Autore Topic: Quindici anni dopo...  (Letto 643 volte)

senzanick61

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Quindici anni dopo...
« il: Maggio 01, 2012, 20:40:03 »
Contrariamente al solito aveva bevuto molto. L'alcool lo aveva sempre fatto star male ma, di norma, i conti con lo stomaco li faceva il giorno dopo. Quella sera voleva essere in forma, voleva essere carico abbastanza per affrontarla. Nonostante l'euforia aveva guidato con prudenza, non voleva correre il rischio di essere fermato, d'altronde anche il più conciliante degli agenti gli avrebbe letteralmente stracciato la patente in faccia, nel caso fosse accaduto.
Una leggera foschia di fine ottobre avvolgeva la villetta, sapeva bene che “lui” non c'era, si era informato, faceva il turno di notte. Non che avesse paura, per quel che ne sapeva era una persona tranquilla. Avevano pure scambiato un paio di battute in passato, anche se non ricordava in quale occasione. Era lei che voleva incontrare. Era a lei che voleva chiedere, per l'ennesima volta, perché l'avesse abbandonato. L'avrebbe costretta, quella sera, a rivelargli cosa non andava in lui, con le buone o con le cattive. Perché proprio in quel momento? Per un motivo tanto semplice quanto drammatico, secondo il suo punto di vista. Le successive storie che aveva avuto si erano rivelate un fiasco. Ogni volta che riusciva a portarsi una donna a letto il risultato era sconfortante, lo annichiliva del tutto. Sopratutto nessuna capiva cosa lui volesse veramente, era frustrante. E di tutto questo dava la colpa a lei, a quella donna che aveva amato sino alla follia, l'unica con cui era quasi riuscito.
Aveva suonato un paio di volte. La luce del soggiorno era accesa. Aveva atteso concedendole l'alibi del bagno. Lo stava facendo per la terza volta quando un gracchiare del citofono lo aveva fatto sussultare. - Chi è? - Il tono era chiaramente seccato, probabilmente non era abituata a ricevere visite a quell'ora. - Chi è?? - aveva ripetuto con un'accennata isteria nella voce. - Sono io – aveva risposto il più conciliante possibile, ma alle proprie orecchie era risuonato più o meno così: Sciono...iooo... -
Erano trascorsi solo alcuni secondi, ma gli era sembrata un'eternità- Che vuoi a quest'ora? Non ho voglia di parlarti, come sempre ti comporti da buzzurro cafone presentandoti a ore impossibili, la bella di turno ti ha forse mollato? - Ricordò di essersi allontanato dal citofono sbalordito, non tanto per l'arroganza nella voce, quanto per la verità che, senza saperlo, aveva centrato. - Qualsiasi cosa tu debba dirmi può aspettare benissimo domani, o forse mai. Sai benissimo che non devi avvicinarti alla mia casa. - aveva proseguito. - Non costringermi a chiamare la polizia, vai a dormire che è meglio... ammesso che tu abbia ancora un letto... - Clic.
Erano state quelle parole a scatenare tutto, quel tono volutamente canzonatorio e intriso di disprezzo, una miscela esplosiva. Aveva lanciato una rapida occhiata intorno. Nessuno. Dopo aver lasciato trascorrere alcuni minuti restando al riparo di un albero, aveva estratto le chiavi di tasca. Le aveva restituite certo, non prima però di averne fatto una copia. La zoccola e il suo nuovo compagno non si erano certo premuniti di cambiare serratura.
Era quindi entrato normalmente in casa come se fosse appena tornato dal lavoro. Aveva sentito l'acqua della doccia scorrere, la puttana si stava preparando per il suo amichetto, bene. Ricordò di aver aperto il mobile bar e, dopo una breve riflessione, di aver lasciato il bicchiere al suo posto. Nell'attesa aveva tracannato mezza bottiglia di cognac, direttamente dalla bottiglia. Poi lei era apparsa sulla soglia del soggiorno in accappatoio. - Come... come... - era riuscita a malapena a farfugliare. Le era piombato addosso come un falco. Tre anni di sofferenza e rancore,associati all'alcool che aveva in corpo, si erano tutti condensati nel violento pugno con cui l'aveva mandata al tappeto. Era svenuta. Col fiatone, aveva osservato con soddisfazione il sangue colarle dalle labbra spaccate, si stavano gonfiando a vista d'occhio.
Al contatto col terreno l'accappatoio le era risalito sulle cosce, era nuda. Aveva avvertito subito un fremito all'inguine, l'erezione era esplosa violentemente inducendolo a guardare il rigonfiamento dei jeans quasi con stupore. In un attimo se ne era liberato e l'attimo dopo le era sopra. Le aveva allargato freneticamente le cosce, il pene pulsante a premere con violenza sul suo inguine. Ma lei era rinvenuta quasi subito e lo aveva guardato con un'espressione terrificante, odio allo stato puro. Quello sguardo lo aveva paralizzato all'istante. L'erezione, così come era arrivata, si sciolse con la velocità della luce.
In ginocchio, tra le gambe di Anna, era rimasto imbambolato a fissare il proprio sesso raggrinzirsi con la rapidità di un amen. Lei aveva continuato a fissarlo con quei grandi occhi accusatori. - Vigliacco... - Aveva mormorato con disprezzo attraverso le labbra sempre più gonfie.
Erano trascorse ore? O solo pochi minuti? Seduto sul divano, continuava a fissarsi le mani intrise di sangue. Lei era distesa sul pavimento, il volto ridotto a una poltiglia, poco distante una mazza da baseball, anch'essa insanguinata. Si era chinato e, molto delicatamente, le aveva coperto l'inguine con l'accappatoio. Il suo torace aveva smesso di alzarsi e abbassarsi, non avrebbe saputo dire da quanto tempo.

