Autore Topic: La vita e il tempo  (Letto 3572 volte)

Doxa

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La vita e il tempo
« il: Maggio 28, 2014, 00:22:41 »
Il flusso delle generazioni, la vita nel fluire del tempo.

Il Qoelet  o Ecclesiaste,  è un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e cristiana, scritto nel IV o III   secolo a.C. da un autore ignoto. Nel prologo fra l’altro dice: “Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa” (1, 4). 

In un successivo testo biblico,  il libro del Siracide,  scritto a Gerusalemme nel 180 a. C. circa e contenuto nella sola Bibbia cristiana, c’è scritto:  “Come foglie spuntate su albero verdeggiante l’una cade e l’altra sboccia, così sono le generazioni di carne e sangue. Una muore e l’altra nasce”.
Secondo l’anonimo autore la terra assiste indifferente alla morte e alla nascita delle generazioni; è silente teatro del nostro  fugace passaggio, calcolato secondo un immaginario scorrere del tempo.

Il tempo non è una dimensione della realtà, ma un mezzo di cui si serve la nostra mente come espediente per percepire la realtà.

Noi viviamo l'eterno istante. Diciamo che il tempo scorre, ma è la nostra mente che lo immagina scorrere per percepirlo come successione di istanti, sequenze e scansioni che servono per dare un ordine temporale ai singoli fatti quotidiani che si susseguono e che non riusciamo a dominare. Infatti   “Il tempo è troppo lento per chi aspetta, troppo veloce per chi ha paura, troppo lungo per chi soffre, troppo corto per chi gioisce. Ma per chi ama il tempo è eterno” scrisse l’insegnante statunitense Henry van Dyke (1852 – 1933). 

E nell’eternità dell’amore tra un uomo ed una donna può nascere un figlio che perpetua la specie e si susseguono le generazioni, la trama della vita.
« Ultima modifica: Giugno 09, 2014, 21:48:37 da dottorstranamore »

presenza

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #1 il: Maggio 28, 2014, 07:14:30 »
Tempo, alternanza di momenti e noi... generazione cangiante. Mi trovi in sintonia con quanto hai esposto.

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #2 il: Maggio 28, 2014, 15:29:22 »
Presenza, ti va di sviluppare con me questo tema ? Quando hai tempo e voglia inserisci in questo topic le tue riflessioni in merito.

Celiando  :D   ti domando...,
 
Presenza, nobile  “Contessa, che è mai la vita?
E’ l’ombra di un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
il vero immortale è l’amor…”

Questi versi di Giosué Carducci sono nella sua poesia  titolata “Jaufré Rudel”

Non porsi domande sul senso della vita significa rinunciare alla possibilità di comprendere l’ineffabile mistero della nostra esistenza.

Milioni di individui attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana,.

Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso in modo consapevole, se possibile.
« Ultima modifica: Giugno 09, 2014, 21:51:08 da dottorstranamore »

presenza

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #3 il: Maggio 28, 2014, 23:16:04 »
... ecco, è proprio la consapevolezza a dare il senso all'oggi, a quell'adesso fatto di tempo presente. E questo, il presente, è l'unico tempo che possiamo vivere, il resto può essere solo raccontato, l'uno perché già vissuto, l'altro perché non si conosce. E se poi l'amore ci sopravvive, è vero, tutto cambia, finisce in qualche modo, ciò che resta oltre tutto e tutti è proprio l'amore.
Farsi domande sul senso della vita... forse bisognerebbe farsi domande sul nostro senso, sul perché siamo a questo mondo, ognuno ha il suo...

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #4 il: Giugno 03, 2014, 16:17:43 »
Dall’ istante eterno all’attimo fuggente.

Cos’è un istante ?  La minima frazione di tempo o tempo sprovvisto di durata ?  Non esistono singoli istanti ma un loro continuo fluire non scomponibile, vissuti nella loro durata nella coscienza di ognuno nel susseguirsi degli eventi.

Nel linguaggio quotidiano il termine tempo lo utilizziamo con diverse accezioni, per esempio  lo colleghiamo alla natura o all’Io psicologico.

