Scrittura creativa

Libri e Lettura => Scienza => Topic aperto da: presenza - Settembre 14, 2012, 19:29:24

Titolo: Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: presenza - Settembre 14, 2012, 19:29:24
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: nuvola - Settembre 15, 2012, 00:00:20
Ma ci fai o ci sei ?
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: nuvola - Settembre 15, 2012, 00:02:39
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".
Ecco, quando vai dallo psicoanalista devi dire così.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 12, 2012, 07:27:55
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".

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Scienza, conoscenza e coscienza: tre interessanti concetti.

Come ho già scritto in un altro topic, la parola  scienza deriva dal latino "scientia", significa conoscenza, ottenuta con procedimento metodico e rigoroso tramite  l’attività di ricerca  per giungere ad una descrizione oggettiva della realtà e delle leggi che regolano i fenomeni.

La nascita e l’affermazione in Europa della scienza moderna,  sono comprese nel periodo convenzionale tra la pubblicazione del “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico (1543), i “Principia mathematica philosophiae naturalis” (1687) e gli “Opticks” (1704) di Newton.

La scienza, la tecnologia e l’innovazione ci offrono cambiamenti nel nostro sapere e nel nostro modo tradizionale di vivere.

Il nick Presenza giustamente annota che la scienza è legata alla conoscenza, a quella scientifica in particolare, che viene studiata dalla gnoseologia - dal greco "gnòsis" ("conoscenza") e "lògos" ("discorso") - chiamata anche teoria della conoscenza: è quella branca della filosofia che si occupa dell'analisi dei fondamenti, dei limiti e della validità della conoscenza.

Nell'ambito della cultura anglosassone la teoria della conoscenza è denominata epistemology, invece in Italia con il termine epistemologia (ed anche filosofia della scienza) si designa la branca della gnoseologia che si occupa della conoscenza scientifica.

Nella conoscenza viene coinvolta anche la coscienza dell’individuo, perché tramite i sensi conosce l’oggettività esterna al suo corpo, ne assume la consapevolezza, diventa “cosciente”. Ma non basta, la coscienza accoglie anche le emozioni endogene ed i sentimenti. 

La psicologia cognitiva definisce la coscienza come un fenomeno spiegato in termini di meccanismi neurali, quali:

la capacità di fare distinzioni, categorizzare e reagire agli stimoli ambientali;

la capacità di accedere a stimoli interni;

l’integrazione delle informazioni mediante un sistema cognitivo;

il focus dell’attenzione;

la differenza tra veglia e sonno;

il controllo deliberato del proprio  comportamento.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: presenza - Ottobre 12, 2012, 17:43:31
Dott. è interessante la tua capacità di sviluppare questi temi, e concetti che altrimenti rimarrebbero solo parole. Mi piace inoltre la ripresa di argomenti che spesso risultano ostici o poco conosciuti o addirittura dimenticati.
Un solo appunto, se mi permetti: dietro i nick siamo persone, perciò se citi me o chiunque altro ti consiglio di considerarmi in quanto persona. Non è il nick Presenza ad esporre, come non è il nick Stranamore a sviluppare, semmai Presenza (Giusy) e Stranamore (... non conosco il tuo nome e se vuoi sarà bello condividerlo).

Grazie
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 13, 2012, 07:07:16
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La parola scienza è attestata nella lingua italiana dal XIV secolo. Come già detto, questo lemma deriva dal latino “scientia” (= scindere), da “sciens”, participio presente del verbo “scire” (= “sapere”), che in origine, significava tagliare, col tempo venne usato dai parlanti col significato di  “decidere”  e poi “sapere”.

L’equivalente termine di scienza ma in lingua greca è “episteme”, che indica ciò che s’impara razionalmente. Episteme deriva dal verbo “epistamai” (=porre sopra, imporre).  In tal senso l'episteme è ciò che si impone con l'evidenza.

Della differenza tra episteme (conoscenza di tipo scientifico) e doxa (opinione soggettiva) erano consapevoli gli antichi filosofi greci, perciò distinsero forme diverse di conoscenza:

quella che si limita alla constatazione dei fatti o all’osservazione di un fenomeno;

quella che va oltre e cerca le cause di un fenomeno (conoscenza per cause), cioè la   scienza.

Essi consideravano ingannevole ed instabile l'opinione soggettiva basata sui sensi, perciò la contrapponevano alla conoscenza basata sul logos, e ne discutevano il valore di verità.

Parmenide per primo svalutò la conoscenza sensoriale, affermando l'importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione.
 
Aristotele formalizzò in maniera più precisa e sistematica il processo conoscitivo,  e da allora rimase invariato fino al XIX secolo. Questo filosofo rivalutò l'esperienza sensibile e  mantenne il presupposto secondo cui l'intelletto  umano non si limita a recepire passivamente le impressioni sensoriali, ma svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le particolarità transitorie degli oggetti e di coglierne l'essenza. Egli distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, in quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di "astrarre" l'universale dalle realtà empiriche. Conoscere significa quindi astrarre (dal latino ab + trahere, "trarre da") tramite la mente. I processi mentali venivano spiegati utilizzando termini come ‘anima’, ‘spirito’, ‘soffio vitale’, oggi desueti sia  dal punto di vista filosofico che scientifico; più in auge è la parola coscienza.

Cartesio (1596-1650) nei “Principi della Filosofia”   e con l’ espressione “cogito, ergo sum” (penso, quindi sono, dice che  “Con il nome di pensiero intendo tutte quelle cose che avvengono in noi con coscienza, in quanto ne abbiamo coscienza. Così non solo
intendere, volere, immaginare, ma anche sentire è qui lo stesso che pensare.”
Per questo filosofo francese coscienza significa avere consapevolezza soggettiva di sé,  indubitabile, mentre i contenuti mentali di cui siamo coscienti sono soltanto idee.

Questa concezione cartesiana fu poi  fatta propria dell’empirismo inglese sino a David Hume.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 14, 2012, 09:18:16
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Ogni uomo per natura desidera conoscere.” Con questa frase  il filosofo Aristotele inizia il primo dei trattati raccolti nell’opera “Filosofia prima”, poi  da altri denominata: “Metafisica”.

L’incipit della Metafisica aristotelica: “Omnes homines naturaliter scire desiderant” influenzò nel medioevo un altro tema legato alla conoscenza, quello della felicità.

Aristotele aveva infatti spiegato che la felicità si può raggiungere tramite l’intelletto e la conoscenza. Ovviamente tale opinione contrasta con la dottrina cristiana, perché diversa dalla beatitudine eterna, concessa solo dopo la morte ed in virtù della grazia divina all’uomo e alla donna che si fossero distinti per la fede e l'agire bene. Nella prospettiva del credente, quindi, non è la conoscenza la più alta espressione dell’umanità,  ma il pio desiderio di sottomettersi alla legge divina.

La filosofia occidentale si è costantemente interrogata sulla felicità e sul significato del male.

Nel medioevo i concetti di felicità, bene e male erano concetti collegati alla realtà, in cui l’agire dell’individuo  assurge per la sua capacità di pensare il Bene con la ragione, di volerlo mediante la libertà e di valutarlo con la coscienza, parola che deriva dal latino "con-scientia”, quindi linguisticamente collegata con i lemmi conoscenza e scienza. 

Nell’uso comune la coscienza indica la consapevolezza del proprio essere, la conoscenza che ciascuno ha del bene e del male, ma in filosofia  il termine "coscienza" ha  diversi significati.

Nelle filosofie greche il concetto di coscienza è di solito riferito all’anima.

Per Platone  è  "il dialogo che l’anima per sé instaura con se stessa su ciò che sta esaminando" (Teeteto). 

Aristotele riduce la coscienza alla consapevolezza del contenuto delle sensazioni.

A Roma, Marco Tullio Cicerone scrive il “De Officis”, nel quale fra l’altro dice che la coscienza è quanto di più divino è stato concesso all’uomo.

Nella filosofia moderna cruciale è l’elaborazione cartesiana: il colloquio dell’anima con se stessa acquista nuovamente un valore gnoseologico.

Il filosofo empirista Locke concepisce la coscienza come certezza del proprio esistere, del proprio pensare.

Nella “Critica della ragion pratica” Kant considera la coscienza l’elemento che garantisce il valore della legge morale. Per questo filosofo la coscienza contiene il senso etico e quello gnoseologico, fa distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso.

Secondo  Hegel la coscienza è l’attività conoscitiva dell’individuo. 

Per Sartre la coscienza è percezione della propria esistenza, invece per Bergson la coscienza è la capacità di introspezione che l’evoluzione creatrice ha raggiunto nell’individuo.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 17, 2012, 09:46:46
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Nel nostro tempo usiamo la parola coscienza in alcune accezioni:

coscienza intesa come capacità umana di conoscere;

coscienza morale, collegata ad aspetti etici. Permette all’individuo di distinguere e valutare il bene dal male, il giusto, dall’ingiusto;

coscienza considerata come consapevolezza che il soggetto ha di sé, del mondo esterno con cui è in rapporto,  coscienza della propria identità e dei propri stati d’animo.

Alla coscienza come dimensione unitaria della molteplicità dei vissuti psichici si aggiunge la nozione di autocoscienza, che permette al soggetto di volgere l’attenzione verso se stesso attraverso l’introspezione e la riflessione In tal senso la nozione di coscienza si collega con quella di interiorità dell’individuo ed evoca la metafisica dell’esistenza personale.

Alcuni autori fanno dipendere dalla coscienza la coscienza morale ed una parte dell'anima, che nell'antico passato si pensavano racchiuse nel cuore, considerato anche l’organo dell’intelligenza e dell’amore.

Nell’Antico Testamento la parola “cuore” viene  intesa come centro dei sentimenti e delle principali inclinazioni morali.

Nel Nuovo Testamento, invece, è  frequente la parola coscienza collegata all’individuo moralmente consapevole e responsabile delle proprie azioni e intenzioni.

La costituzione pastorale  “Gaudium et Spes” (del Concilio Vaticano II)  e l’enciclica “Veritatis Splendor” (del pontefice Giovanni Paolo II)  contribuiscono ad indagare sulla coscienza. 

L'enciclica  esprime la posizione della Chiesa cattolica sulla condizione dell'uomo davanti al bene e al male, e sul ruolo della Chiesa nell'insegnamento morale, filosoficamente fondato anche sul neoplatonismo.

Plotino nel IV libro delle “Enneadi” si sofferma  sulla relazione dell’anima col corpo e dice che l'anima sussiste eternamente ed è padrona dei corpi.

Ma prima di Plotino e di altri autori cristiani c’è l’apostolo Paolo che nell’epistola ai Romani dice: “… quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi;essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda”. (Romani 2,14-15).

La coscienza fu tema di riflessione pure per Agostino d’Ippona (354-430), secondo il quale la verità si svela nell’interiorità dell’uomo (De v. religione, 39, 72), perciò  l’uomo deve compiere un cammino che lo porti a spostare l’attenzione dall’universo esteriore a quello interiore.

L’espressione agostiniana "in interiore homine habitat veritas" implica che nella sua ricerca l’uomo deve trascendere le cose del mondo esterno e la sua stessa natura psicologicamente mutevole per cogliere in fondo all’anima la sua radice,  che Agostino identifica con il verbo divino, che è luce di verità,  principio e fondamento di ogni giudizio.

In Tommaso d’Aquino (1224-1274) la coscienza è considerata anche come coscienza morale. Per l’aquinate “coscienza vuol dire «scienza con altro»” (Summ. Theol., I, q.79, a 13), scienza morale applicata al comportamento umano al fine di valutarlo. (De Ver., q. 17, a.1).

Il tema agostiniano dell’appello all’interiorità come garanzia si ripresenta  nel cartesiano “cogito ergo sum”. Il “cogito” coincide con la coscienza concepita come il complesso dell’attività interiore dell’uomo.

Il pensiero cartesiano fu ripreso nel XX secolo dalla fenomenologia di Husserl.

Oggi la coscienza viene studiata con nuovi metodi d’indagine dalla psicologia, dalle scienze cognitive e le neuroscienze, dopo essere stata per secoli uno dei temi della riflessione filosofica.   
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 18, 2012, 08:39:34
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Nelle antiche filosofie elleniche il termine coscienza ha un significato gnoseologico e si riferisce alla  conoscenza di sé , alla consapevolezza di esistere; tale consapevolezza  si crea con le informazioni che riceviamo nell’interazione con le persone e  dalle esperienze personali.

In quelle diverse filosofie vengono distinti tre  livelli di  conoscenza di sé:

l’autoconsapevolezza soggettiva, ,quando l'individuo comprende di essere l'artefice delle proprie azioni;

l’autoconsapevolezza oggettiva,  quando l'individuo capisce di essere un'entità che esiste accanto ad altre;

l’autoconsapevolezza individuale, quando l'individuo si rende conto che le proprie azioni formano un'entità unica.

Per il neoplatonismo plotiniano la coscienza  dialoga con la voce interiore. E tale modo di pensare ancora vige nel nostro tempo quando usiamo l’espressione “voce della coscienza” , che suggerirebbe come comportarsi in base ai propri valori guida all’agire. Perciò il catechismo cristiano prescrive l’”esame di coscienza”  come metodo per rintracciare i propri errori morali. 

Nel pensiero religioso cristiano  la coscienza è concepita come sorgente di quei principi  che sono alla base di ogni retto volere.

Nella costituzione pastorale “Gaudium et spes” (del Concilio Vaticano II) La Chiesa cattolica afferma che “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore.” […]
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 19, 2012, 17:29:48
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Nel pensiero religioso cristiano  la coscienza è concepita come sorgente di quei principi  che sono alla base di ogni retto volere.