Erano trascorsi quindici anni da quella sera. Il portone, azionato dall'interno, si aprì con uno scatto metallico. La guardia che lo piantonava non disse nulla, abbozzò solamente un cenno con la testa. Il carcere si trovava alla fine di un viale di periferia lunghissimo, il traffico era scarso, quasi inesistente. L'aria calda di fine giugno lo avvolse col suo carico d'umidità. Indossava abiti inadatti, quasi invernali, iniziò da subito a sudare copiosamente.
Senza indugiare oltre s'incamminò con passo veloce ma, dopo un centinaio di metri, si costrinse a una pausa, non era più abituato alle lunghe passeggiate. Quando arrivò di fronte a quella che sembrava essere una fermata d' autobus, un foglio appeso lo informava che era stata soppressa. Esausto, si lasciò cadere sulla panchina semidistrutta. Sentì il sudore colargli lungo la schiena e negli occhi. Prese il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e se lo passò sul volto, il bruciore era insopportabile. Si impose d'alzarsi e ripartire. Non senza fatica si rimise lo zaino in spalla. - Non muoverti... -
La voce proveniva dalle sue spalle. Una zaffata d'alito caldo gli sfiorò la nuca insieme a qualcosa di duro e freddo che gli premeva alla base del collo. La vita in carcere gli aveva insegnato ad obbedire senza discutere, e quel tono era chiaro, perentorio. Rimase immobile con le mani lungo i fianchi, in attesa. L'uomo, senza permettergli di voltarsi, iniziò a trascinarlo verso la boscaglia. Quando la strada non fu più visibile, qualcosa di pesante gli colpì il cranio con la forza di un maglio. Il cielo esplose sopra di lui in una miriade di scintille colorate.
Quando rinvenne aveva legate saldamente mani e caviglie. La schiena poggiava al tronco di un grande albero. La testa gli pulsava in modo lancinante, la nausea era incontrollabile, girò la testa di lato e vomitò. Quando il velo di lacrime dovuto allo sforzo glielo permise, vide l'uomo davanti a se che lo fissava. Indossava una divisa scura, ma non sembrava un poliziotto e neppure un militare. Questi fece due passi in avanti. - Ciao Fabrizio... - disse sorridendo.
Lo riconobbe ancor prima di leggere la targhetta appuntata sul taschino. Pietro Cattaneo, guardia giurata da una vita, convivente della donna che egli aveva massacrato e ucciso di botte lo stava guardando con un sorriso. Aveva rimesso la pistola nella fondina e l'aveva sostituita con un coltello da caccia, di quelli con la lama seghettata. Fabrizio cercò di dire qualcosa ma Pietro lo zittì con un gesto. - Non ti ricordavi più di me vero? - In effetti non aveva più pensato a lui una volta entrato in carcere. Si ricordò di averlo visto al processo, forse aveva anche testimoniato, ma non ne era sicuro. - Sai.... - continuò Pietro. - Anna mi parlava spesso di te, delle tue manie... delle tue perversioni. - Non sorrideva più ora.