Nel collegamento con la Natura il tempo lo consideriamo oggettivo, come successione ordinata invariabile di istanti, concatenati e misurabili (es. con l’orologio) invece in rapporto con l’Io il tempo  lo reputiamo soggettivo perché riflette lo stato di coscienza o mentale dell’individuo.

Dal tempo soggettivo scaturisce il  concetto di eternità come un tempo infinito, che implica in sè, per opposizione, il concetto di non-tempo.

Il problema del tempo è presente nella riflessione filosofica di ogni epoca.

Zenone di Elea (denominata  Velia in epoca romana, nel Comune di Ascea, in provincia di Salerno) vissuto dal 489 a.C al 431 a.C., per dimostrare l’impossibilità di pensare il tempo suddiviso in infiniti istanti, elaborò il paradosso della freccia ferma: una freccia scoccata dall’arco non raggiunge mai il bersaglio se ammettiamo che il tempo sia composto di istanti successivi, infatti in ogni istante la freccia è ferma in un certo punto della traiettoria, se il tempo è un susseguirsi di istanti, per la freccia si verifica un susseguirsi di stati di quiete, pertanto essa, nel tempo, è ferma.

Il filosofo greco Aristotele nel  suo IV libro della "Fisica" sostiene che il tempo sembra non esistere, perché è formato dal passato, che non esiste più, e dal futuro, che non esiste ancora. Egli identificava il tempo con il divenire.

Infatti “Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito come se ci odiasse: cogli il giorno, confidando il meno possibile nel domani”, scrisse il poeta Orazio (65 a.C. – 8 a.C.).   Questa locuzione è tratta dalle “Odi” (1, 11, 8; in latino: “Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”. Carpe diem, letteralmente significa  “Cogli il giorno”,  ma di solitoè erroneamente tradotta in “Cogli l'attimo”, anche se la traduzione più appropriata sarebbe “Vivi il presente” non pensando al futuro.

Il carpe diem oraziano è basato sulla considerazione che l’individuo non può conoscere il  suo futuro,  ma può intervenire  nel presente cogliendo le occasioni, le opportunità, l’”attimo fuggente”, come giustamente mi fa notare Presenza:

Citazione
“è proprio la consapevolezza a dare il senso all'oggi, a quell'adesso fatto di tempo presente. E questo, il presente, è l'unico tempo che possiamo vivere, il resto può essere solo raccontato, l'uno perché già vissuto, l'altro perché non si conosce. E se poi l'amore ci sopravvive, è vero, tutto cambia, finisce in qualche modo, ciò che resta oltre tutto e tutti è proprio l'amore.

Dietro l’esortazione di Orazio c’è il pensiero del filosofo greco Epicuro (342 a.C. – 270 a.C.), ma lo scrittore latino aderì  solo in parte all’epicureismo.

Per Epicuro non c'è vita dopo la morte, non c'è  alcun compenso o riscatto ultraterreno, a differenza di quanto nell'antichità propugnavano pitagorici e platonici, e di quanto, dopo di loro propugneranno i cristiani. La saggezza epicurea vuole pertanto che si goda pienamente dell'unica vita che abbiamo a disposizione, e per questo ogni momento di essa è importante.
Il valore in sé dell'attimo, del momento presente, è sostenuto dai seguaci di Epicuro  e da altri filosofi ellenistici.  Secondo questi,  il piacere e quindi la felicità possono essere completi e perfetti nell'istante; un loro prolungamento non incide sull’intensità.
« Ultima modifica: Giugno 03, 2014, 16:32:02 da dottorstranamore »

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #5 il: Giugno 06, 2014, 17:44:33 »
Tempo ed eternità

Il sostantivo femminile “eternità” deriva da una locuzione latina ed è una parola composta: “ex” (fuori) e "ternum" (terno), significa  "fuori dalla triade” del tempo (passato, presente e futuro). Il termine indica l’infinità, l’atemporalità, che non ha principio né fine, come Dio. 

L’eternità è un concetto metafisico del tempo.