Nella costituzione pastorale “Gaudium et spes” (del Concilio Vaticano II) La Chiesa cattolica afferma che “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore.” […]

Nel Catechismo della Chiesa cattolica la parte terza, sezione prima, il  primo capitolo è dedicato alla dignità dell’individuo e ci sono tre articoli ( 4, 5 e 6) che descrivono la moralità e la coscienza morale. 
L’articolo 4 riguarda la moralità degli atti umani; l’articolo 5  la moralità delle passioni e l’articolo 6 la coscienza morale. Ed è questo l’articolo sul quale mi soffermo perché inerente al tema che sto sviluppando.

paragrafo n.  1777: “Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. […]

n. 1778: La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E' attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina.
La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. […]

n. 1779: L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione. […]

n. 1780: La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità [“sinderesi”], la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio.

n. 1781: La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui il testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio. […]
n.  1782: L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto “ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso”

La sezione seguente richiama la necessità di educare e formare la coscienza. I criteri di questa formazione vengono dalla Parola di Dio, che il credente cerca di assimilare nella fede e nella preghiera, per arrivare a metterla in pratica (nn. 1783-1785).

Un'altra sezione affronta la possibilità che la coscienza indichi un comportamento erroneo, e presenta alcuni criteri fondamentali che possono aiutare a discernere la retta voce della coscienza.


Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 20, 2012, 07:48:41
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Riassumendo…,

il termine coscienza deriva dal latino “conscientia” (verbo “conscire”) ed è una parola composta da “con” (corrispondente al latino “cum”) e “scire”, che significa “sapere”. Il lemma si usa genericamente col significato di consapevolezza, essere consapevole, ma anche per definire l'autocoscienza nel momento in cui esaminiamo le nostre personali sensazioni e conoscenze.

L'autocoscienza è il ragionamento autoriflessivo, con il quale l'io diventa cosciente di sé. L’introspezione e l’attenzione verso i propri sentimenti, pensieri, emozioni e motivazioni servono per  l’autoconoscenza, per percepirci nella nostra unicità, distinta dagli altri individui.

Il concetto di coscienza  è sviluppato dalla filosofia, dalle religioni, dalla psicologia e dalla neurofisiologia.

Un tentativo di giungere ad una definizione unitaria di coscienza è stata proposta dal neuroscienziato Stanley Cobb (1887–1968), su ispirazione dello psicologo e filosofo statunitense  William James (1842-1910).
Per Cobb la coscienza e la"Consapevolezza di sé stessi e dell'ambiente che ci circonda "; a questa enunciazione il neurologo Fred Plum ( 1994) aggiunse il concetto di tempo "consapevolezza temporalmente ordinata del sé e dell'ambiente  interno ed esterno.”
Robert Ornstein, nel suo libro “La Psicologia della Coscienza” dice che la coscienza individuale viene costruita fin dall’infanzia e continuamente rimodellata da situazioni successive.

A seconda dell'ambito nel quale viene osservata, la  coscienza viene intesa nei seguenti modi:

in ambito filosofico, coscienza significa consapevolezza: è  l’attività con la quale il soggetto entra in possesso di un sapere. La filosofia contemporanea considera la coscienza una funzione della capacità umana di conoscere, di sapere,  ma anche  un “raccoglitore” di dati sensoriali, emozioni, sentimenti, valori.

La religione cristiana  considera la coscienza come coscienza morale, la sorgente  etica dei principi e dei valori che fanno distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. L’etica presuppone  nel soggetto  la formazione e l’esistenza di valori, la capacità di valutazioni. Al tempo stesso tale concetto presuppone una legge morale, alla quale la coscienza attinge il proprio giudizio.

Coscienza di classe, in ambito politico-sociale significa che l’individuo ha la consapevolezza di far parte di una determinata classe sociale o strato socioeconomico tramite l’analisi dello status acquisito.  L’ideologia marxista per coscienza di classe  intende l’avere coscienza da parte del proletariato della propria condizione di classe sociale.

In ambito neurologico la coscienza è inseparabile dalle funzioni neurali del cervello, perciò con coscienza s’intende  lo stato di vigilanza della mente contrapposto al coma. I concetti di vigilanza e coma si usano anche per definire le alterazioni dello stato di coscienza: il coma  corrisponde ad un paziente non sveglio privo di ogni consapevolezza; invece nello “stato vegetativo” il paziente è sveglio con alternanza di occhi chiusi ed aperti ma non ha consapevolezza. 
In ambito psichiatrico viene considerata coscienza la funzione psichica capace di intendere, definire e separare  l'io dal mondo esterno.

Per la psicologia la coscienza è lo stato conscio, contrapposto all'inconscio.

Il tedesco Wilhelm Maximilian Wundt, considerato il fondatore della psicologia,  definì la psicologia  "scienza dei fatti e degli stati di coscienza".

Per Sigmund Freud la coscienza  è una qualità della mente che di solito include altre qualità, come  la soggettività,  l’autoconsapevolezza, la conoscenza e la capacità di individuare le relazioni tra sé e l’ambiente circostante.  Egli definì e suddivise  i vari stati di coscienza in: conscio, subconscio ed inconscio.

La coscienza è come la punta di un iceberg, la parte di cui noi siamo consci ci permette di esercitare un controllo volontario dei nostri stati mentali.

Gli individui esprimono i loro stati di coscienza tramite il linguaggio,

Nel linguaggio comune il termine coscienza viene usato sia per intendere la coscienza morale sia  la consapevolezza da parte dell’individuo della percezione  degli stimoli esterni che gli provengono dall’ambiente circostante e degli stimoli interni: gli eventi mentali endogeni,  nella mente e nel corpo.

L’espressione 'livelli di coscienza' indica che la coscienza può variare a seconda dei diversi stati mentali, per esempio mentre s’immagina o si fantastica.

Lo stato cosciente manca durante il sonno, il sogno, durante l’ipnosi e nel momento in cui si fa uso di sostanze psicotrope. Simili circostanze, costituiscono gli stati alterati della coscienza.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 22, 2012, 11:26:23
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In alcune  filosofie e religioni il concetto di coscienza è collegato a quello dell’anima, forma femminile del lemma latino “Animus” che significa “spirito”, connesso con due termini  d’origine greca:  “ànemos” (= “soffio”, vento”) e  “pneuma” (= aria). Ma nell’antica Grecia a volte si faceva  riferimento all'anima  anche con il termine psyche, da collegare con psychein : “respirare”, “soffiare”. 

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/56/Wolf_von_Hoyer%2C_Psyche.jpg/125px-Wolf_von_Hoyer%2C_Psyche.jpg)
(Psiche: personificazione dell'anima nella mitologia greco-romana. E’ una bella fanciulla con le ali di farfalla.  Ama Eros (= Amore o Cupido) ed il Sole, immagine di Dio.

L’anima è considerata il principio vitale di natura immateriale, la parte spirituale ed eterna di una persona. E' indipendente dal corpo.
 
Chi ci crede pensa che l'anima continui a vivere dopo la morte.

Alcune religioni, come il cristianesimo,  postulano che sia Dio a generare l‘anima negli individui.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 25, 2012, 11:21:12
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I  filosofi pitagorici credevano  nell’anima di origine divina ed immortale, che si reincarnava nei corpi, anche degli animali.(metempsicosi).Infine da un corpo riusciva a liberarsi purificata (catarsi) per ricongiungersi all'anima del mondo, alla divinità.

Anche Platone  (428 o 427 a. C.- 348 o 347 a. C) considerava l’individuo composto di due parti, dal corpo mortale e dall’anima immortale.  Per questo filosofo l’anima individuale (psyché) costituisce l'unità della persona: principio vitale, coscienza morale e spirituale dell'individuo. E’ distinta dal corpo, dal quale si separa al momento della morte.
Ciò che Platone dice sull'anima va sempre considerato nel contesto della discussione su un particolare argomento, perché questo filosofo non scrisse un testo specifico riguardante l’anima. Egli elaborò dialoghi e non trattati.

Nel “De anima”  e nella raccolta titolata “Parva naturalia”, Aristotele (384 o 383 a.C. – 322 a. C) dice che gli esseri animati si differenziano da quelli inanimati perché posseggono un principio che dà loro la vita, e questo principio è l'anima, capace di regolare le funzioni vitali (vegetative, sensitive ed intellettive).
Questo filosofo distingue tra:

Anima vegetativa”: regola le attività biologiche (nascita crescita, riproduzione e  morte).

Anima sensitiva”: regola le sensazioni e le emozioni.

Anima razionale” od “intellettiva”: agisce  per capire l’essenza delle cose. E’ posseduta dall’umanità insieme all’anima vegetativa ed a quella sensitiva.  Invece gli animali, secondo lo stagirita, hanno solo le prime due, e le piante solo l’anima vegetativa.

L’anima  intellettiva è suddivisa in “intelletto passivo” ed “intelletto attivo

L’intelletto passivo è l’intelletto dell’individuo, che ha capacità e potenza di conoscere le forme intellegibili che sono nelle cose. 

L’intelletto attivo è immortale, è  la luce che permette di vedere la forma nelle cose e le rende comprensibili.

Secondo Aristotele anima e corpo sono due aspetti inscindibili degli esseri viventi. E l’anima non è prigioniera del corpo come per gli orfici, i pitagorici e Platone.


La filosofia greca dopo Aristotele produce due grandi visioni  filosofiche del mondo: epicureismo e stoicismo.


Il filosofo greco Epicuro (341 a.C. – 271 a.C.) definì l’anima un insieme di atomi leggeri, sottili e veloci che si muovono entro il corpo, composto da atomi più grossi e pesanti. Gli atomi più leggeri, urtando quelli più pesanti, li mettono in moto dando loro vita, sensibilità e pensiero. Quando poi il corpo si distrugge l’anima si disperde.   

Nell’epistola ad Erodoto (63-66) Epicuro afferma che “bisogna credere che l’anima è un corpo sottile, sparso per tutto l’organismo, assai simile all’elemento ventoso, e avente una certa mescolanza di calore, e in qualche modo somigliante all’uno, in qualche modo all’altro. C’è poi una parte che per la sottigliezza si differenzia nettamente anche da questi, e per ciò piú adatta a subire modificazioni insieme al rimanente dell’organismo."

Secondo Epicuro non bisogna avere paura della morte proprio perché l'anima è mortale e dopo la morte non siamo più in grado di provare dolore.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: polixena - Ottobre 25, 2012, 15:43:47
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Ma nell’antica Grecia a volte si faceva  riferimento all'anima  anche con il termine psyche, da collegare con psychein : “respirare”, “soffiare”. 

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/56/Wolf_von_Hoyer%2C_Psyche.jpg/125px-Wolf_von_Hoyer%2C_Psyche.jpg)
(Psiche: personificazione dell'anima nella mitologia greco-romana. E’ una bella fanciulla con le ali di farfalla. 

Infatti i greci utilizzavano lo stesso vocabolo (psyché) per vita, anima e farfalla. E anche nell'iconografia cristiana dei primi secoli la farfalla è stata usata con questo significato nonchè quello della resurrezione.

Complimenti per queste sintesi filosofiche, da raccogliere a mo' di dispense.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 26, 2012, 11:33:13
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Grazie Polixena per la tua paziente lettura dei miei post.

Il mito ellenico e l’omerica “Iliade” narrano che  l’eroe Achille amò Polixena (Polyxene nella lingua greca e Polyxena nella lingua latina), considerata figlia del re Priamo e di Ecuba.

Rimango nell’ambito greco per parlare della filosofia stoica (fondata ad Atene nel 300 a.C. circa da Zenone di Cizio), che reputa l'anima (psyché) una tabula rasa, nella quale confluiscono le informazioni provenienti dagli organi sensoriali. 
Le sensazioni confluiscono nell’anima e vi si imprimono, generando nella mente la “rappresentazione” (phantasia), che implica l’approvazione  da parte della ragione (logos), la parte razionale dell’anima.

All’anima razionale (psyché logiké) gli stoici assegnano le funzioni conoscitive e morali, ma anche la coordinazione dei movimenti del corpo.

La teoria stoica della conflagrazione presume il ciclico assorbimento dell’anima nel mondo (in latino Anima Mundi): termine filosofico  usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità.
Platone nel "Timeo" (dialogo cosmologico) fu tra i primi a parlare di “Anima del mondo”, ereditando questo concetto dalla filosofia orfica e da quella pitagorica.  Secondo lui il mondo è come un organismo vivente, la cui vitalità  gli è data dall’anima mundi, infusagli  dal “demiurgo”, che è artefice e padre dell’universo.

Le dottrine del ciclo cosmico o dell'eterno ritorno e di Dio come anima del mondo hanno costituito e ancora costituiscono un costante punto di riferimento delle concezioni cosmologiche e teologiche.

La filosofia stoica ebbe  nell’antica Roma numerosi seguaci, fra i quali Marco Tullio Cicerone, Seneca,  il filosofo Epitteto e  l’imperatore Marco Aurelio  Antonino.

In età repubblicana lo stoico Panezio influenzò filosoficamente Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.). Questo oratore  nel brano titolato “Sogno di Scipione” (contenuto nel trattato “De re pubblica”, l'ultima parte del sesto libro) espone la sua visione del cosmo, afferma l’immortalità dell’anima, è convinto  dell’esistenza di un al di là  e di un premio ultraterreno destinato ai grandi uomini politici benefattori della patria e a chi compie le buone azioni.

Il poeta e filosofo Tito Lucrezio Caro (94 a.C. – 50 a.C) fu un seguace dell’epicureismo  e come tale considerava la religione la causa dei mali dell’individuo e della sua ignoranza.

Scrisse il poema  “De rerum natura” in cui argomenta anche sull’antinomia fra ratio e religio (tra ragione e religione). La ratio, secondo Lucrezio, è una qualità della  razionalità, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e superstizione (“superstitio”).
   
Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche.

Circa il concetto di animus in rapporto a quello di anima nel “De rerum natura” scrisse:

“Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima - quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo.” (De rerum natura, III, vv. 130-146)

Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con l’ultimo respiro". L’"animus" invece è identificabile col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell’unità mentale. L’indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell’emozione e del sentimento.
Quindi “animus” come conoscenza ed “anima” come soffio vitale nell’individuo.

