tutto? Forse che il direttore l'avesse informata dei fatti? Scoprì di avere le mani sudate, le gambe martellavano violentemente il pavimento, era tesissimo. . Tesoro... - continuò lei... - Ho fatto alcune visite, purtroppo non potremo avere dei figli... - gli gettò le braccia al collo e scoppiò in un pianto dirotto. Lui rimase come impietrito, gli venne da ridere e piangere al tempo stesso. - Lo so... - continuò lei tra i singhiozzi. - Avrei dovuto dirtelo, parlartene. Ma avevo paura di perderti, conosco il tuo desiderio di avere un figlio... perdonami. - Le accarezzò i capelli e quando l'attirò a se stava tremando. - A meno che... - proseguì lei. - … a meno che non segua una cura, è molto costosa e non ci sono garanzie, ma sarebbe l'unica strada...

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15 minuti per creare / L'uovo di Pasqua
« il: Aprile 08, 2012, 08:52:25 »
Il mercato è gremito. Una moltitudine di persone si incrocia, si prende a spallate, impreca. Mi inserisco anch'io nella fiumana e subito gli odori mi assalgono pregnanti e pungenti. Il vociare continuo mi fa quasi dimenticare il motivo per cui sono arrivato sino al centro di quella confusione. Ho sempre detestato i luoghi troppo affollati. Punto diritto alla bancarella che m'interessa, in questo sabato pasquale è quella più affollata naturalmente. Le uova di cioccolata esposte sono di ogni tipo. Piccole, medie, grandi ed enormi. Non guardo i prezzi, non mi interessano. Un bimbo mi passa accanto piangendo disperatamente, vuole l'uovo della sua squadra del cuore. Finiti. La madre lo strattona borbottando di altre bancarelle, al massimo andranno all'ipermercato dice. Distolgo lo sguardo e mi concentro sul venditore anzi, sui venditori. Sono marito e moglie e li conosco di vista. Abitano nel mio stesso quartiere e mi ripugna quello che sto per fare, ma la loro bancarella è la più vicina a una via di fuga. Sono indaffaratissimi, attendo. Ho già adocchiato l'uovo che m'interessa, non grandissimo ma carino. Nonostante la giornata sia fresca sento il sudore colarmi sulla schiena. Cerco di darmi un contegno. Mi guardo intorno e alzo il braccio per guardare l'ora. Che scemo, l'orologio ora è al polso di uno che nemmeno conosco. L'ho venduto un paio di giorni prima, diciamo che l'ho regalato visto il valore e quello che ho spuntato. Mi volto per l'ennesima volta a controllare. Quando mi rigiro il braccio scatta veloce. Strappo l'uovo dalla sua sede e mi allontano senza fretta. Non oso voltarmi di nuovo. Le gocce di sudore sulla schiena sembrano essersi trasformate in cubetti di ghiaccio. Ancora pochi metri e sarò fuori dalla bolgia, al sicuro. EHI LEI...FERMO! La voce è decisa, autoritaria. Mi blocco sul posto e chiudo gli occhi. Una mano mi cinge il bicipite costringendomi a voltarmi. Quando li riapro la testa inizia a girarmi in maniera vorticosa, sapevo che sarebbe accaduto, la mia carriera di ladro è finita ancor prima di cominciare. Scortato dai vigili in servizio al mercato ritorno verso la bancarella. La gente si scosta e mi guarda con ribrezzo, alcuni forse mostrano pietà, compassione. Il venditore mi osserva senza dire una parola poi si rivolge agli agenti. Uno di loro gli restituisce l'uovo e dice che no, non serve la sua denuncia, sono stato colto sul fatto. Arrivo al comando distrutto. Quando mi chiedono se voglio chiamare il mio avvocato scuoto la testa. E chi se lo può permettere un avvocato? Non mi rinchiudono in una cella, questo succede solo nei telefilm. Resto seduto in un ufficio con un agente che mi guarda distrattamente. Osservo la porta e l'idea di fuggire mi attraversa la mente. Ma non sono sicuro che le gambe possano reggere. Un paio d'ore più tardi un ufficiale fa il suo ingresso e congeda l'agente prendendo il suo posto. In mano ha un foglio che appoggia sulla scrivania. Inizia a leggerlo. Ogni tanto alza gli occhi e mi fissa. Quando finisce si lascia andare sulla poltrona. Non dice nulla ma la domanda è implicita. Potrei dirgli che sino a pochi mesi prima possedevo una piccola azienda. Potrei dirgli che ho dovuto licenziare i miei cinque dipendenti per mancanza di ordinazioni. Potrei dirgli che le tasse mi stavano ammazzando. Potrei dirgli che il mio attuale domicilio è la mia auto, senza assicurazione, senza bollo e sopratutto senza benzina. Potrei dirgli che mia moglie ha voluto il divorzio. Invece mi limito a sussurrare - Volevo solo un uovo per il mio nipotino...

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15 minuti per creare / Il Nulla
« il: Marzo 31, 2012, 23:12:29 »
Fisso il monitor da circa un paio d'ore. Nulla. Miriadi di idee attraversano il mio cervello cercando un punto d'incontro. Nulla. Mi butto sui tasti in maniera frenetica quando, per un istante, credo d'aver trovato la via giusta, la storia perfetta. Dopo una cinquantina di righe rialzo la testa dolente, seleziono il tutto...cancello. Nulla. Ma non demordo, domani è domenica, la sveglia resterà muta e la voglia di scrivere è impellente, quasi arrogante direi, è lei che comanda il gioco. Stasera non ho nemmeno cenato, sono arrivato a casa quasi in stato di trance, nemmeno il tempo di togliere il giubbotto che il computer già emetteva i suoi ronzii...Il cibo? Un'appendice, un surrogato. Riparto frenetico sui tasti, altre cinquanta righe e cancello. Nulla. I palmi delle mani raschiano le guance ruvide di barba non fatta. Il mal di testa aumenta di pari passo alla mia frustrazione. Sono le cinque del mattino e la suoneria del cellulare mi fa sussultare. Guardo il numero e metto il silenzioso. Non ho voglia di nessuno in questo momento, siamo soli, io e il mio computer, è una sfida. Nulla. Ha vinto lui. Trascinandomi su gambe insensibili mi avvio verso il letto sfatto dalla notte prima. Appoggio la testa sul cuscino e la stanza sembra girare, dapprima lentamente poi, come un vortice, sempre più veloce. Chiudo gli occhi e la storia, come per incanto, mi appare nitida e chiara. Faccio per alzarmi ma le gambe non rispondono. Più aumenta lo sforzo più la storia prende forma, ma è inutile, la spossatezza ha il sopravvento e mi lascio andare. Domani, mi dico, sarà per domani...Nulla.

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Anch'io Scrivo poesia! / Sognare
« il: Marzo 30, 2012, 22:58:48 »
Una telefonata ti riempie la giornata

ma può bensì distrugger  la tua  vita

Quella voce così tanto sognata

quella voce così tenacemente inseguita.


Euforico e raggiante prima

depresso e annichilito in un istante

ti chiedi se l'altrui stima

non sia solo un soffio d'ali volante.


Il telefono ora muto tace nella mano

l'eco di quella voce ormai lontano

in un silenzio da far tremare.


Trascinando anima e corpo al riposo

ti accorgi d'andare a ritroso

non ti resta che sognare.

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