Agostino d’Ippona nell' undicesimo libro delle “Confessioni” riflette sulla questione del tempo e dice: “Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Questa frase agostiniana è diventata un “manifesto” per coloro che s’interrogano sul tempo e sul ruolo che esso svolge nella nostra vita, ma fu da lui  parafrasata dal trattato del filosofo  Plotino “Sull’eternità e il tempo” (Ennade III, 7, cap. 1). Questo, a sua volta trasse dal “Timeo” di Platone” la distinzione tra eternità e tempo.
Nella concezione  filosofica neoplatonica (da Plotino ad Agostino) rimase  la distinzione fra tempo ed eternità, ma il concetto di tempo veniva collegato all’anima anziché al moto  cosmico.

L'unico tempo che riusciamo a percepire è il presente, l’attimo fuggente come parte dell’eterno, che è origine e destino, l’alfa e l’omega. Il tempo presente scorre veloce e diventa secondo l’antico filosofo Platone ’“immagine mobile dell’eternità”. La mancanza di un limite anteriore e posteriore allo scorrere del tempo può far ipotizzare la temporalità infinita, oppure eterna.
Il filosofo tedesco  Martin Heidegger   nel suo noto saggio “Essere e tempo”  afferma che passato, presente ed avvenire costituiscono un fenomeno unitario che chiamiamo temporalità, durante la quale l’individuo acquisisce (?) la consapevolezza di sé.

Il senso della vita può essere trovato in noi o fuori di noi, cioè può esserci trasmesso da altre persone. Ma nessuno può dirci quanto grande debba essere questo "significato".
Un tempo eterno necessita di un significato eterno ma l’umanità vive un tempo limitato ed è costretta ad accogliere la propria sorte, la morte,  che quando è naturale, libera da malattie, sofferenze, disfacimento progressivo del corpo.

Per chi non ha fede, per chi non crede in Dio è inaccettabile la consolazione religiosa nell’esistenza ultraterrena, considera assurda la possibilità di vivere un significato completamente diverso.   

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #6 il: Giugno 09, 2014, 00:05:55 »
I filosofi neoplatonici pensavano fossero riunite nell'infinità del Dio creatore le realtà finite, come  la  biblica creazione del mondo. Infatti nel libro della “Genesi” si narra che  Dio creò l’universo in più giorni.  Il fantasioso racconto fa domandare cosa  egli facesse prima della creazione e presuppone che anche Dio sia nel tempo.

Per Agostino, vescovo d’Ippona,  Dio é fuori dal tempo, é nell' eternità, e con la creazione dell’universo Dio creò anche il tempo.

Gli antichi Greci  avevano  tre parole per  indicare la temporalità:  kronos, kairos ed aion

Kronos per  indicare il tempo quantitativo, sequenziale: passato presente e futuro, lo scorrere delle ore.
Per la mitologia greca il titano Kronos era figlio di Urano (Cielo) e Gea (Terra). Dagli antichi Romani Kronos era denominato Saturno e veniva raffigurato anziano, con la barba  bianca e lunga, mentre regge tra le mani una falce ed una clessidra;

kairos per denotare un tempo  indeterminato, un’azione da eseguire nel momento opportuno.
Per la  teologia kairos indica il tempo che è nel potere di Dio. Nella mitologia  Kairos è personificato da un giovane  nudo con le ali ai piedi , a volte anche agli omeri, con le braccia protese verso l’alto. Con la mano sinistra regge la staffa di una bilancia, in bilico sulla lama di un rasoio. Il volto è incorniciato da lunghe ciocche di capelli sulla fronte, ma la parte centrale della calotta cranica è rasata.

Aion (o Eone) simboleggia l’eternità, il tempo infinito. Nell’iconografia  è raffigurato come un uomo con la testa leonina, sorregge lo scettro, una chiave ed un fulmine. E’ avvolto da un serpente che intorno al suo corpo  compie 7 giri e mezzo, corrispondenti alle sfere celesti.
Il drammaturgo greco Euripide (485 a.C. – 407/406 a.C.) considera Aion figlio di Kronos.

Gli antichi Greci collegavano il Tempo anche alla memoria, mitologicamente personificata da Mnemosine (una delle Titanidi,  anche lei figlia di Urano e di Gea), amata da Zeus, con il quale ebbe nove figlie, le Muse, protettrici delle arti, secondo quanto narra Esiodo nella sua “Teogonia”.