Nel I libro del “De rerum natura” (112 – 116) scrisse: “S’ignora quale sia la natura dell’ anima, se sia nata o al contrario s’insinui nei nascenti, se perisca con noi disgregata dalla morte, o  vada a vedere le tenebre dell’Orco (Ade) e gli immani abissi o per volere divino s’insinui in animali d’altra specie.”

In epoca imperiale la stoà  (termine dell’ antica architettura greca, usato anche per indicare la filosofia stoica) vive la sua ultima stagione con  Seneca, Epitteto e l’imperatore Marco Aurelio.

Lucio Anneo Seneca (4 a. C. – 65 d. C.) giunse ad istanze spiritualistiche ispirate dalla religiosità: Dio è l’immanente, è Provvidenza, è l’intrinseca Ragione che plasma la materia, è la Natura, il Fato.

Seneca sottolinea il dualismo tra anima e corpo. Il corpo è peso, è carcere dell’anima. Per lui la “conscientia” è forza spirituale e morale, fondamentale nell’individuo. La coscienza fa distinguere il bene dal male.

Nel filosofo Epitteto  (50 d. C. – 120 d. C.) c’è  il sentimento dell'interiorità e quello religioso impressi da Seneca allo stoicismo.
Per Epitteto Dio è  padre dell’umanità. Egli è dentro di noi. La vita è un dono di Dio ed è un dovere ubbidire al precetto divino. Dio è provvidenza, che si cura non solo delle cose in generale, ma di ciascuno di noi in particolare. La libertà coincide col sottomettersi al “volere di Dio”.
Epitteto ritiene che l'anima  sia un frammento divino, di conseguenza l'uomo è portatore, custode di un Dio. In questo modo ci rende fraterni gli uni agli altri.

Ammiratore di Epitteto fu l’“imperatore-filosofo stoico  Marco Aurelio Antonino (121 – 180 d.C.), autore  dei “Colloqui con se stesso”, opera letteraria in XII libri con ricordi e riflessioni. Una delle caratteristiche del suo pensiero è l’insistenza sulla caducità delle cose.
Come in Seneca, per Marco Aurelio l'anima è distinta e separata dal corpo ma essa è composta dall'anima intesa come spirito (pneuma, soffio vitale) e dall' anima razionale, l’intelletto.
Per questo imperatore sono tre i principi costitutivi dell’individuo: il corpo, che è carne; l’anima, che è soffio o pneuma; l’intelletto o mente (nous) che è superiore all’anima.
Anche in Marco Aurelio  la religiosità va molto più in là di quello della vecchia Stoà. Per lui era importante rendere grazie agli dei ed avere sempre nella mente Dio.

Dopo Marco Aurelio, lo stoicismo iniziò il suo declino, e nel III secolo scomparve come corrente filosofica autonoma.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 29, 2012, 10:53:45
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La concezione greca dell’anima fu modificata dallo scambio culturale con l’ebraismo.

Filone di Alessandria (d’Egitto) noto anche come Filone l'Ebreo o Filone Alessandrino (20 a. C. – 45 d. C.), contemporaneo di Gesù di Nazaret e di Paolo di Tarso, fu il filosofo che nei suoi elaborati fece confluire la fede ebraica e la filosofia greca. Interpretò l’Antico Testamento secondo la filosofia platonica e nel   “demiurgo” teorizzato da Platone nel “Timeo”  “vide” l’ebraico Dio creatore.

Filone si servì delle categorie filosofiche greche per esprimere i contenuti dottrinali nella “Torah” ( =Legge), i libri del Pentateuco. L’Alessandrino era convinto dell’esistenza del Dio trascendente che crea dal nulla tutte le cose come dono per l’umanità e l’Uomo è il suo  più importante prodotto.

Anche per Filone l’individuo è composto da anima e corpo, ma  nell’anima  distingue l’intelletto, che considera “guida dell’anima”. L’Uomo  è mortale se viene considerato composto  solo da corpo ed anima-intelletto. L’elemento che rende l’Uomo immortale è lo spirito, che è la dimensione trascendente.

La filosofia di Filone di Alessandria  influenzò in epoca imperiale anche Plotino (203/205-270), considerato l’ultimo filosofo del pensiero greco antico, in particolare platonico.

Nel periodo dell’impero romano la cultura ellenistica venne unita a quella latina e non fu più possibile identificare una filosofia “greca” distinta dai suoi sviluppi in ambito latino. Non vi furono autonome ed originali ricerche filosofiche ma rielaborazioni delle precedenti correnti filosofiche, in particolare gnostiche ed aristotelica. La novità fu l’espansione della religione cristiana e la risposta “filosofica” e pagana a questo culto. Fra i filosofi del III secolo d. C. è considerato importante il greco
Plotino che reinterpretò il pensiero di Platone, in particolare nei suoi aspetti ontologici e cosmologici e fondò il neoplatonismo.
 
Per quanto riguarda l’anima Plotino fu influenzato dal pensiero di Socrate e Platone ma lo sviluppò con la teoria delle ipostasi, dal greco hypostasis (hypo = "sotto" e stasis  = "stare"). Nella filosofia neoplatonica e in Plotino, la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione.

Nella successione delle ipostasi, dopo l’Uno e l’Intelligenza c’è  per Plotino quella dell’Anima immortale,  che sta tra l’Intelligenza e la molteplicità delle cose materiali e sensibili.

Nel quarto libro delle “Ennadi” Plotino considera l’anima intermediaria tra il mondo sensibile ed il mondo intelligibile; le anime individuali sono parti dell'anima universale e mediante la ricerca in comune della verità e altre forme di purificazione che le distacchino dal corpo, possono ricongiungersi con l'anima mundi e successivamente con l'intelletto divino. L'Uno è origine unica di ogni realtà, tutto è in Dio e promana direttamente o indirettamente da lui.

La singolarità del pensiero di questo filosofo riguardo l'anima sta nel suo averla sdoppiata in "Anima superiore" (rivolta all’intelletto e legata al divino) ed  "Anima inferiore" (Anima del mondo), preposta al governo del cosmo e al governo del corpo degli individui.

Plotino riteneva l'anima superiore esente dal peccato e dalla corruzione, perché i comportamenti e gli atteggiamenti scorretti sono attribuibili all'anima inferiore.
Il percorso dell'anima e la sua conversione è un processo dell'anima inferiore, che può elevarsi verso le prime realtà attraverso l'unione e il riassorbimento con l'anima superiore. Le due anime possiedono ciascuna funzioni cognitive proprie: entrambe sono dotate di capacità di immaginazione (funzione della memoria) e di pensiero.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Ottobre 31, 2012, 15:35:17
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La cosiddetta tarda antichità è il periodo di tempo  usato dagli storici per descrivere la transizione dal mondo antico a quello medievale. Questa periodizzazione è ancora oggetto di dibattito, ma di solito si accetta come arco temporale quello compreso tra la fine del III secolo (in cui governava l’imperatore Gaio Aurelio Valerio, detto Diocleziano, dal 284 al 305)  ed il VI secolo , con la fine della guerra greco-gotica (535-553) che contrappose l’impero bizantino agli Ostrogoti. 

L'epoca tardo-antica segnò la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, e la Chiesa, con la caduta dell’impero romano d’Occidente (476), diventò protagonista della successiva storia medievale, non solo come comunità religiosa, ma anche come forza politica.

In quei secoli la teologia cristiana fu elaborata dai cosiddetti “Padri della Chiesa” (patrologia greca e latina) influenzati dalla filosofia di Platone. Essi introdussero nella  cultura cristiana alcuni concetti platonici derivati da Plotino, ma anche dalla gnosi e dallo stoicismo. .

Fra quei teologi della patristica  l'incorporeità dell'anima trova con Agostino d’Ippona (354-430)  la sua definitiva collocazione nella dottrina cristiana.

Per questo vescovo l’individuo è “una sostanza razionale che consta di anima e corpo”. 
L’anima è la parte migliore dell’individuo, agisce sul corpo ma il corpo non esercita alcuna azione sull’anima, perciò il corpo non è la prigione dell’anima.   

Agostino riprese da Platone l’immagine del nocchiero (anima) che dà la rotta alla nave (corpo). Questa concezione prevalse nel cristianesimo medievale. Ma dopo la riscoperta del pensiero di Aristotele, fu preferita una concezione neo-unitaria dell’essere umano, secondo la quale il vivente è “unità”: l’anima non può essere separata dal corpo. Tale opinione influenzò Tommaso d’Aquino (1225-1274). .

Per l’aquinate l’individuo è un “composto” di corpo ed anima, materia e sostanza spirituale; è un essere ragionevole dotato di intelletto ed è un animale dotato di un corpo con l’anima sensitiva e vegetativa.

In Tommaso  la dottrina sull’anima costituisce il nucleo fondamentale per poter spiegare che l’anima è immateriale, ossia di natura spirituale, perciò non ha una localizzazione specifica nell’organismo umano.
Egli inizia dalla considerazione dell’intelletto: dal momento che questo svolge le proprie funzioni indipendentemente dal corpo, e niente agisce per se stesso se non sussiste per se stesso, è necessario che l’anima, chiamata anche mente o intelletto, sia un essere incorporeo e sussistente. È pur vero che la conoscenza intellettiva implica un qualche legame con la realtà sensibile, ma – ribatte l’Aquinate – le operazioni dell’anima usano il corpo non come strumento, bensì come oggetto. Inoltre, l’anima non è una sostanza spirituale completa in se stessa, diventa completa solo se è unita al corpo. E  Tommaso distingue la persona dalla natura umana: la persona è il soggetto che agisce concretamente, mentre la natura è ciò che permette alla persona di agire.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 07, 2012, 08:18:02
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Nella seconda metà del XIV secolo cominciò a farsi strada una nuova concezione dell’individuo ed  un nuovo orientamento nel sapere. Si è soliti indicare quel movimento ideologico-culturale come “civiltà umanistico-rinascimentale”.

Il termine Umanesimo indica il movimento letterario, artistico e filosofico che pose l’individuo al centro dell’universo, capace di costruirsi il proprio destino (“homo faber ipsius fortunae”) e non passivamente sottomesso alla volontà di Dio come nel pensiero teocentrico medioevale.

Nel periodo umanistico  gli studiosi erano interessati alla rilettura dei testi della cultura e delle civiltà  greco-romana,  le “humanae litterae”, considerate strumento di elevazione spirituale per l’individuo, perciò chiamate  con l’espressione ciceroniana  “studia humanitatis” , da cui  trae origine il termine "Umanesimo", che vide il fiorire di una straordinaria produzione artistica e letteraria, anche per merito dei finanziamenti delle corti signorili,  come quella medicea. A Firenze ne beneficiò fra gli altri il filosofo umanista Marsilio  Ficino (1433 – 1499),  il quale dedicò  dedicò a Lorenzo de’ Medici il suo trattato in  18 libri riguardanti la “Theologia platonica de immortalitate animarum”.

Egli tentò di sintetizzare la verità cristiana con alcuni aspetti fondamentali del pensiero di Platone e dei neoplatonici, e considerò l’anima in  posizione intermedia tra la dimensione naturale e quella soprannaturale , tra la corporeità e la spiritualità.

Come Platone anche Ficino era convinto che sia la bellezza ad attrarre l’anima che vuole elevarsi verso la vetta dello spirito, e riteneva  che questa tensione verso l’infinito trovi nell’amore la motivazione per realizzarsi, fino a spingere costantemente l’uomo  ad unirsi con Dio: in ciò è evidente la natura intermediaria dell’amore, già descritta da Platone.

Nella riflessione ficiniana l’anima è  immortale,  sostanza incorporea che  vive nel corpo di ogni individuo e lo proietta verso l’eternità, verso l’Assoluto, cioè Dio.

La funzione dell’anima consiste nell’incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità, perciò detta “copula del mondo”, perché è principio unificante di immanenza e trascendenza.

Circa un secolo dopo, il  filosofo, scrittore ed ex frate domenicano Filippo Bruno, meglio conosciuto col nome di
Giordano Bruno (1548 – 1600), scrisse che  tutte le cose hanno un'anima. Questa sua opinione gli derivò da considerazioni neoplatoniche: se il principio che muove ogni cosa è lo spirito, come  "nocchiere della nave", allora l’umanità, gli animali, i vegetali ed i minerali sono tutti dotati di questo spirito,  che è principio strutturale di tutte le cose;  è l'anima divina che si palesa nella materia.
Tale sua visione di un mondo animato dalla presenza del principio divino nella materia organica ed  inorganica dà al creato un'interpretazione panteista: Dio è in ogni cosa come principio vitale.

Secondo questo filosofo, che segue la dottrina della metempsicosi, l’anima è immortale ma non individuale. Quella che ora è nel corpo di un individuo umano può finire nel corpo di un animale e viceversa. Il circolo dell’anima non avviene una sola volta ma infinite volte.

Negli atti processuali dell’Inquisizione  che lo condanno al rogo per eresia, c’é scritto che Bruno crede nell’esistenza di una “grande anima del mondo”, che come uno specchio che si rompe si frammenta in singole anime, le quali quando esauriscono l’esperienza di vita di ciascuno ritornano nella grande anima, poi di nuovo ritornano come frammenti di anima nei singoli individui. In tal modo  non c’è la possibilità del giudizio di Dio per le anime individuali, e per la Chiesa cattolica questa teoria è inaccettabile.

Per il cristianesimo quando l’anima torna al “grande specchio”, secondo la metafora di Bruno, lì resta, e sulla base di quello che ha fatto, viene punita oppure premiata. Questa è l’immortalità e l’individualità dell’anima cristiana.



Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 08, 2012, 17:57:43
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La filosofia moderna inizia con l’Umanesimo e la rivalutazione dell'uomo nella sua esperienza terrena, e termina con Immanuel Kant (1724 - 1804), il pensatore che apri la strada al Romanticismo e alla filosofia contemporanea.

Il periodo temporale della filosofia moderna non corrisponde a quello della storia moderna, in genere datata tra la scoperta dell’America nel 1492 e la Rivoluzione francese nel 1798.

Nell’ambito della filosofia moderna c’è l’epoca rinascimentale, che sviluppa dell’Umanesimo il nuovo modo di concepire il mondo e l’individuo.

Fra Umanesimo  e Rinascimento c’è vicinanza e per molti aspetti sovrapposizione. Tuttavia il primo termine sottolinea in modo particolare il momento ideologico-culturale, la consapevolezza che di sé ebbe il nuovo periodo storico, mentre il secondo si riferisce soprattutto alle manifestazioni artistiche e ai fenomeni di costume, alla civiltà nel suo complesso.

Il termine generico  di "rinascita" venne usato da Giorgio Vasari nel suo trattato  “Vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri”,  per indicare il ciclo artistico iniziato da Giotto, affermatosi con Masaccio, Donatello e Brunelleschi per liberare l’arte della pittura e della scultura dalle forme greco-bizantine per tornare a quelle romane.

Invece il termine "Rinascimento" e l'immagine ideale del periodo che esso definisce,  viene attribuito allo storico francese Jules Michelet che lo usò nel 1855 anche per descrivere nel XV secolo gli importanti avvenimenti:

politici ( fine dell’impero romano d’Oriente ed espansione dell’impero ottomano; nascita degli Stati moderni con le monarchie nazionali in Francia, Spagna ed Inghilterra;

economico-sociali (scoperta del cosiddetto “nuovo mondo” da parte di Cristoforo Colombo e poi da altri navigatori, con conseguenti espansioni coloniali e sviluppo dell’economia mercantile, che venne spostata dal Mar Mediterraneo verso il nord Europa e nei territori al di là dell’Oceano Atlantico);

religiosi (scisma nella Chiesa cattolica e Riforma protestante, Controriforma cattolica nel Concilio di Trento). 

Nell’Accademia Platonica fondata da Marsilio Ficino si continuò a discutere pure  dell’anima  nel periodo rinascimentale.  E Giovanni Pico, conosciuto come Pico della Mirandola (1463-1494) conciliò il platonismo con l'aristotelismo, esaltando il valore dell'uomo come l'unico essere vivente a cui Dio abbia concesso il dono della libertà per forgiare il proprio destino.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 09, 2012, 10:17:03
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Nella filosofia moderna la dipendenza strumentale del corpo rispetto all'anima finisce con  René Descartes (1596-1650), per il quale corpo ed anima sono due sostanze  distinte ed eterogenee, il primo res extensa , sostanza estesa e non pensante, la seconda, res cogitans, sostanza pensante e non estesa. Tra le due sostanze non c’è collegamento.

Per questo filosofo  l’anima è immortale ed in quanto pensiero, non occupa spazio. All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni che ci sono date dalla natura per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di danno, a quel composto di cui essa è una parte.

Nel rapporto anima-mente Cartesio considera l’anima un “terzo genere”, che indica con la parola “permixtio” nel suo trattato sulle “Passioni dell’anima”, in cui distingue tre tipi di passioni: le percezioni sensoriali verso l’esterno; le sensazioni corporee interne,  le emozioni. Queste ultime costituirebbero la modalità con cui l’anima è affetta direttamente da se stessa.

La separazione del corpo dall'anima diede origine a dottrine dualistiche e monistiche che cercavano di risolvere il problema del rapporto tra eventi incorporei e corporei.

Il filosofo  parigino Nicolas Malebranche (1638-1715) scrisse che fra anima e corpo non c’è  relazione. Le caratteristiche del corpo non possono mutare in quelle dello spirito.
   
Il britannico Thomas Hobbes (1588-1679) influenzato dagli studi galileiani,  aveva una visione materialista del mondo, e credeva, insieme agli empiristi di poter applicare il metodo scientifico a tutti gli aspetti della vita umana, compresi l'anima e le idee.

Per questo filosofo anche l'anima è materiale e meccanica, in quanto le idee sono solo la conseguenza di azioni meccaniche esterne al pensiero. L'idea prenderebbe quindi forma in conseguenza di una serie di attività cinetiche riconducibili alla meccanica della materia cerebrale.

Il filosofo francese Pierre Gassend, detto Gassendi (1592-1655) accettava di Cartesio il pensiero sull’esistenza di Dio e l’immortalità  dell’anima, però  ne contestava il “metodo”. Nel suo saggio titolato “Quinte Obiezioni” dedicò molte pagine alla critica della separazione tra corpo e anima. Per lui l'anima è  distinta in due parti: una irrazionale, che è corporea, vegetativa e sensitiva, l’altra razionale ed intellettuale,  che è incorporea e creata da Dio, infusa ed unita al corpo tramite la parte dell’anima irrazionale. Dicendo questo Gassendi critica Cartesio ed insiste sulla commistione ontologica tra  corpo ed anima.

La scissione tra anima e mondo avviata da Cartesio sul piano conoscitivo fu portata a compimento da un  altro filosofo e teologo francese, Blaise Pascal (1623-1662), che  però contestò alcuni aspetti del razionalismo cartesiano, il quale propone un modello di uomo che è in grado, se utilizza bene la ragione, di  risolvere i problemi  inerenti la  sua  vita, materiale e spirituale.

Pascal  considera invece  limitata la razionalità umana, Nei “Pensieri”  ha scritto: ” …che  cos'è  l'uomo  nella  natura?  Un  nulla  a  confronto dell'infinito,  un  tutto  a  confronto  del  nulla,  una  via  di  mezzo  tra  il  nulla  e  il  tutto. L’individuo  non può capire questi estremi, la fine delle cose e il loro principio sono per lui nascosti in un segreto impenetrabile.”
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 11, 2012, 15:27:08
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Altri  noti filosofi del ‘600: Leibniz, Spinoza e Locke.

Il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) cercò  la soluzione dei problemi di carattere metafisico tramite il concetto della monade, termine, derivato dal greco, che significa unità. 

Per questo filosofo ci sono due mondi: quello delle cause finali (delle anime) e quello delle cause meccaniche (dei corpi), che stanno tra loro in un rapporto di armonia, perciò è ingiustificata la separazione  del corpo dall’anima e le sue funzioni.

Nell’”Epistola a Gabriel  Wagner”, scritta nel 1698,  egli attribuisce al termine “anima” il significato di principio vitale e di vita sensitiva. La mente la considera anima razionale. 


Il filosofo olandese  Baruch (Benedetto) Spinoza (1632 – 1677) è considerato uno dei maggiori esponenti del razionalismo del XVII secolo ed antesignano dell'Illuminismo.

Spinoza tentò di superare il dualismo cartesiano di anima e corpo. Per lui l'anima ed il corpo hanno due diverse nature, perciò non è possibile riferire qualità del mondo corporeo al mondo psichico e viceversa. 

Nell’”Ethica more geometrico demonstrata” (= l’etica dimostrata secondo il metodo geometrico,  pubblicata dopo la sua morte nel 1677) dice che tutta la realtà è regolata dalle cause naturali, e ciò esclude l’esistenza delle sostanze spirituali, degli angeli, dell’anima in senso cristiano e dell’intervento diretto del Dio biblico. Questo è uno dei motivi per cui Spinoza (l'ebreo ripudiato dalla sua comunità) fu considerato ateo ed eretico.

Eretici ed eresie venivano individuati  ed avversati per difendere l’ordinamento religioso. La Chiesa cattolica“etichettava” come sacrileghi gli individui ed i comportamenti non conformi all’osservanza delle regole, perché vedevano minacciato il loro dominio sulla cultura e sui fedeli. 

L’Ehtica  spinoziana inizia con la definizione di Dio, come sostanza unica.  Ma il Dio di Spinoza non è quello ebraico né quello cristiano, il suo Dio è la totalità della realtà materiale e ideale,  non ha nulla a che fare con la dimensione ultraterrena. Dio è uno e assoluto, e la realtà è espressione della potenza di Dio, non nel senso che Dio interviene direttamente per causare i singoli fenomeni, ma nel senso che tutte le leggi naturali e i singoli individui sono espressione della potenza divina, che si identifica con tutta la realtà

Il filosofo e fisico britannico John Locke (1632 – 1704) è considerato il fondatore del liberalismo classico e dell’empirismo moderno.

Nel suo “Saggio sull'intelletto umano” (1690) accenna anche all’anima:

“Domandare in quale momento un uomo cominci ad avere qualche idea significa domandare quando egli comincia a percepire, poiché l'avere idee e la percezione sono la stessa cosa. So che alcuni sono dell'opinione che l'anima pensa sempre e che finché esiste essa ha costantemente la percezione attuale delle idee in se stessa; e che il pensare attuale è altrettanto inseparabile dall'anima quanto l'attuale estensione dl corpo. Se ciò è vero, indagare intorno all'inizio delle idee di un uomo equivale a indagare intorno all'inizio della sua anima. Infatti, a questa stregua, l'anima e le sue idee, come il corpo e la sua estensione; cominceranno entrambi ad esistere allo stesso momento. [...]Ma se si possa supporre o meno che l'anima esista antecedentemente o contemporaneamente ai primi rudimenti dell'organizzazione o agli inizi della vita del corpo, lascio dibattere da coloro che hanno meditato di più su questa faccenda. Per mio conto, confesso di avere una di quelle anime ottuse la quale non percepisce sempre se stessa nell'atto di contemplare idee, né può concepire che sia necessario per l'anima il pensare sempre più di quanto sia per il corpo il muoversi sempre.”

Ed anche:”Se l'anima di un principe, che avesse la coscienza della vita passata da principe, entrasse nel corpo di un calzolaio e lo informasse non appena l'anima sua l'avesse abbandonato, sarebbe la stessa persona del principe, responsabile solo delle azioni del principe; ma chi direbbe che si tratta dello stesso uomo? Anche il corpo contribuisce a costituire l'uomo e, credo che in questo caso determinerebbe l'uomo agli occhi di chiunque, per cui l'anima, con tutti i suoi pensieri principeschi, non costituirebbe un altro uomo: ma agli occhi di tutti, tranne che ai suoi, sarebbe lo stesso calzolaio.”
[Saggio sull'intelletto umano, II, XXVII, 17]
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 13, 2012, 19:58:23
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 Il /700

Il filosofo, teologo e vescovo irlandese George Berkeley (1685 –1753) è considerato uno dei tre famosi  empiristi britannici,  gli altri due sono John Locke e David Hume.

Con il termine empirismo si indicano quelle correnti filosofiche che ravvisano l'origine e il fondamento della conoscenza nell'esperienza sensibile, negando, di conseguenza, la presenza di idee innate nella mente umana.

Nel 1710 Berkeley pubblicò il suo “Trattato sui principi della conoscenza umana”, dove sostiene che lo spirito umano, cioè la  mente, è intelletto in grado di  percepire le idee, l’unico  spirito che può causare l’ordine con cui  percepiamo le idee nella mente è lo spirito  divino; tutto ciò che percepiamo, e il modo in  cui lo percepiamo, è causato da Dio nella  nostra mente.

Con il filosofo e storico David Hume (1711 – 1776) si giunge ad una posizione opposta alla tesi ontologica sulla sostanzialità dell’anima, anche se considerata come sostanza spirituale.

Nel suo “Trattato sulla natura umana” ha scritto: [non] “siamo in grado di giungere a una soddisfacente nozione della sostanza: ciò mi sembra una ragione sufficiente per abbandonare del tutto la controversia della materialità o immaterialità dell’anima, e condannare la questione in se stessa in modo assoluto. Noi non abbiamo un’idea perfetta di nulla, fuori della percezione; la sostanza è tutt’altro che una percezione: dunque, non abbiamo nessuna idea della sostanza.”

Nel 1757 pubblicò la “Storia naturale della religione”, e, (pubblicato postumo), nel 1779: “Dialoghi sulla religione naturale”. In quest'ultima opera, scritta tra il 1749 e il 1751, pone sotto accusa tutte quelle teorie che giustificano l'esistenza di Dio.

Il filosofo Immanuel Kant (1724 – 1804) fu uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo tedesco ed anticipatore degli elementi fondanti della filosofia idealistica.

Nella “Dialettica trascendentale”  (è un capitolo nella “Critica della ragion pura”)  Kant si occupa anche del significato della realtà nella sua totalità e dice:  “La nostra ragione è attratta  dall’assoluto e quindi verso una spiegazione globale di ciò che esiste.”

La conoscenza è ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui percepiamo i fenomeni e poggia su due forme a priori, lo spazio e il tempo. L'intelletto è invece la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso la quale cerchiamo di spiegare la realtà oltre il limite dell'esperienza.

Il filosofo e scrittore tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805), meglio conosciuto in Italia come Friedrich Schiller, fu influenzato dalla “Critica del giudizio” kantiana che evidenzia il doppio aspetto dell'uomo per un verso soggetto alla sensibilità del mondo fenomenico e per un altro assolutamente libero come soggetto morale. Da qui nasce la teoria schilleriana dell'"anima bella" (in tedesco schöne Seele) elaborata nel saggio "Grazia e dignità" del 1793.

Nella concezione dell'anima bella Schiller è convinto che i due aspetti contrapposti di libera razionalità e sensibilità possano conciliarsi tramite la percezione della bellezza in un comportamento spontaneo e naturale: “Si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell'uomo, al punto da poter lasciare senza timore all'affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. L'anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità...per mezzo della bellezza ...l'uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi.”

L'anima bella dunque può, spontaneamente e senza fatica, armonizzare sensibilità e dovere morale tramite quella dote naturale che Schiller chiama "grazia" che talvolta può però mancare ed allora l'anima bella potrà ricorrere a quel sublime kantiano che col sentimento del bello armonizzerà sensibilità e ragione ottenendo la sostituzione della grazia con la dignità.

Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 16, 2012, 14:49:08
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Hegel e Schopenauer nacquero nella seconda metà del XVIII secolo, ma gli anni della loro espressività filosofica furono nel XIX secolo.

Il filosofo  Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) è considerato il rappresentante più significativo dell'idealismo tedesco.  Fu notevole la sua influenza sul pensiero filosofico del XIX secolo e nella prima metà del ‘900.

Nella sua “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, c’è la sezione dedicata alla “Filosofia dello spirito” dove l’individuo viene considerato come spirito soggettivo dotato di corpo ed anima.

Per Hegel  l’anima è diversa dalla coscienza e dal concetto di spirito, ma diversità non significa  reciproca estraneità. Anima, coscienza e spirito costituiscono le tappe di uno sviluppo unitario, orientate teleologicamente dall’anima allo spirito.
Per Hegel l’anima è il principio organizzatore delle funzioni corporee, le compenetra.

Il filosofo Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nega la sopravvivenza dell'anima dopo la morte e la possibilità della loro apparizione ai mortali in segno di conforto, perché l’anima è immateriale. Nega la possibilità che le anime siano ancora corpi o  si presentino in sembianze di corpi, come sostenuto dalla concezione spiritualistica. Le visioni dell’anima sono possibili solo a livello cerebrale, astraendo dalla realtà sensibile.

Nel suo "Saggio sulla visione degli spiriti" dice che dopo la morte dell’individuo il suo corpo viene abbandonato dall’ anima, ma questa, anche se immateriale e priva di estensione, dovrebbe tuttavia esistere nello spazio,oppure muoversi, invece non accade nulla.

Il filosofo tedesco Ludwig Andreas Feuerbach (1804 – 1872) nel 1830 pubblicò il libro “Pensieri sulla morte e l’immortalità” nel quale nega l’immortalità dell’anima degli individui. 

Per Karl Marx  (1818 –1883) non esiste un'essenza od una natura umana. L'individuo  non nasce con l'anima, ma la costruisce attraverso gli altri ed il contesto in cui si trova.
La religiosità di Marx fu influenzata dal pensiero di Hegel e  da quello del filosofo e teologo Bruno Bauer, creatore del “cristianesimo materialistico”.

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900) ha scritto che  l'anima è solo una parola che indica qualcosa di interno al corpo e succube di questo, dominata e manovrata dalla ragione.

L'individuo s’illude per dare un senso al suo esistere, perché ha paura della verità ed è incapace di accettare  l'idea che "la vita non ha alcun senso" e che per essa che non c'è nessun "oltre".
La mancanza di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l’individuo nel nichilismo passivo o nella  disperazione nichilista.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 20, 2012, 16:20:35
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Nel passato l'anima, considerata capace d’intendere, di volere  e di dirigere il corpo, semplificava l'etica e la prassi educativa, il diritto e la pastorale religiosa,  i valori dello spirito contro i desideri della carne.  Ma nel XIX secolo cominciarono gli studi e le ricerche di psicofisica ed il concetto di anima venne emarginato nell’ambito della filosofia e della teologia.

A metà dell''800 c’erano le condizioni necessarie perché potesse nascere la psicologia come scienza autonoma.

Le principali tappe di questo processo possono essere così riassunte:

Cartesio distinguendo tra res cogitans e res extensa, consente di poter studiare il corpo in prospettiva meccanicistica (corpo-macchina).

Locke (Inghilterra) e  Condillac (Francia) consentirono di superare ogni ostacolo metafisico spostando lo studio sui processi e funzioni dell'anima, senza preoccuparsi della sua essenza.

Pierre Jean Georges Cabanis (1757 – 1808) medico, fisiologo e filosofo francese, studiò, fra l'altro, la filosofia della medicina, con particolare riferimento ai rapporti tra il corpo e la mente, della fisiologia con la psicologia.

L'uso del termine "psicologia" era comunque  raro, preferendo parlare piuttosto di "scienza del morale" o di "scienza dell'uomo", o di "antropologia", alludendo ad uno studio che comprendesse unitariamente gli aspetti  psicofisici, cioè psicologici e fisiologici.

La psicofisica è una branca della psicologia che studia le relazioni che esistono tra stimoli fisici definiti e misurabili (luminosi, tattili, acustici, ecc.) e la risposta intesa come intensità percepita legata agli stimoli stessi.

La psicofisica come disciplina venne creata alla metà del XIX secolo dalle ricerche  empiriche e le elaborazioni concettuali di Ernst Heinrich Weber e di GustavTheodor Fechner (1801-1887),  il quale nel 1860 ritenne di aver individuato una equazione in grado di quantificare esattamente la relazione tra stimolo fisico e sensazione (rapporto tra anima e materia), detta “formula di Fechner”. Egli era convinto che ogni materia fosse dotata di un' anima, per questo ritenne di aver trovato una relazione che riuscisse a mettere in relazione il mondo dello spirito con quello della materia.

Un altro laboratorio di ricerche psicofisiche fu quello  creato dallo psicologo e fisiologo tedesco Wilhelm  Maximilian Wundt (1832 – 1920), considerato il fondatore della psicologia per il suo contributo teorico e sperimentale.  Egli era convinto che i contenuti psichici sono realtà complesse che possono  essere scomposti in unità  semplici (elementarismo) e che la psicologia deve usare il metodo sperimentale per studiare le funzioni elementari della mente, come le sensazioni e le percezioni.

Il suo metodo è chiamato strutturalismo perché cercava la struttura latente della mente, valutando per mezzo di test la percezione soggettiva degli stimoli provenienti dall'esterno.

La metodologia di ricerca utilizzata da questo psicologo tedesco è introspettiva,  basata sullo studio delle sensazioni che il soggetto prova.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 26, 2012, 11:03:19
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La concezione dualistica dell'individuo come anima e corpo scaturisce dall'esigenza di dare spiegazione a cose incomprensibili.

Nel XIX secolo l’attenzione filosofica si rivolse più ai rapporti tra corpo e spirito che alla loro opposizione e venne formulato il concetto di unità psicofisica per indicare la connessione tra gli stimoli esterni recepiti dal corpo e la loro percezione a livello di coscienza,

In psicologia  con il termine coscienza non ci si riferisce ad  un organo del corpo umano, ma ad esperienze vissute dall'individuo. Una coscienza senza corpo sarebbe coscienza del nulla, non esisterebbe.

Il filosofo e psicologo statunitense William James (1842 – 1910) nel suo saggio "Esiste la coscienza?" (in Saggi sull'empirismo radicale) afferma:  “Credo che la "coscienza", quando sia evaporata fino a raggiungere questo stadio diafano, stia per scomparire completamente. E' il nome di una non-entità e non ha alcun diritto a un posto tra i principi primi. Coloro che ancora vi si aggrappano, si attaccano in realtà a una pura eco, al flebile rumore lasciato nell'aere filosofico .”

Per il filosofo e matematico Edmund Gustav Albrecht Husserl (1859 – 1938)  anima e corpo sono due parti indipendenti con specifiche proprietà in costante riferimento ad un'unità, la quale «non è una connessione di due elementi.

il filosofo francese  Henri-Louis Bergson (1859 – 1941) nel suo  “Saggio sui dati immediati della coscienza" (1889): considera l’individuo come luogo in cui convivono lo spirito e l'anima.

In “Materia e memoria” (1896), Bergson distingue tra corpo e spirito e contesta quelli che riducono lo spirito a materia o che considerano gli stati mentali e quelli cerebrali come due diversi modi di riferirsi allo stesso processo.

L’austriaco Sigismund Schlomo Freud detto Sigmund  Freud (1856 – 1939), fondatore della psicoanalisi,sostituì la teorizzazione filosofica sull’anima con l’inconscio, che  influisce sul comportamento  dell’individuo e sulle interazioni interpersonali.

Nella sua prospettiva la religione scaturirebbe solamente dall'incapacità dell'uomo di affrontare in modo razionale i problemi del suo rapporto con le forze della natura, con la sofferenza e con i sacrifici imposti dalla vita in società: "La religione è un tentativo di vincere il mondo dei sensi, nel quale siamo posti, per mezzo del mondo dei desideri che abbiamo sviluppato in noi in seguito a necessità biologiche e psicologiche.” Dunque, la religione sarebbe solamente una consolazione di origine irrazionale.

Per Freud l'idea di Dio concepito come una persona non è altro che una figura paterna ingrandita. Il desiderio di una divinità ha origine nel bisogno di giustizia e nell'aspirazione all'immortalità. Dio è solo una proiezione di questi desideri, ed è temuto e adorato dagli esseri umani a causa dell'insicurezza di cui essi non sanno liberarsi. Per questo autore la religione appartiene propriamente all'infanzia della razza umana, è stata una fase necessaria della transizione dall'infanzia alla maturità, e ha promosso valori etici che erano indispensabili alla vita sociale.

Un altro filosofo e psicoanalista statunitense, James Hillman (1926 – 2011) chiama il pensare per immagini "fare anima" e nel suo libro titolato "Il codice dell’anima” Hillman ha scritto: "Prima della nascita, l'anima di ciascuno di noi sceglie un'immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino".

Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 27, 2012, 18:46:26
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La parola anima evoca il principio vitale nell’individuo. E' la sua anima, che lo  caratterizza.

L'anima può essere considerata come sostanza autonoma, indipendente dal corpo, oppure come unità psicofisica.

L’anima come sostanza è considerata immortale,  invece come coscienza è contingente,  perché legata alla vita mortale dell’individuo.

Il pensiero filosofico occidentale relativo all’anima si può riassumere  in sei teorie fondamentali:

Spiritualismo: l’anima è incorporea,  immortale, distinta ed indipendente dal corpo (dualismo), conserva le sue caratteristiche anche  dopo la morte dell’individuo.
 
Materialismo: l’anima non esiste per sé, bensì come una funzione del corpo. L’anima è il principio della vita materiale organica e finisce con la vita dell’individuo.

Idealismo: in filosofia ha una visione del mondo che privilegia la dimensione ideale su quella materiale ed afferma il carattere “spirituale” della realtà. Per Kant l'esistenza dell'anima e la sua immortalità non sono dimostrabili ma presumibili . Nell’idealismo tedesco  l’anima è compresa in un percorso dialettico  dell’essere spirituale. 

Panteismo: parola  d’origine greca composta con due lemmi: “pan” (= tutto), e “theos” (= Dio). Per il panteismo “Dio è tutto e tutto è Dio: ogni cosa è permeata da un dio immanente. Nell’universo c’è una sola anima, la quale si distribuisce come scintille negli esseri viventi. Dopo la morte dell’individuo ogni scintilla torna alla sorgente comune, nell’anima universale, che è Dio. Questa opinione ammette che vi sia in noi un’anima che non è materia e che continua ad esistere dopo la morte.

Monismo:dal greco monos (=  uno o unico), in filosofia esprime il concetto metafisico dell’unità dell'essere (Essere-Uno-Tutto): l'anima ed il corpo sono una sola sostanza, la differenza fra loro è solo funzionale.
Il monismo si oppone al dualismo, secondo il quale l’anima ed il corpo  sono due sostanze separate.

Fenomenismo: dal greco tò phainómenon, "ciò che si manifesta" o "appare". Secondo questa dottrina filosofica noi non conosciamo le cose come sono ma  come ci appaiono, perciò l'anima non sarebbe altro che l'insieme dei nostri atti psichici nella mente.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 28, 2012, 09:47:41
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Nel pensiero filosofico e teologico ebraico-cristiano il concetto di anima non deriva dalla Bibbia ma da diverse filosofie, in particolare da quelle elleniche.

Nell'Antico Testamento  non  è teorizzata l’immortalità dell'anima, ma viene espressa la convinzione che nell'individuo ci siano due principi:

uno materiale: 'āfār (= polvere, terra) oppure bāshār (= carne, corpo),

 e  l'altro spirituale (rûaḥ,= spirito, soffio vitale dato all’umanità da Dio) oppure nephesh (= anima).

Nella Genesi c’è scritto che alla formazione dell’individuo concorrono tre elementi: la terra, (elemento materiale), l’alito vitale (elemento spirituale comunicato alla materia da Dio) e l’anima vivente.

La creazione divina di un’anima distinta dal corpo è diversa dall’”animazione” di Adamo ed Eva.

Soltanto nel libro dei Maccabei ed in quello  della Sapienza lo spirito divino è considerato l’elemento superiore nell’uomo, che nel libro della Sapienza è detto immortale.

Anche nel Nuovo Testamento  non è presente la dottrina dell’immortalità dell’anima.

Ne scrive Paolo di Tarso in alcune sue lettere, come quella ai Corinzi ed ai Tessalonicesi (I Cor. XV, 53, 54; I Ti VI, 16). A quest’ultimi dice:  “Or l’Iddio della pace vi santifichi Egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima ed il corpo, sia conservato irrepren¬sibile, per la venuta del Signor nostro Gesù Cristo.”  L’apostolo fa riferimento alla tripartizione dell’essere umano: spirito, anima, corpo, tripartizione presente in Platone.

Per il concetto di “spirito” viene usata la parola pneuma, che considera l'anima nelle sue funzioni intellettuali e nella sua attività soprannaturale.  Paolo  dice che il pneuma, separandosi dal corpo, abita presso il Signore, cioè è immortale.

Nel testo greco dei Vangeli  per indicare l’anima viene usata la parola “psiché”,  senza l’aggettivo immortale.

Per i cristiani Dio partecipa alla nascita di ogni individuo dandogli l’anima.

Per dimostrare che l’anima umana è creata direttamente da Dio, Tommaso d’Aquino disse che essa ha natura spirituale, perciò quando nasce un figlio non può generarsi dalla scissione di quella dei genitori.

