Autore Topic: Nella campagna dello zio Concetto  (Letto 449 volte)

presenza

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Nella campagna dello zio Concetto
« il: Dicembre 23, 2012, 00:52:01 »
Non ricordo quanti anni avessi a quel tempo e in che periodo dell'anno fossimo, ciò che è nitido nella mia mente è la giornata trascorsa in campagna con lo zio Concetto.Una bella distesa di prato tutt'intorno ad una casa in pietra, un gran bel forno a legna già caldo all'esterno e lungo il canale dell'acqua di irrigazione una serie di piantine verdi dai fiorellini delicati. C'erano i grandi a darsi da fare per preparare le schiacciate con i broccoli e i cavolfiori, la zia Maria sorella di mio padre ne aveva portato un recipiente intero, lei coi lunghi capelli castani che portava raccolti a tuppo, un paio di jeans a zampa come si usavano a quel tempo e le scarpe con le zeppe. Mia madre tagliava la tuma, formaggio pecorino ancora fresco e morbido e perciò ottimo per accompagnare le verdure, si scioglieva che era una bellezza e si amalgamava al resto degli ingredienti in modo armonico. Mio padre andava in giro, lui con quel suo golf a dolcevita bianco avorio, con un bastone in mano a cercare funghi, mentre lo zio Concetto dava fuoco alla legna. Noi bimbi, io, i miei fratelli e i cugini giocavamo in lungo e in largo su quel prato in tanti modi, a nascondino, a... un, due e tre stella, a guardie e ladri. Poi noi femmine stanche dei giochi da maschio ci ritrovammo d'accordo a raccogliere un po' di fiori. E così lungo il bordo del canale cominciammo a chinarci per prendere i fiori più belli. Andavano tutti da una tonalità di rosa antico, al bianco e così decidemmo di dividerci nel raccogliere io tutti quelli bianchi e mia cugina Katia tutti quelli rosa.
Il cielo era limpido e con un bel sole, tutto intorno nell'aria un profumo di legna che va in fumo, gli uccelli intenti al loro canto e un agrumeto in fiore, bianco e profumatissimo ogni singolo albero di arance e mandarini. Spesso ci fermavamo sul ciglio della strada quando con la bella stagione andavamo in giro a cercare sagre, e ricordo come gli agrumeti facevano venire voglia di raccogliere arance e mandarini. Quel giorno erano a nostra disposizione e mi sentivo ricca di prendere tutti i fiori degli alberi.
Si sentivano in lontananza le voci dei miei zii che scherzavano tra loro, di macchine non ne ricordo, però c'era il sole, sì quello che illuminava e riscaldava. Mia madre quando finì di affettare formaggio e mia zia di farcire le schiacciate decisero di andare un po' in  giro a passeggiare. Mio padre era troppo lontano ormai,  di lui si vedeva solo una macchia bianca e niente più.
Io e Stefania eravamo ancora intente a raccogliere quei fiori quando d'improvviso sentiamo un urlo “oddio non sono fiori quelli, sono le fragole!” Subito entrambe lasciamo cadere il bel mazzetto che avevamo raccolto e ancora l'urlo “oddio no, se lo zio vedesse qui questi fiori abbandonati darebbe subito la colpa a noi”. E così li andammo a nascondere prima che lui se ne accorgesse. All'odore del legno si sostituì quello delle schiacciate con cipolle e formaggio e il rumore del mio stomaco che brontolava per la fame. Mio padre già più visibile aveva in mano tante margherite gialle e appena più vicino cominciò a fare una ghirlanda. Io e Stefania trovammo un posto migliore ai fiorellini delle fragole, seguimmo per lungo un muretto basso in pietra lavica e spuntammo vicino ad una grotta naturale. Abbandonammo lì le nostre fragole, nemmeno la fatica a dividerle tra le bianche e le rosa e ritornammo correndo appena in tempo per sentire in lontananza “ a tavola, si mangia”.
Che tavolata, sì, una tovaglia bianca lunga fino ai piedi e sopra il bendidio che andava dalle olive nere infornate al pane di casa caldo e fragrante, salami e formaggio pecorino, schiacciate con i broccoli e cipolla, con i cavolfiori la tuma e le acciughe mentre mio padre diceva “tradizionali, tradizionali”, l'insalata di cavolo condita con il limone quella sì che mi piaceva tanto, e mia zia Maria che la preparava davvero bene stava al centro della tavola e chiedeva i piatti uno ad uno. Pina, la moglie di Concetto versava il vino e a noi bambini l'acqua, a mio fratello che era il più grande annacquavano il vino. Il forno ancora caldo emanava tepore e profumo, c'erano in caldo le patate nella brace, il passatempo dopo il pranzo, e quelle sedie di legno un po' sgangherate con i decori a rilievo che erano state del salotto buono. Mangiammo per un tempo interminabile mentre il sole cominciava ad offuscarsi e le nuvole ad avvicinarsi, cominciò qualche goccia di pioggia e un po' di freddo, subito fu rientrato tutto in casa e compreso noi si stava un po' strettini. Quel terreno bagnato e il suo profumo, le foglie degli alberi lucide per l'acqua e noi attorno al tavolo a mangiare i dolci finalmente, un vassoio di cannoli alla ricotta e al cioccolato con granella di pistacchio i primi e di nocciole i secondi. Una bella cialda croccante e quella crema profumata che si scioglieva in bocca e poi qualcuno disse “mettete su il caffé”. L'aroma si diffuse presto mentre noi bambini trovammo divertente giocare al gioco del silenzio e chi rideva avrebbe pagato una punizione.

gipoviani

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Re:Nella campagna dello zio Concetto
« Risposta #1 il: Gennaio 17, 2013, 11:17:19 »
Mi piace il racconto.
Mi sarebbe piaciuto stare lì anch'io.
Mi domando, non sapendo bene la risposta, in quale gruppo sceglierei di stare: fra gli adulti o i bambini.
Forse i bimbi la giornata se la godevano di più, non era evasione, era la vita.
Gli adulti saranno stati presi da tanti pensieri: la rata del mutuo da pagare, il capo ufficio che dava di matto, da quanto tempo il marito la notte non le cercava più.
Forse sarebbe meglio rimaner bambini......