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #7 il: Giugno 11, 2014, 08:13:51 »
Tempo psicologico

Il tempo non è solo quello "oggettivo" scandito dalle lancette dell’orologio o indicato dal calendario, c’è anche il tempo soggettivo, il cosiddetto “tempo psicologico”, che dipende dalla percezione soggettiva: se siamo mentalmente impegnati diciamo di non avere abbastanza tempo da dedicare ad altre cose, invece diciamo che  il “tempo non passa mai” quando ci annoiamo.

Il nostro apparato psicologico e neurale è un pessimo valutatore del tempo oggettivo.

Lo psicologo  sociale statunitense Philip Zimbardo, (figlio di genitori italiani originari della Sicilia) ha effettuato delle ricerche in merito con la collaborazione dello psicologo John Boyd ed altri. I risultati li ha pubblicati nel suo libro titolato: “ Il paradosso del tempo”. Egli ha individuato sei orientamenti psicologici: 

orientamento psicologico verso il proprio passato positivo:  gli individui con questo orientamento psicologico  ricordano il proprio passato con piacere e nostalgia;  amano la continuità nella propria famiglia ed i connessi  rituali, hanno  autostima  e sono socievoli. Non gradiscono i cambiamenti e le novità. Sono i cosiddetti “laudatores temporis acti” (lodatori del tempo passato; Orazio "Ars poetica"),  frequenti tra le persone anziane. Orazio critica tale orientamento, perché denota l’ incapacità di accettare le innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso.

Orientamento psicologico verso il proprio passato negativo: è causato da esperienze traumatiche, dolorose, da ingiustizie e delusioni. Le persone comprese in questo tipo di orientamento psicologico tendono alla depressione, all’ansia e all’aggressività.  Chi rimane prigioniero del proprio passato rinuncia ad immaginare il proprio futuro in modo creativo, progettuale.

Orientamento psicologico verso il presente edonistico:  è tipico nei bambini che trovano nel gioco il divertimento e la gratificazione. Gli adulti compresi in tale orientamento psicologico tendono all’amicizia, sono creativi ma possono avere scarso autocontrollo. I tossicodipendenti, o i borderline, sono orientati al presente-edonistico, agiscono in base a un istinto di piacere, vivono il presente e pensano poco alle conseguenze delle proprie azioni.

Orientamento psicologico verso  il presente fatalistico:  l’individuo si affida al fato e pensa che tutto sia determinato dal caso. Tende ad essere ansioso ed aggressivo.

Orientamento verso il futuro con  progetti ed obiettivi: è tipico di chi pensa che ogni mattina si debba pianificare la giornata e che rispettare le scadenze sia più importante del divertimento. Chi appartiene a questa categoria di solito è coerente  e perseverante, ed ha autocontrollo.  L’eccesso di programmazione può causare l’ansia, la competitività e l’asocialità.

Orientamento verso il futuro trascendentale: tipico nei credenti una religione, in chi crede alla vita oltre la morte. In questo gruppo ci sono molte persone anziane.

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #8 il: Giugno 12, 2014, 06:09:25 »
Le emozioni possono accelerare o rallentare la nostra percezione del tempo.

A Clermont Ferrand, in Francia,  alcuni ricercatori della locale università hanno valutato le variazioni individuali nella percezione dello scorrere  del tempo in relazione a particolari film. Gli psicologi hanno mostrato film horror a dei volontari ed hanno constatato che la loro paura distorce la percezione del tempo: i filmati venivano considerati più lunghi di quanto fossero in realtà.

Oltre alle emozioni anche gli stati d’animo e l’età possono influire sulla soggettiva percezione del tempo.  Per  un adolescente il tempo scorre troppo lento se attende d’incontrare chi ama; per l'adulto il tempo scorre troppo veloce, se pensa che va incontro alla vecchiaia e alla morte. E si chiede il  senso della vita. Ma la vita non ha senso, sono le persone che tentano di attribuirgli significati. 

L’umanità cerca di  dare un significato al proprio vivere con la ricerca  di risposte filosofiche o religiose illusioni, come i cristiani, costretti dalla propria fede a considerare il tempo  come  “escatologico”, termine di origine greca composto da due lemmi: “éskhatos” (= ultimo) e “loghìa” (= discorso): riguarda la riflessione filosofico-religiosa  sui destini ultimi dell’umanità e dell’universo.