Come sopra detto, nella Bibbia non c’è una dottrina dell’anima, non è una dottrina “rivelata”. Venne “definita” dalla Chiesa  cattolica nel Concilio di Vienne (1311-1312) con il decreto “Sull’anima forma del corpo”.

La Chiesa  ha fissato alcuni principi essenziali:  la natura spirituale ed immortale dell’anima individuale, creata da Dio; l’anima si separa dal corpo dell’individuo nel momento della morte e verrà nuovamente unita quando ci sarà la risurrezione  ed il giudizio universale.

Durante ill Concilio Laterano V, cosiddetto perché si svolse a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano dal 1512 al 1517,  papa, Leone X, il 19 dicembre 1513 emanò la bolla pontificia “Apostolici regiminis”, con la quale afferma che l’immortalità dell’anima è una verità di fede (dogma) e che la filosofia non può essere autonoma dalla verità rivelata. 
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Novembre 29, 2012, 08:56:11
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Nel nostro tempo le neuroscienze hanno “strapazzato” il trascendentale, trasferendo gli attributi dell’anima e dello spirito ai miliardi di neuroni e sinapsi della corteccia del cervello, che elabora tutti i dati sensibili e li “edita”, cioè ne fa un montaggio, a nostra insaputa.

La mente umana è stata identificata con i meccanismi nervosi che la producono, e l’autocoscienza che indaga sulla propria natura ha difficoltà ad accettare che l’anima sia un evento delle reti neurali.

Il fine evolutivo dei meccanismi nervosi è di fornire all’autocoscienza il significato della vita.  Esso consiste nell’amore, nel lavoro ed in ciò che procura piacere, come il gioco e l’incanto delle bellezze naturali ed artistiche.

Amore, lavoro e gioco sono eventi selezionati dal cervello durante l’evoluzione della specie umana. Essi dando significato alla vita, salvaguardano la specie. 

Ma ci sono persone che  irrazionalmente considerano una minaccia al significato della loro vita la riduzione dello spirito alla materia del cervello. Milioni di individui hanno bisogno dell’illusione religiosa.

Per il filosofo  Paul Thagard, che insegna psicologia ed è direttore del programma di scienze cognitive all’università di Waterloo, in Canada, il significato della vita va cercato nel cervello.

Le scienze cognitive comprendono un insieme di discipline che hanno come oggetto di studio il funzionamento della mente:fisiologia, neurologia, intelligenza artificiale, filosofia, psicologia e linguistica,con “esplorazioni” nell’antropologia, la genetica, l’etologia e l’economia.

L’approssimazione graduale alla verità che è propria della ricerca naturalistica, offre una conoscenza che si dimostra più congruente con la realtà.

Gli ultimi traguardi scientifici non lasciano spazio per la contemplazione di qualcosa di immateriale (l’anima) come fondamento della vita organica. Eppure molti ancora pensano che il corpo non possa da solo accendere la vita ed esercitarne le funzioni, perché è complesso e necessita di un principio superiore.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 02, 2012, 17:23:28
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Il genetista Edoardo Boncinelli come strenna natalizia ha pubblicato il libro titolato “Quel che resta dell’anima”.

Dice l’autore che “…fin dall’antichità l’anima ha subito varie trasformazioni semantiche e di contenuto. Finendo per coincidere con la mente e la coscienza, due dei nomi attribuiti a quella ‘natura superiore’ che si ritiene operare nelle nostre decisioni.”

“… la consapevolezza di dover morire è un peso che accompagna l’uomo in ogni circostanza, per quanto si sforzi di vivere come se così non fosse. E proprio per sopportare questo pesante fardello, l’uomo ha inventato l’anima, affinché almeno una parte di sé potesse essere immortale e incorruttibile, non deperire col tempo e non essere annientata.”

Aggiunge Boncinelli: “Il concetto di anima, per quanto vago, si perde nella notte dei tempi, a partire dall’animismo dei popoli primitivi, che sostenevano di percepire in sé oltre il corpo anche una componente spirituale, ovvero l’anima, in grado di manifestarsi nei sentimenti attraverso i sogni e gli stati alterati. 

L'anima è individuale  è un "patrimonio" personale, al quale sono attribuite alcune proprietà che rimandano ad una sua natura collettiva, universale.

Dal punto di vista della religione cristiana l'anima preesiste al corpo dell’individuo e gli sopravvive ricongiungendosi infine con tutte le sue simili. Questa caratteristica non la collega alla coscienza personale, che si forma dai primi anni di vita e si evolve.

Nel nostro tempo, dopo aver appreso  dalla biologia molecolare l’esistenza del DNA quale aspetto della vita può oggi essere assimilato al concetto di anima ? La cosa più vicina è l’informazione portata dal DNA di ogni organismo. Dunque, per Boncinelli, si potrebbe intendere come anima il genoma. Non c’è vita senza genoma. Se la vita ha un’anima, questa risiede nella vigile presenza del suo genoma.

Tale “anima” si trasmette attraverso le generazioni e questo processo dura da quasi quattro miliardi di anni, rappresentando e garantendo l’unicità della vita.

La biologia molecolare ha scoperto che l’essenza della vita è in due sue proprietà essenziali: il possesso di un genoma ed un assetto strutturale e funzionale che le permette di utilizzare l’energia e l’informazione prese dal mondo.

Se la vita organica è spiegabile in termini scientifici, che altro si può intendere con la parola anima ? Qual è il  suo significato attuale ? La religione rivelata lega l’individuo alla divinità attraverso il possesso dell’anima ed il suo destino ultraterreno.

Oggi  non è più di moda parlare di anima, e le caratteristiche ad essa attribuite sono  spesso associate al concetto di mente.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 04, 2012, 08:27:07
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Riassumendo:

fin dall'antichità la mente è stata oggetto di concettualizzazioni anche in associazione col concetto di anima, in Grecia nominata psiché.

Gli antichi Greci contrapponevano il corpo all’anima, considerata eterea, eterna e superiore.

Nel mondo greco la concettualizzazione della mente-anima cominciò con Platone, Aristotele ed altri filosofi.

Nella prospettiva platonica c’è il dualismo tra la natura dell’anima (spirituale, incorruttibile ed eterna) e quella del corpo (materiale, corruttibile e temporale).

Nella prospettiva aristotelica corpo ed anima si coappartengono ed insieme formano l’unità.

Con la diffusione del cristianesimo e della tradizione religiosa di disprezzo del corpo mortale rispetto all’anima immortale, ci fu il susseguirsi di dichiarazioni di deprezzamento e di estraneità del corpo rispetto ad un’ipotetica realtà altra, variamente chiamata anima, spirito,  coscienza, mente; denominata io da Sigmund Freud.

L’identificazione dell’anima con la soggettività, con la coscienza,  fu sviluppata dal pensiero filosofico moderno, che assegnò all’anima la funzione di garantire l’autonomia e la libertà dell’individuo. Il possesso dell’anima diversa dal corpo e da esso separata, appare come una garanzia della libertà delle nostre azioni e più in generale delle nostre decisioni. In tal caso l’anima è capace di guidarci a prescindere dal corpo, purché non sia condizionata né dal corpo, né dalla società, né dalla sua origine divina, per chi ci crede.

Ai nostri giorni non ha più senso parlare di anima. Oggi il termine anima sopravvive nel lessico per denotare un’essenza immateriale che, secondo i credenti cristiani, sopravvive alla morte del corpo, ed è quindi distinta dalla mente, che per la scienza è una funzione dell’encefalo e scompare con la morte.

Il termine “mente” come funzione dell’encefalo fa riferimento non solo alla coscienza e all’autocoscienza, ma anche a molteplici processi cognitivi e di controllo del comportamento che possono svolgersi anche in maniera inconscia.

La coscienza è la consapevolezza del mondo esterno e dei propri stati interni emotivi e motivazionali; l’autocoscienza è la capacità umana di distinguersi soggettivamente dall’ambiente circostante animato ed inanimato come entità autonoma senziente, pensante ed agente che si modifica nel tempo ma mantiene una natura unitaria e continua  nel tempo.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 06, 2012, 10:04:40
Simbologia dell’anima

Per gli antichi Greci la parola “psyché” indicava l’anima ma anche la farfalla. Essi credevano che spirando, l’individuo lasciasse uscire l’anima, che volava come una farfalla.

Nell’iconografia mitologica greco-romana le ali di farfalla vengono attribuite a Psiche ma anche Eros ha le ali. 

Eros, denominato Cupido ma anche Amor dai Romani, è il protagonista della favola “Amore e Psiche” nel romanzo “Le metamorfosi”, attribuito allo  scrittore  e filosofo Apuleio, vissuto nel II sec. d.C., dal 125 al 170 circa.

(http://www.namarupa.net/Immagini/AmorePsiche2/Pittura/Jameson/MJ1898.jpg)
"Psiche contempla Amore" , questo dipinto fu realizzato nel 1898 dal britannico Middleton Alexander Jameson (1851 – 1919)

Un’altra bella icona è questa:

(http://www.amoreepsicheamilano.it/Files/Images/Img_Evento_4_red.jpg)
Particolare del gruppo scultoreo “Amore e Psiche stanti”, realizzato nel 1797 da Antonio Canova, ritrae l’attimo in cui la fanciulla  prende la mano di Amore per deporvi una farfalla, simbolo della propria anima.

Nella prossima immagine possiamo vedere l’intero gruppo scultoreo canoviano

(http://www.beautips.it/wp-content/uploads/2012/11/mcanova5.jpg)
L’artista con questa opera vuol rappresentare il concetto platonico  dell’anima simboleggiata dalla farfalla.
Le due figure sono in piedi. Eros è nudo invece Psiche è  parzialmente coperta dal panneggio. Cupido poggia la sua testa sulla spalla sinistra di Psiche e con il suo braccio destro le cinge le spalle.  Lei gli alza la mano sinistra per posarvi  sul palmo una farfalla, che  rappresenta la sua anima offerta ad Amore.

Il gruppo  scultoreo è  su un piedistallo cilindrico decorato con ghirlande di fiori e farfalle. L'opera è conservata nel museo parigino del Louvre.

Ed ora vi faccio vedere un altro bel dipinto realizzato nel 1798 dal francese François Gérard, influenzato dal neoclassicismo del Canova

 (http://3.bp.blogspot.com/_vhl-SMfmDFI/S_0wNBoPUSI/AAAAAAAAEgw/kPMSwBUdhMQ/s640/AA+-+Gerard+-+Amoere+e+Psiche.JPG)
 
(anche questo quadro è custodito a Paris, al Museo del Louvre.

Il gruppo scultoreo del Canova ed il dipinto del Gérard si possono ammirare  fino al 13 gennaio a Milano nella Sala Alessi di Palazzo Marino, sede del Comune, in piazza della Scala. (ingresso gratuito).
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 09, 2012, 15:56:15
Anima e stati d’animo

Nei post precedenti ho scritto che nel tempo per il concetto di anima si sono usati diversi sinonimi più o meno appropriati: psiche, spirito, mente, coscienza. 

Dalla coscienza deriva il nostro “stato d’animo”, che è la condizione psicologica dell’individuo in un determinato momento.

Influiscono le emozioni, i sentimenti, le esperienze,  i ricordi, la fisiologia,  perciò lo stato d’animo durante la giornata  può cambiare e variare per durata ed intensità.  Ci sono, per esempio, stati di gioia e di tristezza, di malinconia e di nostalgia. 

Anche i colori ed i profumi influiscono sullo stato d’animo.

I colori influenzano i nostri pensieri.  Secondo la cromoterapia, i colori agiscono sullo stato emotivo, ma le risposte emotive agli stimoli cromatici dipendono dalla soggettività, condizionata dai ricordi, dalle esperienze.
Secondo le teorizzazioni di alcuni ricercatori le associazioni colori - emozioni sono piacevoli o spiacevoli.
I colori cosiddetti caldi (giallo, arancione e rosso) sono stimolanti e positivi, mentre quelli freddi (viola, blu e verde) possono suscitare pensieri negativi o serenità.

Per quanto riguarda l’influenza dei profumi sugli stati d’animo, c’è da dire che il potere suggestivo dipende dall’effetto che l’odore produce sul sistema nervoso e sulla psiche, come è stato dimostrato dalle ricerche sull’aromaterapia.

Alcuni aromi sono considerati archetipi del cosiddetto “linguaggio olfattivo” e condizionano il nostro inconscio.

I ricordi infantili di profumi, fragranze,  olezzi, odori sono tenaci nel tempo e riattivano la memoria olfattiva, che ci riporta indietro nel tempo, al contesto in cui fu percepito.   

Gli odori sono importanti anche nelle prime fasi di una relazione: possono allontanare o attrarre.
L’olfatto ci fa reagire ai segnali odorosi emanati dal/la probabile partner (es. l'alito, l'odore della pelle) e possono essere  determinanti per le nostre scelte. 

Le dinamiche amorose  umane sono complesse  e non sfuggiamo al potere dell’olfatto per dirigere la nostra disponibilità emotiva ed erotica.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 10, 2012, 19:32:45
L’inconscio e l’anima

Sigmund Freud  (1856 - 1939)nel settimo capitolo del suo libro “L’interpretazione dei sogni” postulò nella psiche tre sistemi, ciascuno dei quali è caratterizzato dal suo rapporto con la coscienza. Li denominò “preconscio”, “conscio” ed “inconsciò”.

Il termine inconscio fu dapprima utilizzato dal filosofo tedesco  Karl Robert Eduard von Hartmann (1842 – 1906) come titolo per il suo libro “Filosofia dell’inconscio”, in cui teorizza l’esistenza nella mente di una zona inconscia. Tale teoria fu poi sviluppata da altri filosofi ma  Freud la usò per indicare i processi mentali inaccessibili in modo permanente o temporaneo alla  coscienza.

In origine il termine “coscienza”  indicava lo stato interiore che l’individuo riesce a descrivere e comunicare ad altri. Invece in psicologia per coscienza s’intende la consapevolezza che un individuo ha della propria identità, del mondo che lo circonda e del rapporto tra sé e l’esterno.