Con un gesto repentino gli infilò il suo stesso fazzoletto in bocca. Subito dopo la lama gli tagliò di netto l'orecchio sinistro. La vista gli si annebbiò nuovamente ma Pietro non gli permise di svenire. Staccò dalla cintura una borraccia e gli spruzzò il viso con acqua gelata. In quel momento Fabrizio capì che l'avrebbe fatto a pezzi, le lacrime si mischiarono al sangue che colava dall'orrenda ferita. Come se non fosse accaduto nulla Pietro riprese a parlare.
- Anna...la mia Anna... - represse un singhiozzo e continuò. - … mi diceva che non riuscivi più a fare l'amore con lei, che la obbligavi a giochi pericolosi e... umilianti. - Il braccio di Pietro scattò di nuovo. Stavolta la lama gli affettò il naso. Fabrizio sentì il sangue colargli in gola. L'altro aspettò qualche istante poi gli tolse il fazzoletto e lo sostituì con la borraccia. Acqua, sangue e muco iniziarono a colargli sul petto. Imperterrito Pietro continuò nel suo racconto. - Fino a quando l'hai stuprata con un bastone, fino a quando finalmente trovò la forza di cacciarti sperando di essersi liberata per sempre di te... - un altro singhiozzo. - … come si sbagliava! - La punta del coltello affondò con assurda facilità nell'orbita destra.
L'urlo di Fabrizio venne di nuovo smorzato dal fazzoletto, stavolta nemmeno l'acqua gli impedì di svenire.
Fabrizio era ormai una maschera di sangue. Pietro gli sentì il polso e capì che non ne avrebbe avuto ancora per molto. Il posto che aveva scelto era molto isolato, lontano da sentieri e strade. Forse qualche cacciatore di passaggio si disse, ma la stagione della caccia era ancora lontana. Adesso che tutto era finito si sentiva stranamente triste. Aveva vissuto gli ultimi quindici anni della propria vita sognando quel giorno, pregustandolo.
Si sedette accanto a Fabrizio e lo guardò. Quell'uomo aveva compiuto nefandezze orribili, aveva massacrato orribilmente la donna che aveva amato. Meritava di finire in quel modo. Eppure si sentiva triste.
La sua mano corse alla fondina, guardò la pistola come se la vedesse per la prima volta e si mise la canna in bocca. Quando riecheggiò lo sparo decine di uccelli, sino a quel momento silenziosi, presero il volo. Poi nella boscaglia tornò a regnare il silenzio.

nihil

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Re:Quindici anni dopo...
« Risposta #1 il: Maggio 02, 2012, 15:16:26 »
queste cose si leggono spesso sui guiornali, l'amore a volte non smette di produrre morte.  :(

Rubio

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Re:Quindici anni dopo...
« Risposta #2 il: Maggio 02, 2012, 23:39:40 »
A me è piaciuto, terribile e reale, purtroppo. R.