I cristiani sperano o sono convinti che dopo questa vita sulla terra c’è per loro quella ultraterrena ed eterna, annunciata da Gesù Cristo.

Nella conclusione di una sua lettera (“epistulae 65”) Seneca pone un interrogativo: “Quid est mors ?” (Che cos’è la morte ?) e dà la risposta: “Aut finis, aut transitus”: fine della vita e dissoluzione del corpo oppure transito, passaggio verso qualcos’altro.

Per la religione cristiana la morte è transito verso un diverso “universo”, il ritorno a “Dio che ci ha creato”, secondo i “creazionisti”; tesi ovviamente rifiutata dagli evoluzionisti.

Le testimonianze archeologiche  ci narrano i dettagli delle civiltà che ci hanno preceduto. Tombe di diverso tipo ci informano sulle condizioni socioeconomiche e religiose non solo dei defunti ma anche di chi si incaricò di assicurarne il riposo eterno in un ambiente idoneo. Antropologicamente ci comunicano il rapporto fra i vivi ed i morti.

L’archeologa Alessandra Pedrazzini in un suo articolo titolato “L’eterno sogno umano di un aldilà”, evidenzia che non è univoca  l’illusione dell’esistenza di un luogo ultraterreno a cui l’individuo giunge quando passa la soglia della morte.

Le religioni fanno immaginare l’aldilà in diversi modi: 

luogo di passaggio verso l'annullamento totale dell'essenza umana sopravvissuta alla morte;

non-luogo, privo di gioia e di dolore, in cui l'anima del defunto vaga in uno stato di sospensione;

luogo per l'epurazione dell’anima per “mondarla” dai peccati, come nel purgatorio;

luogo di continuità: la morte come passaggio verso una realtà non dissimile da quella terrena; 

luogo di opposizione: l'aldilà opposto alla vita terrena. In Guinea le comunità Kisi credono che la donna rinasce uomo e viceversa, il giovane rinasce vecchio e l’anziano infante, ecc.;

luogo di punizione o di premio: si distribuiscono premi o punizioni all'anima del defunto, come le   temporanee epurazioni per giungere poi al premio finale della contemplazione di Dio,  oppure il castigo che prevede la dannazione eterna da parte dell’iraconda divinità.   

nihil

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #9 il: Giugno 13, 2014, 07:15:13 »
io concluderei con una formula : tutto è relativo. Ognuno crede in una verità diversa, e da ciò si presume che la verità vera non esista, non ce n'è una assoluta se non nel punto di partenza, ad esempio la morte. Questa è l'unica verità che ci accomuna.  ;)

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #10 il: Giugno 17, 2014, 00:20:06 »
Quid est veritas ?


L’evangelista Giovanni racconta l’improbabile dialogo tra Ponzio Pilato e Gesù e dice che il prefetto della Giudea chiese a Cristo: “Che cosa è la verità ?” (18, 38).  Ma non ebbe risposta ! Dopo più di duemila anni ce lo domandiamo anche noi: che cos’è la verità ?

Per i cristiani è Gesù  la “verità” ! Egli è considerato dai credenti il messia,  il figlio di Dio e Dio stesso che si è “incarnato” per annunciare gli "arcana caelorum" (dei verbum), la volontà di Dio.

E’ possibile definire la verità ? No, perché la verità può essere soggettiva, oggettiva, relativa o assoluta.

La ricerca della verità è collegata anche alla ricerca del senso della vita, del significato della nostra temporanea esistenza.

Il papa emerito Benedetto XVI nelle sua lettera enciclica “Caritas in veritate” (La carità nella verità) afferma che non si può separare la “verità” dall’”amore”,  forza straordinaria che spinge le persone ad impegnarsi con coraggio e generosità, ad amare la conoscenza, a cercare di capire il significato della propria esistenza.

Alla verità dell’amore appartiene anche la capacità di dare “speranza” a chi è dominato dalla disperazione per la provvisorietà della vita, per l’ineluttabilità  della decadenza  fisica e della morte. Sensazione penosa che fu denominata  “angoscia esistenziale” dal filosofo e teologo danese Soren  Kierkegaard (1813 – 1855) e “angoscia del nulla” dal filosofo tedesco Martin Heidegger (1889 – 1976).