Per Freud l’inconscio  è come un contenitore dei pensieri nascosti, che possono emergere durante le sedute psicoanalitiche o nei sogni.  “L’inconscio non conosce i giudizi di valore, né il bene né il male, e nemmeno la moralità”.

Per indagare le dinamiche inconsce questo medico viennese ipotizzò che alla base di alcuni disturbi mentali ci fosse un conflitto tra richieste psichiche contrarie. Per curare quei disturbi anziché l’ipnosi  propose come metodo  la “psicoanalisi”, che significa “analisi della mente”. Freud creò il neologismo con l’unione di due parole di origine greca:”psiché” (=anima, divenuta nel corso dei secoli sinonimo di spirito vitale ma anche di “mente”)  ed “analisi”, parola composta dalla preposizione greca “ana” (che significa "in parti uguali") e “-lisi” (= "sciogliere"). Dunque psicoanalisi letteralmente significa "indagine delle singole parti costitutive di quel che anima l’individuo.”

Nel 1922 Sigmund Freud   per il “Dizionario di sessuologia” scrisse la sua definizione di "psicoanalisi". La psicoanalisi è :

1) un procedimento per l'indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe pressochè impossibile accedere;

2) un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici;

3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.

Nella definizione non compare la parola “sessualità”, che invece è molto importante nella teoria psicoanalitica. Ma la definizione fu redatta appositamente per un dizionario che trattava problemi sessuali, forse per tale motivo Freud non la indicò.

Con l’inconscio  freudiano l’anima perse importanza, non  fu più collegata  al divino: l’inconscio trascende l’Io e comunica quelle “verità” che si pensava giungessero dall’anima: anello di congiunzione tra l’individuo e Dio.

Analizzando  i sogni  (considerati stati alterati della coscienza) ed i  disturbi del comportamento, la psicoanalisi  delle origini tentava di capire quella che veniva chiamata “la malattia dell’anima”, quel male che prima di Freud veniva “curata” dal prete che confessava l’afflitto. Il sacerdote collegava i problemi psicologici degli individui con la volontà divina o  con le tentazioni suggerite dal “male” (il diavolo…).

Per la religione cristiana  l’anima è dono spirituale di Dio agli individui, non collegata alla fisiologia umana.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 12, 2012, 10:25:01
Il simbolismo dell’anima nelle rappresentazioni artistiche

La produzione artistica figurativa, come la scultura e la pittura,  ha per scopo la rappresentazione, rendere visibile e concreto, attraverso un oggetto od un’immagine, qualcosa che possa essere comunicabile ad altri. 

Alcuni nostri antichi antenati espressero la loro creatività artistica imitando le forme esistenti nell’ambiente in cui vivevano: individui, animali, piante.

Tra la realtà e la rappresentazione c’è l’artista che è influenzato dalla cultura della società in cui vive, dal periodo storico, dalla percezione.

Nelle culture antiche l’anima veniva simbolicamente rappresentata in forme antropomorfe o di animali alati. 

In Egitto veniva immaginata come uno sparviero; in Grecia  l’anima era connessa al significato del suo nome: psiche = farfalla, oppure immaginata nella forma di piccolo idolo alato in procinto di librarsi dai guerrieri morenti in battaglia. Tra gli Etruschi le anime dei morti avevano sembianze umane. Nella cultura romana l’anima aveva la forma del genio alato.

Il cristianesimo delle origini non aveva un proprio sistema di simboli, perché influenzato dalla tradizione religiosa ebraica che vieta di idolatrare le immagini, perciò  per l’iconografia cristiana utilizzarono due tipi di rappresentazioni: quella simbolica-astratta e quella figurata, di solito assunte dalla simbologia pagana, attribuendole però nuovi significati biblici.

Nell’arte funeraria paleocristiana ci sono due figure antropomorfe con diversi significati  che evocano l’anima ma in modo indiretto: la pagana Pietas: figura femminile con le braccia alzate e le palme delle mani volte verso il cielo, poi utilizzata  dai cristiani come immagine dell’ orante; ed il “moscophoros” ,  di solito  conosciuto come il “Buon pastore”,,  rappresentazione cristica della salvezza. Per il mondo classico-pagano il moscophoros rappresentava un aldilà come regno di serenità e di pace, ed era simbolo della philantropia, l’amore disinteressato. Il cristianesimo trasformò il moscophoros nel Buon pastore che sulle spalle porta un agnello anziché un vitello. L’agnello viene considerato  anche come simbolo dell’anima  recuperata e salvata da Cristo.

Fra gli animali  ne furono scelti  alcuni con le ali, elemento dominante nell’abbinamento all’anima, che vola verso il trascendentale:

la fenice,  questo misterioso uccello simboleggia la resurrezione. Secondo la leggenda questo animale rinasce dalle proprie ceneri;

il pavone: anche questo animale simboleggia la resurrezione e la vita eterna dell’anima.  I pagani consideravano questo volatile sacro alla dea Hera. Nella tradizione persiana, passata a Bisanzio ed all’Islam, due pavoni affiancano l’Albero della vita in quanto simbolo dell’anima vigile ed incorruttibile; nella simbolica cristiana  due pavoni si abbeverano ad una piccola fonte raffigurata come un bacile che evoca il calice eucaristico;

la colomba. rappresenta l'anima ma ha anche altri significati.

Nel Vecchio Testamento si narra che dopo il diluvio universale una colomba tornò nell’arca di Noé con un piccolo ramoscello d’ulivo trattenuto nel becco., come segno di pacificazione di Dio con l'umanità.

I dodici apostoli  furono simbolizzati con altrettante colombe; ma anche lo Spirito Santo è simboleggiato da una bianca colomba che vola.   

Nella tradizione più antica  l’anima del giusto è una colomba, simbolo di purezza che sale al cielo.
 
Nell’arte cristiana dei primi secoli sono frequenti le raffigurazioni di colombe mentre bevono in una coppa, come si può vedere, ad esempio, in un particolare del mosaico nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna o in quello di Santa Costanza a Roma. La colomba simboleggia l’anima che si disseta alla sorgente della memoria. Questo tema è connesso ad alcuni aspetti della tradizione mitologica greca della fontana della Dimenticanza e di quella di Mnemosine.

Papa Gregorio Magno nella “Vita di san Benedetto”  scrisse: “Stando Benedetto in cella e levati gli occhi all’aere, vide l’anima della sua sorella, Scolastica, uscire dal corpo in specie di colomba, e andare in cielo.”

Pur non contendendo il primato alla colomba, la rondine ebbe un ruolo non secondario nella rappresentazione dell’anima, perché ha più significati simbolici. Infatti per la forza delle sue ali la rondine è stata accomunata all’àncora,  come segno di salvezza. San Paolo indica l’àncora come strumento di speranza “sicura e solida per l’anima”. (Eb. 6, 19).

Nei secoli successivi i pittori ebbero più libertà espressiva nell’iconografia dell’anima ed abbandonarono gli stereotipi del passato.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Dicembre 19, 2012, 07:15:35
“Vendita” dell’anima

La cosiddetta “vendita dell’anima” è uno dei topoi ricorrenti nella letteratura agiografica strutturata  su due elementi dominanti: "il patto con il diavolo"  e il personaggio Faust. L’acquirente dell’anima è in genere indicato in Mefistofele, un diavolo citato solo dalla fine del XVI secolo.
 
Faust Bojan, detto anche Faustus, è il protagonista di un antico racconto popolare tedesco, usato come base per numerose opere letterarie, teatrali, musicali e cinematografiche.

Il racconto ispirò anche Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832), che scrisse il "Faust" e lavorò a quest’opera letteraria  in più volte e per circa 60 anni, dal 1772 al 1831.

Il Faust di Goethe è uno scienziato, insoddisfatto dei limiti del sapere umano. Viene tentato dal demonio Mefistofele, al quale “vende” la propria anima in cambio della giovinezza, la sapienza ed il potere di disporre delle sorti altrui: porta alla follia e alla morte una ragazza, Margherita; poi utilizza la sua diabolica influenza presso le corti principesche.

Goethe non considera Faust il peccatore che merita la punizione divina, come lo voleva la tradizione religioso-popolare. Per questo scrittore la volontà di Faust di sapere, di andare oltre è positiva, perciò alla fine Dio gli salva l'anima.

Un altro celebre scrittore che elaborò la leggenda di  Faust fu l’irlandese Oscar Wilde (1854 – 1900), che nel 1891  fece stampare in volume un suo romanzo: “Il ritratto di Dorian Gray”, ambientato  nella Londra vittoriana del XIX secolo.

Narra di un giovane, Dorian Gray,che fa della sua bellezza fisica una tragica esperienza estetica.. Egli inizia a rendersi conto del privilegio del suo fascino quando Basil Hallward, pittore suo amico, gli fa il ritratto, il quale suscita in Gray il desiderio  di rimanere per sempre giovane e bello.  A tal fine stipula un “patto col demonio” che esaudisce il suo “voto”, mentre il quadro che lo rappresenta in età giovanile col trascorrere degli anni mostra i segni della decadenza fisica del suo corpo, ma non solo, diventa anche lo “specchio” della sua anima moralmente corrotta. 

Dorian ogni tanto si reca  nella soffitta per controllare e schernire il suo ritratto che invecchia, ma gli crea anche rimorsi e timori. Decide di distruggerlo. Lacera il quadro con un coltello, ma in tal modo uccide se stesso. Il coltello che usa è quello con cui aveva ucciso il suo amico pittore Basil Hallward. 

I  servi trovano Dorian Gray morto, invecchiato, irriconoscibile, invece il dipinto che lo ritrae lo mostra nuovamente giovane, ma con un coltello conficcato nel cuore.

Pure il noto letterato tedesco Thomas Mann (1875 – 1955) volle dare la sua versione del Faust. Titolò il suo romanzo “Doctor Faustus”, in cui narra la tragica storia del compositore musicale  Adrian Leverkuhn, il quale, come Faust, dà la sua anima al diavolo per avere anni di successi e fama. Ma ad un patto. Adrian non potrà amare nessuno. E la vita senza amore non è vita.

Pubblicato nel 1947, il romanzo esprime l'atmosfera della catastrofe nazista negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
 
Nel nostro tempo anche una ragazza moscovita ha “venduto” la sua anima. Lekaterina, questo è il nome della donna di 26 anni,  ha utilizzato un  noto sito di aste on line (“Molotoch ru”) per pubblicare il suo singolare annuncio:"Vendo anima in ottime condizioni, un po' logorata ma ben tenuta e senza buchi, sembra assolutamente nuova. Prezzo iniziale 500 mila rubli (pari a 12mila euro)".

Lekaterina è divorziata ed abita con la madre. Per ristrutturare la casa aveva venduto anche il vestito usato per le nozze, ma le serviva altro denaro.  Ed arrivò la telefonata risolutiva. "Un'anima buona mi ha dato i soldi che mi servivano", racconta Iekaterina che aveva offerto un certificato di vendita nel quale si dichiarava che l'acquirente poteva usare la sua anima senza alcun limite.

Il rituale per la “vendita” dell’anima prevede il baratto: si dà la propria anima ad un demone in cambio del suoi aiuto per ottenere ciò che si desidera.

Ma l’anima non può essere venduta secondo i ricercatori dell’università statunitense di Emory, vicino ad Atlanta. Hanno eseguito dei test con dei volontari ed hanno analizzato l'attività del loro  cervello con la risonanza magnetica. Hanno  constatato che i valori che riteniamo importanti attivano un circuito neuronale che serve a valutare ciò che è giusto e sbagliato, le cose che si possono fare e quelle vietate. E l'anima è invendibile. Ma si può vendere un oggetto che non esiste ?  :mah:
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Gennaio 04, 2013, 08:36:51
l’anima ed i fantasmi

Per la scienza non esistono i fantasmi, detti anche spettri o spiriti. Vengono creati dall’immaginazione: li considera incorporei, spesso avvolti nel  bianco lenzuolo, capaci di attraversare i muri o di fluttuare nell’aria; di solito appaiono di notte, spesso in luoghi lugubri ed isolati.

L’avvistamento o l’ascolto di uno spettro è causato dall’allucinazione.

L'allucinazione collettiva spesso dipende dalla suggestione da parte di uno o più componenti del gruppo o della folla. Con parole o grida persuadono gli altri dell'apparizione del ghost (= fantasma).

La convinzione che dopo la morte lo spirito di un defunto possa ritornare tra i vivi come spettro è affermata sia nelle culture “primitive” che in quelle civilizzate ed industriali, nelle tradizioni popolari e nella letteratura.

Nella cultura occidentale il fantasma rappresenta il collegamento con l’aldilà, simboleggia l’esistenza ultraterrena dell’anima, che può anche essere “persa”, “dannata” od in “pena”

Le anime perse sono quelle delle persone che in vita hanno rifiutato Dio.

Le anime dannate sono quelle degli individui che hanno commesso gravi peccati.

Le anime in pena sono spiriti senza fissa dimora, costretti a vagare tra i vivi fino a quando si ristabilisce l’equilibrio infranto dalla morte corporea con violenza. Emblematica è la ricerca di vendetta da parte del fantasma di un individuo assassinato: per esempio un marito ucciso vaga per punire la moglie ed il suo amante.

Si narra che alcune case dove sono avvenuti delitti siano infestate da poltergeist (parola tedesca che significa “spirito rumoroso”), dalle anime di coloro che  vi sono morti in modo violento e che si palesano con porte che sbattono, rumori,  grida disumane.

Il rapporto dei viventi con lo spettro rivela la volontà di non dimenticare il defunto, perciò ci sono anche le ricorrenze religiose per ricordare i propri cari che sono morti. L’origine della commemorazione dei defunti, fissata al 2 novembre, risale al X secolo, ed ebbe inizio nel monastero benedettino di Cluny.

