Ne avevamo stanato un altro, giù alla 68ma. Si era rifugiato nel locale caldaia e viveva là, sporco da far paura, curvo, rattrappito; disgustoso. Sfuggono alla precettazione, si rifiutano di rispettare la legge che gli impone di alloggiare nelle previste strutture, a completare così la loro esistenza. Se li senti parlare ripeteranno la solita litania con al centro, sempre, una sola parola: libertà. Libertà di fare quello che vogliono; e invece no, ci sono delle leggi, non puoi fare quello che ti pare. Devi accettare l’idea di non essere un peso per la società, devi fare di tutto per evitarlo: la legge lo impone ma anche tu devi fare del tuo.
Sono ormai tre anni che faccio questo lavoro: veniamo allertati, da una sensazione, da una denuncia, e immediatamente ci mettiamo sulle tracce del fuggitivo. Cerchiamo di vedere dove possa essersi nascosto e lo staniamo. Poi il nostro compito è pressoché finito: lo consegniamo ai servizi sociali che lo indirizzano alla struttura di riferimento. La caccia, perché di questo si tratta, ha come teatro i vicoli più sudici, i locali più bui e inospitali, tra immondizia e ratti di fogna. Ma è mai possibile che preferiscano vivere là che nelle nostre confortevoli residenze dove hanno tutto, compresa la televisione satellitare? Io proprio non riesco a capirli.
Quando poi li troviamo sono in un tale stato di degrado da far paura e, in cuor tuo, crederesti che ti abbracciassero riconoscenti di averli sottratti all’incuria. Invece scalpitano, graffiano, ti riempiono di improperi all’indirizzo tuo, di tua madre, del governo e, in generale, di tutta la parte attiva e produttiva della società.
Non vi si riconoscono più, anche se ne hanno fatto parte per decenni e qualcosa dovrebbero averla pur compresa. Si sentono fuori dalla congregazione sociale, si auto estraniano nel loro pervicace rifiuto del necessario destino a cui sono chiamati. La vita è così, attraversa varie fasi e arriva il momento in cui devi lasciare ad altri il tuo posto; non puoi restarvi abbarbicato in eterno. Forze giovani, più aggiornate, che hanno fatto studi specifici e quindi in grado di affrontare i tempi nuovi.
Era meglio un tempo? Quando c’era la pensione e ci si ritirava in beata nullafacenza? Quei tempi sono passati e mai più ritorneranno. La storia ha dimostrato come fosse un lusso che non potevamo più permetterci. Con l’attuale durata media della vita, gli anni di attività non potrebbero in nessun modo ripagare l’inattività senile. Ora le regole sono chiare: dopo gli ottant’anni non devi più gravare sulla collettività. Ti viene garantito un posto in una struttura confacente, con tutti i confort che possiamo allestire, in maniera di rendere minimi i costi. Lì puoi vivere dignitosamente, i tuoi parenti possono venire a trovarti una volta a settimana, puoi socializzare con i tuoi simili. Certo lo so, grandi attività non vengono organizzate, si può rischiare il disorientamento, almeno all’inizio. Ma poi ci si abitua. Lo dicevo, è una fase della vita, bisogna farsene una ragione. Risorse non ce ne sono, anzi, è già un miracolo che ne troviamo per garantire questo sistema che, a detta di tutti, è tra i più efficienti del mondo.
Libertà poi, che gran parolone. Libertà di fare che? Cosa ti è impedito di fare nelle nostre strutture? E poi, se puoi permetterlo, se hai i sodi di tuo, puoi andare dove vuoi, anche in giro per il mondo. Se no, devi accontentarti di quello che riusciamo a darti con le risorse disponibili.
Non si può essere egoisti, è dura per tutti. C’è un tempo per crescere e formarti, quello per ripagare la società di tutto quello che ti garantisce e, infine, un tempo in cui devi rendere minime le tue richieste, in un’età della vita in cui, fisiologicamente, le tue necessità sono minime. È un sistema che rispetta la natura umana, ben organizzato ed efficiente. A me non sembra tanto male, credo che quando verrà il mio momento saprò apprezzare quanto si farà per me. Mio padre, per esempio, si trova bene, è felice. Certo ormai non capisce più molto, quando lo vado a trovare si ricorda, sorride ma presto ricade stanco nel suo beato torpore. Sono le fasi della vita. Bisogna farsene una ragione.