Tra i filosofi esistenzialisti del XX secolo è interessante quanto scrisse Jean-Paul Sartre nel saggio “L’essere e il nulla”, pubblicato nel 1943. Per Sartre  è impossibile trovare un fondamento oggettivo ai valori o al senso della vita. La condizione umana è di solitudine esistenziale. E’ l’individuo che dà senso al mondo, mentre il mondo, di per sè, non ha alcun senso.  Questa tesi la rielaborò nel romanzo “La nausea” (1938), in cui narra le vicende di  Antoine Roquentin, che riflette sulle ragioni della propria esistenza e scopre che il mondo non ha senso e viene colto dalla nausea. 

Per molti  l'unico antidoto all'insignificanza del mondo  è la fiducia in una religione, in un dio che dà conforto, speranza.
 
Il passaggio alla fede è un transito nell’irrazionale, il credente accoglie anche le assurdità,  come quelle contenute nella religione cristiana, che induce a credere in un Uomo che è Dio, in un individuo storico che è anche metastorico.

Chi invece non crede nell’aldilà  considera “normale”  la temporaneità della propria vita e subisce con rassegnazione o indifferenza il corso della natura, il nulla dopo la morte.   

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #11 il: Giugno 22, 2014, 08:13:50 »
Per gli esseri viventi  il ciclo della natura è vicenda alterna di nascita e morte.

Dall’età dell’adolescenza  molti s’interrogano sul senso della vita perché si pensa che ce ne sia uno di tipo universale. Invece no !  La vita non ha senso ed ognuno le dà il significato che vuole.

E’ importante  accettare il non senso della vita e  viverla dandole significato con le scelte, i comportamenti, gli atteggiamenti, le azioni.


Per i ferventi cristiani la vita ha senso nell’aldilà nell’incontro con il proprio dio. La loro  “meditatio vitae” è anche “meditatio mortis”,

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nel suo libro “Ethica more geometrico demonstrata” scrisse:  “Nulla v'è su cui l'uomo libero mediti meno che sulla morte; e la sua saggezza sta appunto nel meditare non sulla morte, ma sulla vita” (IV, 67). Questa meditatio porta ad una certezza intuitiva che spinge l’individuo ad elaborare la categoria "senso" come principio interpretativo e regolativo della vita. La percezione del "senso" della vita e, perciò, inevitabile, "non dipende da nessuna ideologia e da nessuna religione.

Un contemporaneo di Spinoza, il filosofo e matematico francese Blaise Pascal (1623 – 1662) nel suo incompiuto libro titolato “Pensieri” considera “mostruoso” che molti individui siano indifferenti nei confronti del problema del senso della vita: preferiscono dedicarsi  al“divertissement” ed alle occupazioni quotidiane.

Ma da che cosa vuole sfuggire l’uomo, si chiede Pascal.  Dalla propria infelicità e dai supremi interrogativi riguardanti la vita e la morte. "Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci" (cfr. Pensieri, 168 B). Infatti quando l’uomo non ha nulla da fare, sente il suo nulla, la sua insufficienza, la sua impotenza, il suo vuoto interiore. Allora diventa triste, pieno di rabbia e di disperazione, e soprattutto di noia, che è la rivelazione della insufficienza dell’uomo a se stesso e della sua strutturale miseria. In fondo il gioco, la conversazione, la guerra, il potere non sono ricercati in vista della felicità, ma perché ci distolgono dal pensare a quella che è la nostra vera condizione. Noi non pensiamo quasi mai al presente ma è solo l’avvenire che ci interessa: "Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali" (cfr. Pensieri, 172 B).
"L’uomo è manifestamente nato per pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio; e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente" (cfr. 146 B). Ma quale attività può servire all’uomo per capire qual è il senso della vita? Purtroppo né la scienza né la filosofia sono adatte a questo riguardo.
« Ultima modifica: Giugno 23, 2014, 07:27:27 da dottorstranamore »

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #12 il: Giugno 23, 2014, 00:15:27 »
Per il professor Edoardo Boncinelli, docente di biologia e genetica, la  vita non ha senso e non ha senso nemmeno chiederselo. In un suo aforisma dice: “Non posso fare a meno di pormi certe domande, ma debbo resistere alla tentazione di darvi una risposta. Tanto sarebbe priva di ogni fondamento.”