Secondo la Chiesa Cattolica la destinazione dell'anima di un defunto può essere di felicità eterna (Paradiso) o di pena eterna (Inferno). Se l'anima non è libera da ogni peccato veniale è costretta a purificarsi per un tempo più o meno lungo nel Purgatorio.

Sedute spiritiche e medium illudono di poter parlare con le persone defunte,  come nel bel film “Ghost” , interpretato da Whoopi Goldberg, Demi Moore, Patrick Swayze ed altri.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Gennaio 05, 2013, 05:21:17
A Napoli molte persone credono  che  tre luoghi sacri siano frequentati dalle “anime del Purgatorio”, da “anime abbandonate”  e dalle “anime in pena”,  sofferenti e bisognose di attenzioni da parte dei vivi. I tre siti sono: il cimitero delle Fontanelle (nel rione Sanità), che conserva  anche i resti delle vittime delle epidemie; la chiesa  barocca con ipogeo di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco (in via dei Tribunali), la basilica di San Pietro ad Aram, in cui ci sono le catacombe.

La credulità popolare pensa che i teschi (le “capuzzelle”) nell’ossario  del cimitero delle Fontanelle svelino il futuro, offrano consigli, numeri al lotto e  grazie.

Nel 1969 l’allora arcivescovo di Napoli, il cardinale Corrado Ursi fece chiudere l’ossario (nella cava di epoca greca) per eccessiva credulità popolare. In quel luogo sotterraneo ogni cosiddetto "fedele" poteva scegliere il teschio da adottare, lo puliva, gli poneva attorno i lumini e gli rivolgeva preghiere.

Se l’anima del defunto scelto rispondeva (attraverso il sogno), l’adottante pregava di più per abbreviarle il tempo di permanenza nel purgatorio in attesa del paradiso. Oltre a recitare più orazioni costruiva un piccolo altare sul quale collocava il teschio, che veniva contornato con le cosiddette sacre immaginette e le candele. Di solito l’offerente chiedeva raccomandazioni e favori.  Fra i messaggi rinvenuti nei crani c’è questo: ”Anima bella venitemi in sogno e fatemi sapere come vi chiamate.
Fatemi la grazia di farmi uscire la mia serie della cartella nazionale. Anima bella fatemi questa grazia, a buon rendere...
”.

Se la richiesta di grazia veniva “esaudita” la “capuzzella”  veniva messa in un loculo o in una teca di vetro, altrimenti la si rimuoveva dall’altarino per riporla di nuovo insieme a tutte le altre teste.

All'interno del cimitero erano frequenti le processioni religiose e per le anime in pena venivano recitate  giaculatorie e  litanie, tipo questa: 

“Anime sante, anime purganti,
io son sola e vuie siete tante.
Andate avanti al mio Signore
e raccontateci tutti i miei dolori.
Prima che s'oscura questa santa giornata
da Dio voglio essere consolata.
Pietoso mio Dio col sangue Tuo redento
a tutte le anime del Purgatorio salutammelle a tutti i momenti,
Eterno Riposo”

Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Gennaio 15, 2013, 09:17:03
L’anima e la psicostasia.

Un diffuso tema iconografico sull’aldilà riguarda la cosiddetta “pesatura dell’anima”, la psicostasìa (o psicostasi),  termine di origine greca. Il defunto prima di accedere nell’oltretomba doveva essere sottoposto al giudizio divino tramite la pesatura della sua anima, che veniva posta su una bilancia a due piatti.

Da  alcune  religioni del passato, come quella degli antichi Egizi, la morte dell’individuo non era considerata la sua fine totale, perché  del defunto sopravviveva la sua anima, che prima di accedere nell’aldilà veniva sottoposta al giudizio divino. Il collegio giudicante era presieduto da Osiride,  il dio della morte e dell’oltretomba, il quale   esercitava il suo potere con la collaborazione di 42 “giudici dei morti”  che esaminavano meriti e colpe dell’estinto. .
Nella “stanza delle due verità” c’era la bilancia a due piatti custodita dal dio Anubi, la divinità che proteggeva le necropoli ed il mondo dei morti. Su uno dei  piatti veniva collocata una piuma, simbolo di Maat, dea della Verità e dell’ordine cosmico, mentre sull’altro piatto veniva posato il cuore del defunto. La pesatura era presieduta dal dio  della saggezza Thot che aveva il compito di registrare il verdetto. Se il cuore era immondo da peccati e leggero come la piuma di Maat, posta sull'altro piatto, poteva accedere nell’oltretomba, altrimenti il cuore era dato in pasto al coccodrillo Ammit.

(http://www.ilrisvegliodiebe.it/images/notizie_gallery/big/1295111658foto.jpg)

Nella mitologia greca la psicostasia è  invece collegata alla pesatura dei destini di due avversari in lotta, indipendentemente da ogni valutazione morale. Il  filosofo e drammaturgo ellenico Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) descrive Thetis ed Eros mentre pesano sulla bilancia il “soffio di vita” di Achille e di Memnon.

Nell’ebraismo ci sono espressioni che alludono alla psicostasia ma di personaggi viventi. Invece nella letteratura apocalittica cristiana la pesatura dell’anima  appare con valore escatologico, quando ci sarà la fine del mondo.    L’arcangelo Michele è l’addetto alla psicostasi, mentre Satana spesso cerca di togliere peso al piatto dei meriti del defunto.

(http://4.bp.blogspot.com/-tbxcy_4vsJs/ULo-fHRp1DI/AAAAAAAAAK8/MKr4YtVtvcU/s320/foto+michele+2.tif)

Nell’iconografia del “memento mori” ci sono raffigurazioni (in particolare in area iberica) che mostrano i due piatti della bilancia: su uno c’è una piccola figura simile ad un diavolo, sull’altro un angelo. Nel piatto dove c’è il diavolo si pesano i peccati commessi, mentre in quello con  l’angelo ci sono le buone azioni.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Gennaio 18, 2013, 09:09:57
L’anima tra animismo e  spiritismo

L’antropologo britannico Edward Burnett Tylor (1832 – 1917) usò l'espressione “animismo” per definire una forma primitiva di religiosità, basata sull'attribuzione di un principio incorporeo e vitale (anima) a fenomeni naturali, esseri viventi e oggetti inanimati. Questo culto irrazionale dell'anima, sarebbe  alla base, secondo Tylor, dell’evoluzione del pensiero religioso in forme strutturate  con pratiche sociali ben definite, fino a svilupparsi attorno alla figura di un essere creatore, che noi chiamiamo Dio.

In alcune culture si credeva ed ancora si continua a credere che l’anima del defunto continui a vivere con la trasmigrazione in altri esseri viventi tramite la “reincarnazione”. Questa parola è considerata sinonimo di metempsicosi, termine che deriva dall’antico lemma greco “metempsicosis e significa  “passaggio  o trasmigrazione dell’anima o dello spirito vitale” dopo la morte di un individuo in un altro corpo di essere umano, oppure animale o vegetale.

Per indicare la reincarnazione viene usata anche la parola metemsomatosi, che significa passaggio da un corpo all'altro, però non si riferisce all'anima umana, ma alla trasmigrazione dello spirito in un animale.

La teoria delle vite successive o della reincarnazione è definita “palingenesia” (rinascita) e venne elaborata dall’orfismo. Fece parte della filosfia pitagorica. Inizialmente indicava la trasmigrazione delle anime da un corpo ad un altro dopo la morte, per assumere poi un significato spirituale per segnalare la rinascita o l rinnovamento di chi fa m orire in sé la parte vecchia e la rinascere come nuova. Si tratta di un percorso iniziatico delle dottrine misteriche.

La teoria della reincarnazione è presente negli antichi testi dei Brahmanesimo: i Veda, Upanishad e Bhagavad gità. Dall’India fu poi diffusa verso Occidente. Alcuni studiosi attribuiscono a Pitagora l’introduzione in Grecia della teoria della reincarnazione. Anche Platone sostenne il principio pitagorico nel Fedone. Nella scuola neo-platonica si insegnava la reincarnazione. Plotino (24-270) si sofferma su questo argomento nelle sue “Enneadi”, specificando che se l’anima  si macchia con il peccato è destinata ad espiarlo subendo la giusta punizione negli inferi, poi passa in un nuovo corpo per ricominciare.

Molte persone  oltre alla reincarnazione credono che sia  anche possibile comunicare con le anime o gli spiriti dei defunti, che si manifesterebbero  ai viventi  in modo spontaneo oppure quando vengono evocati dal medium, che ha doti particolari per mediare durante la cosiddetta seduta spiritica,  formata dal medium e da più persone. Di solito è importante che ci sia armonia tra i partecipanti, concentrazione ed assenza di tensioni. La seduta si svolge al buio o con limitate condizioni luminose.
 
Sullo spiritismo ci sono numerosi studi, iniziati dal francese Allan Kardec (pseudonimo del pedagogista francese Hippolyte Léon Denizard Rivail), il quale  su questo tema nel 1857 .pubblicò  “Il libro degli spiriti”. Egli ipotizza che i fenomeni paranormali siano attribuibili ad intelligenze incorporee, cioè alle anime, che si possono “contattare” tramite la telepatia (durante il sogno od in uno stato di coscienza alterata), la “possessione” (il presunto spirito “entra” nel medium), la presenza (voci, suoni, rumori, ecc.) e l’apparizione come fantasma.   

I fenomeni spiritici sono citati anche nel Vecchio Testamento (Deuteronomio 18, 11; 1 Samuele 28,3 e 28, 7; Isaia 2, 6  ed 8, 19-22; 2 Cronache 33, 6; Levitico 19, 31).

La religione cristiana avversa lo spiritismo e la cosiddetta “comunicazione” con gli spiriti, perché li considera demoniaci.
Titolo: Re:Scienza, coscienza e conoscenza
Inserito da: Doxa - Gennaio 21, 2013, 10:53:07
L’anima ed il linguaggio

L’anima, soggetto metafisico di quelle funzioni psichiche che psicologi e filosofi analisti chiamano “mente”. Come tale  ha rilevanza dal punto di vista epistemologico, ontologico, teologico, ma anche nel linguaggio. Infatti nella comunicazione quotidiana usiamo  espressioni che coinvolgono l’anima. Gli esempi sono numerosi. Elenco alcune frasi: Anima dannata (persona perfida od infida),  dannarsi l’anima (sacrificarsi per raggiungere un fine), anima in pena (persona ansiosa, irrequieta),  anima gemella (persona amata dalla quale si è riamati), darsi anima e corpo (impegnarsi in un’impresa per raggiungere un obiettivo),  mettersi l’anima in pace (rassegnarsi ad una perdita o ad un evento negativo), non c’è anima viva (con riferimento ad un luogo disabitato o deserto),  raccomandarsi l’anima a Dio (prepararsi a morire da cristiani),  rendere l’anima a Dio; l’esclamazione “all’anima !”  per esprimere sorpresa ma anche compiacimento.

A Roma fa parte del gergo la frase “l’anima de li mortacci tua” ed anche “l’anima de li mejo mortacci tua”, per riferirsi non a qualsiasi anima fra i defunti dell’interlocutore,  ma a quelle considerate le più meritevoli di essere ricordate con disprezzo. 

Le cosiddette parolacce hanno una storia millenaria, perché permettono di esprimere emozioni, stati d’animo: ira, frustrazione, sorpresa, paura; consentono di  sfogare la propria aggressività verbale e di ottenere effetti che con altre parole non si possono conseguire. E l’espressione tipica romanesca  “mortacci tua” o “li mortacci tua” oppure 'tacci tua”, viene utilizzata per indicare  gli spregevoli defunti dell'interlocutore. La frase è di uso comune a Roma, ma ormai diffusa dai mass media anche in altre regioni italiane con varianti del dialetto locale.  Questa parolaccia ha lo scopo di offendere l’insultato,  accusandolo di discendere da parenti riprovevoli nel loro comportamento o di deriderlo, anche solo scherzosamente. La frase ha contrastanti significati, che dipendono dal tono della voce, dall’espressione del viso, dalla gestualità  di chi la dice: può  significare, se accompagnata dal  viso che manifesta meraviglia, sentimenti positivi di ammirazione, sorpresa e compiacimento per un evento fortunato o straordinario (li mortacci tua, ma quanto hai vinto?); o con un viso ilare, può esprimere gioia ed affetto per un incontro inaspettato e gradito (Li mortacci tua, ma 'ndo se' stato finora?); oppure comunicare sentimenti sia negativi  con il viso dall'aspetto contrariato o sconsolato, col tono della voce alterato  può rivelare rabbia o desolazione (li mortacci tua, ma c'hai fatto?). Il contenuto  infamante  della frase sparisce, diviene "metafisico", di fronte agli stati d'animo con cui viene pronunciata, e solo questi sono veramente reali. In tutti questi casi la parolaccia diviene ininfluente, non è offensiva ma è come un rafforzativo, l'equivalente di un punto esclamativo, alle parole che seguono all'invettiva: tant'è vero che può essere rivolta anche a sé stessi (Li mortacci mia, quant'ho magnato!).

Quando invece si vuole limitare l'insulto nel tempo passato, ma non fino ad arrivare a lontani antenati, si usa(va) la forma "'tacci tua e de tu' nonno". Il "…e de tu nonno" veniva aggiunto anche per evitare che il destinatario del "li mortacci tua" fosse lui a rispondere: "…e de tu nonno", rimbalzando così l'ingiuria su chi l'aveva detta.
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L'espressione annovera(va) una versione ancora più lunga: "li mortacci tua e de tu nonno in cariola", non  la carriola del muratore, ma la barella ospedaliera usata per condurre alla camera mortuaria la salma del nonno.

"Mortacci tua" è una forma abbreviata della parolaccia "li mortacci tua", ed anche "tacci tua", "'cci tua", mentre "alimortè" è una semplice esclamazione derivata dalla parolaccia principale: come se si dicesse "caspita", "accidenti".