Il professor Umberto Veronesi, oncologo, evidenzia che quando si è coinvolti dalle malattie proprie o di persone care si reagisce in diversi modi, a seconda della propria personalità.
Una delle modalità è quella di  affidarsi a un dio, di “aggrapparsi” alla religione. E nella regressione della razionalità si colloca l’irrazionalità della fede in una religione,  l’illusione nei miracoli, l’affidare la propria vita ad entità sovrannaturali, a santi che intercedono presso Dio che soccorre, ed ha potere taumaturgico.  Pregare aiuta a sperare nel miracolo della guarigione od altro.
Affidarsi con fiducia ad un’entità sovrannaturale, nella convinzione che la divinità sa tutto, può tutto e ci sostiene nei bisogni, è un esercizio che può dare fiducia e serenità; dai filosofi è denominato “ottimismo ontologico”,dagli psicologi  “atteggiamento mentale positivo”, ma non guarisce dalle malattie.

Molte persone malate trovano nella religione la forza per affrontare con serenità la malattia. Credere nelle divinità può dare sostegno spirituale e conforto, può far superare periodi desolati e desolanti, in cui si è affranti dal dolore di una diagnosi senza speranza.

Veronesi non ha il cosiddetto “dono della fede”. Considera la fede e la scienza due parallele che non s’incontreranno mai, perché rispondono ad esigenze diverse ed esigono postulati diversi. La scienza ha una logica coerenza e quando definisce una “verità” è valida per tutti, invece  in una religione  che offre consolazione, speranza, come quella cristiana, i dogmi e le norme servono solo per i  propri credenti.

Le religioni tentano di dare risposte irrazionali, mitiche, al quesito sul senso della vita.

Alla domanda  “Chi sono io” ? “Quale destino mi attende” ? le religioni cercano di rispondere in modo consolatorio come palliativo al male di vivere. Tentano di dare senso alla nostra vita collegandola ad un Essere Supremo che tutto provoca e che è depositario di un ipotetico sistema premi/punizioni a fronte di un comportamento etico in vita. Chi ci crede vive nel suo amore, del suo amore, della sua consolazione!

La concezione giudaico-cristiana giustifica la sofferenza in questa vita transeunte in previsione di quella eterna senza dolore. All’infelicità attuale è collegata la speranza nell’aldilà.

Ma i non credenti come possono consolarsi se pensano al non senso della vita ? Chi non crede cerca il senso della vita in se stesso, sia da protagonista sia da perdente.

Anche la  filosofia, fin dai suoi primordi, ha tentato di rispondere alla domanda sul senso della vita, ma non ci è riuscita. Essa inscrive la caducità dell’esistenza umana nell’universale caducità.

La nostra epoca, dominata dalla scienza e dalla tecnica, non è in grado di dare un senso alla nostra vita.  Non ci sono mezzi  per evitare l’esperienza del dolore, della sofferenza e della morte. Della morte non ci addolora l’evento in sé, ma la consapevolezza della sua ineludibilità e quindi l’attesa.

Soffrire ma anche subire quel che non si può scegliere. Il patire la sofferenza fisica o psichica evidenzia i nostri limiti. Siamo esseri sospesi nel nulla. Dal nulla siamo venuti ed al nulla siamo destinati.

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #13 il: Giugno 25, 2014, 07:11:14 »
Ho concluso il precedente post con una frase che ho desunto dal libro  “La casa di Psiche”, scritto dal filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti: “Siamo esseri sospesi nel nulla. Dal nulla siamo venuti ed al nulla siamo destinati”. 

Il nulla ! = “Nihil” nella lingua latina classica, “nichil” nel latino medievale. Dal lemma “nichil” deriva  il sostantivo “nichilismo”, che fra l’altro indica l’assenza di una finalità ultima che orienta la vita nel nulla universale.

Il nichilismo esistenziale nega  l’esistenza di Dio ed afferma che la vita non ha un senso intrinseco. Un esponente di questo tipo di nichilismo fu il filosofo Friedrich Nietzsche (1844-1900), il quale considerava le religioni come stratagemmi, elaborati per dare sicurezza a chi non riesce ad accettare il non senso della vita e preferisce  immaginare un mondo trascendente per dare un senso alla propria esistenza.

Per Nietzsche il nichilismo può essere positivo se l’individuo accetta la "morte di Dio" ed è capace di reggerne psicologicamente le conseguenze, come il superuomo od oltreuomo (dal tedesco: Übermensch):  figura ideale capace di  trascendere i propri limiti (vedi Nietzsche: “Così parlò Zarathustra”).

Il non senso della vita fu in seguito oggetto di discussione della filosofia esistenzialista ma interessò anche l’ambito medico, perché le  riflessioni sul senso della vita possono condurre alla tristezza, alla malinconia ed alla depressione esistenziale.

“Nella depressione esistenziale la tristezza galleggia improvvisamente nella nostra anima senza un’apparente ragione e dilaga fulminea nella nostra interiorità, logorandoci, ha scritto lo psichiatra Eugenio Borgna.  Ci si sente afflitti, svuotati d’interesse, incapaci di gustare il senso della vita. Si fatica persino a pensare, risucchiati da uno smarrimento che oscura gioie e raggela speranze. Il tempo soggettivo non ha più nulla a che fare con quello esterno, con quello misurabile, perché tende a rallentare e a disgiungersi nelle sue tre dimensioni agostiniane: presente, passato e futuro si sciolgono. La dimensione del futuro tende ad arrestarsi, assorbita nel passato che si dilata grottescamente nella nostra immaginazione. Questo tipo di tristezza, tuttavia, non è patologica e non ha nulla a che fare con la depressione come malattia. E’ un’esperienza di vita che ci appartiene nel momento in cui ci fermiamo a riflettere sul senso dell’esistenza, delle cose spesso effimere che ci circondano e ci asfissiano, svuotandoci dei valori più veri e profondi. Questo tipo di tristezza è la malinconia nel senso più leopardiano, propria dell’uomo che avverte l’incombenza dell’infinito, cui s’accosta con tutta la sua fragilità e la sua inadeguatezza. La consapevolezza di questa precarietà è sorgente di riflessione e di straordinaria creatività ma non è malattia. Questo tipo di depressione, questa sconosciuta che abita in ognuno di noi, fa semplicemente parte della vita ed è bene farsela amica”.

Doxa

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Re:La vita e il tempo
« Risposta #14 il: Giugno 26, 2014, 10:28:57 »
Il cardinale Carlo Maria Martini (1927 – 2012) in uno dei colloqui con Eugenio Scalfari disse al giornalista: “Lei cerca il senso della vita. Lo cerco anch'io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede. È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può riconquistare. Il dubbio fa parte della nostra umana condizione, saremmo angeli e non uomini se avessimo fugato per sempre il dubbio. Quelli che non si cimentano con questo rovello hanno una fede poco intensa, la mettono spesso da parte e non ne vivono l'essenza” (La Repubblica, 24-12-2011).

Per i propri fedeli la religione cristiana ha relegato la “vera vita” al di là della morte, nell’immortalità al cospetto di Dio, perciò insiste  con l’atanatologia:parola d’origine greca, composta da “a” (= alfa privativa) + “thanatos” (= morte) + logos (= discorso); significa  ragionamento o dottrina sull’immortalità dell’anima.

"Che accade all’uomo quando muore?"  Si chiedeva il filosofo e teologo Raimon Panikkar  (1918 – 2010). La sua domanda poi divenne il titolo di un suo saggio nel quale afferma che il  pensiero della morte è il compagno esistenziale inseparabile dell’esperienza della vita, però la contemporanea  antropologia occidentale ha demitizzato la cosmologia teologica , secondo la quale tutto l’universo è vivente, ed  ha proiettato la vera vita nel presente.   

Per Panikkar sono due le modalità per affrontare il problema della morte: quella religiosa e quella secolare.

La modalità religiosa postula dopo la morte una vita ulteriore,  immortale, spirituale, autentica e definitiva. La fede in un’altra vita, in un altro mondo, è consolante.

Invece la risposta secolare non dà speranze ultraterrene:  non c’è differenza tra il vivere a lungo e la vita breve, è importante quanto si vive bene non quanto a lungo;  l’individuo deve vivere per auto realizzarsi.